RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 novembre 2023, la Corte d'Appello di Napoli ha confermato il provvedimento del giudice di primo grado, che aveva ritenuto Ar.An. responsabile del reato di cui agli artt. 624 bis e 625, secondo comma, cod. pen., condannandolo alla pena di anni tra di reclusione ed Euro 206 di multa, per essersi impossessato di denaro introducendosi, iri data 26 maggio 2015, nell'abitazione di Ar.St., utilizzando una copia delle chiavi dell'abitazione della persona offesa, realizzata all'insaputa di quest'ultima.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Antonio Fusiello, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si contesta l'affermazione di responsabilità per il fatto del 26 maggio 2015, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. La Corte territoriale avrebbe ravvisato, in maniera del tutto contraddittoria, la penale responsabilità dell'imputato in relazione all'episodio del 26 maggio 2015, basandosi su dichiarazioni delle persone offese, Ar.St. e sua figlia Sp.Lo., che, tuttavia, in relazione ad altre condotte furtive (del tutto analoghe - per modalità , per il mezzo fraudolento, per il tempo di commissione e per coincidenza delle persone offese- a quella oggetto del presente ricorso), sono state invece ritenute non attendibili, tanto da giustificare l'assoluzione dell'imputato per gli altri episodi di furto indicati nell'originaria imputazione. Travisando le prove in atti, la Corte territoriale ha valorizzato, in particolare, la documentazione fotografica, che le persone offese hanno estrapolato dal proprio computer, su cui avevano installato una webcam, che aveva ripreso un individuo all'interno dell'appartamento il giorno 26 maggio 2015, alle h. 11.50. Tale estrapolazione è stata realizzata non già dagli operanti di Polizia giudiziaria (i quali si erano limitati a sequestrare la copia della chiave dell'appartamento delle persone offese, rinvenuta nella dimora dell'imputato), bensì dalle stesse persone offese. Sicché, in definitiva, le immagini estratte dalla webcam sono state erroneamente valutate dalla Corte territoriale quali validi elementi di riscontro alle dichiarazioni delle persone offese; medesimo travisamento di prova è lamentato con riferimento alle dichiarazioni del teste Ru.
2.2. Col secondo motivo, si deduce vizio di motivazione, sub specie di travisamento della prova, con riferimento alla valutazione delle contraddittorie dichiarazioni rese da una delle persone offese, Sp.Lo., a proposito di furti, ulteriori rispetto a quello oggetto del presente procedimento, commessi in un altro appartamento, abitato dalle persone offese precedentemente al furto del 26 maggio 2015. Tali furti - aveva riferito la Sp.Lo. - erano avvenuti con modalità analoghe, vale a dire senza effrazioni e utilizzando copia delle chiave d'ingresso dell'appartamento. Tuttavia, osserva la difesa, tali ulteriori furti erano avvenuti prima che le persone offese consegnassero all'imputato le chiavi del (secondo) appartamento, affinché quest'ultimo vi eseguisse dei lavori di tinteggiatura; pertanto, non si spiegherebbe come l'Ar.An. abbia potuto disporre delle chiavi in un momento precedente alla commissione, da parte delle persone offese, dei lavori di tinteggiatura. Non avendo adeguatamente valorizzato tali profili di contraddittorietà che caratterizzano le dichiarazioni della Sp.Lo., la Corte territoriale sarebbe incorsa in travisamento di prova, rendendo una motivazione palesemente illogica.
2.3. Col terzo motivo, si duole di violazione di legge in relazione alla circostanza aggravante del mezzo fraudolento, erroneamente ritenuta sussistente dalla Corte territoriale, peraltro in dispregio dei criteri giurisprudenziali elaborati, sul punto, da questa Corte. Infatti, l'imputato non avrebbe posto in essere particolari stratagemmi per entrare in possesso delle chiavi dell'appartamento delle persone offese.
2.4. Col quarto motivo, si lamenta violazione dell'art. 62, primo comma, n. 4, cod. pen., e vizio di motivazione, non avendo la Corte territoriale fornito adeguate ragioni in merito al diniego della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità . Si contesta, in particolare, il passaggio motivazionale in cui la Corte d'Appello, pur convenendo sul modesto valore della somma sottratta (100 euro), ha sottolineato il particolare danno, patito dalle persone offese, derivante dall'intromissione illecita dell'imputato nella loro abitazione. Siffatta asserzione implicherebbe l'assurda conseguenza di escludere, nel caso di qualsivoglia furto in abitazione, la possibilità di riconoscere la circostanza attenuante in parola.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Nicola Lettieri, il quale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso; b) conclusioni nell'interesse dell'imputato, in replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, con le quali si insiste per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito illustrate.
