RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 novembre 2023, la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza pronunciata il 14 marzo 2022, all'esito di giudizio abbreviato, dal Tribunale della stessa città con la quale Sp.An. è stato ritenuto responsabile: del reato di cui agli artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen. per aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di una confezione di profumo del valore commerciale di Euro 93,00 esposta in vendita in un negozio con insegna "Tigotà" (capo a); del reato di cui agli artt. 612, comma 1, e 61 n. 2 cod. pen. per aver minacciato ingiusto danno a Bo.Ti., dipendente dell'esercizio commerciale, al fine di assicurarsi il profitto del furto e guadagnare la via di fuga, rivolgendogli la frase "ti spacco la faccia, mi hai fatto fare brutta figura" (capo b). A Sp.An. erano stati contestati: al capo a), il furto consumato di confezioni di profumo per un valore complessivo di 168,89 Euro; al capo b), una minaccia grave ex art. 612, comma 2, cod. pen. I fatti sono stati diversamente qualificati nei termini indicati all'esito del giudizio di primo grado.
Sp.An. è stato condannato: per il tentato furto, concesse le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., operata la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito, alla pena finale di mesi due, giorni dieci di reclusione ed Euro 59,00 di multa; per la minaccia, concesse le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen., operata la diminuzione di pena conseguente alla scelta del rito, alla pena finale di Euro 133,00 di multa. Ancorché la sentenza di primo grado non lo affermi in termini espliciti, deve ritenersi che le attenuanti siano state valutate prevalenti sulle aggravanti. La pena base infatti è stata diminuita, ai sensi dell'art. 62 bis cod. pen., e poi, nuovamente, ai sensi dell'art. 62 n. 6 cod. pen.
2. Per mezzo del proprio difensore Sp.An. ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello. Il ricorso si articola in cinque motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione come previsto dall'art. 173, comma 1, D.Lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
2.1. Col primo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. e vizi di motivazione con riferimento al capo a) (quindi alla ritenuta violazione degli artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen.). Il difensore osserva che la possibilità di ritenere non punibili per particolare tenuità i fatti dei quali l'imputato è stato ritenuto responsabile è stata esclusa con motivazione illogica, omettendo di considerare che dal tentato furto ritenuto in sentenza non sono derivati danni patrimoniali (la confezione di profumo sottratta è stata restituita). Sottolinea, inoltre, che la Corte territoriale ha ignorato la condotta susseguente al reato e, invece, a seguito delle modifiche introdotte all'art. 131 bis cod. pen. dal D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, avrebbe dovuto valutarla.
La difesa sottolinea che - come risulta anche dalla sentenza di primo grado - l'imputato ha versato alla Go. Spa proprietaria dell'esercizio commerciale Tigotà "e persona offesa dal reato di cui al capo a)" la somma complessiva di Euro 200,00 (un primo versamento è stato eseguito in data 8 giugno 2020, subito prima della ammissione del giudizio abbreviato, un secondo versamento è stato eseguito il 30 settembre 2021). Si duole, inoltre, che, nell'escludere l'applicabilità dell'art. 131 bis cod. pen., la Corte di appello abbia fatto riferimento a due precedenti condanne per estorsione e tentata estorsione trascurando che, in relazione a queste condanne, Sp.An. ha ottenuto l'affidamento in prova al servizio sociale e l'esito positivo di tale affidamento ha determinato l'estinzione della pena e di ogni altro effetto penale sicché di tali condanne non si può tenere conto ai fini della recidiva e neppure ai fini della valutazione dell'abitualità del comportamento ai sensi dell'art. 131 bis, comma 4, cod. pen.
2.2. Col secondo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. per il reato di minaccia di cui al capo b). Il difensore ricorda che, all'esito del giudizio di primo grado, è stata esclusa la gravità della minaccia; che la frase minacciosa fu pronunciata in un contesto di fuga e non fu tale da determinare effettivo timore nella vittima; che si tratta dunque di un fatto di minima offensività e, sul punto, la Corte territoriale non ha motivato avendo compiuto una valutazione complessiva della condotta tenuta senza distinguere i due reati per i quali è stata pronunciata condanna. Osserva, inoltre, che il fatto di cui al capo b) è stato qualificato quale violazione dell'art. 612, comma 1, cod. pen. e tale reato appartiene alla competenza del Giudice di pace sicché, in relazione ad esso, il tema della particolare tenuità avrebbe dovuto essere valutato con riferimento alla causa di esclusione della procedibilità prevista dall'art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274.
