RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20 febbraio 2020, il G.U.P. del Tribunale di Verona condannava A.M. alla pena di 11 anni di reclusione e B.G. alla pena di anni 6 e mesi 8 di reclusione, in quanto ritenuti colpevoli, entrambi, del reato di violenza sessuale in danno di A.S.E. (capo A, commesso in (OMISSIS)), nonché dei delitti di sequestro di persona (capo C), di tortura (capo D), di violenza sessuale di gruppo (capo E) e di violenza privata (capo F) in danno di R.M. (fatti commessi in (OMISSIS)), mentre il solo A. veniva dichiarato colpevole anche di due ulteriori capi, aventi ad oggetto i reati di violenza sessuale (capo I) e di violenza privata (capo 3), reati questi ultimi due posti in essere in danno di D.L.O. (fatti questi commessi in (OMISSIS)).
A. e la B. venivano invece assolti dai residui reati di cui ai capi B (contestato a entrambi), G e H (ascritti al solo A.), capi riguardanti, i primi due, il reato di sequestro di persona e, il terzo, il reato di tortura.
Con la medesima sentenza, gli imputati venivano condannati altresì al risarcimento dei danni subiti dalle costituite parti civili, liquidati in complessivi Euro 15.000 in favore di A.S.E. e di Euro 12.000 ciascuna in favore di R.M. e D.L.O..
Con sentenza del 21 gennaio 2021, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rideterminava la pena inflitta ad A. in anni 9 di reclusione e la pena inflitta alla B. in anni 5, mesi 6 e giorni 20 di reclusione, confermando nel resto la decisione del G.U.P..
2. Avverso la sentenza della Corte di appello lagunare, A. e la B., tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. La difesa di A. ha sollevato sette motivi.
Con il primo, la difesa censura la valutazione della attendibilità della persona offesa R.M., evidenziando che costei aveva reso dichiarazioni palesemente false, a partire dalla collocazione temporale dei fatti, pacificamente avvenuti il (OMISSIS), giorno dell'inoltro dal cellulare della B. a quello di A. dei due filmati che ritraevano la R. intenta a compiere atti sessuali, dovendosi quindi ritenere che la collocazione dei fatti al (OMISSIS) sia avvenuta artatamente ex post, a seguito della visione dei filmati. Del resto, aggiunge la difesa, se la denunciante avesse subito una violenza così significativa il primo gennaio, non avrebbe potuto dimenticarlo: in realtà, l'incontro del (OMISSIS) fu preventivamente concordato, spiegandosi in questa ottica la chiamata di A. alla R. alle 21.42 di quel giorno.
Parimenti ignorata dalla Corte territoriale sarebbe la circostanza della mancata refertazione dei segni sul corpo della denunciante a distanza di due mesi dal fatto, quando ella, rintracciata dalla Questura, mostrò agli operanti alcuni segni che sarebbero stati indebitamente ricondotti alle presunte violenze di A., senza però alcun accertamento peritale circa l'entità e la risalenza di tali segni.
La R., peraltro, avrebbe mentito sin dall'inizio della sua narrazione, quando cioè ha omesso di riferire di conoscere A. da tempo e di prostituirsi.
Con il secondo motivo, si contesta il giudizio sulla sussistenza del reato di tortura, rilevandosi che la Corte territoriale ha ritenuto sufficiente il richiamo alle dichiarazioni contraddittorie della persona offesa per ritenere configurabile una fattispecie che, come precisato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, richiede l'esistenza di acute sofferenze fisiche o di un trauma psichico verificabile, requisiti che, nella vicenda in esame, non possono ritenersi comprovati, non potendo bastare il riferimento alle condizioni emotive in cui versava la donna al cospetto della P.G., tanto più che il racconto della R. non è stato videoripreso.
Il terzo motivo è dedicato al reato di sequestro di persona di cui al capo C, rispetto al quale si osserva che tale fattispecie doveva ritenersi assorbita in quelle concorrenti, come ritenuto dal G.U.P. con riferimento alle analoghe imputazioni riferite a D.L.O. (capo G) e a A.S.E. (capo B).
Con il quarto motivo, oggetto di critica è la valutazione di attendibilità della persona offesa A.S.E., non avendo la Corte di appello spiegato le ragioni per le quali la denunciante, che avrebbe dovuto fare la baby sitter per una notte, abbia acconsentito di incontrare la coppia A.- B. a un'ora tarda, non essendo stato altresì chiarito il motivo per il quale la presunta offesa, una volta resasi conto del comportamento anomalo degli imputati, non sia scesa dall'auto durante il tragitto, atteso che non era stata privata della libertà.
Con il quinto motivo, a essere censurata è la valutazione di attendibilità della persona offesa D.L.O., avendo per essa la Corte territoriale affermato che la dinamica dell'aggressione da lei riferita collima con le riprese, quando in realtà i due video non riprendono affatto la violenza, né tantomeno la dinamica dei fatti, trattandosi di filmati della durata di pochi secondi, i cui fotogrammi mostrano un rapporto orale scevro da violenze; peraltro, il tenore dei messaggi scambiati il giorno prima (27 dicembre) e il giorno dei fatti (28 dicembre) depone per la tesi della consensualità dei rapporti sessuali avvenuti, tanto più ove si consideri che la D.L., a 10 giorni dalla presunta violenza, ha volontariamente scritto ad A., che non la contattava ormai da 8 giorni.
Con il sesto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 192 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonché la carenza di motivazione rispetto al contenuto della perizia informatica effettuata dal tecnico M.M., sottolineandosi che la Corte di appello aveva omesso di valutare i dati estrapolati dalla difesa dal consistente materiale acquisito, da cui era emerso che la coppia A.- B. si prostituiva e amava navigare prevalentemente su siti a contenuto pornografico, desumendosi dai messaggi acquisiti l'esistenza di una realtà rappresentata da ragazze che solo apparentemente si proponevano come baby sitter, ma che in realtà erano disposte a incontri sessuali a pagamento, da ciò ricavandosi che A. non aveva bisogno di forzare una ragazza, tante erano le occasioni in cui poteva organizzare altri incontri con ragazze disponibili.
