RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 18.05.2018, la Corte d'appello di Perugia confermava la sentenza del GIP/tribunale di Perugia del 26.04.2017, appellata dal P., che lo aveva condannato alla pena di 2 anni e 4 mesi di reclusione, in esito al rito abbreviato richiesto, in quanto ritenuto colpevole dei reati di violenza sessuale (capo a), pornografia minorile (capo c) e detenzione di materiale pornografico (capo e), in relazione a fatti contestati come accertati in data antecedente e prossima al 13.08.2013 (capi a) e c) ed in data 13.12.2013 (capo e), commessi secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nei capi di imputazione.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale previsto dall'art. 613, c.p.p., articolando tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 81 c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e comma 3, art. 609-ter c.p., comma 1, n. 1 e art. 609 sexies, c.p. e correlato vizio di contraddittorietà della motivazione.
In sintesi, in riferimento all'imputazione sub a), rileva il ricorrente che al medesimo è stato contestato di aver abusato delle condizioni di inferiorità psichica della vittima derivante dalla giovanissima età, essendo la stessa di anni 11 all'epoca del fatto, ingannandola per essersi presentato falsamente come una coetanea, inducendola a compiere atti sessuali. In relazione a quanto contestato, occorre quindi verificare anzitutto l'inferiorità psichica e la conoscenza della minore età da parte del reo. Orbene, con riferimento al primo punto, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, sostiene il ricorrente che nella specie era da escludersi che la vittima fosse un soggetto vulnerabile ed era da escludersi che ciò fosse o potesse essere noto all'imputato. A sostegno di tale assunto si richiama il fatto che gli stessi genitori della minore avevano evidenziato come la stessa non aveva problemi scolastici, era una ragazza tranquilla, utilizzava il PC e il cellulare sin dall'età di 8 anni, e che gli stessi si fidavano della stessa non avendo nemmeno adottato il sistema di protezione parental control e la stessa aveva normali relazioni sociali. Dunque la ragazzina non manifestava affatto quella inferiorità psichica sostenuta dai giudici di merito, anzi evidenziandosi in ricorso come il padre, accortosi occasionalmente del fatto che la figlia "chattava" con un'altra ragazza coetanea ne era rimasto sconvolto attesa la spregiudicatezza del linguaggio e gli atteggiamenti di maturità sessuale manifestati dalla figlia. Poichè anche i genitori della minore avevano avuto modo di apprezzare comportamenti da "adulta" della loro figlia, non era certo possibile ritenere che l'imputato potesse aver abusato della ragazza, che dimostrava una maturità sessuale superiore a quella dello stesso ricorrente, che aveva all'epoca dei fatti 22 anni. A ciò si aggiungerebbe il fatto che la ragazza nel "chattare" riteneva di comunicare con una donna e non mostrava nel linguaggio utilizzato o nelle azioni compiute di esser in condizioni di inferiorità psichica, anzi manifestando di essere consenziente al compimento di atti sessuali, tanto che era lei stessa a prodigarsi a voler fare giochi erotici, donde il consenso manifestato dalla minore non era frutto della strumentalizzazione della sua inferiorità, nè tantomeno sarebbe stata sfruttata la minore capacità di resistenza o di comprensione della natura dell'atto da parte della vittima mediante una condotta "induttiva" nel senso interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte. A sostegno di tale assunto, si richiama in ricorso il primo incontro avuto dalla ragazza con l'imputato, in occasione del quale la minore aveva spontaneamente aderito al rapporto sessuale virtuale ed, anzi, era stata lei stessa a proporre gli incontri, gli orari, mostrandosi talmente avveduta da eludere la sorveglianza della madre, adottando tutte le cautele che di volta in volta segnalava all'interlocutrice " L.M.", nome dietro il quale si celava l'attuale ricorrente; quanto, poi, alla conoscenza della età inferiore agli anni quattrodici, premesso che nei motivi di appello era stata invocata l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 609-sexies, c.p., in