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Violenza sessuale: se il concorrente non è presente sul luogo del delitto può concorrere solo moralmente

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 29/10/2019, n.49723

Il concorso di persone nel reato di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p. è configurabile solo nella forma del concorso morale con l'autore materiale della condotta criminosa, ove il concorrente non sia presente sul luogo del delitto, configurandosi, invece, nel caso di un contributo materiale il delitto di violenza sessuale di gruppo.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di Appello di Trieste con sentenza del 10 dicembre 2018 riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Udine del 16 giugno 2016 con cui R.A. e C.E. erano stati condannati, rispettivamente, alla pena di anni uno, mesi due e giorni 15 di reclusione e di anni uno mesi nove e giorni quindici di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 110,56,609 bis c.p., artt. 582 e 585 c.p. con riferimento all'art. 576 c.p., n. 1. Reati uniti dal vincolo della continuazione. In particolare, dichiarato inammissibile l'appello proposto da C.E., revocava dei confronti di R.A. il beneficio della sospensione condizionale della pena. 2. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso R.A. mediante il proprio difensore, prospettando tre motivi di impugnazione. 3. Con il primo motivo, deduce il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) ed e) in relazione alla configurabilità degli elementi oggettivi e soggettivi dell'art. 56 e 609 bis c.p.. La Corte di Appello, in contrasto con l'imputazione, sarebbe giunta di fatto a modificare la stessa ricostruendo un tentativo finalizzato ad un rapporto sessuale astrattamente riconducibile, ove realizzato, all'art. 609 octies c.p. (violenza sessuale di gruppo), piuttosto che limitato ai contatti descritti nel capo di imputazione e riferiti alle gambe e cosce della vittima. Come fatto invece dal primo giudice, che avrebbe qualificato le condotte realizzate e contestate come di per sè non interessanti una zona erogena e, tuttavia, idonee e dirette in modo non equivoco a commettere il reato di violenza sessuale nei termini contestati. La predetta finalità sarebbe stata ricostruita in base a dichiarazioni del coimputato del ricorrente, relative alla fase prodromica all'incontro, giustificato proprio con la consumazione a pagamento di un tale rapporto, prospettata alla futura vittima senza ottenerne l'assenso, e senza che invece, durante i contatti concreti avuti con la stessa, sia mai emersa una tale intenzione. Peraltro, il ricorrente sarebbe stato sempre all'oscuro di quanto originariamente riferito dall'altro coimputato alla vittima, per fissare l'appuntamento. Le dichiarazioni del coimputato peraltro, avrebbero dovuto essere riscontrate ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3. Così da non potersi porre a carico del ricorrente, enucleandosi con esse un reato sostanzialmente diverso da quello contestato. La corte avrebbe anche sostenuto che gli atti realizzati assumerebbero già di per sè una valenza sessuale, così incorrendo in un errore in diritto, in quanto si sarebbe allora dovuto configurare con essi un reato consumato ex art. 609 bis c.p.. La corte avrebbe sostenuto, pur senza trarre le dovute conseguenze giuridiche in termini di sussunzione della condotta nella corretta fattispecie astratta, che gli imputati avrebbero realizzato sia il reato ex art. 609 bis c.p. sia il tentativo di violenza sessuale di gruppo; e in tale ottica sarebbe quindi giunta a dedurre l'esclusione della attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3. Piuttosto, secondo il ricorrente la concreta condotta non si sarebbe potuta neppure ricondurre nell'alveo del tentativo di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., ed aggiunge che le dichiarazioni della p.o. palesano evidente incertezza e contraddittorietà oltre ad essere in contrasto con la denunzia e con la refertazione medico ospedaliera, così da non essere state valutate con il dovuto rigore, anche attraverso il banale rilievo della scarsa comprensione della lingua italiana da parte della vittima e ricostruendo la matrice sessuale delle condotte andando al di là delle stesse valutazioni della p.o., la quale avrebbe parlato più semplicemente, nell'immediatezza dei fatti, di aggressione. Le censurate contraddizioni ed illogicità, ove non si ritenesse la sentenza nulla ex art. 521 e 522 c.p.p., vizierebbero comunque la motivazione. 