2.3. Col terzo motivo, relativo alla ritenuta violazione dell'art. 612, comma 1, cod. pen., la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stato applicato l'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000, bensì l'art. 162 ter cod. pen. e per essere stata esclusa l'operatività di quest'ultima norma ritenendo parziale e tardivo il risarcimento.
La difesa rileva che, essendo stato qualificato ai sensi dell'art. 612, comma 1, cod. pen., il reato di cui al capo b) appartiene alla competenza del Giudice di pace.
Ricorda che, ai sensi dell'art. 63 D.Lgs. n. 274/2000, se un reato di competenza del giudice di pace è giudicato da un giudice diverso si osservano, "in quanto applicabili", alcune disposizioni del D.Lgs. n. 274/2000 e, tra queste, oltre a quella contenuta nell'art. 34 (la cui applicazione è stata chiesta col secondo motivo), anche quella di cui all'art. 35. Questa disposizione si differenzia nei presupposti applicativi da quella prevista dall'art. 162 ter cod. pen. perché, nel decidere se l'imputato abbia proceduto alla riparazione del danno, il giudice deve valutare se le attività risarcitone e riparatone compiute sono "idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione". In questa prospettiva - osserva la difesa - la Corte di appello avrebbe dovuto considerare: che l'imputato ha inviato a Bo.Ti. (vittima della minaccia) un vaglia postale di Euro 100,00 e la relativa somma è stata incassata dall'interessato; che questa somma è di poco inferiore alla sanzione penale di Euro 133,00 di multa, ritenuta congrua dal giudice di primo grado; che Bo.Ti. non aveva avanzato alcuna richiesta risarcitoria e non si è costituito parte civile in giudizio. Secondo la difesa, l'insieme di questi elementi avrebbe consentito di ritenere che le attività riparatone compiute dall'imputato fossero idonee a soddisfare le esigenze di riprovazione del reato e quelle di prevenzione. La difesa di duole, dunque, che nessuna valutazione in tal senso sia stata compiuta. Sottolinea che la sentenza impugnata ha valutato nella prospettiva dell'art. 162 ter cod. pen. entrambi i reati per i quali vi è stata affermazione della penale responsabilità e ha escluso che questa norma potesse trovare applicazione considerando il danno complessivo senza distinguere tra il tentato furto e la minaccia.
Quanto alla tardività del risarcimento - che la Corte di appello ha valorizzato per escludere l'applicabilità dell'art. 162 ter cod. pen. e potrebbe assumere rilievo anche ai sensi dell'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000 - la difesa osserva:
- che il vaglia in favore di Bo.Ti. è stato emesso il 30 settembre 2021, quando il giudizio abbreviato era stato disposto ed era in corso;
- che, pertanto, si tratta di un versamento eseguito in epoca successiva alla "udienza di comparizione" (art. 35, D.Lgs. n. 274/2000) ed anche alla "dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado" (art. 162 ter cod. pen.);
- che, tuttavia, non si tratta di un risarcimento tardivo;
- che, infatti, solo in data 14 marzo 2022, con la pronuncia della sentenza di primo grado, la minaccia è stata qualificata ai sensi dell'art. 612, comma 1, cod. pen.;
- che solo a partire da quel momento l'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000 poteva trovare applicazione;
- che, in ogni caso, solo con la sentenza di primo grado la minaccia è stata ritenuta procedibile a querela, sicché, anche applicando l'art. 162 ter cod. pen., il risarcimento non avrebbe potuto essere considerato tardivo.
2.4. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stato ritenuto applicabile l'art. 162 ter cod. pen. con riferimento al reato di tentato furto aggravato.
La difesa osserva che questa norma non è stata ritenuta applicabile perché l'importo versato a titolo di risarcimento è stato valutato insufficiente e perché, solo in parte, il versamento è avvenuto entro il termine previsto dall'art. 162 ter, comma 1, cod. pen. Sostiene che si tratta di motivazione illogica e carente, sia con riferimento alla tempestività dei versamenti, sia per quanto riguarda la congruità delle somme versate.