presenza di una ignoranza inevitabile, sostiene il ricorrente, richiamando la giurisprudenza di questa Corte sul punto, che erroneamente i giudici territoriali avrebbero disatteso la richiesta difensiva ritenendo che nel caso in esame non risultava che l'imputato avesse svolto alcun diligente e dovuto accertamento sull'età della minore. Tale affermazione sarebbe invece smentita dagli atti, laddove invece risulterebbe che l'accertamento sull'età della minore fosse stato eseguito dal ricorrente, tanto che era stata la ragazza ad aver affermato di aver avuto l'anno precedente un rapporto sessuale completo con un ragazzo di quattordici anni, ciò che lasciava intendere che la stessa fosse quantomeno coetanea. In ogni caso, a rafforzare tale convincimento del reo, militavano ulteriori elementi richiamati in ricorso, quali, ad esempio, il fatto che la ragazza disponesse di un PC e di un cellulare, che la stessa aveva un collegamento audio/video mediante Skype, aveva un profilo Facebook, e che in nessuno di essi era stata attivata la funzione di parental control, che ne limitava la funzionalità e garantiva il controllo da parte dei genitori. A sostegno di quanto sopra, in particolare, nel ricorso vengono richiamate alcune pagine della stampa delle conversazioni via messenger di Facebook tra la ragazzina e l'imputato, alias L.M., in cui la minore riferiva di essere "andata a letto" con un ragazzo di quattordici anni l'anno precedente, consumando un rapporto sessuale completo con questo ragazzo, donde da ciò doveva verosimilmente evincersi che dovesse trattarsi di un coetaneo. Inoltre, si aggiunge, la minore si dimostrava molto avveduta in materia di rapporti sessuali ed era la stessa che, pur sapendo che la proposta proveniva apparentemente da una ragazza, la fantomatica L.M., alias il ricorrente, sia nel linguaggio utilizzato che nelle proposte sessuali dalla stessa inoltrate, proponeva altri giochi erotici, evidenziando che la stessa era una ragazza matura ed avveduta sessualmente, tanto da compiere atti di autoerotismo. A ulteriore comprova, poi, in ricorso viene riportato uno stralcio della denuncia - querela 13.08.2013 in cui sostanzialmente erano gli stessi genitori a descrivere la figlia come una persona che si comportava da adulta, inoltre rilevandosi in ricorso come, dal contenuto dei messaggi, ben poteva evincersi come anche la minore chiedesse l'invio di foto pornografiche alla ragazza che le manifestava come L.M., chiedendo alla stessa cosa dovesse ancora fare o dovesse far vedere. In definitiva, per quanto avveduto potesse essere l'imputato, questi non avrebbe potuto immaginarsi di trovarsi in presenza di una minore infraquattordicenne, sussistendo pertanto l'ignoranza inevitabile idonea ad escludere la sussistenza della presunzione della minore età, esclusa dalla Corte territoriale con motivazione contraddetta dalle emergenze processuali. Peraltro, e conclusivamente sul punto, si contesta il fatto che dalla contestazione sembrerebbe che i fatti fossero proseguiti dal 3 al 13 agosto del 2013, laddove, invece, si sarebbe trattato di tre episodi, tutti avvenuti tra il 3 ed il 5 agosto, non essendovi stati più contatti dopo tale data.
Quanto, infine, alle seconda questione giuridica, afferente alla sussistenza della materialità del fatto di violenza sessuale, si sostiene in ricorso che sarebbe stato necessario accertare se nella specie vi fosse stato contatto fisico tra le parti, e se lo stesso avesse i caratteri previsti dall'art. 609-bis c.p.. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte, sostiene il ricorrente che nel caso di specie egli avrebbe sì soddisfatto la propria concupiscenza, ma non vi sarebbe stato alcun contatto corpore-corpori, donde la condotta non sarebbe ascrivibile al reato contestato, ma al più potrebbe rientrare nel reato di molestie ex art. 660, c.p.. o tutt'al più nella fattispecie attenuata di cui all'art. 609-bis c.p., u.c.. Erroneamente, quindi, la Corte d'appello avrebbe invece ritenuto che il reato sarebbe configurabile anche in assenza di contatto corporeo.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 600-quater e 600-ter c.p. e correlato vizio di motivazione in relazione al delitto sub e) della rubrica.