4. Con il secondo motivo deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla esclusione dell'attenuante ex art. 609 bis c.p., comma 3. La Corte alla luce del già sopra descritto erroneo ragionamento valutativo e qualificativo dei fatti, avrebbe escluso l'applicabilità della citata attenuante. Così tuttavia non valutando, in modo illogico e contraddittorio, la condotta effettiva degli imputati, posto che la finalità perseguita non può essere ampliata oltre i limiti del capo di imputazione. Inoltre, non risulterebbe in motivazione la valutazione, utile ai fini della invocata attenuante, della percezione da parte della vittima della realizzazione in suo danno del reato contestato. Percezione che il ricorrente ritiene peraltro insussistente, avendo la vittima inquadrato i fatti nell'ambito di una violenza in senso lato, tale da ridimensionare il tema della compromissione della sfera sessuale di cui alla contestazione. Alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale relativo all'attenuante in parola, sussisterebbero gli elementi giustificativi della sua applicazione, quali la zona di contatto, la breve durata dell'azione, le lievi lesioni provocate, la circostanza per cui la p.o. svolgeva attività di meretricio proprio in occasione delle circostanze della condotta e non aveva mai espresso il proprio dissenso, essendo insorta una questione solo relativa al momento del pagamento, e senza che fosse stata richiesta una prestazione diversa da quella per cui era stato già dato il consenso da parte della medesima. Rileverebbe anche (stante l'intervenuto risarcimento in sede dibattimentale) la modesta valutazione economica dei danni patiti, fornita dalla stessa p.o. 5. Con il terzo motivo deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per l'intervenuta applicazione in via automatica delle pene accessorie, laddove trattandosi di un'autonoma fattispecie di tentativo, in assenza di previsione espressa le stesse non avrebbero potuto essere applicate. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Nell'esaminare il primo motivo di impugnazione occorre premettere che la fattispecie di violenza sessuale di gruppo, caratterizzata dalla presenza di più di una persona al momento e sul luogo del delitto, non richiede necessariamente la compartecipazione contestuale dei correi alla realizzazione dell'intera fattispecie, ma quanto meno che il singolo compartecipe realizzi anche solo una frazione del fatto tipico di riferimento (cfr. Sez. 3, n. 32928 del 16/04/2013 Rv. 257275 - 01 V; Sez. 3, n. 15089 del 11/03/2010 Ud. (dep. 20/04/2010) Rv. 246614 - 01 Rossi). Sempre analizzando la struttura del reato, si è rilevato che ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale di gruppo l'espressione "più persone", contenuta nell'art. 609-octies c.p., comprende anche l'ipotesi in cui gli autori del fatto siano soltanto due (cfr. Sez. 3, n. 52629 del 07/02/2017 Rv. 271878 - 01 F.) e che ai fini dell'integrazione del reato di violenza sessuale di gruppo non occorre che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell'autore dei comportamenti tipici di cui all'art. 609-bis c.p. (cfr. Sez. 3, n. 16037 del 20/02/2018 Rv. 272699 - 01 C.). 2. A fronte della predetta struttura del reato ex art. 609 octies c.p., si è precisato che il concorso di persone nel reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p. è configurabile solo nella forma del concorso morale con l'autore materiale della condotta criminosa, ove il concorrente non sia presente sul luogo del delitto; diversamente configurandosi invece il reato di violenza sessuale di gruppo (cfr. sez. 3, Sentenza n. 26369 del 09/06/2011 Rv. 250623 - 01 S.). Si è inoltre precisato che la commissione di atti di violenza sessuale di gruppo si distingue dal concorso di persone nel reato di violenza sessuale, perchè non è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, l'accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la contemporanea ed effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile (cfr. Sez. 3 -, n. 44835 del 06/02/2018 Rv. 274325 - 01 T.). 