RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 27 settembre 2018, la Corte d'appello di Roma ha parzialmente riformato - escludendo l'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11 quinquies), riconosciuta in primo grado - la sentenza del GIP presso il Tribunale di Roma del 22 novembre 2017, resa all'esito di giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione per i reati di cui all'art. 61 c.p., n. 5) e art. 609 bis c.p., perchè, di notte e in luogo isolato, afferrandola per un braccio e bloccandola da dietro, costringeva una minorenne a subire atti sessuali consistiti nel palpeggiarle ripetutamente il seno infilando le mani all'interno del reggiseno, nel palpeggiarla al di sopra dei pantaloni ed in corrispondenza delle parti intime, nonchè nel tentare ripetutamente di baciarla sul collo e sulle labbra, persistendo nella propria condotta, nonostante la vittima cercasse di farlo desistere, sia divincolandosi fisicamente, sia proponendogli verbalmente di arrestare il suo approccio violento, al punto che la stessa, sentendosi sopraffatta, nell'intento di difendersi e di sfuggire al suo aggressore, gli sferrava un fendente con un coltello a serramanico - in suo possesso e nel suo zainetto in quanto scout - alla coscia destra.
Il GIP presso il Tribunale di Roma ha riconosciuto la responsabilità dell'imputato sia sulla base delle dichiarazioni testimoniali della persona offesa, sia dai certificati medici in atti, sia dalle annotazioni della polizia giudiziaria, sia dalle immagini estratte dalle registrazioni effettuate dai sistemi di videosorveglianza installati sui luoghi dei fatti, ha escluso l'ipotesi attenuata di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alle aggravanti della minorata difesa e dell'aver commesso il fatto nei confronti di persona minorenne. La Corte di Appello di Roma ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado, escludendo solamente la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11 quinquies), in quanto sarebbe stato difficile per l'imputato percepire con esattezza l'età della ragazza, in realtà diciassettenne.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.
2.1. - Con un primo motivo di ricorso, la difesa censura la violazione dell'art. 609 bis c.p., comma 3, con riferimento al mancato riconoscimento dell'ipotesi di minore gravità. Il giudice di secondo grado sarebbe incorso nel medesimo errore del GIP nel non tenere in debita considerazione tanto il fatto che non si sarebbe trattato di un bacio nei confronti della ragazza ma di un tentativo di bacio sul collo e sulle labbra quanto il fatto che la vittima avrebbe accoltellato l'imputato costringendolo al ricovero in ospedale e ad un delicato intervento chirurgico alla coscia con prognosi di giorni trenta. A parere della difesa quindi, la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere l'ipotesi attenuata, viste la personalità dell'imputato e l'esclusione dell'aggravante dell'aver commesso il fatto nei confronti di una persona di età inferiore agli anni diciotto.
2.2. - Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante della "minorata difesa", di cui all'art. 61 c.p., n. 5). A parere della difesa, il giudice di appello avrebbe omesso di considerare che la persona offesa era in possesso di due coltelli, con uno dei quali aveva colpito e ferito gravemente l'imputato che era invece palesemente disarmato e che il riconoscimento della sussistenza di questa aggravante, valutata senza considerare la coltellata subita dall'imputato, avrebbe ingiustamente impedito la riduzione della pena dovuta per la concessione delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p..
2.3. - Con un terzo motivo, la difesa censura la violazione di legge con riferimento all'erronea applicazione del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69 c.p.. Si lamenta che la Corte territoriale, nonostante abbia escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 11 quinquies), avrebbe considerato la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 5), equivalente nel giudizio di bilanciamento alle circostanze attenuanti generiche e, dunque, avrebbe errato nel non ritenere prevalenti le attenuanti generiche a seguito del venire meno di una delle due aggravanti originariamente contestate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il ricorso è inammissibile.
