RITENUTO IN FATTO
1. B.B. ricorre per cassazione impugnando la sentenza emessa in data 23 ottobre 2018 con la quale la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato, per quanto qui interessa, quella del Gip presso il Tribunale rideterminando la pena inflitta nei confronti dell'imputato in quella di anni quattro di reclusione per i reati (capo A) di cui all'art. 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., comma 1, perchè costringeva la vittima, di anni dodici, a subire atti sessuali. In particolare, introdottosi nello stabile ove è sita l'abitazione della minore inseguiva la stessa, che impaurita si dirigeva verso l'ascensore di servizio, raggiuntala, le palpava il seno incipiente e mentre la minore si divincolava tentava di toccarle i glutei, non riuscendovi per la reazione della bambina, che divincolandosi riusciva ad allontanarlo, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di minore degli anni quattordici; (capo B) di cui all'art. 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., comma 1, perchè costringeva la vittima, di anni dodici, a subire atti sessuali. In particolare, introdottosi nello stabile ove è sita l'abitazione della minore, fingendo di attendere l'arrivo dell'ascensore, si avvicinava alla minore e le palpeggiava i glutei, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di minore degli anni quattordici; (capo C) di cui agli artt. 56 e 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., comma 1 ed u.c., perchè compiva atti idonei ed inequivocabilmente diretti a costringere la vittima, di anni sette, a subire atti sessuali. Segnatamente, introdottosi nello stabile ove è sita l'abitazione della minore, dapprima fingeva di attendere l'ascensore, poi repentinamente, seguiva sulle scale la minore, diretta a casa, all'evidente fine di compiere atti analoghi a quelli descritti ai capi che precedono, non riuscendovi per la presenza della madre della persona offesa sulla porta dell'abitazione, con l'aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci.
2. Il ricorso è affidato ad un unico motivo, di seguito enunciato, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Con esso il ricorrente deduce l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale con riferimento al giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).
Premette che gli è stata riconosciuta la sussistenza della circostanza speciale della minore gravità dei fatti, di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, oltre alle circostanze attenuanti generiche, entrambe congiuntamente valutate con giudizio di equivalenza, rispetto alla circostanza aggravante di cui all'art. 609-ter c.p..
Ritiene che la dosimetria della pena si sarebbe dovuta ponderare con il criterio normativo indicato dall'art. 63 c.p., comma 3, nel senso che il giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti generiche e l'aggravante di cui all'art. 609-ter c.p. si sarebbe dovuto compiere separatamente rispetto alla circostanza attenuante ad effetto speciale di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, secondo un orientamento seguito in passato dalla giurisprudenza di legittimità.
Aggiunge che, sul punto, la Corte di merito ha invece sostenuto che la circostanza mitigante contenuta nell'art. 609-bis c.p., comma 3 "concorre nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p.".
La ragione di tale diversa prospettiva di bilanciamento sarebbe, secondo la Corte territoriale, la conseguenza della sentenza della Corte costituzionale n. 106 del 2014 che ha dichiarato illegittimo l'art. 69 c.p., comma 4, - come sostituito dalla L. n. 251 del 2005, art. 3 - nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, sulla recidiva reiterata.
Obietta il ricorrente che la portata della citata sentenza della Corte Costituzionale è da intendersi limitata alle sole ipotesi contenute nell'art. 69 c.p., comma 4, con particolare riferimento anche alla recidiva prevista dall'art. 99, comma 4, ossia solamente nel caso in cui si debba operare il concorso di aggravanti e attenuanti che comportano aumenti o diminuzioni superiori al terzo.
Diversamente, si dovrebbe ritenere che la citata sentenza, senza farne alcun riferimento, abbia di fatto implicitamente abrogato l'art. 63 c.p., comma 3.
Peraltro, la Corte costituzionale nel dichiarare illegittimo l'art. 69 c.p., comma 4, ove non prevedeva la possibilità del giudizio di prevalenza sulla recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, ha argomentato in termini di eccessiva severità della norma poi censurata, poichè lesiva della finalità rieducativa della pena, oltre che irragionevole, poichè fatti di minima entità sarebbero sanzionati con la stessa pena prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 1.
In altre parole, il Giudice delle Leggi, con la propria decisione, aveva inteso preservare la previsione, in termini di pena attenuata, per casi di minore rilievo, ancorchè connotati dalla presenza di reiterate condotte della stessa specie, in cui fossero previsti aumenti considerevoli di pena.
In buona sostanza, ad avviso del ricorrente, una interpretazione allargata della sentenza della Corte costituzionale, coinvolgente le attenuanti e le aggravanti di minore portata, insieme all'attenuante speciale nel giudizio di bilanciamento, paradossalmente vanificherebbe i medesimi principi espressi dalla Corte medesima.
Ma altrettanto paradossalmente, l'orientamento accolto dalla Corte d'appello potrebbe comportare la conseguenza che, in casi del tutto analoghi a quello in esame ma commessi da soggetto plurirecidivo, possa astrattamente applicarsi la medesima pena.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. Effettivamente la Corte di cassazione ha, in passato, affermato che, in tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall'art. 609-bis c.p., u.c., per i casi di minore gravità non è soggetta al giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p., stante l'obbligatorietà della sua applicazione allorchè ne ricorrano le condizioni (Sez. 3, n. 34902 del 07/06/2007, Izzicupo, Rv. 237200; Sez. 3, n. 3833 del 24/11/2010, dep. 2011, B., Rv. 249404).