In sintesi, premette il ricorrente che la contestazione mossagli in tale capo di imputazione consiste nell'aver consapevolmente detenuto nel suo PC immagini e numerosi filmati di contenuto pedopornografico, prodotti mediante lo sfruttamento sessuale di minori di diciotto anni. Ricorda il ricorrente di aver censurato nell'atto di appello la mancanza di prova del fatto che il materiale fosse stato prodotto mediante lo sfruttamento sessuale di minori, contestando la risposta fornita dai giudici territoriali, i quali hanno affermato che lo scambio di materiale pornografico tra la vittima e l'imputato non rilevava ai fini della sussistenza del reato, e che quanto alla provenienza del predetto materiale dallo sfruttamento sessuale di minori di anni diciotto, la prova poteva essere desunta dai connotati fisici degli adolescenti ritratti. Nella specie, si sostiene che i giudici avrebbero errato a ritenere concorrenti i reati sub e) e sub c) della rubrica, unificandoli sotto il vincolo della continuazione, atteso che la giurisprudenza esclude in tali ipotesi il concorso di reati, atteso che la detenzione rappresenta rispetto all'art. 600-ter c.p., un post factum non punibile, peraltro osservandosi come nel caso di specie non è stata nemmeno contestata l'aggravante dell'ingente quantità e che dall'esame della c.t. non risulta che detto materiale fosse stato scambiato con altre persone, rilavandosi che il semplice possesso di materiale pornografico non configurerebbe la fattispecie in esame.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione all'art. 81 cpv. c.p., art. 600-ter c.p., comma 4, e correlato vizio di contraddittorietà della motivazione in relazione all'imputazione sub c) della rubrica.
In sintesi, premette il ricorrente che con il capo di imputazione in esame si contesta al medesimo la cessione anche a titolo gratuito di materiale pornografico, facendosi riferimento all'invio alla minore di numerose immagini e di un filmato di contenuto pedopornografico, prodotti mediante lo sfruttamento sessuale di minori di anni 18. Nella specie non sarebbe stata raggiunta la prova della sussistenza del reato in base alle emergenze processuali, sia per il difetto di prova dello sfruttamento sessuale di minori, sia perchè vi sarebbe stato uno scambio consensuale del medesimo materiale tra la minore e l'imputato. L'aver posseduto e scambiato immagini pedopornografiche ex se non configurerebbe la condotta contestata, donde il reato non potrebbe ritenersi configurabile. Nè risulta essere integrato il reato di diffusione di materiale pedopornografico, non essendo stata data dimostrazione della volontà di divulgarlo, donde non avendo la Corte d'appello evidenziato quali fossero gli elementi specifici idonei a dimostrare che il possesso del materiale in questione fosse destinato alla sua divulgazione, il reato non potrebbe dirsi sussistere.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
4. E' anzitutto affetto da genericità per aspecificità, in quanto non si confronta con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata che confutano in maniera puntuale e con considerazioni del tutto immuni dai denunciati vizi motivazionali le identiche doglianze difensive (che, vengono, per così dire "replicate" in questa sede di legittimità senza alcun apprezzabile elementi di novità critica), esponendosi quindi al giudizio di inammissibilità. Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (v., tra le tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
5. Lo stesso è inoltre da ritenersi manifestamente infondato, atteso che la Corte d'appello ha spiegato, con motivazione adeguata e del tutto immune dai denunciati vizi, le ragioni per le quali ha ritenuto del tutto infondate la doglianze difensive in ordine alla errata valutazione delle risultanze probatorie, all'insussistenza del reato per mancanza dell'abuso delle condizioni di inferiorità psichica e per l'assenza di contatto corporeo, nonchè con riferimento ai residui reati in materia di pornografia minorile.
6. In particolare, quanto al primo motivo, con cui si contesta che la minore avesse fatto intendere di aver più di quattrodici anni, aggiungendo una serie di elementi che avrebbero consentito di ritenere provato lo stato di ignoranza inevitabile idoneo ad escludere la presunzione di cui all'art. 609-sexies c.p., la Corte d'appello risponde puntualmente alla identica censura difensiva, correttamente richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di reati contro la libertà sessuale, commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, l'ignoranza da parte del soggetto agente dell'età della persona offesa scrimina la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne.
