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Violenza sessuale: aggravante minore gravità non esclusa per presenza aggravanti

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 24/05/2019, n.6502

In tema di reati sessuali, l'attenuante di cui all'art. 609-bis, ultimo comma, c.p. non può essere di per sé esclusa per la sussistenza di una o più circostanze aggravanti, occorrendo in tal caso valutare se queste ultime, in relazione al bene giuridico tutelato, incidano sui parametri che rilevano ai fini dell'accertamento della minore gravità del fatto, costituiti dal grado di compressione della libertà sessuale subito dalla vittima e dalla consistenza del danno arrecatole.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 21.6.2017 la Corte di Appello di Cagliari ha integralmente confermato la pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio dal tribunale della stessa città che ha condannato C.E. alla pena di sei anni di reclusione per due distinti episodi di violenza sessuale, in continuazione fra loro, entrambi commessi mediante abuso di autorità nell'esercizio delle sue funzioni di fisioterapista all'interno della clinica in cui operava ai danni di due pazienti, con le aggravanti di cui all'art. 609 septies c.p., comma 4, n. 3) e art. 61 c.p., n. 11) dichiarate equivalenti alle attenuanti generiche. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando cinque motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 609 bis c.p., u.c. e al vizio motivazionale, che il diniego dell'attenuante invocata si fondi sulla sussistenza delle contestate aggravanti (abuso di prestazione d'opera e violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio svolto stante la qualifica di operatore sanitario dell'agente) che nulla hanno a che fare con gli elementi rilevanti ai fini della configurabilità dell'ipotesi attenuata, costituiti dall'entità della compressione della libertà sessuale della vittima e del danno arrecatole, e che divengono in tal modo oggetto di una duplicazione di giudizio. Invoca la costante interpretazione giurisprudenziale che impone una valutazione complessiva della vicenda in relazione ai soli parametri fissati dall'art. 133 c.p., comma 1, ovverosia ai mezzi e alle modalità esecutive dell'azione, nonchè al grado di compressione esercitato sulla p.o. e sulle condizioni e caratteristiche psicologiche di quest'ultima, evidenziando come illogica si riveli in ogni caso l'evidenziazione di un danno tanto per la N., che non risulta essere stato mai accertato ricorrendo invece indicatori in senso contrario quali l'aver continuato la terapia fisioterapica presso l'imputato successivamente all'episodio in contestazione e nell'averlo consigliato anche ad altre persone, quanto per la P., in relazione alla quale le ripercussioni psicologiche risultano frutto di un'arbitraria valutazione tenuto conto che costei risultava essersi sottoposta a terapia di sostegno psicologico con assunzione di antidepressivi antecedentemente ai fatti di causa, ovverosia sin dal 2007. Si duole infine che, nell'ambito della valutazione complessiva del fatto richiesta dall'interpretazione giurisprudenziale, non si sia tenuto in nessun conto gli elementi di segno positivo indicati dalla difesa, ovverossia la mancanza di opposizione da parte delle pazienti alle pratiche del fisioterapista, l'assenza di costrizione e l'essere state lasciate libere di allontanarsi tranquillamente dallo studio medico. 2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio motivazionale, la valutazione di attendibilità di entrambe le p.o.. Quanto alla P. evidenzia la contraddittorietà tra l'asserita piena consapevolezza da parte di costei dell'intrusione subita nel mentre si sottoponeva alle prestazioni del fisioterapista ed il dubbio da cui sarebbe stata colta una volta terminata la seduta nel rivolgersi all'amica Pi. per chiederle conferma sulla liceità del trattamento subito che di per sè esclude che la stessa potesse aver avuto percezione della coartazione della propria libertà sessuale, come del resto confermato dalla precisa scelta, particolarmente significativa essendo costei un medico, di non sottoporsi dopo l'episodio a visita ginecologica o ad analisi di laboratorio pur temendo la trasmissione di virus a seguito della penetrazione anale e vaginale effettuata dall'imputato a mani nude senza l'utilizzo di guanti, scelta che illogicamente la Corte di Appello considera neutra, e dall'affermazione resa da costei alla tutor Dott.ssa F. di non aver percepito alcuna intrusione violenta nella propria sfera sessuale. Quanto alla N., lamenta