3. Tanto premesso, occorre rilevare che la contestazione di cui al capo 1) di imputazione, relativa al reato oggetto del motivo in esame, nella sua originaria configurazione attribuiva al R., in concorso con altro complice per il quale non è stato proposto ricorso, una condotta realizzata "con violenza consistita nel bloccare le braccia" della p.o. "dietro la schiena e nel tapparle la bocca", così costringendo la vittima "a subire atti sessuali accarezzandole le gambe e l'interno cosce". Rispetto a tale originaria contestazione relativa ad un reato consumato, i giudici di merito, in particolare il tribunale, hanno ritenuto di procedere ad una riqualificazione in termini di tentativo del delitto ex art. 609 bis c.p.. 4. Le doglianze proposte nel presente motivo impongono a questo punto di valutare quale reato sia stato originariamente contestato e se sia con esso coerente la riqualificazione giuridica del fatto come sopra riportata. 4.1. In proposito, occorre pur sempre esaminare la concreta descrizione dei fatti, senza che il suo significato giuridico possa essere travolto e desunto da una mera e diversa indicazione formale del reato di riferimento. Infatti, la Suprema Corte ha precisato che in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate (cfr. sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 Ud. (dep. 04/02/2014) Rv. 258920 - 01 Russo; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013 Rv. 255772 - 01 Nappello). Ebbene, pur a fronte di un originario riferimento formale al reato consumato di cui all'art. 609 bis c.p. la contestazione originaria del fatto già descriveva gli elementi costitutivi della fattispecie - ritenuta consumata di cui all'art. 609 octies c.p., come in precedenza sinteticamente illustrati: la compartecipazione dei concorrenti, entrambi presenti, nella realizzazione di condotte violente nei confronti della vittima, con conseguente costrizione della stessa a subire "atti sessuali accarezzandole le gambe e l'interno cosce". 4.2. La successiva "riqualificazione" operata dai primi giudici ai sensi degli artt. 56 e 609 bis c.p. - sul rilievo per cui la condotta violenta o minacciosa non aveva determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poichè l'agente non aveva raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima (atteso che la stessa aveva precisato di non essere stata toccata sull'interno cosce, come pure contestato, ma solo su una gamba e sul ginocchio) ovvero non aveva provocato un contatto di quest'ultima con le proprie parti intime -, è stata dunque formulata senza mutare, se non in misura minima e non strutturale (eliminando il contatto sull'interno cosce) la descrizione del fatto; il quale, va ribadito, ha continuato a delineare in concreto la contestazione di una condotta criminosa "di gruppo" -. Si è solo qualificato il medesimo in termini di diversa fattispecie tentata, tuttavia erroneamente ritenuta relativa al delitto ex art. 609 bis c.p. piuttosto che ex art. 609 octies c.p.. In altri termini, dalla contestazione e dal fatto, come peraltro evinto dalle risultanze dibattimentali, è continuata ad emergere una condotta criminosa riconducibile al reato ex art. 609 octies c.p., seppure riducibile in termini di tentativo. 4.3. La corte di appello ha invero rilevato questo profilo, atteso che valorizzando le dichiarazioni della p.o. e di colui che - essendo presente in casa - la soccorse, ha confermato la dinamica dei fatti in termini di una sorta di stratagemma ordito dai due coimputati per introdursi insieme e abusivamente nella casa della p.o., bloccarla ciascuno rispettivamente sulla bocca e per le mani, toccarla sulla gamba e sul ginocchio, intimandole contestualmente di salire al piano di sopra dell'appartamento al fine di costringerla a consumare atti sessuali; di conseguenza ha correttamente sottolineato come la condotta criminosa così delineata fosse diretta a costringere la donna a subire atti sessuali da parte dei due soggetti presenti (ovvero da parte di un "gruppo"). In tal modo ha elaborato una motivazione con la quale ha ricondotto la vicenda fattuale nella conforme contestazione, sin dall'origine formulata, di una violenza sessuale "di gruppo", pur derubricandola comunque in termini di tentativo, in ragione della realizzazione di condotte che, rivelando finalità di libidine ed essendo a ciò idonee, non si erano comunque tradotte negli atti sessuali perseguiti, per la reazione della vittima e del suo amico. 