RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 2/2/2023 il Tribunale di Enna ritenne Bi.Ni. colpevole del delitto di violenza sessuale consumata nonché del delitto di atti persecutori e, unificati i delitti, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 609-bis comma 3 cod. pen., lo condannò alla pena di anni due di reclusione, oltre pene accessorie. L'imputato fu anche condannato a risarcire il danno arrecato alla parte civile costituita, da liquidarsi a cura del giudice civile, nonché al pagamento di una provvisionale di Euro 5000,00, al cui versamento, entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, venne subordinata la sospensione condizionale della pena.
2. Con sentenza in data 24/10/2023 la Corte d'Appello di Caltanisetta, respingendo l'appello proposto dall'imputato, confermò la sentenza condannando Bi.Ni. alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile.
3. Avverso la sentenza, propone ricorso per Cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, che, con il primo motivo, denuncia la violazione dell'art. 606 comma 1 lett. d) cod. proc. pen. sostenendo che nel corso del dibattimento era emerso che Yu.Gu., titolare del negozio cinese in cui si sarebbero svolti i fatti, aveva assistito a quanto accaduto per cui avrebbe chiarire se: l'imputato avesse sfiorato il sedere della parte civile; quest'ultima avesse o meno rifiutato di servire l'imputato; a causa del rifiuto, la donna avesse subito un "rimprovero".
Aggiunge che:
la deposizione di Ci.Do. non poteva essere ritenuta decisiva in quanto la stessa si trovava posizionata dinanzi alla presunta vittima per cui non aveva avuto la possibilità di vedere se l'imputato avesse o meno sfiorato il sedere di Ge.;
Bi.Ni. aveva dichiarato che l'alterco era stato determinato dal rifiuto di Ge. di servirlo;
né la parte civile né Ci.Do. avevano mai proferito la parola "palpeggiamento" utilizzata dal Tribunale e della Corte d'Appello per descrivere la condotta ritenuta come accertata a carico dell'imputato, termine che definisce "un contatto protratto e insistente" che differisce sia dallo "sfioramento" che dalla "cd. pacca o tocco", che, come sottolineato nella sentenza n. 35473/2016 di questa Corte, in tanto assumono rilievo in quanto "la mano rimanga appoggiata sui glutei per un apprezzabile lasso di tempo", requisito che, nel caso di specie, non poteva ritenersi provato.
4. Con il secondo motivo, denuncia la violazione di legge processuale lamentando "l'inammissibilità delle prove dedotte in ordine alla contestazione dell'art. 612-bis cod. pen. Assume che l'arco temporale nel quale si erano svolti i fatti oggetto della contestazione andava dal 15 al 27 maggio 2017 mentre gli atti persecutori, "nella narrazione processuale", risultano successivi a detto periodo. Sintetizza, quindi, le deposizioni rese da Ca., delle commesse del negozio, da Am. e dai genitori della parte civile per segnalarne la non pertinenza con i fatti oggetto di contestazione e, comunque, l'irrilevanza probatoria. Richiama, ancora, la sentenza del Tribunale di Enna n. 838/23, che allega al ricorso, per ribadire che in questo procedimento "si erano utilizzati prove e testimoni su fatti e reati contestati successivamente al 17/5/2017".
5. Con il terzo motivo, si eccepisce la "violazione di legge" deducendo "l'inammissibilità delle prove dedotte in ordine alla contestazione dell'art. 612-bis. sotto il profilo della violazione dell'art. 649 c. p. p., ne bis in idem". Si assume che la sentenza impugnata con la condanna per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. aveva sanzionato condotte che si erano verificate dopo il 27/5/2017 e che avevano costituito oggetto del processo il cui primo grado era stata definito dalla sentenza del Tribunale di Enna innanzi richiamata, in palese violazione dell'art. 649 cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
In punto di diritto va osservato che: "La mancata assunzione di una prova decisiva, quale motivo d'impugnazione ex art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione ai sensi dell'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente articolato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione" (Sez. 2, n. 884 del 22/11/2023 (dep. 2024) Rv. 285722-01).