3.1. - Il primo motivo di doglianza, con cui la difesa censura la violazione dell'art. 609 bis c.p., comma 3, è manifestamente infondato. E' opportuno richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che, "ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all'art. 609 bis c.p., u.c., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre, ai fini del diniego della stessa attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità" (Sez. 3, n. 6784 del 18/11/2015, dep. 22/02/2016, P.G. in proc. D., Rv. 266272; Sez. 3, n. 21623 del 15/04/2015, dep. 25/05/2015, K., Rv. 263821). Del tutto correttamente, dunque, la Corte d'appello ha escluso l'ipotesi di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, considerando che "l'aver afferrato la giovane vittima alle spalle in piena notte, dopo averla inseguita, costringendola a subire ripetuti toccamenti delle parti intime, la pervicacia con cui l'imputato ha reiterato nella sua condotta nonostante il rifiuto della ragazza, fino alla drammatica reazione della stessa, esclude la ricorrenza dell'ipotesi in oggetto" (pag. 7 della sentenza impugnata). Nè può darsi rilievo, in senso contrario, alla legittima difesa della persona offesa, la quale ha arrecato danni fisici all'autore del reato, perchè la sua reazione si è resa necessaria proprio per contrastare la violenza e la pervicacia di quest'ultimo. E in generale deve affermarsi che le conseguenze patite dall'autore di una violenza sessuale per la reazione violenta della vittima non possono essere valutate al fine di realizzare una sorta di "compensazione" fra violenza praticata e violenza subita, così da rendere configurabile l'ipotesi di minore gravità di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, perchè, ai fini del diniego di tale circostanza attenuante, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità, venendo in considerazione le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima. II punto di vista assunto dal legislatore nella graduazione della gravità del reato è, in altri termini, esclusivamente quello della vittima, che vede lesa la sua libertà sessuale, e non anche quello dell'autore del reato, che non subisce una lesione della stessa natura.
3.2. - Il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante della "minorata difesa", prevista dall'art. 61 c.p., n. 5), è del pari manifestamente infondato. Questa Corte ha, in varie occasioni, affermato che la valutazione della sussistenza dell'aggravante della minorata difesa va operata dal giudice, caso per caso, valorizzando situazioni che abbiano ridotto o comunque ostacolato, cioè reso più difficile, la difesa del soggetto passivo, pur senza renderla del tutto o quasi impossibile, agevolando in concreto la commissione del reato (ex multis, Sez. 2, n. 43128 del 07/10/2014). Anche la Corte territoriale ha avuto modo di sottolineare che "il contesto in cui si sono svolti i fatti, ovvero di notte, in una zona non frequentata, ai danni di una ragazza assai giovane che solo da ultimo è riuscita a difendersi, impedendo il protrarsi di una condotta già consumata, integra l'aggravante in questione". Ed è opportuno chiarire che la reazione difensiva della vittima - consistita nel ferire con un coltello in suo possesso in quanto scout - è avvenuta quando la condotta si era già consumata e, quindi, si trattava di una reazione finalizzata ad evitare la commissione di ulteriori condotte lesive.
3.3. - Il terzo motivo di ricorso, con cui si censura l'erronea applicazione del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art. 69 c.p., è manifestamente infondato e, comunque, inammissibile per genericità. E' sufficiente qui ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che il giudice di appello, dopo avere escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un'ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall'imputato, può, senza incorrere nel divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata motivazione (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660). E deve anche ricordarsi che il giudizio di comparazione fissato dall'art. 69 c.p. presuppone una valutazione complessiva degli elementi circostanziali, siano essi aggravanti o attenuanti, che trova fondamento nella necessità di giungere alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa ed è funzionale alla finalità di quantificare la pena nel modo più aderente al caso concreto (ex multis Sez. 6, n. 6 del 26/11/2013, Acquafredda e altri, Rv. 258457). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, perchè ha considerato il peso concreto dell'aggravante la cui sussistenza è stata confermata, fornendo in tal modo adeguata giustificazione in riferimento al disvalore complessivo del fatto. Peraltro, una volta ribadito che l'elisione di uno dei termini in comparazione, non comporta automaticamente la revisione del giudizio di bilanciamento effettuato nel grado precedente, era onere del ricorrente evidenziare le ragioni per cui tale giudizio dovesse effettivamente essere sottoposto a revisione in senso favorevole. Ragioni che invece non ha prospettato con il ricorso, che si rivela pertanto, sotto questo profilo, non sufficientemente specifico.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2019