RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza del 8 settembre 2022 il Tribunale di Brescia ha condannato Du.La. alla pena di un anno e 6 mesi di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, per il reato ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000, perché, quale titolare della ditta individuale "The Lab di Du.La.", al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di una fattura per operazioni inesistenti, indicò nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2015, elementi passivi fittizi, pari a euro 85.000 (in Offlaga il 26 febbraio 2016).
1.1. Il Tribunale ha, altresì, applicato le pene accessorie e disposto la confisca del profitto diretta e per equivalente; ha assolto, invece, l'imputata dal reato di cui al capo 2), ex art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
1.2. Con la sentenza del 2 maggio 2023, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha concesso a Du.La. il beneficio della non menzione della condanna ed ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata.
Con l'unico motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di manifesta illogicità della motivazione sul rigetto della richiesta di riqualificazione del fatto nel delitto ex art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente rigettato l'interpretazione proposta con l'appello secondo cui l'art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 troverebbe applicazione solo in presenza di fatture ideologicamente false: l'utilizzo di fatture materialmente false concretizzerebbe il delitto ex art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000. A tale diversa qualificazione giuridica avrebbe dovuto seguire l'assoluzione dell'imputata, poiché non sarebbe stata superata la soglia di punibilità prevista dall'art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000.
Il ricorrente non condivide la giurisprudenza citata dalla Corte di appello.
La motivazione sarebbe manifestamente illogica perché è pacifico che la fattura utilizzata in dichiarazione è stata autoprodotta dall'imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Il motivo concerne unicamente la qualificazione giuridica della condotta; il fatto non è contestato. È, dunque, accertato che la ricorrente ha indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno 2015 elementi passivi fittizi complessivamente per euro 85.000,00, avvalendosi dì una sola fattura per operazioni inesistenti. Tale fattura è autoprodotta, perché certamente non è stata emessa dalla ditta apparentemente indicata nel documento.
Secondo il ricorrente, l'uso di una fattura non ideologicamente ma materialmente falsa non concretizzerebbe il delitto ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) ma il reato ex art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), che, a differenza dell'art. 2, prevede le soglie di punibilità che non sarebbero state superate nel caso di specie. Tale tesi sarebbe confermata dalla modifica dell'art. 3 in cui è stato inserito il riferimento alle fatture, consentendo così di superare l'argomento letterale usato dalla giurisprudenza.
1.2. La tesi difensiva, come già rilevato dai giudici di merito, è manifestamente infondata perché contraria all'indirizzo della giurisprudenza secondo cui l'art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000 sanziona le condotte fraudolente "diverse" da quelle descritte nell'art. 2, come si evince con chiarezza dalla clausola di riserva che struttura la fattispecie.
Inoltre, il reato ex art. 2 D.Lgs. n. 74 del 2000 sussiste sia nel caso di fatture ideologicamente false che nel caso di falso materiale, come in quello in esame in cui la fattura oggetto di contestazione è stata autoprodotta.
1.2.1. Si è affermato che il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso in cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi; così, Sez. 3, n. 48498 del 24/11/2011, Iossa, Rv. 251626 - 01: in motivazione la Corte ha precisato che la ratio del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l'imponibile, non presupponendo il concorso del terzo.
L'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 "si limita ad affermare che devono essere utilizzati documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti, per cui potendosi attestare la inesistenza con la creazione ex novo di un documento falso (...) o, del pari, utilizzando un documento ideologicamente falso, emesso da altri a favore dell'utilizzatore, in entrambi i casi va riconosciuta la concretizzazione della violazione de qua" (Sez. 3 n. 48498 del 24/11/2011, Iossa, Rv. 251626 - 01).
1.2.2. Tale principio è stato ribadito da Sez. F, n. 47603 del 31/08/2017, Morini, Rv. 271033 - 01, secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è configurabile anche nel caso di cui la falsa documentazione venga creata dal medesimo utilizzatore che la faccia apparire come proveniente da terzi, poiché la ratio del reato di frode fiscale risiede nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti al fine di abbattere l'imponibile, e non presuppone il concorso del terzo.
Tale sentenza è successiva alle modifiche apportate del 2015 all'art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000 a cui fa riferimento il ricorrente.
1.2.3. La tesi difensiva, fondata sull'argomento letterale, è stata già rigettata da Sez. 3, n. 10916 del 12/11/2019, dep. 2020, Bracco, Rv. 279859 - 03, secondo cui, in tema di reati tributari, il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell'art. 3, comma 3, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come riformato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, non ha modificato il rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all'art. 2 e quello di cui all'art. 3 del medesimo decreto legislativo, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l'utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo richiede una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie, nonché l'impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento ed il raggiungimento della soglia di punibilità; ne consegue che il discrimine tra le due fattispecie è costituito dalle diverse modalità di documentazione dell'operazione economica, poiché alla particolare idoneità probatoria delle fatture corrisponde una maggiore capacità decettiva delle falsità commesse utilizzando tali documenti.
Nello stesso senso Sez. 3, n. 6360 del 25/10/2018, dep. 2019, Capobianco, Rv. 275698 - 01, secondo cui, in tema di frodi fiscali, è configurabile il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 del 2000, ogni qualvolta il contribuente, per effettuare una dichiarazione fraudolenta, si avvalga di fatture o altri documenti che attestino operazioni realmente non effettuate, non rilevando la circostanza che la falsità sia ideologica o materiale.
In motivazione, la Corte ha escluso che il riferimento a talune ipotesi di fatturazione, contenuto nell'art. 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo dopo la riforma di tale disposizione operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, abbia inciso sul rapporto di specialità reciproca esistente tra il reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000 e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, in quanto, accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l'utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l'impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità.
2. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. si condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 febbraio 2024.
Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2024.