Quanto all'epoca dei versamenti, la difesa osserva che il reato di cui agli artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen. è divenuto procedibile a querela a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 e che l'imputato ha emesso in favore della Go. Spa (società proprietaria dell'esercizio commerciale ove fu commesso il reato) due vaglia postali che la società stessa ha regolarmente incassato. Il primo vaglia - di Euro 100,00 - è stato emesso in data 8 giugno 2020, prima dell'ammissione al giudizio abbreviato (dunque entro il termine previsto dall'art. 162 ter cod. pen.); il secondo, di uguale importo, è stato emesso il 30 settembre 2021, quando il giudizio era in corso, ma ben prima dell'entrata in vigore della disciplina che ha trasformato il tentato furto aggravato dall'esposizione alla pubblica fede in un reato procedibile a querela.
Quanto alla congruità delle somme versate, la difesa rileva: che il furto è stato qualificato come tentato e la merce è stata restituita, quindi la società proprietaria non ha subito alcun danno patrimoniale; che il valore del profumo sottratto era inferiore ai 100 Euro e, di conseguenza, la somma versata alla società prima dell'ammissione del giudizio abbreviato non può essere ritenuta insufficiente; che a questa somma è stato aggiunto l'ulteriore importo di 100 Euro, ed altri 100 Euro sono stati versati a Bo.Ti., dipendente della società; che la Go. Spa non è stata sentita sulla congruità del risarcimento complessivo; che l'importo versato è stato considerato insufficiente senza tenere conto delle condizioni dell'imputato; che questi è soggetto economicamente fragile, come risulta dal fatto che è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
2.4. Col quinto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta applicabile l'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. ancorché il tentativo di furto abbia avuto ad oggetto una confezione di profumo del valore di 93 Euro e sia avvenuto ai danni di una società commerciale che gestisce un numero elevato di punti vendita su tutto il territorio nazionale.
3. Con memoria scritta, tempestivamente depositata, il Procuratore generale ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Secondo il PG, poiché la sentenza è stata pronunciata il 10 novembre 2023, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare la complessiva congruità dei versamenti eseguiti a titolo di risarcimento del danno senza fare riferimento al termine di cui all'art. 162 ter, comma 1, cod. pen. I versamenti, infatti, erano comunque precedenti al momento in cui questa disposizione è divenuta operante: per quanto riguarda il tentato furto, perché si tratta di reato divenuto procedibile a querela a decorrere dal 30 dicembre 2022; quanto alla minaccia, perché la procedibilità a querela consegue alla diversa qualificazione giuridica del fatto operata all'esito del giudizio di primo grado con la sentenza del 14 marzo 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi con i quali il ricorrente si duole delle ragioni per le quali è stata esclusa l'applicabilità dell'art. 162 ter cod. pen. sono fondati sia con riferimento alla ritenuta violazione degli artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen. sia con riferimento alla ritenuta violazione degli artt. 612, comma 1, e 61 n. 2 cod. pen. Il quinto motivo, col quale ci si duole della mancata applicazione dell'art. 62 n. 4 cod. pen., è assorbito. Gli altri motivi non meritano accoglimento.
2. Per maggior chiarezza espositiva si deve subito osservare che, nell'atto di appello, la difesa non ha chiesto, con riferimento al reato di cui agli artt. 612, comma 1, e 61 n. 2 cod. pen. (così qualificato dal Giudice di primo grado), l'applicazione degli artt. 34 e 35 D.Lgs. n. 274/2000. Ciò comporta l'inammissibilità dei motivi di ricorso con i quali il ricorrente invoca l'applicazione di queste disposizioni. Come noto, infatti, dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen., discende che non possano essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in quella sede. Tale regola trova la propria ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, Bonaffini, Rv. 256631; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, Li Vigni, Rv. 269368; Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316).
2.1. Nel caso di specie, nei motivi di appello la difesa aveva chiesto l'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. e dell'art. 162 ter cod. pen. e la giurisprudenza è concorde nel ritenere che non vi sia coincidenza tra questi istituti e quelli previsti rispettivamente dagli art. 34 e 35 D.Lgs. n. 274/2000.
