RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Salerno ha confermato la pronuncia di primo grado di condanna del ricorrente per il reato di furto in abitazione.
2. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, mediante il difensore di fiducia, avv. Antonio Boffa, articolando due motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953 in relazione alla dedotta questione di legittimità costituzionale dell'art. 624-bis cod. pen. con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
A fondamento della doglianza, l'imputato evidenzia che la Corte territoriale, stante l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale sulla questione, avrebbe erroneamente ritenuto non rilevante la questione per la necessità di applicazione allo stesso dell'aumento di pena derivante dalla recidiva che non avrebbe potuto comunque, stante il divieto di cui all'art. 69, comma 4, cod. pen., far sì che la previsione di un'eventuale circostanza attenuante specifica del delitto di cui all'art. 624-bis cod. pen. perché posto in essere su beni di modico valore e nelle pertinenze dell'abitazione, prevalesse su tale aggravante.
2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente assume violazione dell'art. 624bis cod. pen. e correlato vizio di motivazione poiché non ricorrerebbero nella fattispecie in esame i presupposti della norma incriminatrice, in quanto il luogo dove si è verificato il fatto non potrebbe considerarsi privata dimora, in quanto la proprietaria aveva dichiarato nel corso del dibattimento di essere residente altrove e di recarsi nella "seconda casa" quando ne aveva voglia e, comunque, non poteva ritenersi sussistente una mancanza di consenso della stessa all'accesso al cortile, non essendovi alcun portone di ingresso volto a impedire l'introduzione nella proprietà privata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato.
1.1. Occorre rilevare, innanzi tutto, che, con riferimento all'evocata questione di legittimità costituzionale dell'art. 624-bis cod. pen., nella parte in cui non prevede una circostanza attenuante per l'ipotesi in cui il furto si sia realizzato su beni di modico valore, la questione appare priva della necessaria rilevanza, non potendosi considerare la sottrazione di beni aventi un valore di Euro 500,00 di modico valore.
1.2. Per altro verso, il parametro di cui all'art. 24 Cost., che riguarda il diritto di agire e difendersi in giudizio, appare inconferente in relazione ad una doglianza che attiene all'eccessività del trattamento sanzionatorio e, comunque, il ricorrente non ha argomentato come l'entità della pena eserciterebbe sul proprio diritto di difesa.
1.3. È invece manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 624-bis cod. pen. per contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede una pena più bassa di quella edittale per l'ipotesi in cui la condotta si realizzi su pertinenze dell'abitazione.
Come noto, aggiunto dall'art. 2, comma 2, della legge n. 128 del 2001, l'art. 624-bis cod. pen., sotto la rubrica " furto in abitazione e furto con strappo", disponeva, nel testo originario, che " chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da Lire seicentomila a due milioni" (primo comma);
"alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona" (secondo comma); "la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da Lire quattrocentomila a tre milioni se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell'articolo 625 ovvero se ricorre una o più delle circostanze indicate all'articolo 61" (terzo comma).
La ratio dell'innovazione normativa - tratto saliente del "pacchetto sicurezza" del 2001 - risiede nella trasformazione del furto in abitazione (e furto con strappo) da reato aggravato in reato autonomo, come tale ontologicamente sottratto al bilanciamento delle circostanze; pertanto, l'art. 2, comma 3, della legge n. 128 del 2001 ha soppresso il n. 1) del primo comma dell'art. 625 cod. pen., ove la condotta di chi, "per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione" era prevista come aggravante.
L'allarme sociale generato dalla percepita diffusione dei furti in abitazione ha determinato tuttavia un ulteriore intervento legislativo di aggravamento sanzionatorio, che ha trovato luogo nell'ambito della "riforma Orlando".
Nell'indicata prospettiva, difatti, l'art. 1, comma 6, della legge n. 103 del 2017 ha modificato l'art. 624-bis cod. pen. in più punti: con la lettera a), ne ha modificato il primo comma, innalzando la pena (reclusione da tre a sei anni e multa da Euro 927 a Euro 1.500); con la lettera b), ne ha modificato il terzo comma, innalzando la pena (reclusione da quattro a dieci anni e multa da Euro 927 a Euro 2.000); infine, con la lettera c), vi ha aggiunto un quarto comma, a tenore del quale "le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 625-bis, concorrenti con una o più delle circostanze aggravanti di cui all'articolo 625, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette circostanze aggravanti".
