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Legittimo esercizio del diritto di critica e continenza: quando la critica non costituisce diffamazione

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Corte appello Bologna sez. II, 09/07/2024, n.1494

L'esercizio del diritto di critica è scriminato dal legittimo esercizio della libertà di espressione (art. 21 Cost.) quando rispetta il requisito della continenza formale e sostanziale. La critica può includere espressioni "pesanti" o opinioni soggettive, purché non trascenda in attacchi personali gratuiti e si basi su un nucleo minimo di verità. Non si richiede l'assoluta obiettività, trattandosi di giudizi di valore che rientrano nel bilanciamento tra la tutela della reputazione e la libera manifestazione del pensiero. (Cass. pen. n. 14822/2012; Cass. pen. n. 46132/2014)

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La sentenza integrale

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., Ma.Ma. chiedeva il risarcimento dei danni subiti e quantificati in Euro 250.000,00, a seguito delle espressioni diffamatorie contenute nell'articolo pubblicato sul quotidiano "(…)" in data 15.05.2019 a firma di Ca.Bo. dal titolo "Il piano del Governo per spartirsi i vertici dei servizi segreti" con l'occhiello "Lega e M5S vogliono mettere le mani su sei poltrone chiave. Tra i pretendenti Ma., l'uomo degli ultimi scandali Sismi"; pertanto, conveniva in giudizio, per essere condannati in solido, ai sensi della legge n. 47/1948, il giornalista firmatario dell'articolo Ca.Bo., il direttore responsabile Ca.Ve. e il Gruppo Editoriale (…) s.p.a.; chiedeva inoltre la condanna dei resistenti in solido per non avere tempestivamente rimosso l'articolo oggetto del giudizio nonché la riparazione pecuniaria prevista dall'art. 12 della legge n. 47/1948, ed infine l'ordine ai resistenti di provvedere alla rettifica delle espressioni diffamatorie riportate nella parte narrativa del ricorso con debita comunicazione scritta di almeno 30 righe e l'adeguata pubblicazione del provvedimento di condanna sul quotidiano "(…)", oltre che sui quotidiani "(…)", il "(…)", il "(…)", il "(…)".

Si costituivano in giudizio i resistenti e contestavano il fondamento della domanda attorea richiedendone il rigetto; eccepivano la improcedibilità sia della domanda volta ad ottenere la condanna in solido dei convenuti alla riparazione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/1948 sia della domanda di risarcimento danni ai sensi dell'art. 2043 c.c. e/o dell'art. 2049 c.c. per non avere tempestivamente rimosso l'articolo in contestazione.

Il Tribunale di Ravenna, con ordinanza pubblicata l'8/06/2021, decidendo sulla causa R.G. n. 3479/2019, accertata la responsabilità, ai sensi degli artt. 185, c. 2 e 595, c. 3 c.p. di Ca.Bo. per l'offesa alla reputazione di Ma.Ma. in relazione all'articolo oggetto di giudizio, condannava lo stesso, in solido con Ca.Ve. e (…) s.p.a. al pagamento della somma di Euro 24.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito dal ricorrente; condannava Ca.Bo., ai sensi dell'art. 15 della legge n. 47/1948 al pagamento della somma di Euro 4.000,00; compensava per un terzo e condannava i resistenti in solido tra loro al pagamento dei rimanenti 2/3 delle spese di lite.

Il Tribunale rilevava che l'articolo pubblicato sul quotidiano "(…)" a firma di Ca.Bo. così come sopra richiamato conteneva affermazioni "lesive della reputazione professionale del ricorrente poiché veicolano, nel lettore medio, l'immagine di un funzionario che non ha agito nel rispetto della legge ancorché tale conclusione, proposta senza rappresentazione dubitativa, non sia sorretta da alcun elemento oggettivo riportato dall'articolo ed anzi risulti smentita dalle vicende giudiziarie che hanno visto coinvolto Ma.

A ciò si aggiunga che, a fronte delle deduzioni sul punto del ricorrente, i convenuti nulla hanno provato circa il coinvolgimento del Ma. con riguardo ai dossier illegali su magistrati, giornalisti, uomini politici"; rilevava inoltre il Tribunale che l'aspetto offensivo della descritta insinuazione non poteva dirsi poi scriminato dal diritto di cronaca e di critica, in quanto, pur rispondendo l'articolo giornalistico in esame ad una esigenza di pubblica informazione, tuttavia difettava nello stesso il requisito della continenza, cioè della correttezza nella esposizione dei fatti, al fine di evitare la lesione dell'altrui reputazione.