2. I primi due motivi -che possono esaminarsi congiuntamente, in quanto logicamente connessi - sono infondati (infra, sub 2.1) e, in parte, manifestamente infondati (infra, sub 2.2).
2.1. La Corte territoriale ha chiarito come le dichiarazioni delle persone offese siano state considerate attendibili, con riferimento all'episodio del furto occorso il 26 maggio 2015, in quanto validamente corroborate da elementi di riscontro (le immagini estratte dalla webcam e le dichiarazioni del condomino Ru.).
In relazione agli altri furti (commessi a danno delle medesime persone offese e con modalità analoghe al furto qui in esame), le dichiarazioni delle persone offese, diversamente da quanto argomentato dal ricorrente, non sono state ritenute inattendibili, bensì non sufficientemente suffragate da elementi di riscontro.
Se, dunque, l'attendibilità delle persone offese non è mai stata messa in discussione né dal giudice del primo grado, né dalla Corte d'Appello, è stata invece ritenuta inverosimile la ricostruzione alternativa fornita dall'imputato, oltre che del tutto inidonea a insinuare un ragionevole dubbio in ordine alla fondatezza della propalazione accusatoria. Si è, infatti, evidenziato come l'imputato, soltanto a seguito della perquisizione domiciliare, e soltanto dopo aver appreso di essere stato immortalato dalle immagini riprese dalla webcam, abbia ammesso di essere in possesso del doppione delle chiavi dell'appartamento. Peraltro, in riferimento a tale ultimo profilo, i giudici del merito hanno disatteso, con motivazione esente dai dedotti vizi, la versione dell'imputato (sottesa all'articolazione del secondo motivo del presente ricorso), secondo cui il doppione gli era stato consegnato dalle persone offese; su tale aspetto, già ampiamente esaminato dai giudici di merito, il ricorrente si limita a riproporre, in questa sede, una propria rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento dell'impugnata decisione, la cui motivazione non appare compromessa dai dedotti vizi.
Invero, del contrasto tra le due pronunce di merito, lamentato dal ricorrente, non v'è traccia; è, del resto, il ricorrente stesso, che ha riportato lunghi brani di entrambe le decisioni nel ricorso in esame, a evidenziare la continuità logica e argomentativa che lega le due decisioni. Il Tribunale di Napoli Nord aveva evidenziato la mancata costituzione di parte civile delle persone offese, per significarne la mancanza di interesse economico o l'intento vendicativo; aveva poi indicato come il sistema di videosorveglianza installato sul p.c. de le persone offese avesse registrato, in quella data e in quell'ora (26 maggio 2015, h. 11.50) la presenza, in casa delle persone offese, dell'imputato. Aderendo alla motivazione della sentenza di primo grado, la Corte d'Appello, a proposito della diversità di esiti del giudizio per i vari episodi criminosi (esito assolutorio, per gli altri furti contestati; esito di condanna, per il furto oggetto del procedimento de quo), ha chiarito - come si è già evidenziato - che l'assoluzione è derivata non già dall'inattendibilità del narrato delle persone offese, bensì da un insufficiente grado d'evidenza probatoria (v. p. 5 della motivazione dell'impugnata sentenza). Tale insufficienza è stata superata, come ricordato dai giudici del merito, con riguardo al furto del 26 maggio 2015, visti i riscontri ottenuti con le riprese della webcam -installata dalle persone offese soltanto in seguito a una serie furti precedenti quella data - e con la testimonianza del Ru., il quale aveva dichiarato di aver visto l'imputato, la mattina del 26 maggio, allontanarsi in auto dallo stabile in questione.
Quanto alla censura difensiva relativa alla contraddittorietà della motivazione dell'impugnata sentenza - alla luce del rinvio, operato dalla Corte d'Appello, alla giurisprudenza di legittimità sulla ed. valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa - essa, pur in astratto centrata, va tuttavia ridimensionata alla luce della complessiva tenuta argomentativa della motivazione dell'impugnata sentenza: a tal riguardo, può osservarsi che l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, "non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione" (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 - 01).
2.2. Manifestamente infondata deve considerarsi l'eccezione relativa alla insufficienza probatoria delle immagini estratte dalla webcam, in quanto "prodotte" -in tesi difensiva - dalle persone offese stesse; a tal proposito, si osserva che le frammentarie indicazioni contenute in ricorso (in cui si riportano brani della deposizione dell'agente di polizia relativa alla estrapolazione delle immagini dal p.c.) aspirano ad una ricostruzione alternativa della vicenda rispetto a quanto ragionevolmente proposto dai giudici di merito, ignorando la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215).