Con il settimo motivo, la difesa si duole del trattamento sanzionatorio, eccependo la carenza di motivazione della sentenza impugnata sia rispetto agli aumenti per la continuazione, essendosi la Corte di appello limitata a un mero computo matematico, senza addurre alcuna motivazione al riguardo, sia in ordine all'applicazione della recidiva reiterata, annoverando A. nel suo certificato penale tre condanne, l'ultima delle quali riguardanti fatti del maggio 2013, difettando dunque la maggiore capacità a delinquere dell'imputato.
2.1.1. In data 2 marzo 2022, è pervenuta una memoria a firma del ricorrente A., il quale ha sottolineato l'ingiustizia della sua condanna.
2.2. La difesa della B. ha sollevato quattro motivi.
Con il primo, la difesa censura l'affermazione della penale responsabilità dell'imputata in ordine al delitto di violenza sessuale contestato al capo A, contestando in particolare l'errata interpretazione delle risultanze probatorie acquisite e la mancata considerazione delle circostanze a favore della ricorrente, non essendosi in particolare tenuto conto di come la B. fosse certa della natura consensuale del rapporto sessuale tra Antimari e la A.E.; all'imputata infatti erano noti i trascorsi del marito, il quale era solito adescare donne su alcuni siti internet, per poi consumare con loro rapporti sessuali a pagamento. Peraltro, ha riferito la persona offesa che, una volta salita in auto, la B. si presentava a lei con il suo nome di battesimo, il che conferma che l'imputata non era a conoscenza delle intenzioni del marito, altrimenti si sarebbe inventata un nome di fantasia per non farsi identificare, essendo altresì significativo il fatto che, quando A. ha strappato il cellulare dalle mani della A.E., la B. si era già allontanata, ciò a conferma della sua estraneità ai fatti.
L'imputata, in definitiva, quella sera si era limitata a svolgere un ruolo di mera accompagnatrice, convinta che le intenzioni del marito non si spingessero sino al compimento di atti di violenza sessuale, essendo irrilevante il presunto "ghigno" riferito dalla persona offesa, espressione questa che peraltro sarebbe stata poco visibile, in ragione delle condizioni di scarsa visibilità dei luoghi.
La difesa deduce inoltre la violazione dell'art. 114 c.p., comma 3, rilevando che la B. è stata soggetta a un costringimento psichico da parte del marito, che si è reso autore di minacce e violenze psico-fisiche in danno della moglie.
Da ultimo, è stata eccepita la violazione dell'art. 59 c.p., comma 2, rispetto al riconoscimento delle aggravanti di cui all'art. 609 ter c.p., comma 1, n. 2 e 4, rimarcandosi, da un lato, che la B. non era a conoscenza del possesso da parte del marito del taglierino usato per minacciare la vittima, e, dall'altro, che non vi è stata alcuna coartazione degli imputati al fine di spingere la ragazza a seguirli sul campo, ma solo l'uso di artifici e raggiri per trarla in inganno, avendo in ogni caso A. intimidito la A.E. limitandola nella sua libertà personale quando ha eseguito gli atti di violenza sessuale, ovvero nel momento in cui la B. ormai si era già allontanata dal luogo del fatto.
Le due aggravanti non erano dunque né conosciute né conoscibili dall'imputata.
Con il secondo motivo, viene criticato il giudizio sulla sussistenza del delitto di sequestro di persona contestato al capo C, osservandosi che dall'istruttoria era emerso che la persona offesa R.M. è salita spontaneamente nella macchina di A., il quale, in virtù della loro pregressa conoscenza, l'aveva contattata per consumare un rapporto sessuale a pagamento.
Al contempo, A. aveva convinto la moglie a lui soggiogata a nascondersi nel bagagliaio dell'auto per partecipare poi a un gioco a sorpresa all'insaputa della R..
Risulta dunque pacifico che era stato ordito un tranello da parte di A., che aveva assunto poi esiti non previsti dalla B., il che non toglie tuttavia che non vi fu alcun sequestro, posto che la R. è salita volontariamente in auto.
Ancora, la difesa, rispetto al reato di sequestro di persona, contesta il giudizio sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1, rimarcando il fatto che la Corte di appello non ha indicato quali sarebbero i motivi che avrebbero contraddistinto l'agire della coppia A.- B., nel momento in cui è intervenuto il sequestro della R., dovendosi in ogni caso escludere che si sia trattato di motivi abietti o futili, posto che la ricorrente è stata indotta dal marito a nascondersi nel bagagliaio esclusivamente per confrontarsi con la R. in merito al rapporto sentimentale intercorrente tra la predetta e il marito, non potendo questo unico sentimento di risentimento integrare l'aggravante de qua.
Con il terzo motivo, la difesa, rispetto al capo F, lamenta il mancato assorbimento dei reati di violenza privata in quello di violenza sessuale ovvero in quello di tortura, osservando che l'intera vicenda è stata caratterizzata da una escalation di condotte minatorie e violente indissolubilmente concatenate, essendo le registrazioni video e le minacce, contestuali nello spazio e nel tempo, parti essenziali delle condotte di violenza sessuali e/o di tortura, risultando un corollario delle stesse, avendo tutte la medesima finalità di un perverso appagamento sessuale; in quest'ottica, la difesa sottolinea che anche le minacce in merito all'eventuale uso strumentale del video sono state rivolte durante la violenza, essendosi in presenza in definitiva di un unico episodio illecito.
Con il quarto motivo, oggetto di doglianza, sotto il duplice profilo della inosservanza della legge penale e della mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, è il diniego delle attenuanti generiche, dolendosi la difesa della mancata considerazione da parte dei giudici di merito di elementi favorevoli all'imputata, come le violenze psico-fisiche subite dalla donna da parte di A., la condizione di madre di un figlio molto bravo a scuola, l'impegno lavorativo e non solo messo in atto dall'imputato sin dalla detenzione carceraria, il percorso terapeutico intrapreso e tuttora in corso, l'avvio e la conclusione della causa di separazione dal marito e il successivo avvio di quella di divorzio.
Sarebbe comunque manifestamente illogica l'affermazione secondo cui il contegno della B. sarebbe meno grave di quello di A., non potendo dipendere il riconoscimento delle attenuanti generiche da un giudizio di comparazione tra le posizioni degli imputati, fermo restando che tra le posizioni dei due ricorrenti sussistono differenze abissali, avuto riguardo al ben diverso comportamento tenuto dai due prima, durante e dopo il compimento dei reati, essendo in ogni caso non omogenee le condizioni di vita degli imputato, nel senso che la B., a differenza di A., ha avuto sin da giovanissima una vita difficile e infelice, accompagnandosi a un soggetto che le usava violenza e avendo poi incontrato A., che ha iniziato a dominarne l'esistenza fino a farla prostituire e a partecipare a incontri sessuali di vario genere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata, in parziale accoglimento del secondo motivo del ricorso di B.G., estensibile anche ad A., deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla contestata circostanza aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 1, mentre i ricorsi devono essere disattesi nel resto.
