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Violenza sessuale: le misure di sicurezza di cui all'art. 609-nonies, comma 3, c.p. non necessitano di una specifica motivazione sulla sua durata, se essa è contenuta nella misura di un anno

Violenza sessuale

Cassazione penale sez. III, 18/10/2018, n.56674

In tema di reati sessuali, le misure di sicurezza previste dall'art. 609 nonies c.p. sono misure obbligatorie e pertanto nessun onere motivazionale grava sul giudice che abbia pronunciato la condanna ove le misure di sicurezza stesse siano state contenute nella misura minima di un anno in quanto corrispondente a quella fissata nel minimo dal legislatore.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1.Con sentenza in data 10.10.2017 la Corte di Appello di Genova ha confermato la penale responsabilità di G.S.G.G. per i reati di cui agli artt. 81, 609 bis e 609 ter, per aver costretto la propria nipote, di età inferiore ai 14 anni con la quale conviveva, a subire in plurime occasioni occasioni atti sessuali consistiti nello strusciarsi in condizioni di seminudità con il proprio pene contro le parti intime della minore, sia pur riducendo la condanna originariamente inflittagli dal Tribunale di Genova a quattro anni e due mesi di reclusione, oltre alle misure di sicurezza del divieto di espatrio, divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati da minori, svolgere lavori comportanti contatti abituali con minori ed obbligo di informativa alla PG sulla propria residenza. 2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al motivazionale, che malgrado l'intervenuta modifica del tempus commissi delicti al periodo marzo-aprile 2015 effettuata dal PM all'esito delle contestazioni della difesa che aveva dimostrato di essere in (OMISSIS) nel periodo in cui la minore aveva inizialmente collocato i fatti, ciò nondimeno la Corte di Appello ha omesso di valutare la circostanza, ripetutamente riferita dalla vittima, che gli episodi illeciti sarebbero sempre stati commessi alla presenza in casa della cugina Sofia, figlia dell'imputato, laddove erano state offerte dalla difesa le prove inconfutabili, tramite i biglietti aerei ed i passaporti, che la piccola si trovava all'estero nel periodo compreso tra il 6 febbraio ed il 3 aprile 2015. Contesta altresì la mancanza di motivazione sulla circostanza che la minore non presentasse segni rivelatori di abusi sessuali, neppure post-traumatici, emersa chiaramente dalla perizia di ufficio, fondandosi la condanna dell'imputato solo sulle sensazioni del primo giudice, inopinatamente confermate dalla Corte di Appello sul solo rilievo della constatata sincerità della bambina. Evidenzia infine come nessun rilievo sia stato dato alla circostanza, invece emblematica, della mancata costituzione della madre della vittima, che pure era stata la destinataria delle rivelazioni della figlia, nè ai numerosi rimproveri riferiti dalla minore da parte dello zio nel periodo della convivenza dei nuclei familiari sotto lo stesso tetto, rivelatori del profondo rancore nutrito dalla nipote nei confronti dell'imputato. 2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge e al vizio motivazionale, la mancanza di motivazione sulle doglianze relative al diniego delle attenuanti generiche, della diminuzione dell'aumento per la continuazione e della sospensione condizionale della pena, fondato sul comportamento di mancata resipiscenza dell'imputato che non poteva essere valutato negativamente solo perchè volto a dimostrare la sua innocenza. Contesta altresì il diniego dell'ipotesi di lieve entità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., senza che si fosse tenuto conto dell'incensuratezza dell'imputato, della sua condizione di regolare soggiornante in Italia e del generoso aiuto fornito alla famiglia della minore fino a quando le sue condizioni economiche erano floride. 2.3. Con il terzo motivo contesta l'omessa motivazione in relazione alle misure di sicurezza di cui era stata contestata con i motivi di appello la mancanza del presupposto applicativo, costituito dalla pericolosità sociale dell'autore del reato. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo si compone di una pluralità di doglianze per ognuna delle quali deve essere rilevata l'inammissibilità. Quanto alla presenza in casa della cuginetta Sofia in occasione di tutti gli episodi di abuso sessuale che la difesa assume, presupponendo un sostanziale travisamento della prova, emergere dalle dichiarazioni della vittima malgrado l'evidenza documentale dell'assenza della piccola dall'Italia, deve ritenersi preclusiva alla disamina della doglianza difensiva la mancata allegazione al ricorso di tutti i verbali contenenti la suddetta deposizione o comunque la mancata trascrizione del loro integrale contenuto, essendosi il ricorrente limitato a riportare solo talune frasi estrapolate dal contesto complessivo e ad allegarne al ricorso soltanto una parte. Va infatti rilevato che