Con specifico riferimento ai rapporti tra l'art. 131 bis cod. pen. e l'art. 34 D.Lgs. n. 274/2000, le Sezioni Unite di questa Corte hanno autorevolmente affermato che la questione non può essere risolta applicando il principio della specialità tra norme, dovendo prevalere la peculiarità del complessivo sistema sostanziale e processuale introdotto in relazione ai reati di competenza del giudice di pace, nel cui ambito la tenuità del fatto svolge un ruolo anche in funzione conciliativa. Il supremo Collegio ne ha tratto la conclusione che "la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace" (Sez. U, n. 53683 del 22/06/2017, Pmp, Rv. 271587).
Considerazioni analoghe possono essere svolte con riferimento ai rapporti tra l'art. 162 ter cod. pen. e l'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000. Nella citata sentenza n. 53683/2017, infatti (pag. 11 della motivazione), le Sezioni Unite hanno osservato che la scelta legislativa di salvaguardare "l'autonomia dei connotati specializzanti del procedimento penale dinanzi al giudice di pace", risulta confermata proprio dalla previsione di cui alla legge 23 giugno 2017 n. 103 la quale, nell'introdurre l'istituto dell'estinzione del reato per condotte riparatone (evocativo di quello di cui all'art. 35 D.Lgs. n. 274/2000), non ha ritenuto di procedere ad alcuna forma di coordinamento tra il citato art. 35 e l'art. 162 ter cod. pen. Un silenzio che il supremo Collegio ha interpretato come una conferma della volontà di tenere distinti gli istituti previsti dal Codice penale rispetto a quelli applicabili nel procedimento penale di fronte al giudice di pace. Muovendo dalle medesime premesse, la giurisprudenza ha escluso che la causa di estinzione del reato per condotte riparatone, prevista dall'art. 162 ter cod. pen., possa essere applicata ai reati di competenza del giudice di pace (Sez. 5, n. 47221 del 10/06/2019, Damioli, Rv. 277256). Sia in questo caso, che con riferimento all'art. 131 bis cod. pen. (introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015 n.28), si è ritenuto che la peculiarità del sistema sostanziale e processuale relativo ai reati di competenza del giudice dì pace, non consentisse di estendere ad essi le norme dettate dal Codice penale aventi contenuto affine a quelle già previste dal D.Lgs. n. 274/2000 e dovesse operare, quindi, l'art. 63 di questo decreto, in base al quale, quando i reati di competenza del giudice di pace siano giudicati da un giudice diverso, le norme attinenti agli epiloghi decisori tipici dello speciale procedimento possono operare "in quanto applicabili".
Pur avendo escluso la possibilità di applicare ai reati di competenza del giudice di pace la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., nella citata sentenza n. 53683 del 22/06/2017, le Sezioni Unite hanno affermato che, qualora un reato di competenza del giudice di pace sia attratto per connessione dinanzi ad un giudice diverso, quest'ultimo può dichiarare la causa di improcedibilità ex art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, salvo che, "per il reato attraente non risulti applicabile l'art. 131 bis cod. pen., nel qual caso la causa di non punibilità opererà per tutti i reati giudicati" (Sez. U, n. 53683 del 22/06/2017, Pmp, Rv. 271588). La forza attrattiva della connessione è stata dunque ritenuta idonea ad estendere l'operatività dell'art. 131 bis cod. pen. anche ai reati di competenza del giudice di pace e lo stesso principio può ritenersi applicabile per quanto riguarda l'art. 162 ter cod. pen.
Tali conclusioni sono conformi ai principi generali affermati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28908 del 27/09/2018, dep. 2019, Balais, Rv. 275869 secondo la quale: "L'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, cod. proc. pen., ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della "perpetuatici iurisdictionis", purché il reato gli sia stato correttamente attribuito "ab origine" e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo".
2.2. Applicando i principi illustrati al caso oggetto del presente giudizio si deve osservare: che la qualificazione del fatto di cui al capo b) ai sensi dell'art. 612, comma 1, cod. pen. è intervenuta all'esito del giudizio di primo grado e la qualificazione giuridica iniziale, fondata sulla ritenuta gravità delle minacce proferite, radicava la competenza del Tribunale. La diversa qualificazione giuridica rendeva applicabili gli artt. 34 e 35 D.Lgs. 274/2000, ma non escludeva la possibilità di estendere l'operatività degli artt. 131 bis e 162 ter cod. pen. al reato di competenza del giudice di pace ove questi istituti fossero stati ritenuti applicabili al reato di tentato furto aggravato che radicava - per attrazione - la competenza del Tribunale (e ha determinato poi la competenza della Corte di appello).