1. Prima di soffermarsi sulle censure difensive in punto di responsabilità, appare utile ripercorrere i passaggi essenziali della vicenda storica per cui si procede, per come ricostruita nelle due conformi sentenze di merito.
1.1. Al riguardo deve premettersi che il procedimento, nel quale sono coinvolte tre diverse persone offese, ha avuto origine dall'intervento degli agenti della Sezione Volanti della Questura di Verona che, alle due di notte dell'(OMISSIS), si recavano presso (OMISSIS), dove era stata segnalata una violenza sessuale nei confronti di una donna: sul posto venivano identificati due amici della vittima, A.S.E., la quale aveva chiesto il loro aiuto, affermando di essere stata stuprata e abbandonata; la ragazza, seduta su un marciapiede in lacrime e in evidente stato di agitazione, veniva accompagnata prima presso l'Ospedale (OMISSIS) per le cure del caso, e poi presso gli uffici della Questura, dove sporgeva denuncia-querela.
Dopo aver premesso di essere una studentessa universitaria, la querelante riferiva che, il pomeriggio del 10 gennaio 2019, aveva risposto a un annuncio online per la ricerca di una baby sitter, dando la propria disponibilità; dopo un po' era stata quindi contattata da una donna, con cui prendeva appuntamento alle ore 23 a (OMISSIS), stante la necessità di lavorare già quella notte.
Recatasi all'appuntamento, la A.E. si incontrava con una donna a bordo di un'auto di piccole dimensioni, che le diceva che, prima di andare a casa, doveva passare a prendere il marito: questi saliva dopo essersi fatto trovare nei pressi di un supermercato e a quel punto l'auto con i tre, invece di andare a casa, si dirigeva verso un campo appartato nella zona di (OMISSIS).
Fermata l'auto, la conducente scendeva e si allontanava a piedi, mentre l'uomo, rimasto solo con la ragazza, estraeva un taglierino e, con la minaccia dell'arma e nonostante l'opposizione della ragazza, che iniziava a piangere, costringeva costei prima a denudarsi nella parte superiore del corpo e poi a subire dei ripetuti palpeggiamenti al seno, mentre l'uomo la fotografava con il suo cellulare. Infine, la ragazza veniva obbligata a praticare un rapporto orale completo di eiaculazione, al termine del quale l'uomo la minacciava di morte, costringendola a cancellare i messaggi che si erano scambiati prima dell'incontro.
Quindi la A.E. veniva riaccompagnata nei pressi di (OMISSIS) dall'uomo che faceva poi perdere le sue tracce; quindi la ragazza chiamava la sua amica di studi F.S., raccontandole quanto accaduto; mentre in Ospedale era in attesa della visita, la querelante effettuava delle ricerche su facebook, inserendo l'utenza telefonica con cui era stata contattata, che aveva memorizzato sul cellulare con il nome baby sitter: usciva in tal modo un profilo a nome "(OMISSIS)", in cui la ragazza riconosceva l'autore della violenza e la donna che era con lui. La scoperta veniva messa a conoscenza degli operanti, i quali, senza dirlo alla ragazza, riconoscevano nelle persone mostrate i volti di A.M. e B.G., soggetti già noti alle Forze dell'Ordine. In sede di denuncia, venivano sottoposti alla A.E. due album fotografici, consultando i quali la ragazza riconosceva subito negli imputati i protagonisti della vicenda narrata.
Risultava inoltre che l'utenza che aveva contattato la persona offesa era in uso a B.G., moglie di A., la quale aveva preso a noleggio dal 1 al 30 gennaio 2019 l'autovettura a bordo della quale si era recata all'appuntamento. Sulla base di questi elementi, in data 14 gennaio 2019, veniva emessa ordinanza applicativa della custodia in carcere nei confronti di A. e della B..
1.2. Al momento dell'esecuzione della misura, venivano sequestrati i telefoni cellulari e altro materiale informatico in uso agli indagati; dalle verifiche tecniche eseguite emergeva la presenza di un video estrapolato dal cellulare nella disponibilità della B., nel quale è ripresa una ragazza, chiamata con il nome di M., mentre è costretta a compiere un rapporto orale con A., chiedendo, in lacrime, di non essere ammazzata; l'indagato tuttavia le risponde "non ti uccidiamo se fai quello che ti dico, muoviti", mentre la B. dice: "cara mia l'opportunità te l'avevo data". In un secondo filmato, A. riprende la stessa ragazza mentre lecca l'ano alla B., inquadrata di spalle, e a un certo punto A., che si sente ansimare, interrompe la ragazza perché venga ripresa in viso e poi la esorta a continuare. La ragazza veniva identificata in R.M., la quale, convocata negli uffici della Questura, dopo aver appreso che la A. e la B. erano stati arrestati, superava la paura iniziale e mostrava agli operanti i segni di alcune bruciature di sigaretta (oggetto di rilievi fotografici da parte della P.G.) che i due le avevano inferto circa un mese prima, aggiungendo che in quella circostanza era stata anche frustata.
La ragazza si decideva quindi a sporgere querela, dichiarando di conoscere A. da circa due anni e precisando di aver bloccato il suo contatto su facebook, perché egli continuava a chiederle di uscire con lui, nonostante i suoi rifiuti, avendo poi l'indagato continuato a cercarla anche sul cellulare.
Ciò posto, la ragazza riferiva che verso la metà di gennaio, una sera verso le 23, mentre tornava a casa, veniva affiancata da un'auto, alla cui guida c'era A.. Questi le chiedeva di avvinarsi perché doveva dirle una cosa e lei acconsentiva sporgendosi verso di lui, quando all'improvviso A. scendeva dall'auto, la sollevava di peso e la sbatteva sul sedile posteriore dell'auto, per poi ripartire velocemente, pronunciando la frase: " G. a posto"; improvvisamente dal baule dell'auto sbucava con il solo busto la B., la quale teneva la R. bloccata con le mani, mentre A. sottraeva alla ragazza borsa e cellulare, tutto questo mentre la moglie, picchiando la R., dandole numerosi schiaffi sul viso che la facevano sanguinare dal naso e dalla bocca, diceva che gliel'avrebbe fatta pagare "a questa puttana che vuole rubarmi il marito".