allorquando venga dedotto il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, incombe sul ricorrente l'onere di curarne l'integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 - dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053, Sez. 2, n.26725 dell' 01/03/2013 - dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723). Sono perciò da ritenersi inammissibili per genericità, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della motivazione, riportano meri stralci di singoli brani di prove dichiarative, estrapolati dal complessivo contenuto dell'atto processuale che si assume travisato al fine di trarre rafforzamento dall'indebita frantumazione dei contenuti probatori, o, invece, procedono ad allegare in blocco ed indistintamente le trascrizioni degli atti processuali, postulandone la integrale lettura da parte della Suprema Corte (Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014 - dep. 29/05/2015, Savasta e altri, Rv. 263601). In ogni caso la doglianza, già sollevata con i motivi di appello, risulta essere stata attentamente esaminata dalla sentenza impugnata che accertato passaggio questo come nel corso dell'incidente probatorio, di cui ha anche riprodotto alcune più significative dichiarazioni, la minore avesse ben distinto gli abusi subiti dallo zio, costituiti da quattro episodi svoltisi all'intero della camera da letto della cuginetta quando ancora costei, a detta della stessa vittima, stava con la madre in (OMISSIS), da quelli successivi avvenuti, quando la cugina era tornata, nel salotto di casa. Per quanto concerne le doglianze relative alla motivazione resa in ordine agli esiti della perizia disposta sulla minore le stesse appaiono del tutto indeterminate posto che neppure viene specificato se riferite all'esame ginecologico o a quello psicologico e che comunque la sentenza impugnata argomenta espressamente sul punto, giustificando l'assenza di segni traumatici in assenza di penetrazione o di atti invasivi così come riferiti dalla stessa vittima, e mutuando in ordine all'assenza di sintomi post-traumatici le conclusioni peritali che ricollegano al fatto stesso della rivelazione delle violenze subite, nonchè alla comprensione e all'apertura manifestate dalla coppia genitoriale l'assorbimento da parte della minore delle conseguenze negative astrattamente ipotizzabili. Del pari risultano essere state puntualmente affrontati i rilievi svolti dalla difesa in ordine alla mancata costituzione della madre della vittima come parte civile nel presente procedimento, avendo i giudici escluso che siffatta condotta lasciasse intravedere qualsivoglia ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'imputato alla luce del manifesto schieramento della figura genitoriale materna dalla parte della figlia per avere costei, nel dichiarare di credere alla bambina, apertamente preso le distanze dai cognati. Senza contare che essendosi costituito il padre, anch'egli esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia, l'argomentazione perde di consistenza. Anche in relazione a tale profilo le censure difensive, che costituiscono la pedissequa ripetizione delle doglianze già svolte con i motivi di appello, incorrono pertanto nella sanzione di aspecificità. 2. Il secondo motivo risulta manifestamente infondato. Mentre le contestazioni relative al diniego della sospensione condizionale della pena e all'aumento operato per effetto della continuazione non risultano neppure sviluppate onde incorrono necessariamente nell'inammissibilità, per quanto attiene alle attenuanti generiche occorre rilevare che la richiesta del beneficio non risulta supportata neppure nell'atto di appello, sinteticamente riprodotto nelle premesse di fatto della sentenza impugnata, da elementi favorevoli fatti valere dalla difesa, onde l'onere di motivazione del diniego deve ritenersi soddisfatto, come già affermato da questa Corte, con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 - dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460), rafforzata dal richiamo agli stessi elementi indicati a fondamento del diniego del fatto di lieve entità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c.. Quanto a tale ultimo profilo, dalla lettura della sentenza impugnata emerge con chiarezza come il diniego della speciale tenuità del fatto si fondi sulle modalità esecutive della violenza sessuale posta in essere con callidità, sulla reiterazione dei comportamenti criminosi, sull'ampia differenza di età tra l'imputato e la vittima: siffatta motivazione si allinea pienamente, con conseguente esclusione dell'eccepito vizio di violazione di legge, all'univoca interpretazione giurisprudenziale secondo la quale, ai fini della configurabilità della circostanza per i casi di minore gravità, prevista dall'art. 609 bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa anche in termini psichici sia stato significativamente contenuto. (ex multis, Sez. 3, n. 23913 del 14/05/2014 - dep. 