RITENUTO IN FATTO
1. E' impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte d'appello di Torino, in parziale riforma della sentenza emessa in data 15 decembre 2004 dal Tribunale di Alessandria, ha concesso all'imputato le circostanze attenuanti generiche, rideterminando la pena inflittagli in anni quattro e mesi sei di reclusione, eliminando la pena accessoria dell'interdizione legale, indicando in anni cinque la durata dell'interdizione dai pubblici uffici e confermando nel resto la sentenza appellata.
Nei confronti del ricorrente si è proceduto per il delitto (capo A) di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 110 c.p., art. 3 n. 8 perché, in concorso con K.B., induceva, favoriva e sfruttava la prostituzione di R.B., nonché del reato (capo B) di cui all'art. 609-bis c.p. perché con violenza consistita nel percuoterla, costringeva R.B., a compiere atti sessuali. In (Omissis). Corso della prescrizione sospeso ai sensi dell'art. 175 c.p.p., comma 8.
2. Il ricorso, presentato dal difensore di fiducia, è affidato a tre motivi, come di seguito riassunti ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità e decadenza nonché la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento all'art. 176 c.p.p. e al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria mediante assunzione della testimonianza della persona offesa R.B., con conseguente mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606 c.p.p., comma 1, lettere c), d) ed e).
Il ricorrente premette di essere stato condannato dal Tribunale di Alessandria per il reato di sfruttamento della prostituzione e violenza sessuale commessi ai danni della suindicata persona offesa.
Precisa di essere stato assistito nel corso del processo da un difensore d'ufficio e venne a conoscenza della condanna soltanto all'atto dell'arresto, avvenuto tredici anni dopo il passaggio in giudicato della sentenza, sicché, per queste ragioni, avanzò istanza di restituzione nel termine per impugnare, che venne accolta in data (Omissis).
Il ricorrente assume che, a seguito della restituzione in termini, propose appello avverso la sentenza di condanna, denunciando l'assenza di prove dimostrative della sua responsabilità penale e contestualmente chiedendo la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale di primo grado mediante assunzione della testimonianza della persona offesa.
Sostiene che le conclusioni con le quali la Corte d'appello ha respinto la richiesta di rinnovazione non sarebbero condivisibili, anche perché alcun giudizio di rilevanza e pertinenza del mezzo istruttorio doveva essere svolto dalla Corte di merito.
Neppure corrispondeva al vero la circostanza che la difesa non avesse indicato il tema di prova su cui la persona offesa dovesse essere sentita, in quanto la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria venne formulata a seguito di un articolato motivo di appello (pagine da 1 a 10), in cui erano state messe in luce le innumerevoli contraddizioni che avevano caratterizzato le dichiarazioni della vittima.
Tali contraddizioni avevano, secondo il ricorrente, minato il racconto della persona offesa in ogni sua fase, dalla scelta di venire in Italia, al primo incontro con l'imputato, alla violenza subita; tanto che furono effettuate non poche contestazioni ad opera del pubblico ministero durante l'escussione, con la conseguenza che il tema di prova era già stato ampiamente articolato ed era stato peraltro anche formalmente indicato dalla difesa nelle conclusioni, in cui si chiedeva l'assunzione della testimonianza della persona offesa affinché riferisse "sulla condotta subita dall'imputato, sui rapporti intercorrenti con lo stesso durante il periodo in contestazione, sulla scelta di sporgere denuncia e su ogni altra circostanza utile per l'accertamento della verità".
Il ricorrente aggiunge che la Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria, aveva anche affermato come, essendo stata la persona offesa escussa in sede di incidente probatorio e trattandosi di persona in condizioni di particolare vulnerabilità, il successivo esame dibattimentale avrebbe potuto essere disposto solo su fatti e circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ai sensi dell'art. 190-bis c.p.p..
