RITENUTO IN FATTO
1. N.E. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Cagliari di conferma della sentenza del Tribunale di Cagliari in data 01/12/2017 che lo aveva condannato per il reato di cui agli artt. 81 e 609 bis c.p. per avere costretto con violenza la convivente S.L. a compiere e subire atti sessuali.
2. Con un primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all'art. 609 septies c.p., comma 4, nonchè art. 649 e art. 12 c.p.p..
Il ricorrente si duole della ritenuta procedibilità d'ufficio del reato a fronte di querela proposta tardivamente. In particolare, lamenta l'essersi proceduto d'ufficio nei suoi confronti in relazione, ex art. 609 septies c.p., al ritenuto rapporto di connessione con il reato di maltrattamenti per cui, in separato procedimento, è tuttavia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato; inoltre, ritenendo la connessione, la Corte distrettuale avrebbe esteso la procedibilità anche a fatti di abuso commessi prima della querela e risalenti al 2003 e 2004, con ciò violando il limite di legge di mesi sei per la proposizione della stessa. La ratio a base della procedibilità d'ufficio in caso di connessione con reato a sua volta procedibile di ufficio (ovvero il venir meno comunque della soglia di riservatezza posta a base della perseguibilità a querela) non sarebbe presente nel caso di specie, essendo il reato di maltrattamenti già stato giudicato in forma irrevocabile. Inoltre sarebbe stato violato anche il principio del ne bis in idem a fronte del giudicato intervenuto per i medesimi fatti di abuso sessuale, seppure qualificati come condotte di maltrattamenti. Infine, secondo il ricorrente, detti fatti si sarebbero comunque estinti in seguito alla mancata verificazione della condizione risolutiva della sospensione condizionale della pena disposta nella sentenza di cui al separato processo e rappresentata dalla commissione di reati nel termine dei cinque anni. In definitiva, per i fatti oggetto del presente giudizio, commessi sino al (OMISSIS), comunque già coperti da giudicato, mancherebbe la querela.
3. Con un secondo motivo lamenta violazione di legge penale, in relazione agli artt. 157,158,159,160 e 161 c.p..
In particolare il ricorrente si duole della mancata dichiarazione dell'intervenuta prescrizione del reato, in quanto, alla data di celebrazione del processo, ovvero al 04/03/2019, era già decorso il termine di cui agli artt. 157 e 161 c.p. di anni dodici e mesi sei mentre gli ulteriori episodi, riportati in maniera vagamente circostanziata dalla persona offesa nel corso del dibattimento, devono essere collocati nella data più favorevole all'imputato per il principio del favor rei.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso appare manifestamente infondato laddove lamenta la violazione del divieto di bis in idem a fronte di asserita formazione di giudicato con riguardo agli stessi fatti oggetto del presente giudizio.
Invero, ponendo a confronto l'imputazione odierna (relativa alla condotta ex art. 609 bis c.p. di costrizione della persona offesa, con violenza consistita in plurime percosse con schiaffi e pugni, ad avere rapporti sessuali, anche anali, nonchè a praticare rapporti orali in epoca anteriore al febbraio 2007) con quella di cui, invece, alla sentenza irrevocabile del Tribunale di Cagliari del 10/05/2010 (relativa alla condotta di cui all'art. 572 c.p. consistita, oltre ad atti di minaccia e violenza fisica, in richieste di prestazioni sessuali non accettate in epoca protrattasi sino al (OMISSIS)), appare evidente che, seppure il periodo temporale della prima imputazione appare ricompreso in quello della seconda, i fatti per cui si procede sono diversi da quelli già giudicati, tanto che la sentenza di primo grado del Tribunale di Cagliari del 01/12/2017, confermata dalla sentenza qui impugnata, ha disposto la unificazione sotto il vincolo della continuazione dei fatti oggetto di giudizio con quelli già irrevocabilmente giudicati.
2. Con riguardo invece alla doglianza circa la sollevata eccezione di improcedibilità, la stessa appare infondata.
E' anzitutto ininfluente, ai fini di considerare operativa, con riguardo ai fatti de quibus, la querela, la circostanza, evidenziata dalla sentenza impugnata, per cui la condotta integrante i suddetti reati sarebbe cessata nel (OMISSIS) e, dunque, entro il periodo di sei mesi coperto dalla presentazione della querela proposta in data 08/08/2007: infatti, anche a volere condividere ciò (la contestazione riguarda fatti in verità posti in essere in data anteriore al febbraio del 2007 e la stessa sentenza di primo grado parla di ultima violenza commessa nel febbraio del 2007), la suddetta querela, cui questa Corte può accedere in ragione della natura processuale del motivo, non appare contenere alcuna menzione dei fatti di violenza sessuale oggetto del presente giudizio; inoltre, ed in ogni caso, anche ai fini del termine per sporgere querela, non potrebbero non considerarsi le singole condotte di violenza poste in essere (dovendo escludersi, evidentemente, che il reato di cui all'art. 609 bis c.p. abbia natura permanente), sicchè la querela non potrebbe comunque coprire i fatti commessi prima del 8/2/2007.
E tuttavia, pur in assenza di rituale querela, i fatti di violenza sessuale erano ugualmente procedibili ex officio, a norma dell'art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, in ragione della connessione, correttamente rilevata dalla sentenza, con i già giudicati fatti di maltrattamenti di cui si è già detto sopra.
Va infatti ricordato che la ratio, più volte esplicata da questa Corte, che presiede alla norma appena richiamata, riposa nel fatto che, ove le indagini concernenti il reato procedibile d'ufficio, abbiano avuto ad oggetto anche il reato connesso, si è con ciò stesso valicata la soglia di riservatezza a cui presidio è stabilita la perseguibilità a querela dei reati sessuali (da ultimo, Sez. 3, n. 30938 del 19/04/2019, M., Rv. 276552).
E tale ratio appare ricorrere anche nella presente fattispecie posto che, come emergente dalla sentenza impugnata, l'azione penale per i fatti di violenza sessuale venne esercitata proprio in ragione delle dichiarazioni rese, nel dibattimento del giudizio relativo ai maltrattamenti, dalla stessa persona offesa, in tal modo, da un lato, venendo meno qualsivoglia ragione di riservatezza e, dall'altro, rendendosi evidente la connessione tra gli uni e gli altri fatti.
Nè varrebbe opporre che l'azione penale per i fatti di violenza sessuale sia stata esercitata in un momento successivo a quello della intervenuta irrevocabilità della sentenza di condanna per il reato procedibile d'ufficio, essendo rilevante non già un tale esercizio, quanto, sempre in necessaria correlazione con la già ricordata ratto dell'art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, il momento dell'emersione anche dei fatti procedibili a querela e delle conseguenti indagini ad essi relative, momento, nella specie, come già detto, resosi evidente nel corso del giudizio per il reato ex art. 572 c.p. per effetto delle stesse dichiarazioni della persona offesa.
3. Ciò posto, non essendo dunque il ricorso inammissibile, deve prendersi atto della ormai intervenuta prescrizione, che, seppure non maturata prima della sentenza impugnata (essendo dunque manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso), lo è tuttavia oggi; infatti, atteso il dies a quo del (OMISSIS), coincidente con la data di consumazione del reato contestata, il termine appare decorso, tenuto conto della sospensione pari a giorni quarantuno per effetto del rinvio disposto dall'11/05/2009 al 22/06/2009, il 12/09/2019.
Sicchè la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per estinzione del reato, dovendo essere confermate, ex art. 578 c.p.p., le statuizioni civili di cui ai giudizi di merito.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020