Il ricorso ancora non si confronta con la sentenza impugnata che aveva ritenuto che non ricorreva alcuna esigenza di integrare le emergenze istruttorie risultando "il quadro probatorio disponibile in effetti completo e obiettivamente idoneo ad escludere in modo certo una macchinazione in danno di Bi.Ni.". E, in effetti, dalle sentenze di merito non emerge dato alcuno che consenta di dubitare della veridicità della deposizione di Ci.Do., che ha dichiarato che aveva visto l'imputato "sfiorare con la mano il sedere della Ge.", confermando così il toccamento avvertito dalla parte civile e fugando ogni dubbio, anche alla luce della condotta persecutoria ricostruita dai giudici di merito, sulla volontarietà dell'atto e sulle finalità di concupiscenza che lo avevano animato.
La giurisprudenza di legittimità è, inoltre, "ferma nel ritenere che, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che si risolva in una attività "esplorativa" di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, rispetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame (Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633-01; Sez. 3, n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974-01; Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, Duval Perez, Rv. 256173-01)" (Sez. 3, 5433 del 27/10/2022, R., Rv. 284136-01, in motivazione).
2. Non è poi configurabile l'error in giudicando denunciato nel corpo del motivo. Questa Corte ha in passato già chiarito che "la natura sessuale dell'atto deriva dalla sua attitudine ad essere oggettivamente valutato, secondo canoni scientifici e culturali, come erotico, idoneo cioè a incarnare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dal fatto che proprio questo sia lo scopo dell'agente ... Secondo la scienza non solo medica, ma anche psicologica, antropologica e sociologica e in base al comune sentire, i genitali, i glutei ed il seno oggettivamente esprimono, più di ogni altra parte del corpo ed in modo più naturale, diretto ed esplicito, la sessualità. Il loro volontario toccamento esprime, con rara immediatezza, la natura "sessuale" del gesto, sicché, indipendentemente dalle intenzioni del suo autore (del tutto irrilevanti ai fini della sussistenza del reato), quando ciò avvenga senza il consenso di chi lo subisce o con l'inganno, viola il diritto dell'individuo di scegliere liberamente la persona con cui condividere questa parte di sé ed integra il delitto di cui all'art. 609-bis, cod. pen.." (Sez. 3, n. 21020 del 28/10/2014 (dep. 2015), C., Rv. 263738-01).
Tale principio si trova affermato anche nella sentenza richiamata in ricorso in cui "il tempo apprezzabile" del contatto fra la mano dell'imputato e il gluteo della vittima viene valorizzato non ai fini dell'integrazione della fattispecie obiettiva del reato ma per desumerne "la sussistenza dell'elemento soggettivo" del reato di violenza sessuale. Tant'è che, subito dopo, viene ribadito che "In tema di violenza sessuale, vanno considerati atti sessuali quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona o ad invadere la sfera sessuale con modalità connotate dalla costrizione (violenza, minaccia o abuso di autorità), sostituzione ingannevole di persona, abuso di inferiorità fisica o psichica, in essi potendosi ricomprendere anche quelli insidiosi e rapidi, che riguardino zone erogene su persona non consenziente (come ad es. palpamenti, sfregamenti, baci) (tra le molte, v. Sez. 3, n. 42871 del 26/09/2013, Z., Rv. 256915)" (Sez. 3, n. 35473 del 7/4/2016, P.). Tornando alla vicenda in esame, la Corte territoriale ha correttamente messo in evidenza che "il comportamento persecutorio complessivo ascrivibile all'imputato ... oggettivamente connotato da un intento di natura sessuale" non lasciava dubbio sul fatto che il contato corpore corpori fosse stato finalizzato a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, non residuando dubbi sull'intenzionalità e sullo scopo della condotta.
