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Reati tributari: responsabilità penale per uso di fatture false se dimostrata l’inesistenza delle operazioni e la natura di 'cartiera' delle società

Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti:

Cassazione penale sez. III, 09/07/2024, n.33280

In materia di reati tributari, la responsabilità penale per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti sussiste quando è dimostrata l’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate e la natura di "cartiera" delle società emittenti. L’assenza di documentazione bancaria comprovante i pagamenti o la mancata dimostrazione dell’effettivo pagamento delle fatture indicate in contabilità rafforza l’evidenza della frode. Inoltre, l’affidamento su un professionista per la gestione delle pratiche contabili e fiscali non esime l’imprenditore dalla responsabilità penale, poiché gli obblighi di veridicità e correttezza delle dichiarazioni fiscali sono considerati personali e non delegabili, con la sola eccezione della predisposizione tecnica e dell’inoltro telematico dell’atto.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale l'imputato era stato condannato, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulla recidiva qualificata in forma solo specifica infraquinquennale, ritenuta la continuazione e operata la riduzione per il rito abbreviato, alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, in relazione al reato di cui all'art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo A) e in relazione al reato di cui all'art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capi B e C) in relazione all'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l'anno 2015 e 2016. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputato e ne ha chiesto l'annullamento deducendo due motivi di ricorso. - Vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale in relazione al capo A) per avere la corte territoriale omessa una disamina degli elementi allegati (crisi di liquidità, assenza di nuove linee di credito e abbandono del proprio commercialista) che se correttamente valutati avrebbe dovuto condurre all'esclusione del dolo di evasione. Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta fittizietà oggettiva delle operazioni indicate in fatture, assunto che si scontra con tutti i pagamenti dilazionati effettuati nel tempo e l'avvenuta consegna finale dei beni e servizi ai clienti finali. - Vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione all'affermazione della responsabilità penale in relazione ai capi B) e C) per essere incorsa, la corte territoriale, in un macroscopico errore ricostruttivo della vicenda e così valutativo del compendio istruttorio che si è riversato nella incongrua e illogica motivazione della sentenza. L'imputato avrebbe sempre fatto presente di aver inviato per il tramite della sua dipendente tutta la documentazione utile e necessaria procedere con le dichiarazioni e di aver scoperto nel tempo che il dott. Ventola, commercialista dell'imputato, non aveva effettuato alcuna comunicazione ne aveva depositato i bilanci. Inoltre, l'imputato avrebbe sempre cercato di regolarizzare l'inadempienza del commercialista anche successivamente alla dichiarazione di fallimento della società intervenuta nel 2017, sicché illogica sarebbe la motivazione dei giudici del merito in quanto sulla scorta delle lineari dichiarazioni del signor Na.Fa. e del parziale riscontro documentato avrebbe dovuto essere assolto rilevando l'assenza di dolo perché si sarebbe fidato dell'operato del suo commercialista. Non vi sarebbe stata nella sua condotta la volontà di evasione fiscale avendo dato priorità al pagamento dei dipendenti e fornitori. - Violazione di legge in relazione alla ritenuta recidiva specifica e infraquinquennale in assenza di motivazione. - Vizio di motivazione in relazione all'eccessività della pena. Omessa risposta alla doglianza difensiva. 3. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Il ricorso per cassazione è inammissibile. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato ed anche in parte generico là dove non si confronta specificatamente con le ragioni della decisione. Non assume rilievo, nella fattispecie di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture inesistenti, la crisi economica che ha colpito la società del ricorrente, né la sua condotta volta a farvi fronte, neppure l'abbandono del professionista. Il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti si connota come reato di pericolo e di mera condotta, che si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari e prescinde dal verificarsi dell'evento di danno, né rileva l'effettività della evasione che invece connota il dolo del reato (Sez. 3, n. 16459 del 16/12/2016, Santoni, Rv. 269652 - 01). Va evidenziato che nella c.d. frode fiscale il nucleo centrale della fattispecie è costituito dalla dissimulazione di componenti positivi o dalla simulazione di componenti negativi del reddito, attuate in forme artificiose, ovvero mediante uso di fatture per operazioni inesistenti ed il reato si perfeziona nel