Obietta il ricorrente che la qualifica soggettiva, ossia che la persona offesa versasse in condizioni di particolare vulnerabilità, fosse circostanza presunta dalla Corte di merito e che la stessa non era stata posta a fondamento della richiesta di incidente probatorio per l'assunzione della sua testimonianza, con conseguente inoperatività, in tal caso, dell'art. 190-bis c.p.p., disposizione che, in ogni caso, sarebbe, a parere del ricorrente, destinata a soccombere dinanzi al diritto dell'imputato ad ottenere l'integrale rinnovazione dei mezzi di prova assunti in sua assenza, qualora non abbia partecipato al giudizio per incolpevole non conoscenza del processo.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento al giudizio di attendibilità della persona offesa (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento alla riduzione di pena conseguente al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
3. Il Procuratore generale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato sulla base del primo motivo, che assorbe gli altri.
2. Sulla questione sollevata con il motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimità si è recentemente assestata affermando il principio, che il Collegio in massima parte condivide ed al quale intende dare continuità, secondo cui il condannato restituito nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ha diritto di chiedere, senza limitazioni, previa soltanto indicazione dei temi da approfondire, che siano rinnovati i mezzi istruttori già ammessi ed assunti in sua assenza, nel qual caso al giudice d'appello è preclusa ogni valutazione in ordine alla loro ammissibilità, pertinenza e rilevanza, alla quale rimane, invece, soggetta, secondo quanto prescritto dall'art. 603 c.p.p., comma 2, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria mediante l'acquisizione di prove nuove rispetto a quelle già assunte in primo grado (Sez. 1, n. 13733 del 25/02/2020, Shaholli, Rv. 278995 - 03), superandosi, in tal modo, un orientamento più restrittivo a mente del quale il provvedimento che concede la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di primo grado (...) determina il diritto dell'imputato di ottenere l'assunzione di prove nuove o la riassunzione di prove già acquisite, purché, per ciascuna prova richiesta, sia indicato il tema di indagine che si intende approfondire, di modo che il giudice possa valutarne la pertinenza e la rilevanza (ex multis, Sez. 6, n. 42912 del 12/06/2018, Bakalli, Rv. 274202 - 01).
A quest'ultimo indirizzo si è contrapposto quello, di più notevole ampiezza, secondo cui l'imputato condannato in contumacia, che sia stato restituito nel termine per impugnare la sentenza di primo grado per non aver avuto effettiva notizia del giudizio a suo carico a causa della mancata conoscenza incolpevole della citazione a giudizio, ha diritto di ottenere in appello la rinnovazione della istruzione dibattimentale, trattandosi dell'unica interpretazione degli artt. 175 e 603 c.p.p. conforme agli artt. 24 e 111 Cost., nonché all'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, così come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 25 novembre 2008 nel caso Cat Berro c. Italia (ex multis, Sez. 3, n. 39898 del 24/06/2014, G., Rv. 260416 - 01).
Va ricordato che il sistema italiano del giudizio in contumacia, ora sostituito dal processo in assenza, si è conformato agli arresti S., (Corte EDU, sent. 10 novembre 2004, S. c. Italia, e Idem, 01 marzo 2006, S. c. Italia), nella cui scia si è posta, tra le altre, la sentenza Cat Berro (Corte EDU del 25 novembre 2008), e l'opera di conformazione è stata attuata con la "novella" dell'art. 175 c.p.p. (ex D.L. 21 febbraio 2005 n. 17, convertito con modificazioni nella L. 22 aprile 2005, n. 60).
La giurisprudenza della Corte EDU ha riconosciuto la compatibilità della versione dell'art. 175 c.p.p., novellato ex lege 2005, con gli insegnamenti degli arresti S. e, dunque, con l'art. 6 della Convenzione purché, da un lato, il condannato non fosse gravato, per ottenere la restituzione nel termine per impugnare la sentenza di condanna, dell'onere di fornire la prova negativa della conoscenza del procedimento e della sentenza a suo carico (essendo invece obbligo del giudice reperire in atti la prova positiva di tale sua conoscenza) e, dall'altro lato, fosse garantito al medesimo, in caso di mancata conoscenza, il diritto ad un riesame nel merito degli addebiti mossigli.