Si deve sottolineare allora che, nei motivi di appello, la difesa ha chiesto l'esclusione dell'aggravante di cui all'art. 625 n. 7 cod. pen. (che, all'epoca, rendeva procedibile d'ufficio il furto tentato) e l'applicazione degli artt. 131 bis e 162 ter cod. pen. per entrambi i reati oggetto di condanna, ma non ha chiesto l'applicazione degli artt. 34 e 35 D.Lgs. n. 274/2000 per il reato di minaccia. Ha formulato, dunque, una richiesta che si riferiva ai reati connessi e non comportava una valutazione autonoma del reato di cui all'art. 612, comma 1, cod. pen. né può dirsi che tale valutazione avrebbe dovuto essere compiuta d'ufficio dalla Corte di appello. Con i motivi di appello, infatti, l'imputato ha compiuto una scelta chiara nel senso di volersi avvalere degli istituti previsti dal Codice penale valorizzando in tal senso la connessione esistente tra i reati e ha implicitamente rinunciato a chiedere l'applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 274/2000. Ne consegue l'inammissibilità dei motivi con i quali la difesa si duole che la Corte di appello non abbia applicato gli artt. 34 e 35 D.Lgs. n. 274/2000.
3. È infondato, ma è ammissibile perché è stato proposto con l'atto di appello, il motivo col quale la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per non essere stata ritenuta applicabile la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen.
Per escludere l'applicazione di questa norma la Corte di appello ha sostenuto che il fatto, "complessivamente considerato, non può ritenersi di scarsa offensività per l'intensità del dolo e le concrete modalità dell'azione". Ha sottolineato, in tal senso, che i precedenti penali, anche specifici, "oltre ad evidenziare una certa abitualità nel comportamento criminale, si rivelano espressivi di una piuttosto accentuata capacità a delinquere".
Si deve dare atto al ricorrente che, così motivando, la Corte territoriale non ha tenuto conto dello sforzo risarcitorio compiuto dall'imputato e che, ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen. come modificato dal D.Lgs. n. 150/2022, nel valutare la particolare tenuità del fatto si deve tenere conto anche "della condotta susseguente al reato". Nondimeno, la motivazione fornita dalla Corte territoriale, non può ritenersi carente.
La descrizione dei fatti contenuta nella sentenza di primo grado rende evidente che la condotta illecita fu programmata (per allontanarsi velocemente Sp.An. finse di aver perso di vista il bambino insieme al quale era entrato nel negozio) e dà conto del fatto che, quando fu scoperto, Sp.An. reagì minacciando Bo.Ti. In questo contesto, non è illogico né contraddittorio aver ritenuto le concrete modalità dell'azione espressive di un dolo intenso, incompatibile con un giudizio di particolare tenuità del fatto.
Ed invero, per poter applicare la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen. è necessaria una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, non solo della condotta susseguente al reato e dell'entità del danno o del pericolo, ma anche delle modalità della condotta e del grado di colpevolezza da esse desumibile ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen. (per tutte, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In breve, come efficacemente chiarito dal supremo Collegio, (pag. 8 della motivazione della sentenza n. 13681/2016) si richiede "una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto". Ai fini della applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., infatti, "non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica. È la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore".
3.1. A tali considerazioni si deve aggiungere che la sentenza impugnata ha ritenuto rilevanti al fine di escludere la particolare tenuità del fatto i precedenti penali dell'imputato. Nel contrastare tale argomentazione la difesa riferisce: che, quando era minorenne, Sp.An. ha riportato due condanne a pena detentiva - una per estorsione tentata e una per estorsione consumata - e, da maggiorenne, ha riportato una condanna a pena pecuniaria per essersi posto alla guida di un veicolo con patente revocata. Secondo la difesa, le due condanne per reati contro il patrimonio non potrebbero considerarsi ostative all'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. perché, in fase esecutiva, Sp.An. è stato affidato in prova al servizio sociale ai sensi dell'art. 47 legge 26 luglio 1975 n. 354, tale affidamento ha avuto esito positivo, e ciò ha comportato l'estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale. La difesa ricorda che l'estinzione di ogni effetto penale determinata dall'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non si possa tenere conto agli effetti della recidiva (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano, Rv. 251688) e sostiene che lo stesso principio dovrebbe operare nell'interpretazione dell'art. 131 bis, comma 4, cod. pen.; sicché, nel valutare se siano stati commessi "più reati della stessa indole", non si dovrebbe tenere conto dei reati i cui effetti penali siano estinti per esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale.