Il Tribunale quindi riteneva sussistente nel caso di specie la responsabilità di Ca.Bo. in relazione al reato di diffamazione a mezzo stampa stante la presenza sia dell'elemento oggettivo e sia di quello soggettivo rappresentato dal dolo generico.

In relazione alla quantificazione del danno, rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di chances di carriera in quanto formulata in maniera generica, il Tribunale riconosceva al ricorrente ex artt. 2056 e 1226 cc. la somma di Euro 24.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, ponendola a carico solidale dell'autore dell'articolo, del direttore del (…) ex art. 57 c.p. e dell'editore ex art. 11, legge n. 47/1948.

Il Tribunale inoltre poneva a carico esclusivo di Ca.Bo. la sanzione di Euro 4.000,00 ex art. 12 legge n. 47/1948, escluso il concorso doloso del direttore nel reato di diffamazione.

Il Tribunale infine rigettava la domanda di rettifica ex art. 8 legge n. 47/1948, non avendo provato il ricorrente di aver domandato, nell'immediatezza della pubblicazione dell'articolo o comunque successivamente, la pubblicazione di alcun testo di rettifica nonché la domanda di pubblicazione della sentenza ex art. 120 c.p.c., in quanto inefficace a titolo riparatorio a causa del tempo trascorso dalla pubblicazione dell'articolo e dai fatti oggetto dello stesso, per cui l'interesse pubblico alla richiesta pubblicazione poteva ritenersi "sicuramente scemato".

L'ordinanza del Tribunale di Ravenna che ha deciso nei termini di cui sopra è stata impugnata da Ca.Bo., Ca.Ve. e (…) s.p.a. che hanno richiesto l'integrale riforma della gravata ordinanza con conseguente rigetto della domanda formulata in primo grado dal ricorrente/appellato.

Si è costituito l'appellato Ma.Ma. che ha richiesto il rigetto dell'appello e la conferma dell'ordinanza appellata.

La causa è stata decisa sulle conclusioni precisate dalle parti all'udienza del 15/11/2023, con concessione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

La Corte esamina, per evidenti ragioni di connessione logico-giuridica, i primi due motivi di appello.

Con il primo motivo di impugnazione, rubricato "erronea e contradittoria motivazione dell'ordinanza in punto di ricostruzione e valutazione dello scritto de quo", gli appellanti lamentano l'erroneità della gravata ordinanza laddove il primo giudice ha erroneamente ricostruito ed interpretato il contenuto ed il contesto dell'articolo pubblicato su "(…)" a firma del giornalista Ca.Bo. il 15/05/2019, ritenendo che le affermazioni ivi riportate fossero lesive della reputazione di Ma.Ma., veicolando nel lettore medio l'immagine di un alto pubblico funzionario che non aveva agito nel rispetto della legge, avendo il Tribunale "travisato tanto le parole e il senso degli incisi contestati, quanto più in generale l'intero articolo, confondendo la critica con la cronaca (e applicando di conseguenza i diversi e più ristretti parametri di liceità indicati dalla richiamata giurisprudenza), disconoscendo la legittima e pertinente osservazione critica del giornalista tanto in ordine al più ampio tema della "spartizione dei vertici dei servizi segreti da parte del governo quanto in ordine ai richiamati trascorsi del Ma., giungendo così ad una valutazione della pubblicazione del tutto inesatta".

Con il secondo motivo di impugnazione, rubricato "violazione e/o falsa applicazione dei principi elaborato dalla giurisprudenza in tema di diffamazione a mezzo stampa, con particolare riferimento all'omesso riferimento e all'omessa applicazione dei principi elaborati in tema di critica", gli appellanti lamentano l'erroneità della gravata ordinanza laddove il primo giudice non ha svolto alcuna considerazione in ordine all'applicazione al caso di specie della scriminante del diritto di critica, "anche con particolare riferimento al parametro della continenza del linguaggio e delle modalità espositive adoperati dal giornalista".

Sostengono ancora gli appellanti che nel caso di specie il primo giudice avrebbe dovuto ritenere sussistente l'esimente del diritto di cronaca giornalistica, considerando l'interesse della pubblica opinione "alla conoscenza non del fatto criticato - che è presupposto della stessa e, quindi, fuori di essa - ma di una determinata interpretazione soggettiva di questo medesimo fatto, la quale, quindi, non può prescindere da una analitica e dettagliata ricostruzione (storica) del "fatto" criticato e ciò tutte le volte in cui - così come è avvenuto proprio nel caso di specie - l'indicazione del presupposto di fatto da cui muove la critica non ne implichi una strumentale e/o alterazione e, quindi, con comporti un ingiustificato ed illegittimo attacco denigratorio nei confronti del soggetto asseritamente diffamato".

