FATTI DI CAUSA
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Trieste ha confermato la condanna, inflitta in primo grado, nei confronti di Ta.Ed. per i reati di furto di cui agli artt. 110,624,625, primo comma, n. 2, cod. pen. (capi 1 e 2 della rubrica: furto aggravato da violenza su cose e mezzo fraudolento), del reato di cui all'art. 110,624,625, primo comma, n.2, cod. pen. (aggravato dalla sola violenza sulle cose: capo 4), e del reato di cui all'art. 648, cod. pen. (capo 3).
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'indagato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge processuale, con riferimento all'art. 178, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per non avere la Corte d'appello considerato l'eccezione di nullità, sollevata dalla difesa dell'imputato in appello, avente a oggetto la violazione del diritto dell'imputato a partecipare al processo. Quest'ultimo, detenuto per altra causa, pur non avendo mai ricevuto "i reiterati inviti" spediti presso la sua residenza, veniva dichiarato assente.
2.2 Col secondo motivo, si deduce erronea applicazione della legge penale in relazione all'elemento oggettivo dei reati di cui ai capi 1), 2) e 4) della rubrica (vale a dire i furti). Si contesta il giudizio di attendibilità delle dichiarazioni delle due commesse, non avendo la Corte territoriale tenuto presente le contraddizioni delle stesse rispetto a quanto emerge dagli atti di causa; altresì posto in dubbio è il fondamento del ritenuto concorso dell'imputato nel reato di cui al capo 2), avendolo la Corte territoriale desunto dalla mera presenza fisica dell'imputato nell'auto situata al di fuori del negozio in cui è avvenuto il furto.
2.3 Col terzo motivo, si lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di cui al capo 3, atteso che i profumi rinvenuti nell'abitazione del Ta.Ed. non erano i medesimi di quelli rubati e denunciati dalle persone offese.
2.4 Col quarto motivo, si eccepisce l'errore nella determinazione del trattamento sanzionatorio. L'aggravante del mezzo fraudolento, di cui ai capi 1, 2 e 4 dell'imputazione, è stata erroneamente ritenuta sussistente. Poiché non sussiste la contestata aggravante, mancherebbe la condizione di procedibilità del reato, data l'assenza di valida querela.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Raffaele Gargiulo, il quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. La difesa dell'imputato ha depositato memoria in replica alla requisitoria scritta del P.g.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo è inammissibile. Risulta dagli atti processuali (cui questo Collegio può accedere, dal momento che il ricorrente deduce un "error in procedendo": cfr. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 -01), che l'imputato era detenuto a partire dal 2 febbraio 2019, quindi in data successiva all'udienza del 12 novembre 2018 (in cui risulta, infatti, "libero assente") presso il Tribunale di Pordenone. Né più specificamente è formulata l'eccezione, non producendo la difesa atti da cui desumere indicazioni contrarie a quel che risulta dagli atti processuali.
2. Il secondo motivo è, del pari inammissibile. In disparte il fatto che il ricorrente censura non già, come indicato in epigrafe del motivo, una violazione di legge sostanziale, bensì, de facto, un vizio di travisamento di prova (insistendo sulle asserite contraddizioni delle dichiarazioni testimoniali, che il Giudice dell'appello non avrebbe adeguatamente individuato), si osserva che alcun vizio logico inficia la valutazione con cui la Corte territoriale ha soppesato le dichiarazioni testimoniali delle commesse del negozio di articoli di profumeria in cui i furti, indicati nei capi 1, 2 e 4, sono stati commessi.
Diversamente da quanto affermato dalla difesa, la teste Pr. - la quale, come nitidamente rilevato dalla Corte, nel mese di novembre 2016 vedeva per la prima volta i due imputati - non si è contraddetta, dichiarando in altro momento (come vorrebbe la difesa) di avere già visto gli stessi. Infatti, come chiaramente illustrato dalla Corte, ad aver notato in altra occasione gli imputati era stata un'altra teste, la responsabile del negozio (Omissis), la quale aveva pertanto allertato la Pr., una volta notata la presenza dei due imputati in profumeria. A quel punto, in occasione del secondo furto nel medesimo esercizio commerciale (aprile 2017, di cui al capo 4), la teste Pr. (vedendo - a quel punto, sì - per la seconda volta l'imputato e il suo complice entrare nel negozio) era stata più pronta nel riconoscere i due. In più, ricorda la Corte d'appello, il fatto, così come narrato dalla teste Pr., era stato ripreso dalla telecamera di sicurezza.
Sicché non si vedono ragioni a supporto della tesi difensiva, secondo cui la Corte d'appello avrebbe pronunciato il giudizio di responsabilità dell'imputato "senza alcun fondato elemento di prova". Anche i furti di cui al capo 2 e capo 4 sono stati provati sulla base di dichiarazioni (dei testi Ru. e Ca.), di cui la Corte d'appello ha valutato la totale congruenza rispetto alle circostanze (segnatamente, lo schema tipico e reiterato dell'azione furtiva dell'imputato e del suo complice) emerse dall'istruttoria.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, perché generico e per mancato confronto con la motivazione dell'impugnata sentenza, in cui si è chiarito, per un verso, come la provenienza furtiva di almeno due dei quattro profumi sia stata accertata successivamente al ritrovamento degli stessi e, dall'altro, si è ragionevolmente affermata l'origine furtiva anche degli altri due flaconi in sequestro, vista la reiterata azione furtiva nei giorni immediatamente precedenti alla data di ritrovamento dei profumi in questione.
Rispetto a tale ricostruzione, il motivo si appalesa, come anticipato, aspecifico, limitandosi la difesa ad affermare soltanto che "i profumi rinvenuti non erano quelli denunciati dalle pp. oo." e non offrendo più specifiche e circostanziate controdeduzioni all'affermazione di correità, se non quella, invero generica, dell'esser entrato il ricorrente da solo nel negozio: ciò che, in base all'incontrastata ricostruzione di fatti offerta dal Giudice dell'appello, si è dimostrato essere falso, dal momento che, in occasione dei furti di cui ai capi 1, 3 e 4 della rubrica, l'imputato era entrato nel negozio con il suo complice, mentre, in occasione del furto di cui al capo 2, egli lo aspettava al di fuori del negozio, in auto.
4. Con riguardo alle eccezioni poste nel quarto motivo, le doglianze sono aspecifiche perché del tutto genericamente contesta la ricostruzione del ruolo dell'imputato nella realizzazione dei furti. Si osserva che, in disparte l'acquisizione agli atti processuali delle querele per i reati di cui ai capi 1 e 4, alla luce della ritenuta inammissibilità del ricorso, devono applicarsi al caso di specie i criteri dettati da Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino (Rv. 273551 -01; sul punto, cfr. di recente, Sez. 4, n. 06143 del 10/01/2022, Romeo, n.m.), in base ai quali il formarsi del giudicato sostanziale conseguente all'inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare l'eventuale insussistenza della condizione di procedibilità.
5. Il Collegio dichiara, pertanto, inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186)
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29/09/2023
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2024.