RITENUTO IN FATTO
In esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, il Gip del Tribunale di Forlì ha dichiarato F.M. responsabile di due episodi di violenza sessuale per induzione, previa riqualificazione di uno di essi, originariamente rubricato come violenza sessuale per costrizione caratterizzata dalla repentinità ed insidiosità della azione, tale da vincere la altrui contraria volontà, commessi, secondo la ipotesi accusatoria, in danno di due minorenni uno dei quali aveva poco più di 17 anni, mentre l'altro ne aveva poco più di 14 - da lui conosciuti attraverso la sua riferita attività di manager di siti web, sebbene la sua attività prioritaria fosse quella di collaboratore scolastico presso una scuola elementare, e lo aveva, pertanto condannato, esclusa la riconoscibilità delle attenuanti generiche, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, ma esclusa anche la possibilità di inquadrare i fatti fra le ipotesi di minore gravità, alla pena di anni 4 di reclusione.
Avendo l'imputato interposto ricorso in appello, la Corte territoriale bolognese - in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di primo grado, rigettata la eccezione avente ad oggetto la violazione della corrispondenza fra la contestazione e la sentenza nonché il motivo di impugnazione riguardante la valenza sessuale delle condotte realizzate dal F. e la meritevolezza di questo delle attenuanti generiche, avendo la Corte territoriale rilevato che il Gip del Tribunale di Forlì, quanto al primo profilo indicato, aveva invitato le parti, senza che siano state al riguardo formulate obbiezioni, a concludere, una volta ammesso il rito abbreviato, anche in relazione alla ipotesi di violenza sessuale per induzione - ha, tuttavia, ritenuto, in accoglimento del relativo motivo di gravame, che i fatti potessero essere qualificati nell'ambito della minore gravità e che, pertanto, la pena, sia quella base che quella relativa al secondo reato, posto in continuazione con il primo, dovesse essere ridimensionata; ha, perciò, determinato la complessiva sanzione cui il F. doveva essere condannato, tenuto conto anche dell'abbattimento dovuto alla scelta del rito, in anni tre di reclusione, salvo il resto.
Ha interposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato denunziando, in prima battuta, la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., avendo l'imputato formulato richiesta di rito abbreviato in relazione ad una determinata imputazione ed avendo, invece, visto, la stessa modificata dal giudicante in sede di sentenza senza che le ragioni di tale modificazione siano dovute ad eventuali esiti istruttori; in seconda battuta il ricorrente si è doluto del fatto che la sentenza di condanna sia stata pronunziata senza che fossero emersi elementi per ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, la ricorrenza delle due ipotesi delittuose a lui contestate.
Da ultimo il ricorrente si è doluto del fatto che non siano state riconosciute in suo favore, con motivazione illogica e contraddittoria, le circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto e risultato fondato e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere, conseguentemente annullata, secondo le modalità che saranno di seguito precisate.
Occorre esaminare distintamente le due censure formulate da parte della difesa del ricorrente, posto che la prima doglianza da questa articolata ha specificamente ad oggetto il fatto contestato sub A) del capo di imputazione e l'accoglimento di tale motivo riverbererà i suoi effetti limitatamente a tale contestazione.
E' bene riepilogare lo svolgimento dei fatti ora processualmente rilevanti: al F. sono stati contestati due episodi di violenza sessuale, il primo, genericamente riferito all'art. 609-bis c.p., ma puntualmente descritto in sede di contestazione del fatto, per avere, secondo la contestazione a lui originariamente mossa, "con violenza, costituita dalla repentinità e dall'insidiosità della azione, che superava la contraria volontà del ragazzo" costretto il minore B.L.D., il quale all'epoca dei fatti aveva l'età di poco più di 17 anni, a subire atti sessuali consistenti nel baciarlo lungamente sulla bocca, introducendo la sua lingua all'interno della cavità orale di quello ed insistendo, nonostante gli inviti del giovane a desistere, in tale condotta; il secondo, in relazione al quale è specificamente evocato l'art. 609-bis c.p., comma 2, in danno di altro giovane, tale V.T., il quale aveva al momento dei fatti 14 anni ed alcuni mesi di età, nei confronti del quale il F., secondo la accusa, avrebbe compiuto atti sessuali baciandolo sulla fronte e sulla testa, rivolgendogli, frasi affettuose del tipo "ti voglio bene" e "mi sei mancato" ed invitandolo a sentire con la sua mano il cuore dell'uomo che nel rivederlo, per l'emozione, batteva forte, abusando delle condizioni di inferiorità psichica dovute alla sua giovane età.