La ragazza veniva quindi condotta in un campo nei pressi di (OMISSIS), dove, una volta scesi, diveniva suo malgrado destinataria di schiaffi, calci e tirate di capelli. Quindi i due indagati le ordinavano di spogliarsi e la B., mentre continuava a insultarla, con un ramo di albero procuratole da A., iniziava a frustare la R., nel frattempo fatta inginocchiare, colpendola alla schiena, sul sedere e poi anche sulle gambe, quando la ragazza si era alzata per il male che sentiva.
Quindi A. e la B. iniziavano a fumare ed entrambi spegnevano la sigaretta sulla schiena, sulle gambe e sulle mani della R., rimasta nuda nel campo, riempiendola di sputi e insulti, nonostante ella li supplicasse di smetterla. Subito dopo, la B. esclamava alla R.: "adesso fammi vedere quanto sei brava a succhiare il cazzo al mio moroso", al che A. tirava fuori il suo pene e sollecitava la ragazza a praticargli un rapporto orale; ciò avveniva mentre la B. riprendeva la scena con il cellulare, riprendendo il volto di lei, desumendosi peraltro dal filmato che l'uomo non raggiungeva l'erezione, tanto è vero che a un certo punto diceva alla moglie che "toccava a lei" e a quel punto era A. a riprendere la R. mentre praticava un rapporto orale alla moglie.
Alla fine, A. si avvicinava alla persona offesa, puntandole addosso un coltello da cucina e minacciandola di uccidere la famiglia se avesse parlato con qualcuno; quindi, insieme alla moglie, la riaccompagnava nei pressi di casa sua.
1.3. Il (OMISSIS), in relazione a questi fatti, veniva quindi emessa una nuova ordinanza cautelare nei confronti di A. e della B. e, nel frattempo, dalla consulenza informatica eseguita sui telefoni cellulari sequestrati agli indagati, venivano estrapolati altri due filmati ritenuti di interesse investigativo, in cui era coinvolta una terza ragazza, chiamata O., intenta a praticare un rapporto orale ad A., il quale a un certo punto le dice di girarsi di schiena e che avrebbe posato il coltello: la ragazza veniva identificata in D.L.O., residente a Conegliano Veneto e convocata in Questura. Una volta negli uffici della Questura, la ragazza spontaneamente dichiarava di aver capito subito il motivo della convocazione e aggiungeva di aver avuto problemi con un uomo incontrato tempo addietro a Verona e del quale aveva ancora paura, ma una volta appreso che l'uomo si trovava in carcere, la donna scoppiava in un pianto liberatorio e decideva di sporgere querela.
Riferiva la D.L. che, ad agosto/settembre 2018 aveva messo degli annunci su alcune bacheche online per la ricerca di un lavoro come baby sitter: era stata quindi contattato da un uomo che, dopo alcuni contatti interlocutori, si faceva risentire nel dicembre 2018, dicendole di abitare a Verona e di avere bisogno di una dama di compagnia per una sera, in cambio di una somma tra i 500 e i 700 Euro, precisando di essere solito aiutare persone in difficoltà, perché benestante. I due quindi si mettevano d'accordo, per vedersi il (OMISSIS): qualche I giorno prima, l'uomo le scriveva se disponibile ad andare oltre il semplice incontro, ma la donna rispondeva assolutamente di no, al che il suo interlocutore la tranquillizzava, dicendole che avrebbero solo parlato; la sera del 28 dicembre i due si incontravano e A., dopo aver fatto salire la ragazza sulla sua macchina con la promessa di portarla in un posto tranquillo, la portava in mezzo a un campo e, spento il motore dell'auto, le chiedeva di spostarsi sul sedile posteriore, assumendo repentinamente un atteggiamento intimidatorio.
La D.L. obbediva e A., sedutosi anch'egli sul sedile posteriore, ordinava alla persona offesa di spogliarsi, estraendo dal giubbotto un coltello, puntandolo all'altezza del torace della ragazza, dicendole: "adesso me lo devi succhiare, non ti devi fermare. Dopo verranno degli amici miei e dovrai farlo anche con loro"; nonostante avesse iniziato a piangere e a singhiozzare dalla paura, la D.L., temendo di essere uccisa, si vedeva costretta a praticare un rapporto orale ad A., mentre questi iniziava a girare un video, posando nel frattempo il coltello sul sedile vicino a sé, tenendolo sempre a portata di mano.
Al termine del rapporto, l'indagato faceva scendere dall'auto la ragazza, costringendola a camminare a quattro zampe avanti e dietro mentre lui si masturbava, colpendola con schiaffi al volto e cercando invano di penetrarla da dietro; quindi, faceva risalire la donna in macchina, dove costringeva la D.L. a praticargli un altro rapporto orale completo e a ingoiare il suo sperma.
A quel punto A. faceva rivestire la ragazza e la riaccompagnava nel punto dove lei aveva lasciato la sua auto, intimandole di non denunciarlo, altrimenti avrebbe pubblicato i video che aveva girato; rimasta sola, la ragazza vomitava e chiamava la sua amica S.U., cui nei giorni successivi raccontò i fatti pur senza scendere nei dettagli; nonostante l'invito dell'amica, la D.L. non se la sentiva di sporgere denuncia, sopraffatta da sentimenti di vergogna e di paura. Per questa vicenda, in data 18 marzo 2019, veniva emessa dal G.I.P. di Verona una terza ordinanza cautelare, stavolta nei soli confronti di A..
2. Orbene, tanto premesso un punto di fatto, occorre evidenziare che, per ciascuna delle tre persone offese, la valutazione sulla attendibilità compiuta dai giudici di merito non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
2.1. In particolare, rispetto alla vicenda riguardante la A.E., sono state ragionevolmente rimarcate dai giudici di merito la precisione e la coerenza del racconto della donna, il cui stato di prostrazione nell'immediatezza del fatto è stata chiaramente percepita dagli agenti della Questura intervenuti, i quali hanno subito accompagnato la ragazza al Pronto Soccorso, dove la persona offesa ha riferito di essere stata costretta a subire un rapporto orale con eiaculazione.