Sostengono infine gli appellanti che tutte le vicende riportate nell'articolo censurato dal Ma. risultano vere e note al pubblico dei lettori per cui il riferimento alle stesse rispetta altresì il requisito della continenza, in quanto, diversamente da quanto riportato nell'ordinanza gravata, nello scritto "non è stato detto che Ma. abbia avuto un ruolo in ciascuno di essi ma solo in 'alcuni' e i lettori sanno bene in quali", per cui il richiamato articolo va ritenuto espressione della libertà di pensiero del giornalista e del diritto di critica, implicante una attività valutativa dei fatti e degli eventi riportati, con la conseguenza che, consistendo la critica in una interpretazione soggettiva dei fatti, la stessa comporta la "facoltà di rappresentare dei personaggi in una luce negativa".

Le doglianze sono fondate per le ragioni che seguono.

Dal riesame operato dalla Corte degli elementi di prova acquisiti al processo (documenti ed atti defensionali) ai fini della ricostruzione fattuale della vicenda in esame, è emerso che in data 14/05/2019 il quotidiano "(…)" pubblicava a firma del giornalista Ca.Bo. un articolo dal titolo "Il piano del Governo per spartirsi i vertici dei servizi segreti", con l'occhiello "Lega e M5S vogliono mettere le mani su sei poltrone chiave. Tra i pretendenti Ma., l'uomo degli ultimi scandali Sismi".

All'interno dell'articolo oggetto di esame, il giornalista riferisce delle imminenti nomine ai vertici dei Servizi segreti italiani e della intenzione del Governo in carica di occupare alcune dei posti resisi liberi (anche a mezzo di dimissioni provocate) elevando a sei i posti da coprire e "da dividersi tra gli azionisti del Governo in ragione delle rispettive quote di maggioranza e da consegnare ad altrettanti 'uomini nuovi" che abbiano fatto voto di osservanza "giallo-verde". Tra i quali, -lo vedremo una vecchia conoscenza. Ma.Ma., già arrestato ed indagato dalla Procura di Milano perché protagonista di alcuni dei momenti chiave della stagione più opaca della recente storia dei Servizi, quella del Sismi di Nicolò Pollari. Quella della "doppia obbedienza" (alla Politica, prima che alla Costituzione), del rapimento ed extraordinary rendition di (…), del sequestro Sg. e della morte di Ni.Ca., dell'affare (…) e dei dossier illegali su magistrati, giornalisti, uomini politici cucinati da una "struttura" che, era il 2006, operava in un appartamento coperto in Via (…), a Roma".

Più avanti ancora, il giornalista, nel riferire della presunta occupazione da parte del Governo in carica (il Governo Conte 1) delle richiamate posizioni dei servizi segreti, scrive: "I due uomini che, da mesi, lavorano alle prese del Palazzo dell'Intelligence sono il Ministro dell'Interno Sa. e il Cinque Stelle An.To., sottosegretario alla Difesa. Un giovane salernitano un pò intruppone, questo To., che, nella passata legislatura, ha seduto nel Copasir (il Comitato di controllo sui Servizi) inciampando in una disavventura giudiziaria che gli sarebbe potuta costare la ghirba (si infila con una improbabile coppia napoletana in un'opaca serie di incontri in Medio Oriente pensando di fare lo 007 e invece facendo da foglia di fico a due trafficanti di armi, ma che, nel momento del bisogno, è stato abilmente raccolto e coltivato da Ma.Ma.

L'uomo nero dell'ex Si., mai rassegnato a una carriera di seconda fila nel Dis (dove oggi si occupa di forniture), si accredita, attraverso To. (i due vengono visti più di una volta a cena insieme nella zona di Corso Vittorio Emanuele) con i 5 Stelle e, quando l'Italia si fa giallo-verde, si offre anche a Ma.Sa., il padrone della nuova maggioranza in cerca di nuove "fedeltà all'interno degli apparati. Ma.Ma. vuole per sé una vicedirezione nei Servizi (l'Aise in primis), ma, soprattutto, sussurrando all'orecchio di To. e Sa., il consigliori (ndr consigliere) di questo nuovo Grande Gioco."

Il ricorrente in primo grado Ma.Ma. nel suo ricorso al Tribunale di Ravenna lamentava che il giornalista aveva riportato nel richiamato articolo una notizia falsa, non essendo mai stato coinvolto negli indicati "dossier" e soprattutto non aveva fatto riferimento alle sentenze relative ai casi "(…)" e "(…)" che lo avevano scagionato da ogni responsabilità penale; contestava poi legami con gli esponenti politici nominati nell'articolo che aveva incontrato non già per patrocinare la sua carriera ma solo per fini istituzionali e comunque non certo per scopi di "osservanza giallo-verde"; riteneva pertanto che l'articolo conteneva frasi diffamatorie in suo danno con conseguente richiesta risarcitoria.