la mancata valutazione della sfasatura cronologica degli eventi emergente dal raffronto tra la deposizione della p.o. e quella della teste M. con cui costei risultava essersi confidata, la ritenuta condizione di eccitazione dell'imputato frutto invece di una mera impressione della vittima, la affermata natura sessuale dei massaggi praticati dall'imputato smentita dalla documentazione prodotta dalla difesa evidenziante come la terapia per la cefalea prevedesse la digitazione della zona sternale ed inguinale, nonchè l'illogicità della giustificazione resa alla determinazione assunta dalla paziente di continuare la terapia in contrasto, secondo le stesse massime di esperienza, con gli asseriti abusi. 2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 61 c.p., n. 11 e al vizio motivazionale, che ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame è necessaria una condizione di debolezza o sopraffazione della vittima perchè possa ritenersi integrato l'approfittamento da parte dell'agente di una situazione di forza, di certo non integrata dall'essersi le due pazienti sottoposte alle pratiche fisioterapiche dell'imputato. 2.4. Con il quarto motivo censura, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 69 e 133 c.p. e al vizio motivazionale, il distorto uso del potere discrezionale in ordine al giudizio di bilanciamento tra le attenuanti generiche e le contestate aggravanti, la cui equivalenza, apoditticamente affermata dal giudice di primo grado, viene illegittimamente giustificata dalla Corte di Appello sovrapponendo ad essa la valutazione già effettuata con il riconoscimento delle stesse attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., sul rilievo che non vi sarebbero ulteriori ragioni per mitigare la pena, violando in tal modo la ratio sottesa al giudizio di comparazione volta alla determinazione della concreta entità del reato e dell'adeguamento della pena al fatto. Lamenta altresì l'omessa motivazione in ordine all'aumento applicato ai fini della continuazione, nonchè sulla complessiva quantificazione del trattamento sanzionatorio. 2.5. Con il quinto motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge processuale riferito agli artt. 603,121 e 233 c.p.p. e al vizio motivazionale, il diniego della richiesta di rinnovazione istruttoria concernente l'acquisizione delle investigazioni difensive della Dott.ssa C.I. e dell'infermiera M.M., della cartella clinica di un paziente e della consulenza di parte del prof. G., volte a conferire completezza al quadro istruttorio e che soltanto all'esito della relativa acquisizione avrebbero consentito una valutazione della loro rilevanza. Deduce altresì che la mancata acquisizione delle pubblicazioni scientifiche sul trattamento posturale Mezieres, allegate ai motivi aggiunti, integra, stante l'assenza di ogni motivazione sul punto, una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178 c.p.p., lett. c). CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Seguendo l'ordine logico e sistematico derivante dalla struttura dell'impugnazione in sede di legittimità, dev'essere prioritariamente esaminata la questione di cui al sesto motivo afferente al diniego di rinnovo dell'istruttoria dibattimentale. Correttamente l'istanza di rinnovazione istruttoria formulata dalla difesa con i motivi di appello è stata dalla Corte distrettuale ricondotta nel paradigma di cui all'art. 603 c.p.p., comma 1, posto che i documenti indicati non configurano prove nè sopravvenute nè scoperte dopo la sentenza di primo grado - per tali intendendosi solo quelle che sopraggiungono autonomamente, senza alcuno svolgimento di attività d'indagine, o che vengono reperite dop l'espletamento di un'opera di ricerca, la quale dia i suoi risultati in un momento successivo alla decisione (Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 - dep. 14/11/2016, F, Rv. 268656) -, e che comunque per la cd. perizia medico legale di parte si aggiunge l'ulteriore preclusione derivante dal mancato espletamento del contraddittorio dibattimentale. Non potendosi ritenere che rientrino in tale ambito le indagini difensive, nè le cartelle cliniche di altri pazienti, nè tantomeno le pubblicazioni scientifiche risalenti, come accertato dalla Corte di merito, a numerosi anni addietro, il diniego opposto dai giudici del gravame è immune da censure in relazione all'eccepito vizio di violazione di legge processuale, del tutto inconferente risultando in ogni caso l'invocata applicabilità dell'art. 121 c.p.p., che riguarda la presentazione di memorie in corso di causa con le quali non può essere aggirata la