Si obietta in proposito che l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale non determina l'estinzione del reato, ma solo l'estinzione della pena e di ogni altro effetto penale ed è coerente con questa constatazione che delle relative condanne non possa tenersi conto ai fini della recidiva, ma non che non se ne possa tenere conto ai fini della valutazione della abitualità ostativa all'applicazione dell'art. 131 bis cod. pen.
Come noto, "Ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame" (per tutte: Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591; Sez. 1, n. 9858 del 24/01/2024, S., Rv. 286154). La giurisprudenza è concorde nel ritenere che non possano essere considerati a tal fine reati estinti ai sensi dell'art. 460, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 14073 del 05/03/2024, Campana, Rv. 286175; Sez. 4, n. 11732 del 17/03/2021, Moiola, Rv. 280705); oppure ai sensi dell'art. 445, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 24089 del 05/05/2022, Cupo, Rv. 283222) o anche estinti per esito positivo della messa alla prova (Sez. 2, n. 46064 del 30/11/2021, Nidiaye, Rv. 282270). In tutti questi casi, però, vengono in considerazione cause estintive del reato, mentre l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta l'estinzione della pena.
L'art. 131 bis, comma 4, cod. pen. stabilisce che il comportamento dell'imputato debba ritenersi abituale se egli ha "commesso più reati della stessa indole" e, alla luce di tale formulazione letterale, è ragionevole escludere che possano avere rilevanza ostativa reati estinti per qualsiasi causa, ma non appare conforme né alla lettera né alla ratio della legge escludere che possano aver rilevanza ostativa reati accertati con sentenza definitiva in relazione ai quali il condannato abbia beneficiato di una causa di estinzione della pena.
Non depone in senso contrario - come la difesa sostiene - che l'estinzione della pena prevista dall'art. 47 legge n. 354/1975 precluda la contestazione della recidiva. Una tale contestazione, infatti, non è necessaria perché il comportamento dell'imputato possa ritenersi abituale ai sensi dell'art. 131 bis, comma 4, cod. pen. e la giurisprudenza ritiene che la commissione di reati della stessa indole, ostativa all'applicazione del beneficio, possa essere anche incidentalmente accertata da parte del giudice procedente (Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, Kostandin, Rv. 278347; Sez. 4, n. 14073 del 05/03/2024, Campana, Rv. 286175). Come è stato autorevolmente chiarito, inoltre, ostano al beneficio anche reati commessi successivamente a quello per cui si procede (che non rilevano per la contestazione della recidiva) e, "ai fini della valutazione del presupposto indicato, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione - nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui - ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131 bis cod. pen. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591).
4. Si devono esaminare a questo punto i motivi di ricorso con i quali la difesa si duole della mancata applicazione dell'art. 162 ter cod. pen.
La sentenza impugnata affronta il tema a pag. 7 della motivazione ove si legge che la richiesta avanzata dalla difesa non può trovare accoglimento: in ragione della "non congruità dell'importo versato in favore della persona offesa a titolo di risarcimento per i danni cagionati"; perché il risarcimento "è solo in parte avvenuto entro il termine perentorio di cui all'art. 162 ter cod. pen." (in specie limitatamente all'importo di Euro 100,00, versato in favore della Go. s.p.a, in data 8 giugno 2020), senza che Sp.An. abbia fornito la prova di non aver potuto adempiere prima per causa a lui non imputabile. La sentenza impugnata sostiene che l'unico versamento tempestivo - il cui importo è pari ad Euro 100,00 - non può considerarsi idoneo "a compensare l'offesa" in ragione del danno morale "complessivamente subito, non solo dall'esercizio commerciale Tigotà, ma anche dall'addetto alle vendite Bo.Ti., vittima della condotta minatoria dell'imputato".