4.4. Così ricostruiti il significato giuridico reale della contestazione, e le elaborazioni formulate dai giudici di primo e secondo grado, appare chiaro come il reato descritto nella motivazione della sentenza dai giudici di appello riconducibile alla fattispecie ex artt. 56 e 609 octies c.p. - non risulti affatto difforme dalla originaria contestazione. Non sussiste quindi difformità tra contestazione e fatto così delineato in sentenza ex art. 521 c.p.p., atteso che il fatto materiale contestato all'imputato è rimasto immutato per l'intera durata del processo. In ordine a tale fatto, l'imputato ha esercitato nella sua pienezza il suo diritto di difesa. La diversa qualificazione giuridica del fatto materiale peraltro, rientra nella facoltà e nei poteri del giudice ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 1, senza alcuna violazione del diritto di difesa (nel medesimo senso, seppure con riqualificazione della fattispecie tentata a quella consumata, cfr. Sez. 3, n. 27686 del 13/05/2010 Rv. 247924 - 01 P). L'unico errore giuridico rilevabile dunque, nella sentenza impugnata, in ordine ai fatti contestati, si individua, netta persistente, erronea qualificazione giuridica finale del ricostruito fatto tentato in termini di cui agli artt. 56 e 609 bis c.p. - come disposto dal tribunale e confermato dalla corte di appello, con correlato trattamento sanzionatorio - piuttosto che ex artt. 56 e 609 octies c.p.. Si tratta di un errore che si traduce, anche sul piano della gravità del trattamento sanzionatorio di riferimento, in favore dell'imputato, e che come tale, in assenza anche di censure (invero il ricorrente ha fatto riferimento al diverso e insussistente caso di non correlazione tra la ritenuta originaria contestazione ex art. 609 bis c.p. ed il reato ex art. 56 e 609 octies c.p.), non può neppure essere rilevato d'ufficio. Consegue che il motivo in esame, dedotto sotto il profilo della carente correlazione tra contestazione e reato ritenuto in sentenza, è infondato. 4.5. Rimane da esaminare l'ulteriore aspetto riguardante l'asserito vizio di motivazione in cui la corte di appello sarebbe incorsa nel ricostruire i presupposti della fattispecie ex art. 609 octies c.p., seppur tentata. Si tratta di rilievi manifestamente infondati, atteso che per tale ricostruzione la corte non si è affidata alle sole dichiarazioni del coimputato del ricorrente, riguardanti l'intervenuta previa fissazione di un appuntamento per un rapporto mercenario a tre. Piuttosto, come già sopra rilevato, ha valorizzato la dinamica dei fatti, con l'architettata intrusione abusiva del ricorrente nella casa della vittima, mentre era già all'interno il complice, nonchè con la rilevazione della condotta violenta di entrambi, inequivocabilmente diretta alla imposizione di atti sessuali "di gruppo". Solo in aggiunta a tale già sufficiente quadro accusatorio, la corte ha altresì osservato come, un'ulteriore conferma dello stesso, sub specie della direzione dell'azione verso la consumazione di un rapporto sessuale "a tre", sarebbe stata desumibile anche dalle dichiarazioni del coimputato del ricorrente, secondo cui sin dal suo primo ingresso in casa della vittima, egli aveva tentato inutilmente di convincerla ad acconsentire a tale tipo di rapporto, stante la disponibilità in tal senso anche di un suo amico. 4.6. Peraltro, si tratta di una legittima rilevazione aggiuntiva di tipo probatorio, atteso che se è vero che le dichiarazioni del coimputato nel medesimo reato devono essere valutate ai sensi dell'art. 192 c.p.p., comma 3 unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, va osservato che la corte ha seguito tale principio, in quanto, come già sopra indicato, le dichiarazioni in parola sono state considerate in uno con gli altri dati - dichiarativi oltre che documentali (quanto ai referti delle lesioni) - sulla base dei quali sono stati ricostruiti i fatti ascritti al ricorrente. 