preclusione relativa alla formulazione delle richieste istruttorie allegando ad esse documenti. Quanto all'addotto vizio motivazionale, va rilevato che per consolidato indirizzo ermeneutico la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l'indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicchè il potere del Giudice di disporre la rinnovazione ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 1 è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere, a fronte della prospettazione di una nuova prova, ovverosia non assunta in primo grado e per la quale non siano intervenute preclusioni (non occorrendo che si tratti di prova sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado come imposto invece nell'ipotesi di cui al comma 2), in grado di decidere allo stato degli atti (per tutte, Sez. U, n. 2780 del 24 gennaio 1996, Panigoni, Rv. 203974). Siffatta impossibilità può sussistere solo quando i dati probatori siano incerti ovvero quando l'incombente richiesto rivesta valenza decisiva nel senso che lo stesso possa o superare tale incertezza o scardinare l'impianto probatorio già acquisito in quanto oggettivamente idoneo ad inficiare qualunque altra risultanza (Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007 - dep. 24/09/2007, Panozzo, Rv. 237410). Ciò premesso, la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata innanzi a questa Corte solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018 - dep. 13/07/2018, Impellizzeri, Rv. 273577). Tenuto conto che per prova decisiva deve intendersi solo quella che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa, dovendo il vaglio essere compiuto accertando se i fatti indicati nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del Giudice di merito (Sez. 4, n. 6783 del 23/1/2014, Di Meglio, Rv. 259323; Sez. 3, n. 27851 del 15/6/2010, M., Rv. 248105; Sez. 6, n. 14916 del 25/3/2010, Brustenghi, Rv. 246667), deve osservarsi, con riguardo a questo profilo di gravame, che il ricorso neppure evidenzia quale carattere di decisività nei termini appena riportati - l'acquisizione della documentazione indicata avrebbe potuto apportare al compendio istruttorio già acquisito, limitandosi la difesa ad evidenziarne, in termini assolutamente generici, la maggior completezza, così vanificando la stessa fondatezza della doglianza. 2. Il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente ai restanti motivi indipendentemente dall'ordine di formulazione attenendo alla preliminare verifica dell'ascrivibilità del delitto di violenza sessuale al ricorrente, incorre anch'esso nella censura di inammissibilità. Va al riguardo ribadito che il vizio motivazionale, per essere proponibile in Cassazione, deve essere diretto ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, che deve non solo essere identificabile come illogicità manifesta della motivazione o come omissione argomentativa, intesa sia quale mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia quale carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato, ma essere altresì decisivo, ovverosia idoneo ad incidere sul compendio indiziario così da incrinarne la capacità dimostrativa, non potendo il sindacato di legittimità, riservato a questa Corte, dilatarsi nella indiscriminata rivalutazione dell'intero materiale probatorio che si risolverebbe in un nuovo giudizio di merito. Il motivo in esame, lungi dall'individuare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, si traduce in una sostanziale contestazione del vaglio dell'attendibilità delle due vittime, senza considerare che trattasi di valutazione naturalmente rimessa al giudice di merito, rispetto alla quale i limiti del sindacato di legittimità sono ancor più stringenti rispetto a quelli ordinari, in ragione dell'ampio margine di apprezzamento di tali dichiarazioni che il giudice di merito, peraltro maggiormente vicino alle fonti di prova, ha di valutarle. Il ricorrente che argomenti in ordine all'attendibilità o inattendibilità della persona offesa, si colloca, invero, al di fuori del perimetro del sindacato esercitarle da questa Corte, cui non è rimesso alcun giudizio sul dissenso, pur motivato, in ordine al risultato del procedimento valutativo operato dalle sentenze di merito. In ogni caso le singole contestazioni in ordine al contenuto delle deposizioni delle due vittime si sostanziano in censure generiche in quanto ripetitive di quelle già articolate con i motivi di appello e puntualmente disattese dai giudici del gravame con le cui argomentazioni viene omesso ogni confronto. Quanto alla N., il comportamento da costei