Tuttavia, tale orientamento è stato ribaltato sul rilievo che esso, pur avendo un suo razionale fondamento (v. Sez. 3, n. 13866 del 07/12/2016, dep. 2017, G., in motiv.), non potesse essere più predicato a seguito della sentenza con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cost. e art. 27 Cost., comma 3, l'art. 69 c.p., comma 4, come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 3, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, sulla recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 4, sul presupposto che la disciplina censurata, nel precludere relativamente al reato di violenza sessuale la prevalenza dell'attenuante dei "casi di minore gravità" sulla recidiva reiterata, violasse il principio di proporzionalità della pena, perchè impediva il necessario adeguamento della sanzione attraverso l'applicazione della pena stabilita dal legislatore per i suddetti casi e, annullando la diversità delle cornici edittali previste dall'art. 609-bis, commi 1 e 3, in relazione alla fattispecie base e a quella circostanziata, attribuiva alla risposta punitiva i connotati di una pena palesemente sproporzionata e quindi lesiva della sua finalità rieducativa. La Corte costituzionale aveva poi aggiunto che dal divieto stabilito dalla norma censurata derivassero, inoltre, conseguenze manifestamente irragionevoli sul piano sanzionatorio, tenuto conto della divaricazione tra i livelli minimi di pena previsti per la fattispecie base (cinque anni) e per quella circostanziata (un anno e otto mesi), in quanto, per effetto dell'equivalenza tra la recidiva reiterata e l'attenuante, l'imputato era soggetto ad un aumento di pena assai superiore a quello specificamente previsto dall'art. 99 c.p., comma 4, che, a seconda dei casi, è della metà o di due terzi, con conseguente violazione, infine, del principio di uguaglianza perchè fatti anche di minima entità venivano ad essere irragionevolmente sanzionati con la stessa pena, prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 1, per le ipotesi di violenza più gravi, vale a dire per condotte che, pur aggredendo il medesimo bene giuridico, fossero completamente diverse, sia per le modalità, sia per il danno arrecato alla vittima (Corte Cost., sent. n. 106 del 11/03/2014, RV. 37900).
Nel pervenire a siffatto approdo interpretativo la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto come detta attenuante partecipi, a pieno titolo, al giudizio di comparazione.
Diversamente, e con tutta evidenza, avrebbe ritenuto non rilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata.
E' stato pertanto affermato che, in tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, concorre nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p. (Sez. 3, n. 13866 del 07/12/2016, dep. 2017, G., Rv. 269328).
Pertanto, in mancanza, a livello di teoria generale del reato, di una differenziazione, quanto agli effetti giuridici che ne conseguono, tra "diminuente", quale elemento accidentale del reato cui obbligatoriamente deriva, sulla base della littera legis ("la pena è diminuita"), un'attenuazione della pena, e "circostanza attenuante", quale elemento accidentale tout court che, nel concorso con circostanze aggravanti, richiede necessariamente l'espletamento del giudizio di comparazione, e, dunque, in presenza di una ritenuta e piena sovrapponibilità concettuale tra i predetti istituti, la regula iuris applicabile è nel senso che deve essere eseguito il bilanciamento tra le circostanze che diminuiscono la pena con le circostanze che l'aumentano, secondo gli esiti della prevalenza dell'una sull'altra o dell'equivalenza e della conseguente neutralizzazione tra le stesse, salvi i casi in cui la legge espressamente sottragga, nel caso di concorso tra circostanze eterogenee, la diminuente o la circostanza attenuante al giudizio di bilanciamento.
Per questa ragione, in tema di reati sessuali, anche la diminuente del fatto di minore gravità non si sottrae al giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. in caso di concorso con una o più aggravanti.
Certamente la natura "pesante" di tale diminuente, come anche sottolineata dalla stessa Corte costituzionale (sia pure limitatamente al concorso con la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4) e come desumibile dalla sua introduzione nel sistema penale a seguito della riforma dei reati sessuali, consiglierebbe un intervento legislativo diretto a renderne obbligatoria l'applicazione, pur nel concorso con circostanze di segno opposto, ma a tale approdo non è possibile pervenire in assenza di una precisa previsione normativa che deroghi, in favor rei, al regime del bilanciamento di cui all'art. 69 c.p..
Nè a tale conclusione osta il rilievo sollevato dal ricorrente secondo il quale, in tal modo, si giungerebbe a disapplicare il principio di calcolo fissato nell'art. 63 c.p., comma 3.
Quest'ultima disposizione, infatti, riguarda esclusivamente il concorso di circostanze omogenee, con la conseguenza che, quando una circostanza attenuante ad effetto speciale - come, nella specie, quella della minore gravità prevista dall'art. 609-bis, u.c. o dall'art. 609-quater c.p., penultimo comma - concorre con una circostanza aggravante, si applica la previsione dell'art. 69 c.p., comma 4, ossia l'obbligatorio giudizio di comparazione, e non la disposizione dell'art. 63, comma 3, che riguarda esclusivamente il concorso di circostanze omogenee (Sez. 4, n. 3557 del 12/01/2012, Ciavarella, Rv. 252671; Sez. 3, n. 2134 del 16/12/2008, dep. 2009, Lo Vasco Rv. 242178; Sez. 4, n. 16444 del 20/02/2007, Severa, Rv. 236606; Sez. 6, n. 37016 del 15/10/2002, Mazzei, Rv. 222845).
3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019