FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 27 marzo 2023 la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del 13 luglio 2022 del Tribunale di Latina in composizione monocratica con la quale il ricorrente era stato condannato alla pena di giustizia oltre statuizioni civili per i reati di cui agli artt. 56,610 cod. pen. (diversamente qualificata l'originaria imputazione di cui all'art. 572 cod. pen.), 582, 585 cod. pen., nonché 635 cod. pen., concesse le circostanze attenuanti generiche e ravvisato il vincolo della continuazione, per avere costretto la ex compagna a rilasciare con violenza l'immobile nel quale avevano convissuto, danneggiando l'appartamento e procurando alla donna lesioni.
2. Avverso la decisione della Corte di appello l'imputato ha proposto ricorso, attraverso il difensore di fiducia e deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma primo, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge quanto alla corretta qualificazione giuridica della condotta di cui all'art.610 cod. pen.
Il fatto doveva essere ricondotto alla diversa ipotesi di cui all'art. 392 cod. pen. in ragione dei diritti dal ricorrente vantati sull'immobile; trattasi di fattispecie incriminatrici che presentano identità di condotta, ma che differiscono nell'elemento soggettivo.
2.2. Con il secondo motivo è stato dedotto vizio di motivazione quanto all'elemento soggettivo della condotta contestata.
La sentenza impugnata ha trascurato la produzione documentale del 13 luglio 2022 con la quale il ricorrente ha provato la titolarità dei beni che voleva sottrarre alla persona offesa, a dimostrazione dell'assenza dell'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.
2.3. Con il terzo e quarto motivo è stato dedotto vizio di motivazione tradottosi in travisamento della prova e in il logicità motivazionale quanto al reato di lesioni.
La Corte territoriale ha valutato in maniera frazionata la testimonianza di Bl., trascurandola e travisandola in senso omissivo nella parte in cui il teste ha riferito di ferite che la persona offesa si era auto inferta ("(...) si graffiava (...)"). Ha quindi fondato, illogicamente, la penale responsabilità sulla dichiarazione della persona offesa e sul certificato medico, ritenendo siffatti elementi di prova confortati dal contributo dichiarativo della teste Ma.Ca., vicina di casa, senza giustificare le contraddizioni rispetto a quanto emerso dalla testimonianza di Bl
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
1. Il primo e il secondo motivo risultano manifestamente infondati, non confrontandosi con il contenuto della sentenza impugnata e con la giurisprudenza di questa Corte.
I motivi sono, peraltro, riproduttivi delle medesime censure contenute nell'atto di appello, alle quali la sentenza impugnata ha fornito esaustiva risposta.
1.1. La Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici, dopo avere evidenziato che le due fattispecie incriminatrici (artt. 610 e 392 cod. pen.) possono coincidere nell'elemento materiale, ma si differenziano nell'elemento soggettivo, ha chiarito che nel caso di specii2 (p.4) "(...) le condotte dell'imputato, realizzanti una vera e propria spoliazione della persona offesa e la impossibilità di quest'ultima di fru1ire dei servizi essenziali che una abitazione deve offrire a chi la abita, avevano il precipuo scopo di indurre la donna ad abbandonare l'appartamento, nella quale i due avevano convissuto, contro la di lei volontà, scopo solo marginalmente concorrente con quello di recuperare ciò che gli appartenesse per averne asseritamente finanziato l'acquisto(...)".
La sentenza impugnata ha, dunque, ricavato l'elemento soggettivo richiesto dalla norma applicata proprio dalle modalità concrete della condotta posta in essere: la evidente sproporzione delle azioni violente rispetto alla finalità di ottenere la restituzione dell'immobile, sproporzione che disvela il dolo della fattispecie di violenza privata.
1.2. In tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ai fini della configurabilità del reato, occorre che l'autore agisca nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale, anche se detto diritto non sia realmente esistente; tale pretesa, inoltre, deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, e non mirare ad ottenere un qualsiasi "quid pluris", atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato (Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Rv. 268362).
2. Quanto alle censure contenute nel terzo e quarto motivo le stesse possono ritenersi infondate.
La sentenza impugnata ha ricostruito, richiamando le risultanze probatorie contenute nella sentenza di primo grado (ipotesi di doppia conforme), le condotte realizzate dal ricorrente attraverso i contributi dichiarativi forniti nel corso della istruttoria dibattimentale e, per il reato di lesioni, ha evidenziato la testimonianza della persona offesa, della vicina di casa Ma.Ca. e il dato documentale rappresentato dal certificato medico.
La sentenza ha poi valorizzato le plurime risultanze probatorie di natura dichiarativa acquisite che, unitamente alla prova documentale, confermano le lesioni provocate con motivazione immune da vizi logici.
A ciò si aggiunga che secondo questa Corte nel caso di cosiddetta "doppia conforme", il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777).
3. Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La relazione di convivenza intercorsa tra le parti e il titolo di reato oggetto della pronuncia (lesioni) comportano l'oscuramento dei dati ai sensi dell'art.52 d.lgs.196/03, come imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 17 novembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.