Ora, secondo la condivisibile giurisprudenza di legittimità, per stabilire se uno scritto giornalistico abbia o meno contenuto diffamatorio (ai fini di procedere al risarcimento del danno subito dal danneggiato) non è sufficiente avere riguardo alla verità della notizia da esso diffusa, né limitarsi alla sola analisi testuale dello scritto, ma è invece necessario considerare tutti gli ulteriori elementi dello scritto pubblicato come ad esempio i titoli, l'occhiello, le fotografie, gli accostamenti, le figure retoriche - che formano il contesto della comunicazione e che possono arricchirla di significati ulteriori, anch'essi lesivi dell'altrui onore o reputazione. (Cass. pen n. 25157/2008).

Inoltre, "la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono: a) la verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà; b) l'interesse pubblico all'informazione, cioè la cosiddetta pertinenza; c) la forma civile dell'esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza" (Cass. pen. n. 14822/2012).

Secondo una recente e condivisa decisione della S.C. (Cass. civ. n. 3650/2024), la Cassazione ha ricordato il consolidato orientamento per cui, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, presupposto per l'applicabilità della esimente del diritto di cronaca è la continenza, intesa in senso sostanziale e formale. Sotto il profilo sostanziale, i fatti narrati devono corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva; sotto il profilo formale, la esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, deve, cioè, essere contenuta negli spazi strettamente necessari. Peraltro, quando, come accade di frequente, la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell'autore dello scritto, in modo da costituire al contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base dei soli criteri indicati, essenzialmente formali, dovendo, invece, lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti. Infatti, la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali, e, se è vero che, ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dell'ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all'interesse pubblico, cioè nell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto della stessa, e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto, interesse che costituisce requisito per la invocabilità della esimente del diritto di critica, assieme alla correttezza formale (continenza).

In tema di esercizio dell'attività giornalistica, il carattere diffamatorio di uno scritto non può poi essere escluso "sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi, invece, giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi, quali: l'accostamento e l'accorpamento di notizie, l'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo e la titolazione dell'articolo, proprio il titolo essendo specificamente idoneo, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell'altrui reputazione" (Cass. civ. n.18769/2013; Cass. civ. n. 25157/2008; Cass. civ. n.12012/2017; Cass. civ. n. 29646/2017).

In tema poi di interpretazione critica, la S.C. ha statuito che "per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l'onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo" (Cass. pen. 18 giugno 2009, n. 43403).

Quindi la critica non può essere obiettiva ed imparziale o non deve riprodurre fedelmente i documenti commentati dal giornalista, in quanto "in tema di diffamazione, la critica, anche se non può essere avulsa da ogni riferimento alla realtà sostanziale e tradursi in mera astrazione diffamatoria o pura invenzione congetturale, costituisce attività speculativa che per sua stessa natura non può pretendersi asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali, ma consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, siccome espressione del bagaglio culturale e politico di chi lo formula" (Cass. pen., n. 40408/2009).

Ed ancora, in tema di diffamazione, per potere ravvisare la scriminante di cui all'art. 51 c.p. del legittimo esercizio del diritto di critica, devono ricorrere i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l'uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all'opinione dissenziente manifestata. A tal ultimo riguardo, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente, ha necessariamente il carattere dell'elasticità e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di "parametri" quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (per esempio, in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate.

Infine, per la configurabilità dell'esimente in parola, che trova fondamento nell'interesse all'informazione dell'opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, si richiede, in ossequio alla ratio della norma, che l'elaborazione critica non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui (Cass. pen., n. 31263/2020).

Ne consegue, coerentemente, la sussistenza dell'esimente del legittimo esercizio del diritto allorquando l'espressione usata si risolva in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purché l'espressione medesima non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell'avversario (Cass. pen., n. 46132/2014).