tenuto successivamente al fatto per aver continuato a sottoporsi ai trattamenti fisioterapici dell'imputato per oltre un anno è del tutto irrilevante ai fini della configurabilità del reato atteso che la percezione della violenza (rectius del tentativo di violenza) subita, seppur rimarchevole ai fini della lesività della condotta agita o subita, non incide tuttavia sull'obiettività del fatto, da lei stessa analiticamente descritto nelle sue dinamiche, e dunque sul perfezionamento del delitto di cui non costituisce elemento costitutivo: non è infatti necessario il coinvolgimento emotivo della vittima, essendo possibile anche che la stessa rimanga ignara dell'atto compiuto ai suoi danni (tanto è vero che il delitto di violenza sessuale è stato ripetutamente ritenuto sussistente anche se commesso ai danni di persona dormiente: Sez. 3, n. 22127 del 23/06/2016 - dep. 08/05/2017, S, Rv. 270500) o che per fattori occasionali, o connessi all'età ancora immatura della p.o., o derivanti da peculiari condizioni patologiche non abbia la soggettiva consapevolezza del contenuto degli atti abusanti della propria sessualità (Sez. 3, n. 1183 del 23/11/2011 - dep. 16/01/2012, E., Rv. 251803 in una fattispecie in cui la congiunzione carnale era avvenuta nei confronti di donna semi incosciente a seguito di ingestione di sostanze alcoliche). Vanno infatti ricondotte nell'ambito della violenza sessuale non solo quelle azioni poste in essere contro la volontà esplicita del soggetto passivo, ma anche quelle realizzate in assenza di un atto, sia pur implicito o tacito, di disposizione della propria integrità sessuale, come avviene quando la p.o. non opponga ad essi per qualsiasi ragione, ivi compresa la repentinità del gesto o la sorpresa nel subirlo, un qualche dissenso, essendosi limitata a non esprimere, neppure in forma tacita, il proprio consenso. Assenza di consenso che certamente rileva ai fini della connotazione in termini di atti sessuali delle particolari tecniche seguite dal fisioterapista che, quand'anche avesse inteso uniformarsi ai protocolli della peculiare metodologia indicata che prevederebbe, a detta della difesa, la cura della cefalea con massaggi all'inguine, avrebbe dovuto comunque preventivamente informare la paziente ed essere coperto da specifica prescrizione medica al riguardo. Per quanto attiene alla P., la Corte di Appello risulta essersi fatta puntualmente carico delle contestazioni difensive, tutte disattese con argomentazioni immuni da qualsiasi caduta di consequenzialità logica ed improntate a rigorosa linearità. La sentenza impugnata ben evidenzia come la percezione, in questo caso immediata, dell'invasività dei gesti da parte della p.o. debba essere tenuta distinta dalla sua successiva linea di condotta che l'aveva indotta, animata da un ambivalente sentimento di pudore e di prudenza cui si era gradualmente unita anche la paura di non essere creduta anche in ragione degli stretti rapporti tra il proprio primario ed il fisioterapista, a verificare un'eventuale riconducibilità delle anomale tecniche manipolatone praticatele dall'imputato a particolari protocolli di cui non era a conoscenza: motivo questo che l'ha indotta a consultarsi preventivamente con altri specialisti e colleghe fino ad approdare al Centro Antiviolenza e che costituisce anche la spiegazione della scelta, assunta nell'immediatezza, di non sottoporsi a visite ginecologiche o ad altro genere di esami che avrebbero comportato l'attivazione del cd. "protocollo rosa", con conseguente diffusione all'interno della stessa clinica in cui prestava la propria attività come specializzanda in neuropsichiatra infantile, della notizia destinata ad avere inevitabili ripercussioni sul paramedico e sulla sua stessa persona. 3. Il terzo motivo deve ritenersi manifestamente infondato. La ratio sottesa alla configurabilità dell'aggravante dell'abuso di prestazione d'opera, la quale soltanto ha costituito oggetto delle doglianze difensive, è costituita dal maggior disvalore che accompagna l'azione delittuosa compiuta in presenza di un rapporto di fiducia con la vittima che, in presenza di una prestazione da parte dell'agente connotata da un facere, agevoli la commissione del reato (Sez. 2, n. 25912 del 02/03/2018 - dep. 07/06/2018, Ortolani, Rv. 272806). E poichè a tal fine è sufficiente anche un rapporto di fatto che sia stato l'occasione della condizione di approfittamento, deve ritenersi che alla relazione medico-paziente, che si instaura indipendentemente dalla controprestazione pecuniaria, per antonomasia connotata dalla particolare fiducia riposta nel terapeuta