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Violenza sessuale: sulla induzione a subire atti sessuali su persona in stato di inferiorità psichica

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 11/12/2018, n.15112

In tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall'art. 609-bis, comma 3, c.p. concorre nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p. (In motivazione, la S.C. ha osservato che la partecipazione al giudizio di bilanciamento consegue alla sentenza della Corte costituzionale n.106 del 2014, che ha dichiarato illegittimo il quarto comma del predetto art. 69 c.p. - come sostituito dall'art. 3 l. 5 dicembre 2005, n. 251 - nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della attenuante di cui al citato terzo comma dell'art. 609-bis c.p. sulla recidiva reiterata).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza dell'11 aprile 2018 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 5 aprile 2017 del Tribunale di Roma ed escluse continuazione e recidiva, ha rideterminato in anni sei e mesi otto di reclusione la pena inflitta a L.M. per il reato di cui all'art. 609-bis c.p. e art. 609-ter c.p., u.c., in danno di F.B.. 2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro complessi motivi di impugnazione. 2.1. Col primo motivo il ricorrente, invocando vizio motivazionale e violazione di legge processuale, ha dedotto di avere a suo tempo inutilmente richiesto la celebrazione di giudizio abbreviato condizionato all'esame di un teste, mentre l'istanza era stata disattesa in ragione dell'affermata genericità del capitolo di prova. Il giudizio - basandosi sulle medesime fonti indicate dalla norma di cui all'art. 442 c.p.p., comma 2, senza ulteriore verifica sulla decisione di rigetto del rito alternativo - si era peraltro risolto in un dibattimento svolto sostanzialmente allo stato degli atti, e aveva ripercorso quanto già acquisito in sede di incidente probatorio senza alcuna ulteriore pronuncia sulla richiesta istruttoria e senza prendere in considerazione la sola prova testimoniale di cui era stata richiesta l'ammissione. 2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha allegato carenza motivazionale e travisamento della prova in relazione agli artt. 507 e 468 c.p.p., laddove la mancata ammissione dell'istanza istruttoria era contraria alla norma di cui all'art. 495 c.p.p., comma 2, che appunto sanciva il diritto alla prova a discarico, nonchè alla previsione contenuta nell'art. 468 c.p.p., comma 2, che inibiva l'ammissione delle sole testimonianze vietate dalla legge e di quelle manifestamente sovrabbondanti. Al riguardo, il teste sarebbe stato chiamato a deporre sull'alibi che avrebbe potuto fornire all'imputato, per cui non poteva esserci dubbio sulla rilevanza della prova, avente ad oggetto circostanze comprese nel capo d'imputazione. Secondo il ricorrente la Corte territoriale aveva così compiuto, nel disattendere il motivo d'appello, erroneo richiamo alla norma di cui all'art. 603 c.p.p., laddove invece l'appellante aveva diversamente contestato la legittimità della statuizione di mancata ammissione della prova richiesta in primo grado in violazione degli artt. 187,190,468,493 e 495 c.p.p.. In proposito quindi vi era stata un'omessa pronuncia. 2.3. Col terzo motivo il ricorrente ha osservato che la fattispecie ricadeva all'evidenza nell'ambito della previsione di cui all'art. 609-bis cit., u.c., stante la complessiva valutazione delle modalità della condotta, del grado di coartazione della vittima, dell'entità della lesione sessuale e del danno arrecato alla vittima. In specie si era trattato di una condotta estemporanea e di limitata durata nel tempo, con immediato rilascio del bambino dopo avergli attinto l'organo genitale. Secondo il ricorrente poi la diminuente era applicabile anche alle ipotesi circostanziate di cui all'art. 609-ter c.p., mentre non era assoggettata al giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p.. 2.4. Col quarto motivo infine il ricorrente ha eccepito il mancato riconoscimento delle attenuantiò generiche laddove, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte romana, erano state indicate le peculiarità del caso concreto circa le concrete modalità di attuazione della condotta criminosa (istantaneità, assenza di violenza, immediato libero allontanamento del bambino addirittura aiutato a rivestirsi dal ricorrente, assenza di precedenti specifici, in ogni caso ben lontani nel tempo). Le deduzioni contrarie del provvedimento impugnato erano quindi prive di riscontri oggettivi, anche in relazione alle ormai degradate condizioni psico-fisiche dell'imputato. 3. La parte civile ha depositato memoria insistendo per l'inammissibilità del ricorso, e comunque il suo rigetto. 4. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 5. Il ricorso è inammissibile. 5.1. In relazione ai due primi motivi di ricorso, e tenuto conto della natura processuale dei vizi denunciati, è appena il caso di osservare che, in caso di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato ad un'integrazione probatoria, affinchè il giudice di primo grado ed eventualmente il giudice dell'impugnazione possano procedere a sindacare nel merito detta decisione, è necessario che la parte abbia riproposto al giudice di primo grado, entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, la medesima richiesta già oggetto del provvedimento di rigetto (Sez. 1, n. 20758 del 13/02/2018, Valentini e altro, Rv. 273126; Sez. 1, n. 21219 del 27/04/2011, Carlino e altro, Rv. 250232). Invero, al riguardo è stato così osservato che l'ordinamento processuale delineato a seguito della pronuncia n. 169/2003 della Corte Costituzionale e degli ulteriori interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza n. 44711/2004, Wajib) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 433/2006) - onera la parte, la cui tempestiva richiesta di rito abbreviato condizionato ad integrazione istruttoria sia stata respinta dal giudice dell'udienza preliminare, di rinnovare l'istanza prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e, in caso di nuovo diniego ritenuto illegittimo, di impugnare l'ingiustificato (per la illegittimità del rigetto della istanza di rito abbreviato condizionato) diniego della diminuzione di pena di cui all'art. 442 c.p.p., comma 2. Tale disciplina, per quanto riguarda il sindacato sulla decisione di rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato a integrazione probatoria, richiede che la parte abbia riproposto, al giudice del dibattimento, la medesima istanza oggetto del precedente rigetto, e definisce il merito del controllo in relazione ai criteri, indicati dall'art. 438 c.p.p., comma 5, della necessità della prova richiesta ai fini della decisione e della compatibilità della prova con le finalità di economia processuale proprie del rito richiesto (così, in motivazione, Sez. 1 n. 20758 cit., anche per ulteriori riferimenti). In specie, al contrario, il Tribunale di Roma ha rilevato che, in esito al rigetto della richiesta dell'imputato di essere giudicato con rito abbreviato condizionato all'esame del teste G.E., la stessa difesa non aveva presentato tempestivamente alcuna lista testimoniale, invero insistendo solamente per la citazione del G. come teste a norma dell'art. 507 c.p.p.. D'altronde anche la Corte territoriale ha ricordato che il teste era stato inserito nella lista a suo tempo presentata per il (solo) giudizio abbreviato, e che per tale teste era stata richiesta la rinnovazione istruttoria. 5.1.1. Ciò posto, vanno ulteriormente svolti alcuni rilievi di natura processuale. Infatti la mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2, sicchè il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 c.p.p., e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (Sez. 5, n. 4672 del 24/11/2016, dep. 2017, Fiaschetti e altro, Rv. 269270; Sez. 2, n. 9763 del 06/02/2013, Muraca e altri, Rv. 254974). In proposito, la difesa dell'odierno ricorrente aveva in effetti sollecitato l'esame del teste proprio in forza della norma richiamata, una volta non riproposta l'istanza in limine del giudizio ordinario (a nulla rilevando, ovviamente, le questioni colà poste circa la corretta instaurazione del contraddittorio, questioni ormai del tutto abbandonate). Alla luce di un tanto, correttamente la Corte territoriale ha osservato che, rigettata per genericità l'istanza formulata in primo grado (tra l'altro il teste da esaminare non era mai stato neppure menzionato dall'imputato, che si era avvalso della facoltà di non rispondere, ed era stato indicato a presunto discarico per fatti in tesi accaduti il 7 luglio 2016, allorchè la vicenda risale pacificamente al 18 giugno 2016), essa non avrebbe potuto essere riproposta che unitamente alla richiesta di rinnovazione istruttoria, e che di tale rinnovazione non sussisteva alcun presupposto. 5.1.2. Infatti è stato coerentemente e ripetutamente osservato che nel giudizio d'appello la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p., comma 1, è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, G., Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620). Al riguardo, la Corte territoriale ha adeguatamente giustificato il mancato esercizio di detta possibilità istruttoria, tenuto conto che l'istanza - fatti savi i rilievi già ricordati - era stata invece presentata al solo fine di supportare la tesi difensiva e che in definitiva non vi era alcuna necessità di integrazione probatoria, stante la piena condivisione dell'iter motivazionale indicato dal primo Giudice. 