Questi essendo i fatti contestati all'imputato, il medesimo optava per le definizione del giudizio con rito abbreviato, non condizionato, che veniva ammesso con provvedimento del 4 dicembre 2019; in esito ad esso i Gup del Tribunale di Forlì, con sentenza emessa in pari data, avendo detto giudice nel corso della udienza invitato le parti a concludere "con riferimento al capo A) dell'imputazione sulla base dei fatti storicamente acclarati anche in relazione all'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, con riferimento all'approfittamento delle condizioni di inferiorità psichica della persona offesa", dichiarava la penale responsabilità del prevenuto in ordine ad ambedue le vicende a lui ascritte - avendo precisato in dispositivo che, quanto al fatto di cui al capo A), la fattispecie doveva essere sussunto entro lo schema normativo di cui all'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, - condannandolo, esclusa la contestata recidiva e ritenuti l'reati unificati dal vincolo della continuazione, alla pena di anni 4 di reclusione, così dosata avendo già tenuto conto della diminuente per la scelta del rito, oltre accessori.
Tale sentenza, oggetto di gravame da parte della difesa fiduciaria dell'imputato, è stata confermata dalla Corte di appello di Bologna quanto alla penale responsabilità per i fatti a lui ascritti, così come riqualificato il fatto di cui alla lettera A) della rubrica dal Tribunale forlivese, con la sola riforma avente ad oggetto la affermata ascrivibilità di essi alla ipotesi di minore gravità e, pertanto, con la rideterminazione della pena irrogata nella misura di anni 3 di reclusione, salvo il resto.
Avendo la ricorrente difesa espressamente dedotto quale motivo di ricorso in appello la illegittimità dell'avvenuta riqualificazione in termini di violenza sessuale per induzione del fatto di cui al capo A) della rubrica, la Corte territoriale felsinea ha osservato, nel respingere la doglianza, che non vi era stata, nell'operato del giudice di primo grado, la violazione del principio di correlazione fra imputazione contestata e fatto accertato in sentenza in quanto, per un verso, prima di iniziare la discussione conclusiva del giudizio nelle forme del rito abbreviato, il Gup aveva invitato la difesa a concludere anche sulla imputazione di violenza sessuale commessa con abuso delle condizioni di inferiorità psichica, senza che detta difesa sollevasse obbiezioni di sorta, ed in quanto, per altro verso, non vi era stata, a seguito della intervenuta modificazione, alcuna lesione del diritto di difesa dell'imputato, atteso che dal compendio probatorio già in atti era emerso che le modalità di realizzazione della condotta di violenza sessuale in danno del B.L. erano, appunto, consistite nell'abuso della condizione di inferiorità in cui questi si trovava.
Come detto, avverso la sentenza della Corte territoriale ha interposto ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, censurando la valutazione, ritenuta sia contra legem sia priva di un adeguato supporto motivazionale, con la quale era stata rigettata la censura concernente l'irritualità della intervenuta riqualificazione del fatto a lui contestato sub A) del capo di imputazione.
La lagnanza in tal modo presentata dal ricorrente è fondata.