dal malato, ben possa assimilarsi quella intercorrente tra il paziente ed il paramedico, comunque chiamato, specialmente quando le sue prestazioni non siano regolate da una prescrizione medica, ad affrontare ed auspicabilmente a risolvere le specifiche problematiche rappresentategli da chi si rivolge alle sue cure. Non occorre, contrariamente a quanto assume la difesa, un rapporto di conclamata supremazia da parte dell'agente e di correlata preesistente debolezza da parte della vittima, elementi questi semmai caratterizzanti la diversa figura dell'abuso di autorità, essendo sufficiente l'affidamento riposto nelle capacità professionali del prestatore d'opera, come avviene allorquando un soggetto che accusi una qualche patologia o problematica di ordine fisico si rivolga, cosi come è accaduto nel caso di specie, ad un fisioterapista affinchè questi attraverso le proprie competenze e tecniche e professionali renda la prestazione richiestagli. 4. Il primo motivo deve, invece, ritenersi meritevole di accoglimento nei limiti di seguito indicati. Secondo l'univoca interpretazione giurisprudenziale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto (ex multis, Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014 - dep. 06/06/2014, C, Rv. 25919601). Il parametro cui commisurare la minor gravità è dunque costituito dal bene giuridico tutelato, ovverosia la libertà di autodeterminazione della vittima nella propria sfera sessuale: da ciò deriva la necessità, una volta considerate tutte le caratteristiche oggettive del fatto nella sua unitarietà sulla base degli elementi di cui all'art. 133 c.p., comma 1, di valutarlo sia in termini di concreta lesività, sia di correlarne il livello di offensività alle ripercussioni effettivamente subite dalla vittima e, dunque, commisurando la condotta delittuosa all'entità della compressione della libertà sessuale della p.o. ed alla consistenza del danno arrecatole in termini fisici e psichici (ex multis Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015 - dep. 22/02/2016, Rv. 266272). Nella specie le ragioni del diniego sono costituite dalla presenza delle aggravanti e del danno psicologico subito dalle vittime. Per quanto concerne il primo punto, va osservato che, quand'anche possa ritenersi sufficiente un elemento di conclamata gravità ad escludere l'applicabilità dell'ipotesi di minor gravità, la contestuale presenza di circostanze aggravanti del reato base non si traduce tuttavia in un'automatica esclusione dell'attenuante in esame, occorrendo in tal caso valutare, proprio avuto riguardo al bene giuridico tutelato, se le stesse vadano ad incidere sulla gravità del fatto. Occorre infatti individuare la finalità che l'elemento costitutivo della circostanza è volto a sanzionare con l'aumento di pena ad esso conseguente al fine di valutare se la stessa si rifletta, in termini di maggior disvalore della condotta, sulla stessa dinamica del fatto e conseguentemente sulla diretta percezione della p.o.. Nel procedimento in esame le aggravanti contestate, costituite dall'abuso dei poteri da parte di un incaricato di pubblico servizio e dall'abuso di prestazione di opera, non incidono per la loro stessa configurazione sui parametri relativi alla minore gravità del fatto, costituito dal grado di invasività della condotta e dall'entità delle ripercussioni subite dalla vittima, ma risultano semmai volte ad agevolarne la commissione mediante l'approfittamento della posizione qualificata rivestita dall'agente o del rapporto di fiducia intrattenuto con il soggetto passivo: quindi la motivazione non è sul punto pertinente, nè corretta non potendo desumersi, in linea generale, dalla mera contestazione di circostanze aggravanti l'inconfigurabilità di una circostanza attenuante, nè tantomeno, con riferimento al caso specifico, dalle aggravanti in contestazione, riguardanti le qualità personali del colpevole ed i suoi rapporti con la vittima, l'elisione dell'attenuante del fatto di minor gravità contemplata dall'art. 609 bis c.p., u.c. Di ciò si trae del resto conferma dall'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il riferimento per la configurabilità dell'attenuante in esame deve essere circoscritto ai soli elementi indicati dell'art. 133 c.p., comma 1, essendosi condivisibilmente ritenuto che nessuna incidenza potessero avere in relazione al bene giuridico tutelato le circostanze attinenti alla persona del colpevole, rilevanti esclusivamente al diverso fine della graduazione della pena (ex multis Sez. 3, n. 31841 del 02/04/2014 - dep. 18/07/2014, C, Rv. 260289). Rimane il profilo relativo