Da ciò la conseguenza che, per essere assicurata la seconda condizione, all'imputato, che sia stato condannato, come nel caso in esame, in contumacia per non aver avuto effettiva conoscenza del giudizio a suo carico, sia riconosciuto il diritto di chiedere, senza limitazioni, che siano rinnovati i mezzi istruttori già ammessi ed assunti in sua assenza, nel qual caso al giudice dell'impugnazione è preclusa ogni valutazione in ordine alla loro ammissibilità, pertinenza e rilevanza.
Pertanto, non è necessario che l'imputato, in tal caso, sia onerato di indicare i temi di prova che, attraverso la rinnovazione istruttoria, intenda approfondire perché il suo diritto di "esaminare o far esaminare i testimoni a carico" (nel caso, come nella specie, di prova dichiarativa), non potuto esercitare nel giudizio contumaciale celebrato in sua assenza per non aver avuto egli effettiva notizia del giudizio a suo carico a causa della mancata conoscenza incolpevole della vocatio in ius, deve essere ripristinato nella sua interezza, sempreché la prova, della quale si chieda la rinnovazione, sia stata decisiva per la condanna, dovendosi assicurare al condannato restituito in termine la più ampia esplicazione del diritto ad assistere all'acquisizione degli elementi fattuali utilizzabili dal giudice ai fini della decisione.
Ne deriva che, rispetto a tali richieste, alcuno spazio è concesso per una valutazione discrezionale del giudice in punto di ammissibilità, essendo l'istanza istruttoria votata all'accoglimento per il solo fatto di avere ad oggetto quelle medesime prove già ammesse nel precedente giudizio.
Altro è il discorso, che qui comunque non rileva, relativo al diverso campo delle richieste di rinnovazione istruttoria vertenti su prove il cui carattere di novità si correla esclusivamente alla mancata assunzione nel pregresso giudizio.
Invero esse, non essendo state assunte in precedenza, non si qualificano per il positivo superamento di alcun vaglio di ammissibilità e conseguentemente non si impongono al nuovo giudice come prove che già hanno retto la pronuncia di affermazione della responsabilità alla cui demolizione l'impugnazione è volta, talché, "a fortiori", non si sottraggono ad un pieno sindacato di ammissibilità nel nuovo giudizio in specie sotto il profilo della rilevanza.
Deve pertanto essere enunciato il seguente principio di diritto: "il condannato restituito nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ha diritto di chiedere, senza limitazioni, che siano rinnovati i mezzi istruttori già ammessi ed assunti in sua assenza, nel qual caso al giudice d'appello è preclusa ogni valutazione in ordine alla loro ammissibilità, pertinenza e rilevanza, alla quale rimane, invece, soggetta, secondo quanto prescritto dall'art. 603 c.p.p., comma 2, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria mediante l'acquisizione di prove nuove rispetto a quelle già assunte in primo grado".
A tale principio non si è uniformata la sentenza impugnata, avendo la Corte di merito erroneamente affermato - a prescindere dal fatto che il ricorrente abbia indicato, come pure egli assume, i temi di prova da approfondire - che la nuova audizione era stata richiesta senza che fosse indicato alcun tema di prova sul quale la persona offesa avrebbe dovuta essere esaminata in maniera da non consentire di valutare la rilevanza e pertinenza del mezzo istruttorio di cui si chiedeva l'ammissione.
3. Nondimeno, la Corte distrettuale ha utilizzato, per negare la rinnovazione istruttoria, una seconda ratio decidendi che il ricorrente ha specificamente censurato con il motivo di ricorso.
La Corte d'appello ha affermato che, nel caso di specie, trattandosi di soggetto in condizione di particolare vulnerabilità, l'esame dibattimentale successivo alla sua audizione in incidente probatorio poteva essere ammesso (art. 190-bis c.p.p.) soltanto se avesse riguardato fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni o se il giudice o taluna delle parti l'avessero ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze, che non sarebbero state neppure allegate dall'appellante.