4.7. Neppure appare fondata la tesi per cui la corte avrebbe sostenuto che gli atti realizzati assumerebbero già di per sè una valenza sessuale, così da incorrere nell'errore di dover configurare o di avere configurato, piuttosto che una fattispecie tentata, una fattispecie consumata. In realtà, posto che la lettura della motivazione deve esser operata secondo il suo significato complessivo e senza strumentali frammentazioni, i giudici hanno rilevato la "natura sessuale" dei contatti sulla gamba e sul ginocchio non già nel senso dedotto dal ricorrente, bensì esclusivamente per evidenziare come l'azione aggressiva fosse stata anche connotata da contatti che, riguardando la gamba e il ginocchio della vittima, dovevano ritenersi rivelatori essi stessi di una finalizzazione dell'azione verso abusi sessuali. Del resto e a conferma di tale ricostruzione, gli stessi giudici, in un successivo passaggio hanno sottolineato come la circostanza che la donna non fosse stata attinta in parti intime non ostava al rilievo del compimento di "atti idonei e univocamente diretti a ledere e porre in pericolo la libertà sessuale". 4.8. Va aggiunto che in maniera logica e coerente è stata anche superata la censura difensiva incentrata sulla circostanza per cui, in sede ospedaliera, la donna aveva riferito di essere stata solo aggredita, atteso che si è giustificato tale dato alla luce di un comprensibile sentimento di pudore, confermato peraltro dalla circostanza per cui, nel riferire i fatti ai sanitari, la p.o. aveva persino dichiarato di essere stata colpita da un ladro. Circostanza insussistente anche alla luce delle stesse tesi difensive. 4.9. Pertanto, le ulteriori censure da ultimo esaminate e proposte nel motivo in esame sono anche esse infondate. 5. Quanto al secondo motivo, pur tenendo in disparte il profilo per cui a fronte di un reato, accertato in motivazione, ex art. 609 octies c.p., per esso non è prevista alcuna attenuante di minore gravità, i rilievi suesposti consentono comunque di rilevare, difformemente dal ricorrente, la correttezza della concreta valutazione della attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, nella misura in cui non poteva che essere rapportata alla reale condotta criminosa accertata e realizzatasi. Con riguardo poi alla valutazione formulata, la corte ha espressamente osservato come dalla considerazione globale del fatto si debba desumere una forte compressione della libertà sessuale della vittima, tenuto conto di un'introduzione fraudolenta in cassa della stessa, e di un esercizio congiunto di atti di violenza diretti alla consumazione di una violenza di gruppo. Si tratta di un giudizio con cui si è fatta applicazione di plurimi principi. Innanzitutto, di quello per cui in tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto, è irrilevante la condotta di vita della persona offesa, in quanto il bene della libertà sessuale, afferendo alla sfera personale più intima dell'individuo ed al nucleo intangibile dei sui diritti personalissimi, ha il medesimo valore sia che appartenga a persona che intenda farne un uso misurato, sia che sia riferito a persona che ne disponga con leggerezza ed anche in maniera prezzolata (cfr. Sez. 3, n. 50435 del 12/05/2015 Rv. 265895 - 01 S). Inoltre, la corte, evidenziando la brutalità di un ingresso clandestino in casa con contestuale repentino esercizio di plurimi atti di violenza diretto verso la consumazione di atti sessuali, cui la donna si era persino opposta nella fase di fissazione dell'appuntamento, ha chiaramente tenuto conto sia dell'azione che gli agenti avevano intenzione di porre in essere e che non è stata realizzata per cause indipendenti dalla loro volontà, sia del fatto realmente svoltosi, considerato globalmente nelle sue modalità attuative, valutate anche per la loro innegabile incidenza in termini di invasività, anche sul piano psicologico, in danno della vittima. (cfr. circa i criteri di valutazione da considerare, Sez. 3, n. 47700 del 11/04/2018 Rv. 274968 - 01 G.). Consegue l'inammissibilità del secondo motivo proposto. 6. Manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione, applicandosi le pene accessorie anche alla fattispecie del tentativo. Infatti le sanzioni accessorie previste dall'art. 609-nonies c.p., a seguito di condanna per delitti contro la libertà personale di natura sessuale, trovano applicazione anche in caso di tentativo, essendo identiche, in tale ipotesi, le esigenze tutelate dalla norma sanzionatoria (cfr. Sez. 3, n. 52637 del 11/07/2017 Rv. 271858 - 01 Z.). 7. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2019. Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2019
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