RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Milano con la sentenza impugnata ha confermato la sentenza resa dal Tribunale di Milano il 19/12/2019 che ha dichiarato la responsabilità di S.R. in ordine al reato di estorsione.
Si addebita all'imputato di avere, mediante la minaccia di diffondere un video in cui la persona offesa veniva ritratta nell'atto di consumare un rapporto sessuale, costretto la predetta a scattare foto delle sue parti intime e a trasmettergliele, utilizzando l'applicazione WhatsApp.
2.Propone ricorso per cassazione l'imputato, deducendo:
2.1 Vizio di motivazione per manifesta contradditorietà su un fatto decisivo per il giudizio, poiché la corte ha affermato la responsabilità dell'imputato, pur riconoscendo la ambiguità e contraddittorietà della conversazione intercorsa sulla piattaforma Whatsapp tra la giovane persona offesa e lo S., nel corso della quale il predetto, dopo avere minacciato la ragazza di pubblicare su Facebook un video registrato mentre consumavano un rapporto intimo, se non avesse acconsentito ad intrattenere con lui ulteriori rapporti sessuali o ad inviargli immagini delle sue parti intime, si scusava e dichiarava di non avere effettiva intenzione di diffondere il detto video e di avere formulato le minacce solo per rabbia e la giovane rispondeva che per convincerla ad accondiscendere alle sue richieste sarebbe stato sufficiente chiedere con gentilezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è fondato.
La corte territoriale ha reso sul punto esaustiva e corretta motivazione e dopo avere riportato per esteso il tenore della conversazione su WhatsApp intercorsa tra lo S. e la persona offesa, ha osservato che dalla stessa si desume che la giovane, sottoposta dallo S. alla reiterata minaccia della diffusione del video in cui veniva ritratta nell'atto di praticargli un rapporto orale, gli inviava effettivamente due foto delle sue parti intime. A nulla pertanto rileva la circostanza valorizzata dal ricorrente che l'imputato, dopo avere ottenuto l'invio delle dette immagini, proseguendo la conversazione, abbia comunicato alla sua interlocutrice che non avrebbe comunque attuato la minaccia formulata, e quest'ultima abbia risposto che se fosse stato gentile lo avrebbe accontentato, poiché S. aveva già ottenuto, sotto costrizione della vittima, il risultato da lui voluto ed il delitto si era già consumato.
Sono pertanto insussistenti i vizi di motivazione denunciati, perché la Corte territoriale ha fornito una corretta interpretazione della conversazione registrata e ha dato conto del proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, esaurientemente argomentando in merito alla colpevolezza dell'imputato.
Ciò posto deve tuttavia ricordarsi che secondo consolidata giurisprudenza questa Corte può rilevare anche d'ufficio l'erronea definizione data al fatto dai giudici del merito, anche quando nel fatto contestato venga ravvisato un reato più grave di quello ritenuto nella sentenza impugnata, salvo il divieto della "reformatio in peius". (V mass n. 143410; (V mass n. 141426).- (Sez. 6, Sentenza n. 10677 del 20/05/1986 Ud. (dep. 10/10/1986) Rv. 173905 - 01)
Nel caso in esame ricorre un problema relativo alla qualificazione giuridica del fatto come contestato nel capo d'imputazione e ricostruito in sentenza.
E' noto infatti che il delitto di estorsione si pone in rapporto di specialità con quello di violenza privata ed è configurabile nel caso in cui l'agente, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, faccia uso della violenza o della minaccia per costringere il soggetto passivo a fare od omettere qualcosa che gli procuri un danno economico. (Sez. 2, Sentenza n. 5668 del 15/01/2013 Ud. (dep. 05/02/2013) Rv. 255242 - 01).
In ragione di questa peculiare connotazione il reato ex art. 629 c.p., è inserito tra i delitti contro il patrimonio.