Peraltro, al momento dell'esecuzione della misura, è stata rinvenuta nel cellulare di A. una foto ritraente la A.E. con il seno nudo e lo sguardo perso, atteggiamento questo non compatibile con la tesi della natura consensuale del rapporto sostenuta da A. (peraltro non nell'immediatezza ma solo alcuni mesi dopo), tanto più ove si consideri che è stata la stessa B., sin dal momento dell'esecuzione della misura e poi anche nell'interrogatorio di garanzia, a dichiarare di aver appreso dal marito che la ragazza era stata costretta a subire le violenze di lui ed era stata minacciata di non denunciarlo, altrimenti le foto che la ritraevano nuda sarebbero finite sul web; del resto, hanno osservato i giudici di merito in modo pertinente, è proprio il comportamento della persona a rivelare la genuinità del suo racconto, avendo ella, una volta rimasta sola, chiesto subito aiuto ai suoi amici, per poi attivarsi per scoprire l'autore della
violenza, manifestando in tutto ciò uno stato d'animo del tutto coerente con la vicenda narrata, peraltro con dovizia di particolari, non assumendo alcun rilievo il fatto che la ragazza abbia accettato un appuntamento tardi, essendo stata ella apparentemente rassicurata dalla presenza all'incontro della sola B..
Ne' può addebitarsi alla donna di non essere scappata subito, non dovendosi dimenticare che l'imputato ha agito puntandole al viso un taglierino.
2.2. In ordine ai fatti riguardanti la R., parimenti non si ravvisano criticità nell'apparato argomentativo delle due sentenze di merito: sia il G.U.P. che la Corte di appello, infatti, hanno osservato come un importante riscontro alla narrazione della ragazza sia costituito dai filmati registrati dagli imputati, che evidenziano una condizione di palese sofferenza da parte della denunciante.
Costei, infatti, è ripresa nuda, sporca di sangue, con segni sul corpo, intenta a supplicare i due imputati di non ammazzarla, mentre costoro la deridono e la minacciano, riprendendo gli atti sessuali che la ragazza era costretta a compiere prima con A. e poi con la B.; dunque, non di un gioco erotico sadomaso si trattava, ma di una serie reiterata di costrizioni e di intimidazioni. Del resto, un ulteriore indice della credibilità del racconto della denunciante è stato individuato nel fatto che la R. non si è recata spontaneamente in Questura a riferire i fatti, ma lo ha fatto solo dopo essere stata convocata dagli inquirenti, iniziando a parlare solo dopo essere stata tranquillizzata circa la presenza in carcere degli imputati, di cui ricordava ancora le minacce e di cui conservava sul corpo i segni delle violenze fisiche subite oltre un mese prima.
Un'altra conferma all'attendibilità della persona offesa è poi stata ravvisata nelle stesse dichiarazioni della B., la quale ha ammesso di essersi nascosta nel bagagliaio dell'auto su cui il marito ha fatto salire la R., condotta questa che mal si concilia con la tesa difensiva di un preordinato rapporto consensuale a tre, ma che al contrario rivela l'esistenza di un tranello in danno della vittima.
Ora, i giudici di merito, nel confrontarsi con le deduzioni difensive, non hanno mancato di segnalare alcune incongruenze nel racconto delta denunciante, ma, in modo non illogico, hanno ritenuto le stesse inidonee a destrutturare la tenuta complessiva della ricostruzione della vittima: in particolare, l'erronea collocazione temporale del fatto, che sarebbe avvenuto il (OMISSIS) 2019 è stata ritenuta scarsamente significativa, essendosi sul punto replicato che nei giorni successivi al 1 gennaio vi sono stati insistiti tentativi di contatto da parte A. verso la R., la quale si negava con varie scuse, il che appare perfettamente coerente con quanto successo in precedenza tra i due, e ciò anche con riferimento alle minacce rivoltele dall'imputato al cospetto del suo rifiuto di vedersi ("già che rispondi così non va bene, attenta").
Sia il G.U.P. che la Corte di appello hanno poi concordato sul fatto che la R. abbia mentito circa i pregressi rapporti con A., emergendo dalle chat acquisite tra i due esisteva un rapporto mercenario, nel senso che la ragazza si prostituiva, ma tale discordanza è stata giustificata in ragioni dei sentimenti di vergogna che evidentemente suscitava nella ragazza il suo vissuto.
Di sicuro, però, la circostanza che in passato la R. abbia avuto rapporti sessuali a pagamento con A. non autorizza a ritenere che la ragazza fosse disposta a subire quel tipo di violenze documentate dai filmati acquisiti, posto che, al contrario, dalle chat estrapolate dal cellulare dell'imputato si evince che la R. è stata sempre contraria ai rapporti violenti che le proponeva l'imputato ("voglio una cosa normale e basta...se ti va di fare come abbiamo fatto sempre bene...se no lo stesso...non voglio ho detto...cose normali e basta").
2.3. Quanto infine alle dichiarazioni della D.L., parimenti sono state rimarcate nelle sentenze di merito sia la genuinità del racconto, scaturito da una convocazione in Questura non preceduta dalla rivelazione dei suoi motivi, sia la partecipazione emotiva della denunciante, che, una volta appreso dell'arresto di A., ha riferito in modo dettagliato i fatti di causa, peraltro senza sapere che la P.G. era a conoscenza del video rinvenuto nel cellulare del ricorrente.
A tal proposito, i giudici di merito hanno evidenziato che dalla visione del filmato in questione emerge dal volto della donna non un coinvolgimento nel compimento dell'atto sessuale, bensì un atteggiamento mesto di rassegnazione, a fronte del tono perentorio dell'imputato, il quale le diceva cosa doveva fare ("più veloce, non ti devi fermare"), a ciò dovendosi aggiungere che, a un certo punto, A. nel video chiede alla donna di girarsi, dicendole: "poggio pure il coltello", inducendo l'utilizzo del coltello nel contesto del compimento di un atto sessuale a ritenere scarsamente credibile la tesi di un rapporto consensuale.
La ragazza ha in seguito rifiutato di incontrarsi con A., mentre il fatto che ella abbia poi cercato di ottenere la remunerazione garantitale dall'imputato è stato ritenuto dalla Corte territoriale un gesto che, per quanto eticamente discutibile, risultava tuttavia rivelatore dell'ingenuità della ragazza la quale, pur non volendo più incontrare il ricorrente, cercava di recuperare quanto meno il denaro che le era stato promesso da A. in vista di quel loro incontro.