5.1.3. Infine, quanto alla richiesta di riduzione comunque della pena in considerazione della mancata ingiustificata ammissione al rito abbreviato, è stato invero osservato che il giudice del dibattimento che abbia respinto in limine litis la richiesta di accesso al rito abbreviato - rinnovata dopo il precedente rigetto del giudice dell'udienza preliminare ovvero proposta per la prima volta in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta - deve applicare anche d'ufficio la riduzione di un terzo prevista dall'art. 442 c.p.p., se riconosce, alla luce dell'istruttoria espletata, che quel rito si sarebbe dovuto celebrare (Sez. 2, n. 8097 del 04/02/2016, Alfiero, Rv. 266216). In specie, al contrario, era stato richiesto un rito abbreviato condizionato all'ammissione di un teste, che non era stato esaminato e della cui presenza in giudizio e nella vicenda non vi è traccia. L'istanza di rito siccome proposta, quindi, non aveva avuto comunque alcun tipo di rilievo processuale. 5.2. In relazione al terzo motivo, trattasi di questione proposta per la prima volta in questa sede (quantunque la Corte d'Appello abbia adeguatamente motivato in proposito, condividendo le osservazioni del primo Giudice quanto alla particolare gravità dell'episodio, v. anche infra). Per completezza, peraltro, e contrariamente ai rilievi del ricorrente, va solamente osservato che, in tema di violenza sessuale, la diminuente prevista dall'art. 609-bis c.p., comma 3, concorre nel giudizio di comparazione di cui all'art. 69 c.p. (la partecipazione al giudizio di bilanciamento consegue alla sentenza della Corte costituzionale n. 106 del 2014, che ha dichiarato illegittimo del predetto art. 69 c.p., il comma 4 - come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 3 - nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., citato comma 3 sulla recidiva reiterata) (Sez. 3, n. 13866 del 07/12/2016, dep. 2017, G., Rv. 269328). 5.3. In ordine infine alla richiesta delle attenuanti generiche, del tutto correttamente la Corte di Appello ha annotato come lo stesso imputato non avesse in alcun modo indicato quali particolari situazioni avrebbero dovuto essere valutate ai fini del riconoscimento di cui all'art. 62-bis c.p.. Ciò anche in considerazione della calliditas dispiegata dall'imputato nella vicenda, del tutto casualmente risolta a seguito dell'incontro dell'imputato col medesimo vigilante il quale, dotato di buona memoria, si era ancora imbattuto con l'odierno ricorrente nei corridoi del medesimo presidio ospedaliero, una ventina di giorni dopo l'aggressione sessuale ai danni della piccola vittima (al termine della quale l'imputato era riuscito all'epoca a dileguarsi). D'altronde, a questo riguardo, la lontananza nel tempo dell'ultimo precedente era stata già valutata ai fini dell'esclusione della recidiva, mentre i fatti - tutt'altro che secondari nella congiunta valutazione dei Giudici del merito - avevano ricevuto severa sanzione, contrariamente ai tentativi di sminuire l'episodio (v. anche supra), sì che certamente essi non potevano essere ulteriormente valutati in senso favorevole all'imputato. Tant'è che in sede di appello l'impegno difensivo in proposito era stato semmai tutto rivolto a contestare l'accusa di evasione dagli arresti domiciliari, condotta che era stata negativamente considerata. In ogni caso, peraltro, ai fini della determinazione della pena il giudice può tenere conto di uno stesso elemento (nella specie: la gravità della condotta) che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ne bis in idem (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi e altri, Rv. 264378). In definitiva, quindi, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Ed è quanto avvenuto in specie, laddove comunque, in sostanza, non è stato possibile accertare alcuna situazione idonea a giustificare addirittura un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460), tale da giustificare una riduzione di pena. 5.4. Tutti i motivi di impugnazione appaiono pertanto manifestamente infondati, tanto sotto il profilo sostanziale che processuale. 6. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. 6.1. Il ricorrente andrà altresì condannato, nei termini di cui al dispositivo, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, nella qualità di esercente la potestà genitoriale nei confronti del figlio minore. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile M.S.B., nella qualità di esercente la potestà genitoriale nei confronti del figlio minore, che liquida in Euro 3.510,00, oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018. Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2019
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