Invero è stato chiarito che in mancanza di elementi specificanti (rispetto alla semplice coartazione, con violenza o minaccia, dell'altrui volontà), vada configurato solo il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p.; quando, invece, il fatto di violenza o minaccia sia previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante di una fattispecie criminosa più complessa, opera il principio di specialità nell'ambito del concorso di norme penali. In particolare l'art. 629 c.p., ingloba completamente la fattispecie prevista dall'art. 610 c.p., allorché la medesima condotta ("chiunque, mediante violenza o minaccia, costringe taluno a fare omettere qualche cosa") aggiunge l'evento ulteriore di "procurare a se o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno", in quest'ultimo concetto, dovendosi comprendere anche la desistenza dall'esercizio attraverso la legittima tutela dei diritti e degli interessi una tempestiva azione giudiziaria (cfr. Cass. 20-6-1987, n. 1533).
In modo analogo, il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., si pone in termini di specialità rispetto al delitto di violenza privata ex art. 610 c.p., e, secondo giurisprudenza consolidata, ricorre il delitto di violenza sessuale quando la condotta denoti il requisito soggettivo dell'intenzione di raggiungere l'appagamento dei propri istinti sessuali e quello oggettivo dell'idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale.
In particolare si è ritenuto che configurasse atto idoneo, diretto in modo non equivoco a commettere il reato di violenza sessuale, e non quello di estorsione, la trasmissione di una missiva contenente la minaccia alla sua destinataria di diffusione di un fotomontaggio della sua figura in pose oscene in riviste pornografiche qualora essa non avesse registrato una videocassetta che la riprendeva in atteggiamenti osceni e l'avesse, poi, depositata in luogo previamente indicato). (Sez. 3, Sentenza n. 34128 del 23/05/2006 Ud. (dep. 12/10/2006) Rv. 234778 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 45698 del 26/10/2011 Ud. (dep. 07/12/2011) Rv. 251612 - 01). In conclusione il delitto di violenza sessuale si caratterizza e ricorre quando la violenza o minaccia coarta e limita la libertà sessuale altrui con la finalità di appagare la propria libido sessuale e risulta estranea alla sfera patrimoniale del soggetto passivo.
E' vero che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che nel delitto di estorsione, l'elemento dell'ingiusto profitto si individua in qualsiasi vantaggio, non solo di tipo economico, che l'autore intenda conseguire e che non si collega ad un diritto o è perseguito con uno strumento antigiuridico (come nel caso di minacce, percosse o lesioni) o ancora con uno strumento legale, ma avente uno scopo tipico diverso (Sez. 2, Sentenza n. 29563 del 17/11/2005 Ud. (dep. 04/09/2006) Rv. 234963 - 01).
Ma nel rispetto del principio di specialità, quando la costrizione ha per oggetto la sfera sessuale e non attiene, neppure in via mediata, alla sfera patrimoniale deve applicarsi l'art. 609 bis c.p..
Alla stregua di questi principi, non emergono dal tenore della contestazione e delle sentenze di merito elementi che consentano di qualificare la condotta dell'imputato come delitto contro il patrimonio sia pure con minaccia, mentre la stessa, come ricostruita dai giudici di merito e non contestata dalla difesa, sembra integrare un delitto contro la libertà sessuale.
Si impone pertanto l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla corte di appello che, nel rispetto dei criteri suindicati e del compendio probatorio raccolto, valuterà se la condotta ascritta all'imputato vada inquadrata ai sensi dell'art. 629 c.p., avendo comportato un'offesa al patrimonio della persona offesa, o abbia cagionato esclusivamente un'illecita limitazione della libertà sessuale della giovane vittima, che si estrinseca anche nella possibilità di intrattenere rapporti erotici on line e di trasmettere immagini intime del proprio corpo; in tal caso potrà verificare, nell'ambito di una complessiva ricostruzione della vicenda e del grado di compromissione del bene tutelato, l'eventuale sussistenza dell'attenuante speciale prevista dall'art. 609 bis c.p., comma 3. (Sez. 3 -, Sentenza n. 6713 del 26/01/2021 Ud. (dep. 22/02/2021) Rv. 281096 - 02).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 53 in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021