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Ricorso per cassazione: inammissibili doglianze che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle prove

Ricorso per cassazione

Cassazione penale sez. IV, 11/10/2023, (ud. 11/10/2023, dep. 18/10/2023), n.42459

Non sono pertanto deducibili, in sede di ricorso per cassazione, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. E sono inammissibili doglianze - come quelle sollevate dal ricorrente - che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con sentenza del 24 gennaio 2023, la Corte di appello di Bologna ha accolto l'appello del Pubblico ministero contro la sentenza pronunciata dal Tribunale di Rimini il 30 settembre 2020, all'esito di giudizio abbreviato, con la quale K.J. era stato assolto, perché il fatto non sussiste, dall'accusa di aver detenuto a fini di cessione a terzi gr. 2,45 di cocaina. La Corte di appello ha ritenuto provata la responsabilità dell'imputato e, applicate le attenuanti generiche con criterio di equivalenza rispetto alla contestata recidiva, operata la diminuzione conseguente alla scelta del rito, lo ha condannato alla pena di mesi cinque di reclusione ed Euro 1.000 di multa. 2. il difensore di K.J. ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di appello deducendo: - vizi di motivazione quanto all'affermazione della responsabilità dell'imputato; - violazione di legge penale "in relazione all'applicazione dell'aggravante della recidiva". Nell'illustrare il motivo, la difesa sostiene che la Corte territoriale non ha tenuto conto dello stato di tossicodipendenza - comprovato da una certificazione del 6 aprile 2019 - e che difetta, nel caso di specie, "una concreta ed incisiva motivazione circa la decisione di riformare in pejus" la sentenza di primo grado. Il Tribunale aveva infatti ritenuto che, alla luce della documentata tossicodipendenza dell'imputato, non fosse possibile affermare con certezza che la sostanza fosse detenuta a fini di cessione a terzi e non per uso personale. L'illustrazione dei motivi di ricorso non contiene riferimento alcuno all'aggravante della recidiva e alle ragioni per le quali, nel ritenerla, la Corte territoriale sarebbe incorsa in violazione di legge. 3. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. 4. Il ricorso è inammissibile perché aspecifico. Il ricorrente sostiene, infatti, che la Corte di appello si sarebbe limitata a "richiamare in maniera del tutto generica i reati precedentemente commessi dal prevenuto e il suo stato di soggetto privo di dimora e di redditi", ma, così argomentando, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata. Secondo la Corte territoriale, la mancanza di stabili fonti di reddito e di una fissa dimora (desunta dalle dichiarazioni che l'imputato ha reso in giudizio) induce ad escludere che K. possa avere acquistato per uso personale una scorta 2,5 grammi di eroina, "il cui costo sul mercato illecito può a arrivare ad oltre un centinaio di Euro", tanto più che, al momento dell'arresto, egli aveva in tasca anche 65 Euro in contanti. La sentenza impugnata sottolinea che l'assenza di materiale per il confezionamento (circostanza alla quale la sentenza di primo grado ha fatto riferimento per sostenere l'uso personale) è agevolmente spiegabile con la constatazione che l'eroina era già suddivisa in cinque dosi da 0,5 grammi l'una. Osserva che, quando si avvide della presenza degli operanti, K. cercò di disfarsi dello stupefacente. Rileva che K. è gravato da "molti precedenti penali specifici" e, una settimana dopo essere stato arrestato per i fatti oggetto del presente giudizio, è stato fermato e trovato in possesso di 26 grammi di eroina. La Corte di appello, dunque, ha compiuto una valutazione complessiva del quadro indiziario e lo ha considerato convergente nel senso della destinazione della sostanza ad uso di terzi. A fronte di tale motivazione, la difesa si limita ad osservare che non v'e' prova certa del valore sul mercato dell'eroina detenuta e a sottolineare che lo stato di tossicodipendenza di K. è stato documentato producendo un certificato cui la Corte di appello ha attribuito data incerta ed è invece datato 6 aprile 2019. L'indicazione della data della certificazione, tuttavia, non rende manifestamente illogica l'argomentazione utilizzata dalla sentenza impugnata. La Corte territoriale ha valorizzato, infatti, la non evidente compatibilità temporale tra la data del fatto (29 agosto 2020) e l'attestazione dello stato di tossicodipendenza e tale valutazione non è inficiata da una certificazione che risale a data anteriore di più di un anno rispetto ai fatti oggetto del procedimento. 5. Per quanto esposto, i motivi non superano il vaglio di ammissibilità. Ed invero, il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, introdotto nell'art. 533 c.p.p. dalla L. n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello. La Corte di legittimità, infatti, è chiamata ad un controllo sull'esistenza di una motivazione effettiva, che deve compiere attraverso una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, ma la sua valutazione non può mai sconfinare nel merito (fra le tante, Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600). Non sono pertanto deducibili, in sede di ricorso per cassazione, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo. E sono inammissibili doglianze - come quelle sollevate dal ricorrente - che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (in tal senso, di recente, Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep.2021, F., Rv. 280601). Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha considerato indici significativi della destinazione della sostanza all'uso di terzi: la suddivisione della stessa in involucri; la circostanza che K. cercò di disfarsene quando vide gli operanti; la constatazione che la sostanza era detenuta insieme a 65 Euro in contanti e K., dichiaratosi disoccupato, non risulta avere lecite fonti di reddito; le precedenti condanne per reati della stessa specie. Tale motivazione tiene conto delle ragioni per le quali il giudice di primo grado aveva ritenuto non provata la destinazione della sostanza ad uso di terzi e le confuta con argomentazioni complete, non illogiche e non contraddittorie. 6. Per quanto riguarda la dedotta violazione di legge penale "in relazione all'applicazione dell'aggravante della recidiva". Basta osservare che nel ricorso non vi è alcun riferimento a questo motivo e alle ragioni per le quali, nel ritenere l'aggravante della recidiva, la Corte territoriale sarebbe incorsa in violazione di legge. Il motivo è stato dunque dedotto in termini apodittici, senza prospettare le ragioni di diritto e gli elementi di fatto da sottoporre a verifica e, in quanto aspecifico, non è ammissibile. 7. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere di versare la somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. PQM P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2023. Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2023
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