momento nel quale la dichiarazione dei redditi è presentata agli uffici finanziari, traducendosi in un atto che esce dalla sfera soggettiva del contribuente, per porsi quale elemento strutturale della fattispecie, la cui realizzazione segna la consumazione del reato. Ne consegue che la condotta è compiutamente attuata ed esaurita con la presentazione della fraudolenta dichiarazione dei redditi, senza che i successivi sviluppi del rapporto tributario abbiano incidenza sul reato ormai perfezionato. Essendo, dunque, il reato di frode fiscale un reato di mera condotta e di pericolo, la cui consumazione prescinde dal verificarsi dell'evento di danno, che specifica, come elemento finalistico, il dolo (Sez. 2, n. 5656 del 11/01/2007, Perrozzi, Rv. 236126), non rileva l'effettività dell'evasione, né, tanto meno, l'esito dell'accertamento amministrativo, né questo è escluso dalla crisi di liquidità e dal comportamento del commercialista in presenza di una dichiarazione presentata dal contribuente. 5. Nel resto il motivo con il quale si contesta la motivazione in punto ritenuta fittizietà delle fatture, al netto della richiesta di rivalutazione delle prove, è manifestamente infondato. La sentenza impugnata, infatti, in continuità con quella di primo grado, ha evidenziato come la oggettiva inesistenza delle fatture annotate nella contabilità e indicate nelle dichiarazioni era dimostrata dalla natura di cartiera delle società emittenti MM Trading e For.Mac Srl, e sulla assenza di dimostrazione dei pagamenti come allegato dal ricorrente in quanto risultavano unicamente annotati dei pagamenti mediante assegno bancario, senza riscontro nella documentazione bancaria, e che comunque non riguardava la totalità delle fatture non avendo trovato traccia, il curatore del fallimento, dei pagamenti delle fatture annotate e indicate nella dichiarazione fiscale (cfr. pag. 10). Evidenziano in particolare i giudici dell'appello, come il ricorrente non avesse specificatamente contestato le argomentazione del giudice di primo grado sulla ritenuta dimostrata impossibilità materiale di fornire le prestazioni oggetto di censura delle fatture, mentre per quanto riguarda gli asseriti pagamenti, di questi vi era traccia nel libro giornale, ma comunque non era stato riscontrato il pagamento nella documentazione bancaria e comunque le annotazioni di pagamento non riguardavano la totalità delle fatture (cfr. pag. 10). Né escludeva la responsabilità penale del ricorrente l'avere fatto affidamento sul professionista che poi non aveva adempiuto all'incarico, in quanto la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l'inoltro telematico dell'atto (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 - 01). A fronte di una congrua e non manifestamente illogica motivazione ancorata ai dati probatori, il ricorrente finisce per riproporre le stesse censure difensive già disattese e pertanto il ricorso è inammissibile in quanto privo di specificità. 6. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile. A fronte della pacifica materialità dell'omissione, l'imputato ha allegato, ai fini di escludere il dolo specifico, l'aver delegato un professionista. La corte territoriale ha rilevato che la circostanza non era dimostrata ed ha richiamato il principio di diritto, secondo cui l'affidamento ad un professionista dell'incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esonera il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione, in quanto la norma tributaria considera come personale ed indelegabile il relativo dovere, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l'inoltro telematico dell'atto (Sez. 3, n. 9417 del 14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 -01). Infine, quando al dolo di evasione, rilevava la corte territoriale, come l'omessa presentazione per due anni consecutivi (2015-2016), seguiva l'omissione di versamento delle imposte per gli anni precedenti (2011 e 2012) per i quali aveva riportato due condanne, sicché l'omissione dichiarativa era proprio funzionale all'evasione di imposta perché la presentazione della dichiarazione avrebbe attivato i controlli dell'Agenzia delle entrate in tempi brevi. 7. Gli effetti della recidiva, specifica e infraquiquennale, sono stati argomentati in modo puntuale e congruo a pag. 11, là dove il giudice dell'impugnazione ha ritenuto che i due recenti precedenti penali per omesso versamento iva esprimevano, rispetto a quelli giudicati, un maggior grado di colpevolezza. Si tratta di una motivazione congrua secondo gli insegnamenti di cui alle Sezioni Unite (S.U. n. 35738 del 27/05/2010 P.G. in Calibè, Rv. 247838). 8. Il motivo sul trattamento sanzionatorio è generico là dove si limita a dolersi dell'eccessività della pena, non confrontandosi con la sentenza impugnata che ha rilevato che la pena base del reato di cui al capo A) era fissata nel minimo edittale all'epoca vigente con minimi aumenti di pena (tre mesi e quattro mesi). 9. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso il 9 luglio 2024. Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2024.
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