Deve preliminarmente ricordarsi che il reato di violenza sessuale, previsto e descritto nelle sue forme di manifestazione basiche dall'art. 609-bis c.p., può essere commesso sia allorché l'individuo violi la sfera di libertà sessuale della persona offesa attraverso condotte che siano realizzate tramite l'esercizio della violenza, della minaccia ovvero dell'abuso di autorità in danno del soggetto passivo del reato, ipotesi nella quali può ben dirsi che non vi sia una adesione volontaria da parte di quest'ultimo al compimento da parte dell'agente delle condotte abusanti - con la precisazione che debbono intendersi commesse con violenza non solo le condotte" che siano realizzate in dichiarato contrasto con l'opposta volontà del soggetto passivo, ma anche quelle realizzate in assenza di una dichiarazione di adesione ad esse da parte di quest'ultimo, vuoi perché le stesse sono state poste in essere con modalità improvvise e repentine atte a sorprendere l'altrui volontà ed a non consentire, pertanto, una tempestiva reazione oppositiva da parte del soggetto passivo del reato (in tal senso cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 novembre 2014, n. 46170; idem Sezione III penale, 14 luglio 2010, n. 27273), vuoi perché tale soggetto non sia, per causa naturali o indotte, in condizione di esprimere il proprio consenso alle pratiche sessuale ab alieno poste in essere (si immagini il caso di atti sessuali commessi in danno di persona dormiente: Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 maggio 2017, n. 22127, ovvero quello di condotte sessualmente rilevanti commesse in danno di persone in istato di incoscienza legato alla precedente somministrazione di anestetici: Corte di cassazione Sezione III penale, 7 maggio 2008, n. 18360) - sia allorché l'individuo induca il soggetto passivo del reato a formalmente accondiscendere alla proprie richieste di deditio corporis - in tal senso agendo con modalità non rigidamente classificabili come contra eius voluntatem - ma avendo cagionato in quello il realizzarsi di un procedimento viziato di formazione della sua volontà adesiva alle condotte poste in essere dall'agente.
Ciò può avvenire o nel caso in cui l'agente abbia tratto in inganno il soggetto passivo, sostituendosi, onde conseguirne i favori sessuali di quello, ad altra persona (ipotesi apparentemente romanzesca, ma non per questo estranea ai repertori di giurisprudenza di questa Corte; si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 settembre 2017, n. 43164; idem Sezione III penale, 1 giugno 2010, n. 20578), ovvero nel caso in cui questi abbia abusato delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, inducendola, in tal modo, ad aderire alla sue richieste erotiche, dovendo ritenersi tale la condotta di chi si avvantaggi dolosamente dello stato menomato della vittima, strumentalizzando tale sua condizione onde accedere alla sfera intima della persona, che, versando in uno stato di difficoltà, viene ridotta ad un mezzo per l'altrui soddisfacimento sessuale (così: Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 giugno 2010, n. 20766; per un'analisi della complessiva struttura della fattispecie della violenza sessuale per induzione ed abuso dalla condizione di inferiorità del soggetto passivo, si veda anche: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 settembre 2017, n. 44221).
Intervenendo in argomento questa Corte ha più volte precisato come le ipotesi di violenza sessuale per costrizione e le ipotesi di violenza sessuale per induzione - stante la ontologica contrapposizione della condizione psicologica in cui versa nelle due fattispecie il soggetto passivo, in un caso di rifiuto o comunque di mancata adesione rispetto agli altrui voleri, nell'altro caso di adesione, sia pur in esito ad un viziato processo di formazione della volontà, ad essi, siano fra loro incompatibili, in quanto effetto di due tipologie di condotte poste in essere dall'agente fra loro inconciliabili - siano fra loro incompatibili (cfr. infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 febbraio 2018, n. 6741; idem Sezione III penale, 28 luglio 2016, n. 33049).
Fatta questa premessa, atta ad inquadrare a materia di cui si tratta, deve effettivamente convenirsi con la Corte di appello di Bologna nel rilievo che, secondo un certo orientamento di questa Corte, non sarebbe configurabile la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui la condanna, a fronte di un'originaria imputazione di violenza sessuale commessa con costrizione, sia, invece, pronunziata per violenza sessuale commessa con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica.
Ciò, in particolare, le volte in cui la seconda condotta sia la proiezione fattuale della prima e l'imputato abbia potuto difendersi riguardo a tutti i fatti addebitatigli (così: Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 settembre 2020, n. 24598; idem Sezione III penale, 26 ottobre 2015, n. 42977).
Ritiene, tuttavia, il Collegio che tale orientamento non sia, quanto al caso di specie, suscettibile di essere applicato.