Il quale, invece, aveva, nell'atto di appello (pag. 6 e ss.), ripercorso il contenuto delle dichiarazioni assunte (in sua assenza) nell'incidente probatorio, mettendo in rilievo, a suo dire, le lacune e le contraddizioni che avrebbero caratterizzato le dichiarazioni della persona offesa, facendo derivare da ciò la richiesta di una sua necessaria riassunzione.
Tuttavia, anche a prescindere da tale rilievo che sarebbe già di per sé idoneo a integrare il vizio di motivazione denunciato, osserva il Collegio come l'operatività del criterio espresso dall'art. 190-bis c.p.p., comma 1-bis, che è stato utilizzato per ritenere preclusa la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello, richieda che sia integrata una qualifica giuridica soggettiva, essendo richiesta la condizione di particolare vulnerabilità della vittima.
Tale condizione va accertata in concreto sulla base dei parametri indicati nell'art. 90-quater c.p.p. e non è necessario, ai fini dell'applicazione dell'art. 190-bis c.p.p., comma 1-bis, che si proceda per uno dei delitti elencati nel predetto comma, perché nei confronti della persona che versi in condizione di particolare vulnerabilità, la quale è perciò bisognosa di particolare tutela e per la quale si deve evitare il fenomeno odioso della vittimizzazione secondaria, la disposizione ex art. 190-bis c.p.p., comma 1-bis, si applica "in ogni caso" e, dunque, con riferimento a qualsiasi reato, purché sussista la condizione richiesta dalla norma.
L'ingresso della "vulnerabilità" nel processo penale trae origine dalla necessaria attuazione della Direttiva 2012/29/UE compiuta per mezzo del D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212.
Nella procedura penale la condizione di particolare vulnerabilità e', appunto, fornita dall'art. 90-quater c.p.p., introdotto appunto dal D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, che indica alcuni parametri attraverso i quali è possibile ritenere integrato il requisito.
A questo proposito, è solo il caso di precisare che la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito che la disciplina di cui come modificato dal D.Lgs. 15 dicembre 2015, n. 212, art. 190-bis c.p.p., la quale, nei procedimenti per reati sessuali, ha esteso alla vittima dichiarata vulnerabile, a prescindere dalla sua età, il particolare regime per la rinnovazione dell'assunzione della testimonianza, si applica anche alla prova dichiarativa assunta nel corso di incidente probatorio tenutosi in data antecedente alla sua entrata in vigore, in quanto disposizione processuale, priva di effetti sostanziali, incidente sulla modalità di assunzione della prova (Sez. 3, n. 10374 del 29/11/2019, dep. 2020, S., Rv. 278546 - 01).
Ne deriva che la disposizione e', a condizioni esatte, applicabile al caso di specie, atteso che l'incidente probatorio si è tenuto prima della modifica normativa dell'art. 190-bis c.p.p., comma 1-bis.
Ciò posto, in conformità alla direttiva Europea, il legislatore nazionale, con l'art. 90-quater c.p.p., per definire la nozione agli effetti delle disposizioni del codice di rito, ha utilizzato tre criteri che contengono gli indici dai quali desumere, sulla base degli atti o, se necessario, mediante il ricorso al "sapere esperto", l'accertamento della condizione di particolare vulnerabilità.
La norma non indica i soggetti abilitati ad accertare la condizione di particolare vulnerabilità, con la conseguenza che tale accertamento è rimesso agli operatori giudiziari (in particolare, ma non necessariamente, pubblico ministero e giudice) che, di volta in volta, vengano in contatto con la parte offesa.
Il primo criterio prende in considerazione alcune caratteristiche personali della vittima (età, stato d'infermità o di deficienza psichica); il secondo prende in considerazione il tipo di reato, le modalità e le circostanze del fatto; il terzo, infine, richiede che, per l'accertamento della condizione (di particolare vulnerabilità), si debba tenere conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato.