ai danno subito, che, se costituisce elemento idoneo ad escludere l'attenuante in relazione all'episodio delittuoso commesso ai danni della P., altrettanto non può dirsi per la vicenda afferente all'altra paziente. Se infatti per la prima risultano essere state accertate sin dal primo grado di giudizio le conseguenze di natura psichica patite, costituite da un iniziale grave turbamento che la aveva indotta, prima di risolversi a sporgere la querela, ad affidarsi ad un Centro Antiviolenza, come emerge dalla deposizione dell'operatrice del Centro che la aveva presa in carico, e poi proseguite con la sua sottoposizione una terapia farmacologica ansiolitica, senza che alcun rilievo rivesta la circostanza che si trattasse di trattamento al quale si era già sottoposta ben prima degli abusi sessuali subiti posto che quel che conta è la ripresa della stessa terapia, da tempo interrotta, nulla di tutto ciò è stato invece accertato per la N.. Non risulta dalla sentenza impugnata che costei abbia riportato alcun danno particolare sul piano psicologico, avendo al contrario continuato a sottoporsi alla fisioterapia con lo stesso imputato per oltre un anno, escludendo con tale condotta che fosse intervenuta alcuna incrinatura del rapporto fiduciario intrattenuto con il professionista a seguito di quanto avvenuto nel corso della prima seduta. La motivazione resa al riguardo dalla Corte territoriale deve perciò ritenersi manifestamente illogica, non essendo stata fornita da parte dei giudici del gravame un'adeguata giustificazione spiegazione del diniego dell'attenuante invocata per il delitto commesso ai danni di quest'ultima. 5. Fondato risulta altresì il quarto motivo concernente il giudizio di bilanciamento tra le circostanze. La motivazione resa dai giudici del gravame a fondamento della ritenuta equivalenza, apoditticamente affermata dal Tribunale, tra le contestate aggravanti e le attenuanti generiche, facendo leva sul beneficio già concesso all'imputato ai sensi dell'art. 62 bis c.p., risulta manifestamente illogica, ove non apparente. Dal momento che la finalità del giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., che attribuisce al giudice la valutazione della prevalenza o equivalenza in caso di concorrenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti, trova il suo fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa onde quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto, il fatto di aver già' concesso le attenuanti generiche non appare sufficiente a far ritenere che la pena sia adeguata alla condotta incriminata. L'esistenza di due diversi istituiti, entrambi finalizzati alla concreta graduazione del trattamento sanzionatorio, non consente di mutuare dall'applicazione dell'uno l'esclusione dell'altro sulla base degli stessi elementi enucleati dall'art. 133 c.p. (la condotta processuale dell'imputato e la sua condizione di incensuratezza) tanto più allorquando attraverso il giudizio di equivalenza, volto in concreto ad escludere la rilevanza delle contestate aggravanti, venga sostanzialmente eliso il beneficio conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche: non ci si può esimere dal rilevare, infatti, chef ove non fossero state riconosciute le circostanze di cui all'art. 62 bis c.p., l'aumento applicabile per effetto delle contestate aggravanti avrebbe potuto/teoricamente/essere di portata del tutto trascurabile. Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente ad entrambi i punti appena rilevati, il primo riferito al solo reato sub B) ed il secondo ad entrambi i reati, di cui è stato ritenuto più grave, ai fini del trattamento sanzionatone, quello sub A), con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari che dovrà procedere, tenendo conto dei rilievi sopra esposti, a nuova valutazione al riguardo, nonchè, alla luce delle memorie della parte civile, alla liquidazione delle spese processuali relative al presente grado di giudizio. I restanti motivi devoluti all'attenzione di questa Corte devono ritenersi, invece, inammissibili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla riconoscibilità della circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., commesso ai danni di N.A. ed al giudizio di bilanciamento per entrambi i reati con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari che deciderà anche sul regolamento delle spese del presente grado. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto. Così deciso in Roma, il 24 maggio 2019. Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020
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