06/06/2014, C, Rv. 25919601). Dal momento che il parametro cui commisurare l'entità della lesione della sfera sessuale della vittima è costituito dai soli elementi enucleati dall'art. 133 c.p., comma 1, nessuna incidenza possono avere con riferimento al bene giuridico tutelato le ragioni indicate dalla difesa, quali l'incensuratezza dell'imputato, la regolarità della sua permanenza in Italia, la prestazione di ordinaria attività lavorativa e gli aiuti economici forniti in precedenza alla famiglia della vittima, le quali, attenendo al diverso profilo della personalità del colpevole e dunque alle circostanze enucleate dall'art. 133 c.p., comma 2, rilevano esclusivamente al diverso fine della graduazione della pena (sez.3, n.27272 del 15.6.2010, Rv. 247931; Sez. 3, n.45692 del 26.10,2011 Rv.251611; Sez. 3, n.31841 del 2.4.2014, Rv. 260289). 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. La L. 1.10.2012 n. 172 ha introdotto all'interno dell'art. 609 nonies c.p., accanto alle pene accessorie, di cui ai primi due commi, conseguenti alla condanna penale per uno dei reati sessuali ivi espressamente indicati, un terzo comma che contempla tre misure di sicurezza afferenti a restrizioni nella libera circolazione, ovvero nello svolgimento di attività comportanti contatti con minori così come obblighi di comunicazione nei confronti degli organi di polizia, applicabili in conseguenza di condanna per reati sessuali che rispetto a quelli di cui ai primo due commi risultano o connotati da una particolare gravità o comunque commessi ai danni di minori. Malgrado la strutturale differenza tra i due istituti, assolvendo le pene accessorie ad una funzione di accentuazione delle conseguenze afflittive derivanti dalla condanna penale ed essendo invece le misure di sicurezza associate ad funzione tipicamente cautelare strettamente collegata, in quanto volta a prevenire la commissione di nuovi reati, alla condizione di pericolosità del condannato, tuttavia nella previsione di cui all'art. 609 nonies, siffatta condizione muta radicalmente con riferimento al presupposto applicativo non essendo in tal caso rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, bensì presunta dallo stesso legislatore. Nell'obiettivo, perseguito dalla novella 172/2012, di irrigidire il quadro lato sensu sanzionatorio nella materia della violenza sessuale specie se in danno di minori, la norma in esame dispone infatti testualmente al terzo comma che la condanna per uno dei delitti ivi indicati "comporta, dopo l'esecuzione della pena e per una durata minima di un anno, l'applicazione delle misure di sicurezza" di seguito elencate: l'utilizzo del predicato verbale "comporta" e la sua declinazione in termini grammaticali all'indicativo presente non lascia spazio ad operazioni ermeneutiche di sorta in ordine a possibili sottostanti apprezzamenti da parte dell'organo giudicante, intendendosi con esso sottolineare l'automatica consequenzialità, rispetto alla condanna, delle misure di sicurezza espressamente menzionate, cui conseguono ope legis. Con la loro collocazione all'interno dell'art. 609 novies, il divario applicativo rispetto alle pene accessorie si sfuma attesa la complementarietà di entrambe alla condanna, dovendo il giudice che abbia pronunciato una condanna "per i delitti previsti dall'art. 600 bis, comma 2, dall'art. 609 bis, nelle ipotesi aggravate di cui all'art. 609 ter, dagli art. 609 quater, 609 quinquies e 609 octies, nelle ipotesi aggravate di cui al comma 3, del medesimo articolo" applicare automaticamente le misure di sicurezza indicate. Trattandosi di misure obbligatorie nessun onere motivazionale grava, conseguentemente, sul giudice che abbia pronunciato la condanna ove le misure di sicurezza siano state contenute, come nella specie, nella misura minima di un anno in quanto corrispondente a quella fissata nel minimo dal legislatore. La sentenza impugnata, che in ogni caso ha fatto sintetico riferimento alla gravità del fatto ed alla mancanza di resipiscenza da parte dell'imputato, è pertanto immune da censure. Segue all'esito del ricorso la condanna del ricorrente a norma dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende. A carico del medesimo vanno altresì poste, secondo la regola della soccombenza, le spese sostenute per il presente grado di giudizio dalle parti civili, liquidate in conformità alle tariffe di cui al D.M. 8 marzo 2018, n. 37, con l'applicazione della maggiorazione prevista nell'ipotesi di assistenza di più soggetti aventi la medesima posizione processuale e disponendosene, atteso il gratuito patrocinio cui sono state ammesse, la distrazione in favore dell'Erario. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile S.A.D., in proprio e quale legale rappresentante della figlia minore, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA, da distrarsi in favore dell'Erario. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2018
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