In applicazione dei principi sopra riportati, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, la Corte rileva che l'articolo in esame costituisce sicuramente un legittimo esercizio del diritto di critica del suo autore, scriminato dalla continenza delle espressioni usate che, sia pur pesanti ("uomini nuovi/vecchia conoscenza"; "protagonista di alcuni momenti chiave della stagione più opaca della storia recente dei Servizi"; "doppia obbedienza"; "l'uomo nero del Si., mai rassegnato ad una carriera di seconda fila nel Di.") non possono ritenersi lesive della personalità morale del Ma., tenendo conto che quest'ultimo, alto funzionario dei Servizi segreti, era stato coinvolto in alcune vicende giudiziarie di rilievo penale per le sue attività nei Servizi segreti, pur essendo poi stato prosciolto e sopra richiamate quali il rapimento dell'iman (…), lo scandalo (…), la liberazione in Iraq della giornalista Gi.Sg.

Del resto, proprio per il particolare ruolo che il Ma. aveva svolto all'interno dei Servizi segreti italiani e per il coinvolgimento nelle richiamate vicende, deve essere ritenuta legittima e priva di offensività la riflessione critica sulla persona e sull'attività professionale dello stesso svolta dal giornalista Ca.Bo. nell'articolo in esame laddove quest'ultimo ha ritenuto di sottolineare i trascorsi del Ma. (fatti noti alla pubblica opinione) e la sua (sia pur legittima) aspettativa di carriera.

Rileva ancora la Corte che proprio il ruolo di pubblico interesse svolto dalla stampa rende legittima la critica, anche mediante l'utilizzazione di espressioni "pesanti", al fine di stimolare, attraverso l'informazione giornalistica, la formazione di una pubblica opinione critica.

In tale contesto, l'uso della espressione "opaca" per riferirsi alla stagione dei Servizi segreti guidata dal Pollari e di cui il Ma. era un diretto ed importante collaboratore, intende sottolineare la discutibilità di alcune operazioni, note alla pubblica opinione, poste in essere dai Servizi segreti di quell'epoca e provocare nella pubblica opinione il "controllo pubblico" dell'operato degli stessi.

Nello stesso senso, nessuna offensività può riconoscersi all'espressione "doppia obbedienza" laddove è notorio la vicinanza e prossimità al potere politico degli alti funzionari dello Stato (cfr. il riferimento alle frequentazioni del Ma. con il Sottosegretario di St.To., all'epoca esponente del Governo Conte in quota Movimento 5 Stelle); nonché al riferimento al Ma. come protagonista di "alcuni" dei "momenti chiave" della recente storia dei Servizi segreti italiani, per essere tali circostanze vere, in quanto lo stesso aveva subito procedimenti penali, infine dichiarati improcedibili per l'opposizione ad essi del Segreto di Stato.

Tutte le espressioni oggetto di doglianza da parte di Ma.Ma. pertanto possono sicuramente rientrare in quelle consentite dal diritto di critica, manifestazione del diritto costituzionale sancito dall'art. 21 sulla libera manifestazione del pensiero, sussistente l'esimente per la continenza delle espressioni usate.

Ne consegue la fondatezza dei primi due motivi di impugnazione, con conseguente integrale riforma della ordinanza gravata e rigetto delle domande formulate da Ma.Ma. nei confronti degli odierni appellanti.

All'accoglimento dei primi due motivi di impugnazione consegue l'assorbimento del terzo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti avevano denunciato l'erroneità della gravata ordinanza in punto condanna al risarcimento del danno non patrimoniale e del quarto motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti avevano denunciato l'erroneità della gravata ordinanza in punto di condanna di Ca.Bo. alla pena pecuniaria ai sensi della legge n. 47/1948

In conclusione, l'appello è accolto e la domanda di Ma.Ma. è rigettata con condanna di quest'ultimo alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione della ordinanza di primo grado.

Le spese del doppio grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte di Appello di Bologna, definitivamente pronunciando, in accoglimento dell'appello proposto da Ca.Bo., Ca.Ve. e (…) s.p.a. nei confronti di Ma.Ma., ed in riforma dell'ordinanza del Tribunale di Ravenna pubblicata l'8/06/2021 così decide:

- Rigetta la domanda di Ma.Ma. nei confronti di Ca.Bo., Ca.Ve. e (…) s.p.a.

- Condanna Ma.Ma. alla restituzione in favore di Ca.Bo., Ca.Ve. e (…) s.p.a., in solido tra di loro, delle somme ricevute in esecuzione dell'ordinanza di primo grado, oltre interessi legali dal giorno del pagamento fino alla restituzione.

- Condanna Ma.Ma. al pagamento in favore di Ca.Bo., Ca.Ve. e (…) s.p.a., in solido tra di loro, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate, quanto al primo grado in complessivi Euro 7.616,00 per compensi, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge e quanto al presente grado in complessivi Euro 6.946,00 per compensi, Euro 804,00 per anticipazioni, oltre rimborso forfettario, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Bologna il 21 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2024.

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