2.4. Come ben argomentato dai giudici di merito, i racconti della A.E., della R. e della D.L., oltre a essere intrinsecamente lineari e coerenti, acquistano un'ulteriore credibilità estrinseca nel loro raffronto comparativo, avendo le tre persone offese, che non risulta si conoscessero tra loro, descritto le vicende di cui sono state vittime, riferendo di dettagli (l'uso di taglierini o coltelli, le riprese video, le minacce di divulgarli in caso di denuncia) che rivelano un ben preciso modus agendi rivelatosi costante nel tempo.
In definitiva, in quanto ancorata a considerazioni coerenti con le acquisizioni probatorie e scevra da aspetti di irrazionalità, la valutazione dell'attendibilità delle persone offese compiuta nelle sentenze di primo e secondo non presta il fianco alle censure difensive, che si articolano nella proposta di una lettura alternativa del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
3. Anche rispetto al ruolo della B. nella commissione delle condotte illecite, non vi è spazio per l'accoglimento delle doglianze difensive.
sia invero il G.U.P. che la Corte di appello hanno sottolineato, in maniera non illogica, il contributo decisivo arrecato dalla moglie dell'imputato nelle vicende illecite che hanno riguardato le persone offese A.E. e R..
Nel primo caso, infatti, la B., pur non avendo partecipato al compimento degli atti sessuali, ha tuttavia compiuto una decisiva condotta agevolatrice, presentandosi all'appuntamento per non spaventare la ragazza, propostasi per il lavoro di baby sitter, andando con lei in macchina a prendere il marito, dirigendosi poi nel campo isolato dove è stata consumata la violenza sessuale. L'imputata ha peraltro riconosciuto di aver agito da "esca" per la persona offesa, essendo a conoscenza delle cattive intenzioni del marito, tanto è vero che, prima di andare via a piedi, ha visto che A. aveva strappato il cellulare alla ragazza, di cui peraltro aveva colto la serietà, ma, nonostante ciò, si era allontanata facendo un ghigno alla A.E., sapendo cosa le sarebbe capitato. Né, nella dinamica dei fatti, è emersa una condizione di assoggettamento della ricorrente rispetto al marito tale da giustificare l'esclusione della sua responsabilità, avendo la B. fatto da sponda all'iniziativa illecita di A.. Rispetto alla vicenda relativa alla R., poi, il contributo della ricorrente è stato ancora più diretto ed eclatante, essendo la B. spuntata all'improvviso dal bagagliaio dell'auto, dopo che il marito vi aveva spinto con forza la R., spaventandola, insultandola, tirandole i capelli e picchiandola, pronunciando, durante il tragitto verso il campo isolato, la frase "adesso gliela faccio pagare a questa puttana che vuole rubarmi il marito", ciò a riprova del risentimento provato verso la donna e della sostanziale convergenza di interessi con A., risultando in quest'ottica molto significativa anche la frase ("cara mia, l'opportunità te l'aveva data") che la ricorrente pronuncia durante la registrazione del filmato in cui la R. viene ripresa dai due ricorrenti mentre è costretta, suo malgrado, a compiere gli atti sessuali nei loro riguardi.
In entrambe le vicende, invero, è stato ragionevolmente escluso che la B. abbia agito perché manipolata dal marito, avendo ella consapevolmente affiancato A. o favorendone in modo decisivo gli intenti illeciti (vicenda A.), o comunque partecipando in prima persona all'aggressione fisica e sessuale (vicenda R.), essendo stato correttamente differenziato anche il titolo di reato ascritto alla ricorrente, nel senso che, in un caso (vicenda A.E.), è stato contestato il concorso nell'altrui violenza sessuale, cui l'imputata non ha preso parte, mentre, nel secondo caso (vicenda R.), la B. è stata chiamata a rispondere di violenza sessuale di gruppo, stante in questo episodio il coinvolgimento diretto della ricorrente nella costrizione della vittima a compiere gli atti sessuali, nei confronti sia di A. che di se stessa.
Ribadito dunque che la B., per quanto succube del marito, non versava tuttavia in una condizione in cui era annullata la sua capacità di discernimento e di reazione, deve evidenziarsi che, come osservato dalla Corte territoriale, pur a voler ritenere che il comportamento della ricorrente sia stato ispirato da un mero atteggiamento di accondiscendenza verso il marito, ciò configurerebbe al più un movente che, in quanto tale, non esclude l'ascrivibilità all'imputata delle condotte illecite, alla cui realizzazione ella ha contribuito coscientemente.
3.1. Quanto alla posizione di A., richiamato il suo ruolo di primo piano in ciascuna delle tre vicende contestate, deve solo osservarsi, in replica al quinto motivo del suo ricorso, che la doglianza sul difetto di motivazione della sentenza impugnata circa la valutazione della consulenza informatica del Dott. M. non risulta formulata in termini specifici, non essendo state illustrate le singole parti della consulenza che sarebbero state non considerate dalla Corte di appello e che avrebbero consentito di smentire la ricostruzione accusatoria.
Peraltro, nel motivo di ricorso si fa riferimento a persone, come tale B.P.C., estranee alle tre vicende oggetto delle odierne imputazioni.
Quanto poi al riferimento alla consuetudine di A. di frequentare persone dedite alla prostituzione, magari inizialmente contattate attraverso il sito dedicato alle proposte di lavoro delle baby-sitter, deve osservarsi che la facilità con cui l'imputato, anche grazie alla complicità della moglie, poteva procurarsi occasioni per incontri sessuali a pagamento non esclude affatto che, in determinati contesti, il ricorrente abbia inteso, peraltro più di una volta, superare il dissenso delle ragazze contattate, anche se già in passato disponibili a rapporti mercenari, mediante condotte violente e gravemente limitative della libertà e della dignità delle vittime, come avvenuto in ciascuno dei tre episodi contestati.