La motivazione non tiene conto che tutti i versamenti eseguiti in favore delle persone offese sono precedenti al momento in cui, nel presente procedimento, la disposizione di cui all'art. 162 ter cod. pen. è divenuta concretamente applicabile. Va ricordato, infatti, che solo con la sentenza di primo grado il fatto di cui al capo b) è stato qualificato ai sensi dell'art. 612, comma 1, cod. pen. e solo in data 30 dicembre 2022 (nelle more tra il giudizio di primo grado e il giudizio di appello) è entrato in vigore il D.Lgs. n. 150/2022 che ha reso procedibile a querela il reato di cui agli artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen.
Chiamata a pronunciarsi in un caso in cui l'applicabilità della causa di estinzione del reato di cui all'art. 162 ter cod. pen. dipendeva dalla riqualificazione del fatto operata all'esito del giudizio di primo grado (ricondotto entro l'ambito operativo di una fattispecie procedibile a querela), questa Corte di legittimità ha ritenuto che la norma in esame possa essere applicata anche nel giudizio di appello a condizione che "nelle more del giudizio di impugnazione, l'offerta riparatoria o risarcitoria sia tempestivamente formulata, così da consentire al giudice di verificarne la congruità e salva la possibilità di concessione, su richiesta dell'imputato impossibilitato ad adempiervi per causa a lui non addebitabile, di un termine per provvedervi anche ratealmente. (Fattispecie di riqualificazione, da parte del giudice di primo grado, del reato di furto aggravato in quello di furto semplice, in cui la Corte ha precisato che tale riqualificazione non costituisce condizione "ex se" sufficiente a giustificare la concessione del termine dilatorio previsto dall'art. 162 ter, comma secondo, cod. pen.)" (Sez. 4, n. 640 del 29/11/2023, dep. 2024, Lucchesi, Rv. 285631).
Il medesimo principio può essere applicato nel caso oggetto del presente ricorso, atteso che uno dei reati per cui si procede è stato diversamente qualificato all'esito del giudizio di primo grado e ricondotto entro l'ambito operativo dell'art. 612, comma 1, cod. pen. (procedibile a querela di parte) e l'altro reato (artt. 56,624,625 n. 7 cod. pen.) è divenuto procedibile a querela il 30 dicembre 2022 (lo era, quindi, quando si è svolto il giudizio di appello). In questa situazione, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la congruità dell'insieme delle attività risarcitone poste in essere dall'imputato e non limitarsi a fare riferimento alla somma di Euro 100,00 versata in data 8 giugno 2020. Nel compiere tale valutazione, inoltre, avrebbe dovuto tenere conto che, nel giudizio di primo grado, il furto di cui al capo a) è stato diversamente qualificato come furto tentato, le minacce di cui al capo b) sono state ritenute non gravi e, per entrambi i reati, è stata ritenuta applicabile l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. sottolineando che l'imputato si è "adoperato spontaneamente ed efficacemente per attenuare le conseguenze dannose del reato" (pag. 7 della motivazione della sentenza del Tribunale). In sintesi: poiché i versamenti di somme sono avvenuti prima dell'inizio del processo di secondo grado, l'istanza di applicazione dell'art. 162 ter cod. pen. formulata nell'atto di appello avrebbe dovuto essere presa in esame tenendo conto del complesso dei versamenti eseguiti e la congruità della somma versata avrebbe dovuto essere valutata "sentite le parti e la persona offesa" come l'art. 162 ter cod. pen. espressamente prevede.
Ed invero, l'intervento del giudice ex art. 162 ter cod. pen. "è finalizzato a valutare, nel contraddittorio fra le parti, ove tra le stesse non vi sia accordo, a fronte di una condotta di concreta disponibilità dell'imputato alla riparazione, la congruità della somma versata od offerta nelle forme di cui all'art. 1208 cod. civ." (Sez. 3, n. 16674 del 02/03/2021, V., Rv. 281204).
5. Il quinto motivo, relativo alla applicabilità dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4 cod. pen. è assorbito, perché presuppone una valutazione dell'entità del danno patrimoniale patito dalla Go. Srl
6. Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia, limitatamente al tema dell'applicazione dell'art. 162 ter cod. pen. e alle valutazioni connesse. Nel resto, il ricorso non merita accoglimento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente l'applicazione dell'art. 162 ter cod. proc. pen., e rinvia per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 5 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2024.