Ne consegue che non sono sufficienti le sole rassicurazioni verbali circa l'età fornite dal minore e, o da terzi, soprattutto se fornite in maniera ambigua (Fattispecie in cui la vittima non aveva indicato con chiarezza la sua età, ma aveva solo lasciato intendere all'imputato di avere quindici anni: Sez. 3, n. 775 del 04/04/2017 - dep. 11/01/2018, V H, Rv. 271862). Puntualizzano i giudici di appello, da un lato, come nel caso in esame, non risultava che l'imputato avesse svolto alcun accertamento, dovuto e diligente, sull'età della minore, e, dall'altro, come l'asserito errore scusabile sull'età della persona offesa - desumibile dagli elementi dianzi descritti (la stessa disponeva di un PC e di un cellulare; la stessa aveva un collegamento audio/video mediante Skype ed aveva un profilo Facebook, ma in nessuno di essi era stata attivata la funzione di parental control, che ne limitava la funzionalità e garantiva il controllo da parte dei genitori) - non fosse nella specie sostenibile. A sostegno di quanto sopra, in particolare, nel ricorso vengono richiamate alcune pagine della stampa delle conversazioni via messenger di Facebook tra la ragazzina e l'imputato, alias L.M., in cui la minore riferiva di essere "andata a letto" con un ragazzo di quattordici anni l'anno precedente, consumando un rapporto sessuale completo con questo ragazzo, donde da ciò doveva verosimilmente evincersi che dovesse trattarsi di un coetaneo. Inoltre, si aggiunge, la minore si dimostrava molto avveduta in materia di rapporti sessuali ed era la stessa che, pur sapendo che la proposta proveniva apparentemente da una ragazza (la fantomatica L.M., alias il ricorrente), sia nel linguaggio utilizzato che nelle proposte sessuali dalla medesima inoltrate, proponeva altri giochi erotici. Dunque, per la difesa, ciò evidenziava come la stessa fosse una ragazza matura ed avveduta sessualmente, tanto da compiere atti di autoerotismo.
7. Sul punto, a pag. 8/9 della sentenza impugnata i giudici territoriali si prendono diligentemente carico di confutare punto per punto gli elementi indicati dal ricorrente, confutandoli con argomentazioni del tutto immuni dai denunciati vizi: a) quanto alla consumazione del rapporto sessuale con un ragazzo quattordicenne l'anno prima del fatto, i giudici sottolineano come si tratti di elemento avente significato del tutto equivoco, anzi costituendo l'affermazione in questione un campanello di allarme che avrebbe dovuto mettere in guardia l'imputato, imponendogli particolare diligenza ed attenzione nel verificare l'età della sua interlocutrice; b) quanto all'utilizzo degli oggetti e dei sistemi indicati, la Corte d'appello chiarisce come dall'uso degli stessi non potesse certo desumersi un'età superiore ai quattrodici anni, trattandosi di sistemi di comunicazione diffusi in particolare proprio tra soggetti minorenni e ciò a prescindere dall'attivazione della funzione di parental control, trattandosi comunque di un aspetto che non poteva certo tranquillizzare l'imputato sul fatto che l'interlocutrice avesse un'età superiore ai quattrodici anni; c) quanto al linguaggio usato e alla richieste avanzata dalla vittima, che avrebbero indotto l'imputato a pensare di trattare con una ragazza matura ed avveduta in materia sessuale e in atti di autoerotismo, osserva correttamente la Corte d'appello come nel caso in esame ciò che rileva non è l'asserita maturità in materia sessuale, ma l'età del proprio interlocutore, su cui una ben diversa e sicura evidenza, comunque non tranquillizzante, circa l'età inferiore ai quattrodici anni fornivano le fotografie che ritraevano una bambina di appena 12 anni e 4 mesi, che, pur volendo ammettere che non avessero già da sole convinto l'imputato sull'età inferiore ai quattrodici anni, avrebbero dovuto comunque renderlo particolarmente avvertito della sua necessità di adoperarsi per accertarsi sull'età della propria interlocutrice, donde, conclude la Corte d'appello, l'aver mancato in tale dovere, non consentiva di ritenere applicabile la scriminante invocata; d) quanto all'asserita maturità in materia sessuale, poi, i giudici di appello sottolineano come, anche a prescindere dalla pertinenza e correttezza di una tale espressione, il facile rinvenimento di materiale pornografico e lo stesso riferimento effettuato dalla ragazzina ai rapporti avuti con un ragazzo di quattordici anni l'anno precedente ai fatti, potevano averla resa sessualmente disinvolta e capace di usare un certo linguaggio, senza però che da ciò l'imputato potesse trarne il fondato convincimento di un'età inferiore ai quattrodici anni.
8. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente, dunque, appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
9. Ad analogo approdo deve pervenirsi, infine, con riferimento all'ulteriore censura sviluppata nel primo motivo, con cui si contesta la sussistenza del reato di violenza sessuale per mancanza del necessario contatto corporeo.
Sul punto, a pag. 9 i giudici di appello correttamente rispondono all'identica doglianza difensiva, richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte che ha reiteratamente affermato che la fattispecie criminosa di violenza sessuale è integrata, pur in assenza di un contatto fisico diretto con la vittima, quando gli "atti sessuali", quali definiti dall'art. 609 bis c.p., coinvolgano oggettivamente la corporeità sessuale della persona offesa e siano finalizzati ed idonei a compromettere il bene primario della libertà individuale, nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale (Sez. 3, n. 11958 del 22/12/2010 - dep. 24/03/2011, C., Rv. 249746, relativa a fattispecie in cui il reo aveva indotto la vittima a compiere su se stessa atti sessuali di autoerotismo, culminati nel conseguimento del piacere sessuale di entrambi; nello stesso senso, Sez. 3, n. 25822 del 09/05/2013 - dep. 12/06/2013, T, Rv. 257139, relativa a fattispecie di condotta perfezionatasi mediante una comunicazione telematica, attraverso la quale il reo aveva indotto le vittime minorenni a compiere su sè stesse atti sessuali di autoerotismo).
10. Infine, nessun dubbio che il fatto rientri nella fattispecie di cui all'art. 609-bis c.p., comma 1 e non in quella attenuata di cui all'ultimo comma nè in quella di cui all'art. 660 c.p.; ed invero, pacifico è nella giurisprudenza di questa Corte (e la Corte d'appello del resto, motiva rigorosamente e convincentemente sul punto), che in tema di atti sessuali con minorenne, deve escludersi che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica presentino - per il solo fatto di svolgersi in assenza di contatto fisico con la vittima - connotazioni di minore lesività sulla sfera psichica del minore tali da rendere applicabile, in ogni caso, l'attenuante speciale prevista dall'art. 609 quater c.p., comma 4, (da ultimo: Sez. 3, n. 16616 del 25/03/2015 - dep. 21/04/2015, T, Rv. 263116, relativa a fattispecie, analoga a quella in esame, in cui questa Corte ha ritenuto corretto il mancato riconoscimento della circostanza attenuante in favore dell'imputato che, collegato via "webcam" con due bambine di 9 ed 11 anni, si era denudato e masturbato, ed aveva indotto le minori a fare altrettanto).
11. Quanto, poi, all'esclusione della configurabilità dell'art. 660, c.p., deve ritenersi che il fatto contestato integri il reato di violenza sessuale e non quello di molestia sessuale (art. 660 c.p.), essendo configurabile la contravvenzione solo in presenza di molestia o disturbo che possono anche consistere in espressioni verbali a sfondo sessuale di tipo invasivo ed insistito, ma che devono necessariamente essere diversi dall'abuso sessuale, non importa se posto in essere in assenza di contatto fisico. Se è vero che il reato di cui all'art. 660 c.p. si concreta in atti di vessatoria petulanza, che, eccedendo, soprattutto per la loro insistenza, i limiti necessari per la coesistenza del diritto altrui ed escludendo ogni riguardo per l'altrui libertà, recano fastidio e si rendono intollerabili per la quiete privata al punto da rappresentare un pericolo per l'ordine pubblico, data la possibilità di reazioni, e se del pari non è escluso, che fra i motivi biasimevoli previsti dal citato articolo, come elemento del reato, possono essere compresi anche quelli destinati a dare sfogo al proprio impulso sessuale, va tuttavia tenuto presente che deve pur sempre trattarsi, negli aspetti materiali, di un'azione di fastidio e d'incomodo che non vada al di là del turbamento della quiete privata (v., sul punto: Sez. 1, n. 643 del 08/05/1967 - dep. 23/10/1967, Ganazzi, Rv. 105780).