4. Immune da censure è anche la qualificazione giuridica dei fatti.
4.1. Quanto alla configurabilità del reato di tortura (capo D), deve osservarsi che lo stesso è stato ritenuto correttamente configurabile dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto sussistenti i presupposti richiesti dall'art. 613 bis c.p., avendo A. e la B. compiuto, con condotte reiterate, violenze gravi idonee a cagionare alla R. acute sofferenze fisiche: la vittima, in particolare, dopo essere stata proditoriamente privata della libertà, è stata costretta, in una notte di pieno inverno, a spogliarsi completamente in un campo abbandonato (mentre gli imputati si erano denudati solo nelle parti intime), venendo sottoposta a insulti, minacce e soprattutto coercizioni fisiche, consistite sia in frustrate sulla pelle nuda con un ramo d'albero, sia nello spegnimento delle sigarette da loro fumate sul corpo, usato come un posacenere; tale condotta, posta in essere nonostante i ripetuti pianti della ragazza e le sue implorazioni di smetterla, è stata tale da annullare ogni sua possibilità di reazione e di provocare nella vittima "un dolore insopportabile", le cui tracce materiali sono rimaste ben visibili sul pelle della R. anche a distanza di un mese e mezzo.
A ciò deve solo aggiungersi che il delitto di tortura, nella vicenda in esame, non può ritenersi assorbito nel più grave reato di violenza sessuale di gruppo, non solo in ragione della diversità del bene giuridico violato (in un caso la libertà fisica e psichica, nell'altro la libertà sessuale), ma anche alla luce della non sovrapponibilità strutturale delle relative condotte, dotate di forme di manifestazione diverse, dovendosi cioè ritenere che la violenza posta in essere nei confronti della persona costretta a subire o a compiere atti sessuali acquisti una sua autonoma rilevanza nel momento in cui, oltre a essere funzionale a coartare la vittima nella sfera della sua libertà sessuale, si estrinsechi, prima, durante o dopo l'atto sessuale, in un'ulteriore sopraffazione fisica e psicologica del soggetto passivo, provocando in esso uno degli eventi richiesti dalla norma incriminatrice, ovvero o acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico. Dunque, nel caso di specie legittimamente è stato ritenuto ravvisabile il concorso tra i reati di violenza sessuale di gruppo e di tortura, avendo la condotta dei ricorrenti travalicato il perimetro della violenza necessaria a superare il dissenso della vittima, estrinsecandosi in reiterate e fortissime vessazioni fisiche e morali che sono andate ben oltre l'impiego della vis funzionale alla coercizione sessuale.
4.2. Quanto al mancato assorbimento dei reati di sequestro di persona (capo C) e di violenza privata (capo F) in quelli di violenza sessuale di gruppo o di tortura, riferiti alla vicenda della R., parimenti non si ravvisano criticità.
In ordine alla fattispecie di cui all'art. 605 c.p., infatti, è stato osservato sia dal G.U.P. che dalla Corte di appello che la R. non ha subito la privazione della libertà personale esclusivamente per il tempo necessario alla commissione della violenza sessuale di gruppo e della tortura, ma anche per un tempo apprezzabile, precedente all'esecuzione dei reati e costituito dal tempo utilizzato per compiere il tragitto dal luogo in cui la vittima è stata prelevata, fino al campo isolato dove sono avvenute le violenze, non potendo tale segmento di condotta essere assorbito negli altri due reati, ciò in coerenza con l'affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 967 del 26/11/2014, dep. 2015, Rv. 261638), secondo cui, in tema di concorso di reati, il delitto di sequestro di persona concorre con quello di violenza sessuale di gruppo, allorquando la privazione della libertà di movimento della vittima si protrae oltre il tempo strettamente necessario al compimento degli atti di violenza sessuale, a nulla rilevando che l'impedimento ad allontanarsi sia precedente, contestuale o successivo allo svolgersi delle violenze. Analogo principio è stato elaborato peraltro anche rispetto al reato di tortura, avendo la giurisprudenza di legittimità precisato (cfr. Sez. 2, n. 1729 del 01/12/2021, dep. 2022, Rv. 282523) che si configura il concorso tra i reati di sequestro di persona e di tortura, nel caso in cui la privazione della libertà personale della vittima si protragga oltre il tempo necessario al compimento degli atti di tortura, mentre nel caso di specie le distinte condotte illecite risultano strutturalmente autonome sul piano cronologico e contenutistico.
Quanto al delitto di violenza privata, è stato sottolineato (pag. 13 della sentenza impugnata e pag. 20 della sentenza di primo grado) che, dopo la violenza sessuale, A. puntava un coltello verso la R., minacciandola di non parlare con nessuno di ciò che avevano fatto e di non denunciarli, perché altrimenti avrebbe ucciso la sua famiglia, sapendo tutto di lei; tale condotta, che peraltro, ha raggiunto inizialmente il suo scopo, posto che la vittima non ha sporto denuncia per un mese per paura delle conseguenze, cambiando idea solo dopo essere stata contattata dalla P.G. e rassicurata sull'arresto degli imputati, è stata correttamente ritenuta idonea a integrare l'autonomo reato di cui all'art. 610 c.p., trattandosi di un fatto illecito a sé stante, avvenuto peraltro dopo la consumazione delle condotte di tortura e di violenza sessuale di gruppo, per cui coerentemente i reati contestati sono stati ritenuti tra loro concorrenti.
Di qui l'infondatezza delle censure dei ricorrenti in punto di responsabilità.
5. Residuano le censure sul trattamento sanzionatorio.
5.1. Iniziando dalla posizione di A., occorre evidenziare che, sia in ordine all'applicazione della recidiva, sia rispetto agli aumenti per la continuazione, non si ravvisano aporie argomentative: quanto al primo aspetto, è stato sottolineato dalla Corte territoriale e prima ancora dal G.U.P. che l'attività criminosa per cui si è proceduto costituisce conferma di un evidente e progressivo accrescimento della pericolosità sociale dell'imputato, già gravato da più condanne per reati contro il patrimonio o connotati da scopo di lucro, come i reati in materia di stupefacenti, le cui pene sono state scontate a giugno 2014, mentre, con riferimento agli aumenti per la continuazione, gli stessi sono stati ritenuti congrui in ragione della gravità dei fatti, avendo la Corte di appello ridotto ad anni 6 la pena base per il delitto di violenza sessuale di gruppo, operando prima l'aumento di 3 anni per la recidiva e poi l'ulteriore aumento a titolo di continuazione di 4 anni e 6 così determinato: anni 3 per le due condotte di violenza sessuale, anni 1 per il reato di tortura e mesi 6 per le ulteriori fattispecie contestate (sequestro di persona e due episodi di violenza privata).