Anche l'articolazione del primo motivo, in cui si contesta il giudizio di attendibilità relativo al teste Ruggiero, deve ritenersi manifestamente infondata, in quanto generica, asseverativa e priva di specificità .
2.2.3. Non sono chiare, infine, le ragioni per cui la difesa, lamentando nei primi tre motivi il travisamento di prova, si sia riferita, in epigrafe dei motivi stessi, all'art. 606, comma 1, leti, d), del codice di rito.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, per ragioni che conseguono, in larga parte, a quanto già illustrato con riferimento alla valutazione dei giudici di merito circa le dichiarazioni delle persone offese, da un lato, e dell'imputato, dall'altro. Si è infatti ricordato come i giudici del merito abbiano, per un verso, ritenuto attendibili le versioni dichiarative delle persone offese, le quali hanno negato di aver mai consegnato all'Ar.An. le chiavi del proprio appartamento, e, per l'altro, disatteso motivatamente (per le ragioni già ricordate sub 2.1) la versione dell'imputato.
Nel caso di specie - hanno inoltre ricordato i giudici d'appello - l'imputato, approfittando del rapporto di confidenzialità e parentela che lo legava alle persone offese, aveva realizzato una copia delle chiavi, senza che queste ultime lo avessero a ciò autorizzato; avendo la Corte territoriale ben evidenziato la particolare scaltrezza che ha caratterizzato l'agire dell'imputato, idonea a eludere la vigilanza del soggetto passivo, risulta correttamente configurata la circostanza aggravante del mezzo fraudolento, e adeguatamente motivata la sua sussistenza, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di furto aggravato dalla circostanza in parola, il ed. mezzo fraudolento deve intendersi riferito a qualunque azione insidiosa, improntata ad astuzia o scaltrezza, atta a soverchiare o sorprendere la contraria volontà del detentore della cosa, eludendo gli accorgimenti predisposti dal soggetto passivo a difesa della stessa (come ritenuto, ad esempio, nel caso di introduzione nel luogo del furto per via diversa da quella ordinaria, da Sez. 7, n. 8757 del 07/11/2014, dep. 2015, Bontempi, Rv. 262669 - 01; v. anche, in tema di impossessamento "invito domino" della res altrui, realizzato con modalità fraudolente, Sez. 5, n. 36138 del 22/05/2018, Zizzo, Rv. 273881 - 01; in tema di furto aggravato dal mezzo fraudolento, quando il risultato dell'impossessamento sia il risultato di un'azione caratterizzata da "usurpazione unilaterale", v. Sez. 5, n. 36864 del 23/10/2020, Fuzio, Rv. 280323 - 01, con riferimento alla differenza col reato di truffa).
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, data la contrarietà dell'assunto difensivo alla consolidata giurisprudenza di legittimità , secondo cui "la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità , presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza del reato" (Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, 2021, Di Giorgio, Rv. 280615 - 01). Le censure difensive, oltre a reiterare quanto già motivatamente disatteso dalla Corte d'Appello, eludono il confronto con le pertinenti ragioni con cui quest'ultima, nel denegare l'applicazione dell'invocata
circostanza attenuante, si è riferita non soltanto al valore -pur se modesto - della cosa sottratta, ma al complessivo pregiudizio arrecato con l'azione criminosa, considerando i danni ulteriori, direttamente ricollegabili al reato, subiti dalle vittime in conseguenza della violazione del proprio domicilio (Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241 - 01; Sez. 4, n. 8530 del 13/02/2015, Chiefari, Rv. 262450 - 01; Sez. 5, n. 7738 del 04/02/2015, Giannella, Rv. 263434 - 01; cfr. anche Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, Ruggiero, Rv. 236914 - 01, in tema di ricettazione).
È pertanto del tutto condivisibile il rilievo della Corte distrettuale, che ha posto in luce anche l'aspetto derivante dal patimento subito dalle persone offese per avere visto violato il proprio domicilio domestico; rilievo che, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa, "è coerente con la ratio dell'incriminazione del reato di furto in abitazione, dotato di uno statuto punitivo peculiare e più severo rispetto al furto di cui all'art. 624 cod. pen., legato alla necessità di una più marcata stigmatizzazione di condotte che, oltre a depredare il patrimonio, violino il domicilio" (Sez. 5, n. 33504 del 18/06/2019, Bertini, n. m., in cui è stato, non a caso, affermato il seguente principio di diritto: "Nel caso di furto in abitazione, ai fini della valutazione circa l'applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 4), cod. pen., il giudice deve tenere conto anche del danno morale legato al patimento della vittima per l'intrusione subita nel proprio domicilio").
3. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2024.