Non è, quindi, una semplice molestia - come invece sostiene il ricorrente, richiamando le modalità "telematiche" della consumazione della condotta, che non hanno comportato un contatto fisico tra l'imputato e la vittima - quella posta in essere nel caso di specie, posto che in questo caso il bene che viene ad esser violato non è la tranquillità delle persone, ma (soprattutto dopo la L. n. 66 del 1996 che ha abrogato l'intero capo relativo ai delitti contro la libertà sessuale ed ha modificato l'originaria collocazione sistematica del reato di violenza sessuale, che non è più un delitto contro la moralità pubblica ed il buon costume), quello della libertà personale, essendo stato attribuito al nuovo delitto un ambito di applicazione più vasto rispetto a quello originario, che era limitato alla sola libertà di disporre del proprio corpo nella sfera sessuale.
12. Parimenti esposto al giudizio di inammissibilità è il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente al terzo motivo di ricorso attesa l'omogeneità sostanziale dei profili di doglianza mossi e l'intima connessione tra essi esistente.
Ed invero, la Corte d'appello alle pagg. 9/11 dell'impugnata sentenza, nel disattendere con motivazione del tutto immune dai denunciati vizi le identiche doglianze esposte nei motivi di ricorso, precisa, anzitutto, che l'esistenza dello scambio consensuale del detto materiale tra la minore e il ricorrente è irrilevante ai fini della sussistenza dei reati contestati, precisando come la detenzione e l'invio del materiale in oggetto risulta dall'attività di indagine di cui il primo giudice aveva dato conto e non oggetto di censura nell'atto di appello. Quanto, poi, agli aspetti relativi alla provenienza del detto materiale dallo sfruttamento di minori di anni 18, correttamente la Corte territoriale richiama il costante orientamento di legittimità secondo cui in tema di detenzione di materiale pornografico, la prova che i soggetti raffigurati nelle immagini riproducono effettivamente ragazze minori di anni diciotto può essere desunta anche dai connotati fisici delle adolescenti ritratte e dal prelievo dei "file" da siti "internet" il cui indirizzo "URL" evoca la minore età e denominazioni chiaramente riferibili a bambini o a contenuti pedopornografici (Sez. 3, n. 4678 del 28/10/2014 - dep. 02/02/2015, P, Rv. 261883).
A sostegno di quanto sopra, peraltro, con argomentazione del tutto logica, peraltro, i giudici di appello richiamano anche l'esito della consulenza tecnica disposta nel corso del procedimento, che davano atto di come fossero stati rinvenuti in disponibilità dell'imputato diverse foto di ragazze e in alcuni casi "chiaramente bambine" senza abiti che mostravano a volte i propri organi sessuali, oltre che diversi filmati e foto che ritraggono il profilo adottata dalla fantomatica " L.M." su Facebook, oltre che un file che l'imputata aveva inviato alla vittima oltre a foto di diverse ragazze "e bambine che si mostrano nude davanti alla web-cam"; a ciò andava aggiunto, per i giudici di appello, che la propensione dell'imputato a detenere ed inviare immagini dal contenuto pornografico e provenienti da minori trovava conferma proprio nella vicenda sub iudice, attesa la minore età della vittima nel caso in esame.
13. Ancora una volta, al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze del ricorrente appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel "dissenso" sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per una presunta violazione di legge e per un vizio motivazionale con cui, in realtà, si propone una doglianza non suscettibile di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 - dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
14. Circa, poi, la contestata sussistenza del delitto di cui all'art. 600-ter c.p., comma 4, difettando la prova della divulgazione del materiale pedoporno-grafico, si osserva in diritto, come solo ai fini della configurabilità del delitto di distribuzione o divulgazione di materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento di minori degli anni diciotto (art. 600 ter c.p., comma 3) occorre che il materiale sia inserito in un sito accessibile a tutti al di fuori di un canale privilegiato o sia, comunque, propagato ad un numero indeterminato di destinatari (con la conseguenza che, quando la cessione avviene attraverso un canale di discussione, cosiddetta chat line, è necessario verificare se il programma consenta a chiunque si colleghi la condivisione di cartelle, archivi, documenti contenenti le foto pornografiche in questione, in modo da essere accessibile a chiunque e da potere essere preso direttamente senza formalità rivelatrici di una volontà specifica e positiva).
