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Spaccio lieve: la recidiva specifica infraquinquennale giustifica l’applicazione della nuova aggravante del “Decreto Caivano” (Cass. Pen. n. 5842/2025)

Spaccio di droga

Con la sentenza n. 5842/2025, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato, in materia di spaccio di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.), il seguente principio di diritto: la nuova aggravante introdotta dal "Decreto Caivano" si applica nei casi in cui l’imputato abbia già riportato almeno una condanna per reati di droga, configurando così la "non occasionalità" della condotta.

La decisione ha confermato la condanna pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma nei confronti di C.A., riconoscendone la responsabilità per entrambi i reati e rigettando il ricorso dell’imputato.


Il caso: recidiva e aggravante della non occasionalità nello spaccio di lieve entità

L’imputato era stato condannato in primo grado a due anni e otto mesi di reclusione per spaccio di stupefacenti di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.)

Secondo l’accusa, l'imputato era stato sorpreso a cedere una modesta quantità di droga, ma si era dato alla fuga a bordo di un ciclomotore, urtando l’auto di servizio dei carabinieri nel tentativo di eludere il controllo.

La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, sollevando quattro motivi principali:

  1. nullità della sentenza per l’applicazione dell’aggravante della “non occasionalità” senza che fosse stata contestata nel capo d’imputazione

La difesa ha sostenuto che il secondo periodo dell’art. 73, comma 5, introdotto dal Decreto Caivano (L. 159/2023), non fosse stato specificamente contestato nel capo d’imputazione, rendendo nulla la condanna aggravata.

  1. Violazione del divieto di reformatio in peius

La Corte d’Appello, pur accogliendo un motivo di appello relativo al giudizio di bilanciamento delle circostanze, non aveva ridotto la pena, violando l’art. 597 c.p.p.

  1. Errata determinazione della pena base

La pena era stata fissata molto al di sopra del minimo edittale, senza una motivazione adeguata che tenesse conto della personalità dell’imputato e della modesta quantità di droga sequestrata.

  1. Erronea qualificazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale

La difesa ha contestato la configurabilità della resistenza a pubblico ufficiale, sostenendo che l’imputato si era limitato a fuggire senza compiere atti violenti contro gli agenti.


Il principio di diritto stabilito dalla Corte

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, stabilendo che:

  • L’aggravante della “non occasionalità” può essere applicata se emerge dai fatti, anche se non espressamente contestata

La Corte ha chiarito che la recidiva specifica infraquinquennale è un chiaro indice della non occasionalità della condotta.

Sebbene il capo d’imputazione non menzionasse espressamente l’aggravante, il fatto che l’imputato avesse già una condanna definitiva per reati di droga implicava che la condotta non fosse occasionale.

La recidiva è un criterio sufficiente per ritenere integrata l’aggravante del secondo periodo dell’art. 73, comma 5.

  • Non vi è violazione del divieto di reformatio in peius se la pena finale rimane invariata

Il divieto di reformatio in peius si applica solo se la pena complessiva aumenta in appello, ma se il risultato finale non cambia, la rielaborazione del calcolo sanzionatorio non viola la norma.

La Corte d’Appello ha mantenuto la stessa pena finale, quindi il motivo è infondato.

  • L’errata determinazione della pena non è censurabile in Cassazione se la motivazione è logica

La Cassazione ha ritenuto legittima la scelta del giudice di merito di discostarsi dal minimo edittale, tenendo conto:

  • della gravità del contesto criminale in cui si inseriva la condotta;

  • del comportamento processuale dell’imputato, che aveva mostrato spregiudicatezza;

  • dell’inefficacia delle sanzioni sostitutive già applicate in passato;

  • della fuga in moto con impatto contro l’auto dei carabinieri integra la resistenza a pubblico ufficiale

La Cassazione ha confermato che anche una fuga può costituire resistenza a pubblico ufficiale se comporta un concreto pericolo per l’incolumità degli agenti.

L’impatto contro l’auto di servizio ha rappresentato un atto di violenza idoneo a integrare il reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p..


In sintesi

La sentenza in esame ha affermato che:

  • l’aggravante della non occasionalità nel reato di spaccio lieve si applica automaticamente in presenza di recidiva specifica, anche se non espressamente contestata.

  • le difese non possono eccepire nullità basate sull’assenza di una contestazione formale dell’aggravante, se essa emerge chiaramente dagli atti.

  • la fuga in contesti di inseguimento può configurare resistenza a pubblico ufficiale, se comporta un pericolo concreto per le forze dell’ordine o per altri utenti della strada.

  • il divieto di reformatio in peius riguarda solo l’aumento della pena finale, non la diversa modulazione della sanzione all’interno dei limiti edittali.

  • la recidiva specifica infraquinquennale è sufficiente per integrare l’aggravante della non occasionalità nel reato di spaccio lieve, senza necessità di una contestazione espressa.


La massima CED

"L’elemento specializzante della non occasionalità, richiesto per l’integrazione dell’ipotesi circostanziata di cui all’art. 73, comma 5, secondo periodo, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ricorre nel caso in cui l’agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico, sicché la circostanza deve ritenersi contestata in fatto ove sia contestata la recidiva specifica".


La sentenza integrale



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