Ed infatti - pur a voler prescindere, una volta ribadita la di già rilevata antinomia logica fra i due comportamenti, dalla ritenuta problematicità della possibilità che nell'occasione la condotta di abusiva induzione che sarebbe stata posta in essere dal F. costituisca la proiezione fattuale di una pretesa condotta di costrizione della quale non pare esservi traccia nella ricostruzione fattuale operata in sede di merito - si ritiene che l'inquadramento sistematico delle due forme di manifestazione dello stesso reato sia stato lucidamente e correttamente delineato da questa Corte, nel senso proprio della autonomia fattuale fra le due condotte previste dalla norma e non della possibile compenetrazione dell'una nell'altra, allorché essa ebbe a precisare come le diverse condotte con cui può estrinsecarsi il reato di cui all'art. 609-bis c.p., non sono equivalenti o sovrapponibili, ma configurano diverse modalità del fatto; pertanto, l'affermazione di responsabilità per una condotta diversa da quella contestata realizza indubbiamente la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, posto che la modificazione di un elemento essenziale del reato, qual è la condotta, configura senza riserve un fatto diverso da quello contestato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 giugno 2009, n. 23873), in, relazione al quale, per restare nell'attualità, il ricorrente non si è potuto difendere.
Una tale affermazione sarebbe già di per sé idonea a evidenziare la violazione della regola della necessaria corrispondenza fra l'oggetto della contestazione giudiziale e il fatto come accertato in sentenza, ma nella specie vi è anche di più ove si consideri che l'avvenuta "riqualificazione" del fatto è scaturita all'esito di un giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato; circostanza questa che costituisce una ulteriore criticità sulla strada percorsa dalla sentenza impugnata.
Deve, infatti, confermarsi il principio secondo il quale, nel caso in cui il processo si sia svolto secondo le modalità di cui agli artt. 438 e seg. c.p.p., è possibile la modificazione della imputazione da parte del giudice solamente per i fatti che siano emersi o a seguito dell'espletamento della integrazione probatoria alla cui effettuazione era condizionatamente subordinata la richiesta di accedere al rito speciale, ovvero a seguito della integrazione istruttoria disposta ex officio ai sensi dell'art. 441, comma 5, del codice di rito, nei limiti, comunque, fissati dall'art. 423 del medesimo testo processuale (Corte di cassazione Sezioni unite penali, 13 febbraio 2020, n. 5788).
Laddove, invece, la riqualificazione giuridica del fatto sia intervenuta, come nel presente caso, in esito a giudizio abbreviato "secco", essa si pone in contrasto, sia sotto il profilo dell'art. 111 Cost. sia sotto quello dell'art. 6 della Convenzione EDU, con la pienezza dell'esercizio del diritto di difesa e del diritto al reale contraddittorio fra le parti, ogni qual volta essa non sia stata in concreto prevedibile da parte dell'imputato (Corte di cassazione, Sezione II penale, 20 settembre 2019, n. 38821), circostanza questa che è certamente ravvisabile ove attraverso la riqualificazione non ci si limiti ad attribuire una mera diversa veste giuridica alla medesima condotta oggetto di contestazione, ma si prenda in considerazione, come nel caso che ora interessa, una modalità materiale di esecuzione della condotta tipica del reato contestato che sia diversa da quella originariamente oggetto di contestazione.
Deve, infatti affermarsi che, laddove la modificazione della imputazione consegua ad un giudizio abbreviato non condizionato ad alcuna acquisizione probatoria, l'imputato si trova, al momento della pronunzia della sentenza a suo carico, di fronte ad un ingiustificato fatto nuovo, in altre parole ad una "sorpresa" processuale, il cui effetto è quello di modificare, in assenza di elementi sopravvenuti acquisiti nel contraddittorio fra le parti, i termini fattuali sulla presupposizione base dei quali l'imputato si era risolto alla manifestazione di volontà, costituente un vero e proprio "negozio giuridico processuale", volta a richiedere la definizione del processo nelle forme del rito abbreviato.