Non è, quindi, rinvenibile alcun vizio motivazionale o violazione di legge nel percorso argomentativo che giustifica la sussunzione della condotta accertata nel perimetro della norma incriminatrice contestata.
3. Inammissibile risulta anche il secondo motivo d'impugnazione in quando finalizzato a una rivalutazione del complessivo compendio probatorio non consentito in sede di legittimità.
Premesso che nella prospettazione del ricorrente non è dato rinvenire la norma processuale la cui violazione aveva comportato la denunciata inutilizzabilità delle prove, sembra che la difesa lamenti, in primo luogo, che la condanna per il delitto di stalking sia fondata sugli accadimenti descritti dai testi Am., "le commesse del negozio dei cinesi" e Ca. sebbene tali fatti fossero intervenuti dopo il periodo indicato in contestazione. Sennonché la deduzione difensiva non trova riscontro alcuno nelle sentenze di merito, che collocano i fatti ritenuti significativi riferiti dai testi nel lasso temporale individuato dalla contestazione, e deve ritenersi non emerga neppure dalle deposizioni richiamate, non essendo stato denunciato il travisamento della prova dichiarativa. Va, infine, rilevato che le deposizioni dei genitori della parte civile, la cui valenza significativa è stata contestata in ricorso, sono state dal giudice di merito valorizzate al fine di provare "lo stato di prostrazione in cui cadeva la vittima" e non in relazione ai fatti che quella condizione aveva determinato.
4. Manifestamente infondato è anche l'ultimo motivo del ricorso volto a denunciare una violazione del bis in idem che non trova negli atti processuali riscontro alcuno.
La sentenza del Tribunale di Enna n. 838 del 23/10/2023, infatti, dà atto che non si era tenuto conto delle condotte precedenti al 27/5/2017 proprio il fine di evitare che l'imputato potesse essere nuovamente condannato per i fatti che erano stati oggetto del presente processo.
In ogni caso, a tutto voler concedere, la denuncia non spiega perché la preclusione derivante dall'esercizio dell'azione penale individuata dalla giurisprudenza della Sezioni unite (n. 34655 del 28/06/2005 Rv. 231800-01) opererebbe in questo processo, contraddistinto da un numero di notizia di reato più risalente, e non in quello nel cui ambito è intervenuta la sentenza allegata al ricorso.
Va, infine, ricordato che non è deducibile per la prima volta davanti alla Corte di cassazione la violazione del divieto del "ne bis in idem" sostanziale, in quanto l'accertamento relativo alla identità del fatto oggetto dei due diversi procedimenti, intesa come coincidenza di tutte le componenti della fattispecie concreta, implica un apprezzamento di merito, né è consentito alle parti produrre in sede di legittimità documenti concernenti elementi fattuali (Sez. 2, Sentenza n. 6179 del 15/01/2021, Pane, Rv. 280648-01).
La doglianza sollevata, pertanto, risulta anche tardiva. Dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata (f. 1 e 2), emerge che la violazione del bis in idem processuale non aveva costituito motivo di appello. Posto che il ricorrente avrebbe avuto il dovere processuale di contestare specificamente, in ricorso, il riepilogo dei motivi di gravame operato dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o comunque non corretto (cfr: Sez. II, n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014, CED Cass. n. 259066), e posto che alcuna contestazione al riguardo è stata formulata, deve inferirsi che la censura in scrutinio è stata tardivamente sollevata, non essendo deducibili per la prima volta in sede di legittimità vizi non dedotti in precedenza come motivo di appello (Sez. 7, ord. n. 27561 del 19/4/2024, Busolli; Sez. 3, 24555 del 4/6/2024, Loviso; Sez. 3, n. 24270 del 9/5/2024, Cobaj).
5. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi, per quanto sopra argomentato, profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro tremila.
L'esito del giudizio comporta, infine, la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalla parte civile che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 3167,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 25 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2024.