Diversamente, nel caso in cui, come nell'ipotesi in esame, il prelievo avvenga solo a seguito della manifestazione di volontà dichiarata nel corso di una conversazione privata, si versa nella più lieve ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 4, (Sez. 5, n. 4900 del 11/12/2002 - dep. 03/02/2003, Cabrini Tullio, Rv. 224702), donde non necessita la prova della divulgazione, punendo la fattispecie la condotta di offerta o cessione a terzi, anche a titolo gratuito, del materiale pedopornografico. Integra infatti il reato di offerta o cessione gratuita di materiale pedopornografico (art. 600 ter c.p., comma 4) la condivisione di "files" pedopornografici, tramite conversazione per via telematica (cosiddetta "in chat"), rappresentando la condivisione una forma di scambio di documenti informatici (Sez. 3, n. 35696 del 06/04/2011 - dep. 03/10/2011, P., Rv. 251226). Del resto, in una vicenda analoga a quella qui esaminata, questa stessa Sezione ha recentemente chiarito che è configurabile l'ipotesi di cui all'art. 600-ter c.p., comma 4, quando l'agente invia il materiale pedopornografico a una persona determinata, allegandolo ad un messaggio di posta elettronica oppure tramite il profilo Facebook del destinatario, in modo tale che solo quest'ultimo abbia la possibilità di prelevarle (Sez. 3, n. 1647 del 27/09/2018 - dep. 15/01/2019, 0., Rv. 275460).
15. Nè, infine, ha pregio la censura difensiva, accennata nel secondo motivo, con cui si contesta la riconosciuta sussistenza del concorso di reati tra il delitto sub e) e quello sub c).
Da un lato, infatti, trattasi di doglianza che espone il fianco al giudizio di inammissibilità ex art. 606 c.p.p., comma 3, trattandosi di violazione di legge non dedotta con alcuno dei cinque motivi di appello proposti con l'atto di impugnata datato 1.09.2017.
Dall'altro, in ogni caso, trattasi di doglianza manifestamente infondata, atteso che questa stessa Sezione ha già avuto modo di chiarire come non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600-quater c.p. ed il reato di distribuzione, divulgazione e diffusione di materiale pornografico di cui all'art. 600-ter c.p., comma 3, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600-quater c.p., la più grave fattispecie di cui all'art. 600-ter c.p., a condizione che vi sia sovrapposizione o, comunque, tendenziale identità tra materiale detenuto e materiale divulgato. Ne consegue che, quando il primo sia talmente ingente da doversi escludere - con accertamento di fatto riservato al giudice del merito - che sia stato integralmente divulgato, la clausola di riserva non opera, poichè la condotta di detenzione si prospetta come autonoma ed ulteriore, sotto il profilo cronologico e naturalistico, ed è dotata di una carica di offensività propria rispetto alle condotte tipizzate dall'art. 600-ter c.p. (Sez. 3, n. 20891 del 11/01/2017 - dep. 03/05/2017, P, Rv. 270512).
Nel caso di specie, si noti, proprio dal richiamo contenuto in sentenza agli esiti della consulenza tecnica disposta nel corso del procedimento, emerge con palmare evidenza la assenza di tale identità, essendo stati rinvenuti in disponibilità dell'imputato diverse foto di ragazze e in alcuni casi "chiaramente bambine" senza abiti che mostravano a volte i propri organi sessuali, oltre che diversi filmati e foto che ritraevano il profilo adottato dalla fantomatica " L.M." su Facebook, oltre che un file che l'imputata aveva inviato alla vittima oltre a foto di diverse ragazze "e bambine che si mostrano nude davanti alla webcam"; è quindi evidente come la detenzione contestata al capo e), riguardasse anche immagini e "filmati" diversi ed ulteriori (come si desume dall'uso del plurale) rispetto all'unico filmato di contenuto pedopornografico inviato via internet alla vittima, contestato al capo c).
16. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende nonchè alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita, liquidate in misura media come da dispositivo, in applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, da distrarsi in favore dell'Erario in quanto ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
17. Segue ex lege l'oscuramento dei dati attesa la tipologia di reato contestato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila Euro in favore della Cassa delle ammende nonchè al pagamento in favore della parte civile costituita delle spese da questa sostenute nel grado e liquidate in complessivi Euro 3.400,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% e CAP, come da richiesta, con distrazione in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019