Quest'ultimo costituisce più propriamente un parametro di valutazione nel senso che l'esistenza di una condizione di fragilità e di debolezza della vittima, desunta sulla base di uno o più indici rientranti nei profili soggettivi e oggettivi (primi due criteri), è tanto più evidente, potendo perciò essere conclamata sebbene, non per questo, necessariamente esclusa, quando si sia in presenza di fatti commessi con violenza alla persona o con odio razziale o di fatti riconducibili a fenomeni di criminalità organizzata o di terrorismo, o caratterizzati da finalità di discriminazione, ovvero quando la persona offesa sia affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall'autore del reato.
Da ciò si evince che la verifica, da parte del giudice di merito, circa l'integrazione della condizione di particolare vulnerabilità della vittima del reato si risolve, nel quadro dei parametri espressi dall'art. 90-quater c.p.p., in un accertamento, in concreto, che esige si dia conto delle ragioni in base alle quali il giudice abbia ritenuto integrata la condizione o, se accertata da altri soggetti, l'abbia motivatamente riconosciuta.
Tale accertamento se, adeguatamente motivato e privo di vizi di manifesta illogicità, si sottrae al sindacato di legittimità.
Nel caso in esame, però, la motivazione circa l'esistenza della condizione (di particolare vulnerabilità) è del tutto assente, avendo la Corte d'appello ignorato del tutto i profili soggettivi e oggettivi che la radicano e non avendo perciò indicato alcuno dei parametri sulla cui base abbia ritenuto integrata la condizione di particolare vulnerabilità della vittima.
Pertanto, il ricorrente, con fondamento, si è doluto del fatto che la Corte d'appello ha ritenuto presunta la condizione di particolare vulnerabilità della vittima, omettendo di motivare, in concreto, quanto alla sussistenza del predetto requisito.
Invece, non è esatto l'assunto secondo il quale la regula iuris di cui all'art. 190-bis c.p.p., comma 1-bis, sarebbe destinata a soccombere dinanzi al diritto dell'imputato, che non abbia partecipato al giudizio per incolpevole mancata conoscenza dello stesso, ad ottenere l'integrale rinnovazione dei mezzi di prova assunti in sua assenza.
Un indirizzo contrario a tale prospettazione si ricava espressamente introdotto dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 603 c.p.p., comma 3-ter, che fa salva l'applicabilità dell'art. 190-bis c.p.p. quando si sia proceduto in assenza (nel caso in esame in contumacia) nei confronti di imputato dichiarato latitante (ex art. 420-bis c.p.p., comma 3) e la Corte piemontese ha respinto il motivo d'appello con il quale il ricorrente lamentava l'erronea dichiarazione di latitanza, motivo poi non riproposto con il ricorso per cassazione.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Torino.
Il giudice del rinvio, nell'applicare i principi di diritto in precedenza enunciati, verificherà, in primo luogo, se risulti integrata nel caso di specie una condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa, indicando, in caso di positivo accertamento, le ragioni di tale convincimento, tenuto conto dei parametri espressi nell'art. 90-quater c.p.p..
Accerterà, poi, se - pur in presenza di una condizione di particolare vulnerabilità - le allegazioni contenute nell'atto di appello siano tali da integrare le specifiche esigenze in grado di sostenere l'istanza di rinnovazione della prova dichiarativa assunta con l'incidente probatorio, con la precisazione che, in caso di rinnovazione della prova, alla stessa si dovrà dare ingresso con le opportune cautele che tutelino la serenità del teste debole.
Va infatti chiarito che, nei casi consentiti, non è di per sé di ostacolo alla rinnovazione della prova dichiarativa la "condizione di particolare vulnerabilità" del teste già esaminato nel corso di incidente probatorio, non rilevando tale qualità soggettiva ai fini della valutazione che spetta al giudice di merito ex art. 190-bis c.p.p. in ordine alla necessità di disporre un'ulteriore escussione quando l'esame verta su fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero qualora l'esame della persona offesa vulnerabile sia necessario sulla base di specifiche esigenze.
Qualora non sia accertata la condizione di particolare vulnerabilità della vittima, si darà corso alla rinnovazione della prova dichiarativa, atteso che il condannato restituito nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ha diritto di chiedere, senza limitazioni, che siano rinnovati i mezzi istruttori già ammessi ed assunti in sua assenza.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2023