Ciò posto quanto all'introduzione della fattispecie incriminatrice autonoma e delle successive modifiche normative, occorre sottolineare che il delitto di furto in abitazione è un reato plurioffensivo, volto a tutelare non solo l'interesse patrimoniale leso dalla condotta altrui di sottrazione, ma anche alla sicurezza individuale ed alla sfera personale di inviolabilità e riservatezza.
Ora, con riferimento alla dosimetria sanzionatoria, secondo costante giurisprudenza costituzionale, il legislatore ordinario gode di ampia discrezionalità, che incontra il proprio limite nella manifesta sproporzione della singola scelta sanzionatoria, sia in relazione alle pene previste per altre figure di reato, sia rispetto alla intrinseca gravità delle condotte abbracciate da una singola figura di reato. II limite in parola esclude, più in particolare, che la severità della pena comminata dal legislatore possa risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del reato: il che accade, in particolare, ove il legislatore fissi una misura minima della pena troppo elevata, vincolando così il giudice all'inflizione di pene che potrebbero risultare, nel caso concreto, chiaramente eccessive rispetto alla sua gravità (v., tra le altre, sent. n. 63 e n. 28 del 2022; n. 73 del 2020; n. 284 e n. 112 del 2019).
Ebbene, non può ritenersi che questi limiti siano stati superati nell'ipotesi di furto commesso nelle pertinenze e non già all'interno di un'abitazione, poiché le esigenze di tutela della sicurezza individuale che il legislatore ha voluto tutelare unitamente a quelle patrimoniali ben ricorrono anche nelle ipotesi di beni pertinenziali all'abitazione o ad una privata dimora poiché le pertinenze, anche avendo riguardo alla disposizione espressa dall'art. 817 cod. civ., sono luoghi strumentali del bene principale volte a soddisfare anch'esse esigenze di vita domestica del proprietario (Sez. 5, n. 8421 del 16-12-2019, dep. 2020, (Omissis), Rv. 278311 -01).
In sostanza, come questa Corte ha più volte sottolineato, l'esigenza di punire con maggiore severità la particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo - sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza dell'abitazione: come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 50105 del 05-12-2023, (Omissis), Rv. 285470 -01; Sez. 5, n. 27326 del 28-04-2021, (Omissis), n.m.).
1.3.1. Inoltre, occorre considerare che la questione viene dedotta dal ricorrente nel senso, sostanzialmente, di prevedere un'ipotesi di furto in abitazione "minore" (ossia con un trattamento sanzionatorio meno rigoroso) per l'ipotesi nella quale l'azione del reo si sia diretta su beni pertinenziali all'abitazione o ad altro luogo di privata dimora.
Senonché la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato come la tecnica legislativa di "ritagliare" fattispecie di minore gravità in funzione di un riequilibrio complessivo della disciplina penale si addica essenzialmente alle ipotesi nelle quali il reato-base ha una formulazione molto ampia, come lo "spaccio" di stupefacenti, la ricettazione, la bancarotta o la violenza sessuale (Corte Cost. n. 88 del 2019). Per quest'ultima, in particolare, la fattispecie attenuata ex art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. è diretta a temperare la notevole ampiezza dell'espressione "atti sessuali", che costituisce il fulcro della norma incriminatrice (Corte Cost. n. 106 del 2014).
Se impiegare o meno la tecnica del "ritaglio" è quindi una scelta altamente discrezionale del legislatore, poiché attiene alla costruzione della fattispecie-base, secondo criteri di maggiore o minore latitudine.
E, del resto, il furto in abitazione è fattispecie criminosa descritta dall'art. 624-bis cod. pen. in termini piuttosto definiti, sicché va escluso che il legislatore abbia l'obbligo costituzionale di introdurre una fattispecie attenuata all'interno della pertinente norma incriminatrice.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 24-bis cod. pen., integra la nozione di privata dimora l'immobile che, seppur non abitato, non debba ritenersi abbandonato (cfr., tra le tante, Sez. 4, n. 27678 del 23-06-2022, (Omissis), Rv. 283421-01).
3. In definitiva il ricorso deve essere nel complesso rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 4 aprile 2024
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2024