E' di tutta evidenza che la rinunzia effettuata dal prevenuto alle garanzie previste dal dibattimento pubblico e dalla acquisizione della prova nel contraddittorio in cui esso si svolge, rinunzia che, come ogni negozio dismissivo, deve essere circondata da particolari garanzie, è stata da questo operata sulla base di una determinata situazione di fatto, costituita nel caso dalla fermezza della contestazione, che, laddove questa si rivelasse invece dotata di una certa fluidità, tale da consentire, coeteris paribus, la modificazione del fatto contestato, porrebbe in una situazione di evidente svantaggio processuale l'imputato, in forza di una sua preliminare scelta, che deve ritenersi essere stata compiuta sulla base di un determinato assetto degli elementi di giudizio che, invece, sono stati unilateralmente variati nel corso del processo.
Ne', da ultimo sul punto, ha un qualche rilievo il fatto - sul quale invece la Corte di appello ha fatto leva per rigettare il gravame che sull'argomento era stato formulato di fronte a detta Corte dalla difesa del ricorrente - che, all'atto di invitare le parti a concludere, il Gup del Tribunale forlivese avesse appunto invitato le parti a concludere anche in relazione ad una ipotesi di violenza sessuale commessa con abusiva induzione e non con costrizione, senza che sul punto fosse stata sollevata alcuna censura nell'immediatezza.
Infatti, posto che il vizio procedimentale che affetta la sentenza di primo grado si sarebbe manifestato non al momento dell'invito a concludere anche sulla diversa ipotesi, non espressamente contestata, di violenza per abusiva induzione, ma nel momento in cui il giudice, seguendo la ricostruzione dapprima solo alternativamente prospettata, ha pronunziato la sentenza di condanna per il fatto in quel modo riqualificato, deve ricordarsi che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra un caso di nullità di carattere generale a regime intermedio, che può essere dedotto sino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo di giudizio (Corte di cassazione Sezione IV penale, 20 aprile 2017, n. 19043), cosa che il ricorrente ha assai tempestivamente fatto, dolendosi del descritto vizio fin dalla presentazione dei motivi di gravame in sede di ricorso in grado di appello.
In accoglimento, pertanto, del primo motivo di impugnazione proposto dalla difesa del F., la sentenza della Corte di appello di Bologna, la quale, rigettando il pertinente motivo di appello, non ha rilevato il vizio procedimentale venutosi a creare nel corso del giudizio di primo grado, deve essere annullata, con assorbimento del motivo di impugnazione avente ad oggetto il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche relativamente al reato ora in esame, senza rinvio, quanto alla affermazione della sua penale responsabilità in ordine al reato di cui al capo A) della rubrica a lui contestata, stante la divergenza fra il fatto contestato ed il fatto per cui è intervenuta la condanna.
Deve essere, altresì, dichiarata la nullità, anche della sentenza di primo grado, fase processuale nel corso della quale si è verificato il dedotto, e non rilevato in occasione del gravame, vizio processuale, con la conseguente trasmissione degli atti, visto il combinato disposto dell'art. 620 c.p.p., lett. f), e art. 621 c.p.p., al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì per le determinazioni di competenza in ordine al rinnovato esercizio della azione penale in relazione al fatto nuovo come apparentemente emerso nel corso del giudizio celebratosi di fronte a quel Tribunale.
Passando, ora, al secondo motivo di impugnazione nei limiti in cui esso è rivolto a censurare la ritenuta integrazione del reato a lui contestato sub B) della rubrica attraverso le condotte che lo stesso avrebbe posto in essere in danno del minore V.T., si osserva che effettivamente la Corte felsinea, prendendo posizione sul punto, ha desunto la connotazione sessuale delle condotte in questione poste in essere dal F. dal tenore fortemente caratterizzato, per l'intenso coinvolgimento emotivo che essi rappresentano, dei rapporti, per lo più telefonici, anteriormente intercorsi fra il prevenuto e la predetta parte offesa.
Ora, osserva il Collegio, premessa la materialità delle condotte attribuite al F. (si tratta di abbracci di carattere pubblico, in quanto non avvenuti in condizioni di isolamento, baci impressi sulla testa e sulla fronte; inviti al ragazzo a porre la mano sul petto dell'umo onde sentire il suo tumultuoso battere del cuore), seppure può ragionevolmente esprimersi un giudizio di biasimevole inopportunità comportamentale da parte di costui, anche considerata il non trascurabile divario di età esistente fra le due persone (l'uomo aveva 35 anni al momento del fatto mentre il ragazzo poco più di 14), seppure non possa sfuggire il fatto che l'imputato abbia fatto tesoro di una situazione di disagio familiare in cui il V. si era venuto a trovare, seppure, infine, appare verosimile ritenere che gli atti posti in essere da quello fossero strumentali ad una successiva intensificazione della relazione, destinata a sfociare in comportamenti aventi un più univoco contenuto erotico, deve tuttavia osservarsi che, per come rappresentati gli atti di cui al capo di imputazione non appaiono avere una immediata valenza sessuale.