Ora, a fronte di un percorso argomentativo non illogico, non vi è spazio per l'accoglimento delle censure difensive, che sollecitano differenti apprezzamenti di merito non consentiti in questa sede, non potendosi in ogni caso sottacere che, rispetto alla pena irrogata in primo grado (11 anni di reclusione), la Corte di appello, nonostante l'oggettiva pregnanza negativa delle condotte contestate, ha comunque mitigato, al fine renderlo più adeguato, il trattamento sanzionatorio finale, che invero non appare ispirato da criteri di irragionevole sproporzione.
5.2. Quanto alla B., deve parimenti escludersi che il diniego della attenuanti generiche presti il fianco alle censure difensive.
In proposito occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione.
e' stato inoltre precisato (cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.
Orbene, in applicazione di tale premessa interpretativa, devono ritenersi non configurabili i vizi motivazionali e i profili di illegittimità evocati dalla difesa, avendo i giudici di merito rimarcato, in senso ostativo al riconoscimento delle attenuanti generiche, il contegno negativo tenuto dall'imputata, la quale non ha esitato a consegnare con l'inganno una giovane del tutto indifesa nella mani di Altìmari, assumendo un ruolo attivo anche nella violenza sessuale di gruppo subita dalla R., oltre che nella tortura perpetrata in danno di costei.
Né, ad avviso dei giudici di merito, a fronte dell'indiscutibile gravità dei fatti, poteva essere positivamente apprezzato il comportamento processuale della ricorrente, in quanto contraddistinto, più che da una effettiva presa di distanza dalle condotte di A., dal principale intento di alleggerire la sua posizione. Ora, in quanto sorretto da argomentazioni razionali, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche in favore della B. resiste alle obiezioni difensive, dovendosi solo aggiungere che se è vero che il comportamento della ricorrente, pur sempre in uno scenario fattuale riprovevole, è risultato tuttavia nel complesso meno grave di quello del coimputato, è tuttavia altrettanto vero che tale differenza ha trovato comunque adeguata corrispondenza nella diversità del trattamento sanzionatorio, avendo l'imputata riportato una pena finale (5 anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione) meno severa di quella di A. (9 anni).
5.2.1. La difesa della B. si duole altresì dell'attribuzione alla stessa delle aggravanti riferite alle condotte violente del marito, ma sul punto la Corte territoriale (pag.16-17 della sentenza impugnata) ha replicato, in maniera non illogica, che le aggravanti contestate nell'ambito della violenza sessuale in danno della A.E., ovvero l'utilizzo del taglierino e il compimento del fatto in danno di persona limitata della libertà personale per tutto il tempo della violenza (circostanza questa non esclusa dall'assoluzione degli imputati dal reato di sequestro di persona, posto che tale reato è stato ritenuto assorbito in quello di violenza sessuale, senza però che sia stato messo in discussione l'elemento materiale della privazione della libertà della vittima) erano estensibili alla
B. ex art. 59 c.p., comma 2 in quanto ancorate a circostanze ben note alla ricorrente (come la privazione della libertà personale della A.E.), o comunque dalla stessa ben conoscibili, secondo un parametro di concreta prevedibilità (come l'uso del taglierino), stante il modus agendi violento già manifestato A. in recenti approcci sessuali, fatto questo certamente non ignoto alla moglie o da costei non prevedibile (la vicenda relativa alla A.E. è di pochi giorni successiva a quella, ancor più violenta nelle sue modalità, riguardante la R., vicenda cui aveva preso parte anche la B.).
5.2.2. Quanto; poi, al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 c.p., comma 3, deve solo evidenziarsi, in primo luogo, che la relativa richiesta fu formulata nell'atto di appello in maniera non specifica (vi è solo un richiamo nominale all'art. 114 c.p. nelle conclusioni dell'appello, senza alcuna argomentazioni a sostegno e senza che sia indicata quale sia l'ipotesi invocata tra quelle contemplate dal citato art. 114); in secondo luogo deve considerarsi, che, come si desume dalle due conformi sentenze di merito, non risulta comprovato alcun costringimento psichico in danno della B., il cui contributo non può per altro verso neppure essere qualificato in termini di "minima importanza", avendo ella o creato le condizioni per il compimento della violenza sessuale compiuta in tarda serata in un campo abbandonato in danno della A.E., o comunque cooperato attivamente alla violenza sessuale di gruppo in danno della R., con iniziative rivelatesi volontarie e consapevoli.
5.3. Sono invece fondate le doglianze della difesa della B., estensibili anche alla posizione di A., relative all'aggravante ex art. 61 c.p., n. 1 contestata al capo C; deve osservarsi sul punto che, nell'ambito di tale imputazione, avente ad oggetto il delitto di sequestro di persona in danno di R.M., sono state contestate le aggravanti di cui agli art. 61 c.p., n. 1 e 2, ma, mentre per l'aggravante teleologica è stato spiegato nella descrizione del fatto che la privazione della libertà è stata funzionale a consumare i reati di tortura e violenza sessuale di gruppo, alcun cenno vi è all'aggravante dei motivi abietti e futili, che risulta dunque contestata in maniera soltanto nominale. Né possono ritenersi pertinenti le considerazioni esposte sul punto dalla Corte territoriale (pag. 13 della sentenza impugnata), in quanto le stesse si riferiscono a capì diversi, mentre, tra le imputazioni per cui è intervenuta condanna, l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 1 è contestata solo al capo C, nel quale, come detto, manca alcuna descrizione fattuale dell'aggravante, che non può essere ritenuta implicita nella sola commissione del reato per cui si procede.
Di qui la necessità di annullare la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla contestata aggravante ex art. 61 c.p., n. 1 di cui al capo C, non scaturendo da ciò alcun effetto sul trattamento sanzionatorio, in quanto della predetta aggravante non si è tenuto conto nella determinazione della pena, essendo stato operato un aumento unitario a titolo di continuazione per il reato in esame, peraltro comunque già aggravato ai sensi dell'art. 61 c.p., n. 2.
6. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla contestata aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 1 di cui al capo C; ferma restando la pena irrogata, i ricorsi devono essere disattesi nel resto e gli imputati devono essere infine condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle costituite parti civili R.M. e A.S.E., nei modi e nei termini indicati nel dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla contestata circostanza aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 1, e, ferma restando la pena irrogata, rigetta i ricorsi nel resto.
Condanna gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.M., che liquida in complessivi 3.510 Euro, oltre accessori di legge.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile A.S.E. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Venezia con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2022