Invero, premessa la più volte affermata, oggettività della connotazione sessuale delle condotte per rientrare nel paradigma normativo di cui all'art. 609-bis c.p. (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 maggio 2019, n. 20459), deve affermarsi che, quale che sia l'intento che sostiene finalisticamente la loro commissione (fosse esso anche volto a soddisfare attraverso forme inconsuete, stante una ipotetica parafilia da cui il soggetto agente sia caratterizzato, proprio la sua libido sessuale), la natura di atto sessuale deve essere attribuita alle condotte umane esclusivamente in base ad una valutazione avente un carattere oggettivo e per tale deve, pertanto, ritenersi solo la condotta di chi attinga una porzione corporea della persona offesa che, secondo i criteri socialmente accettati e conformi alla ordinarietà medica, possa essere considerata erogena, ovvero comporti il coinvolgimento corporeo della medesima persona offesa posta a contatto con la corporeità del soggetto agente in una zona erogena, così definibile in base ai criteri dianzi enunziati, di costui (Corte di cassazione, Sezione III penale, 27 agosto 2018, n. 38926) o comunque sia corporalmente coinvolto dagli effetti di atti a contenuto spiccatamente sessuale posti in essere dal soggetto agente (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 novembre 2017, n. 51083).
Tanto premesso, quanto al caso di specie deve rilevarsi che non vi sono gli elementi per ricavare in termini di oggettività materiale, per come sopra delineata, la natura di "atto sessuale" nei descritti comportamenti tenuti dal F. nei confronti del minore, per cui, anche a voler ritenere integrata da parte di questo la abusiva induzione del minore ad accondiscendere alle azione di lui poste in essere, la sentenza impugnata ha desunto in sede motivazionale la loro qualificazione in termini di reato consumato non dalla loro effettiva materialità, ma dal contesto, invero torbido ma non per questo di per sé idoneo a modificare le caratteristiche intrinseche della condotta, in cui essi sono stati inseriti dall'imputato.
Non sfugge, d'altra parte, all'interprete come il legislatore, proprio al fine di apprestare una garanzia avanzata alla particolare delicatezza del bene interesse coinvolto dai reati in tema di libertà sessuale ove gli stessi vedano come soggetti passivi individui nei quali la formazione della personalità è tuttora in itinere, quali sono i minorenni, e che, pertanto, appaiono meno attrezzati dal punto di vista della autotutela, abbia inteso anticipare la soglia di punibilità, sia pure sotto la prospettiva della sussistenza di una diversa ipotesi di reato, rispetto alla stessa fattispecie del reato tentato, introducendo, all'art. 609-udecies c.p., la figura delittuosa dell'adescamento di minorenni, la cui consumazione, per espresso dettato legislativo, postula la insussistenza di altro, più grave reato (sulla natura "anticipatoria" della ipotesi di reato in questione: Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 febbraio 2017, n. 8691; sulla struttura dello specifico elemento soggettivo dello stesso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 aprile 2019, n. 17373).
Per tale ragione, cioè la inadeguatezza motivazionale in relazione alla idoneità degli atti ad integrare la consumazione del reato contestato, la sentenza impugnata deve essere annullata, con assorbimento del motivo di ricorso riguardante la meritevolezza o meno del F. in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in relazione alla imputazione di cui al capo 8), questa volta con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna, affinché la stessa rivaluti, in applicazione dei principi esposti, nuovamente motivando sul punto, la sussistenza della ipotesi criminosa ascritta al ricorrente in danno di V.T..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado, limitatamente al reato di cui al capo a) della rubrica, disponendosi la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Forlì per l'ulteriore corso.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo b), con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna.
In caso di diffusione del presente provvedimento, si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi delle persone, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2022