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Etilometro in caso di sinistro: è legittimo anche dopo ore dall’incidente? (Cass. Pen. n. 35594/25)

Etilometro in caso di sinistro: è legittimo anche dopo ore dall’incidente? (Cass. Pen. n. 35594/25)

La sentenza Cass. pen., sez. VI, 16 giugno 2015, n. 35594 afferma che l’etilometro è legittimo anche a distanza di tempo dal sinistro, se c’è continuità investigativa.

L’art. 186 C.d.S., comma 4, prevede che la Polizia possa sottoporre il conducente al test non solo quando lo ferma nell’immediatezza, ma anche:

  • quando vi è stato un incidente,

  • e quando vi è motivo di ritenere che il soggetto fosse alla guida in stato di ebbrezza.

La Corte spiega che il limite temporale non è “rigido”. Non serve che il controllo avvenga nell’esatto momento del fatto.

Quello che conta è che non si interrompa la sequenza logica di ricerca e identificazione del conducente.

Per spiegare il criterio, la Cassazione richiama la categoria della quasi-flagranza (art. 382 c.p.p.):

  • il reato non è colto in diretta;

  • ma c’è un collegamento senza soluzione di continuità tra fatto – ricerche – rintraccio del soggetto.

Se questo filo non si spezza, il test alcolemico resta legittimo anche se passano ore.

In altre parole, non è decisivo “quanto tempo è passato”, ma se l’attività investigativa è stata continua.

Questo è lo snodo tecnico della decisione.

È un criterio che oggi ha una forte ricaduta pratica nei processi per guida in stato di ebbrezza:non è sufficiente eccepire il semplice scorrere del tempo per escludere la validità dell’accertamento.


La sentenza integrale

Cassazione penale sez. VI, 16/06/2015, (ud. 16/06/2015, dep. 25/08/2015), n.35594

RITENUTO IN FATTO


1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Firenze ha confermato quella emessa in esito a giudizio abbreviato dal Tribunale di Pistoia in data 12/05/2011 con cui M.M. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di cinque mesi di reclusione per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e rifiuto di sottoporsi ad accertamento del tasso alcolemico (art. 186 C.d.S., comma 1 e comma 2, lett. e) e comma 7), con le conseguenti sanzioni amministrative accessorie.


La Corte territoriale ha disatteso i motivi d'appello, ritenendo irrilevante la doglianza riferita all'assenza di tracce materiali del sinistro stradale all'origine del successivo controllo eseguito dalla Polizia Stradale e ha confermato le valutazioni del primo giudice basate su di una dinamica dei fatti ritenuta scevra di punti oscuri.


2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, il quale deduce violazione di legge penale in relazione all'art. 186, commi 1, 2 e 7, per essere stato condannato benchè non fosse alla guida di alcun veicolo o in presenza di una situazione di rischio; vizio di motivazione in ordine al verificarsi del sinistro stradale, nulla essendo stato precisato in ordine alle modalità del suo accadimento;


violazione di legge in relazione all'art. 337 c.p., ed all'omesso riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 393-bis c.p., per atto arbitrario del pubblico ufficiale; violazione di legge in relazione all'art. 360 c.p.p., per omesso avviso della facoltà di farsi assistere dal difensore nel compimento dell'accertamento del tasso alcolemico mediante etilometro; vizio di motivazione della sentenza per essere stato ritenuto alla guida di un autoveicolo in assenza di elementi probatori di riscontro; violazione di legge in relazione all'art. 192 c.p.p., in ordine alle dichiarazioni rese dal teste D.N. sul presunto sinistro stradale in assenza di elementi di riscontro probatorio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione.


2. Occorre in via preliminare esaminare le censure mosse dal ricorrente in relazione al reato di cui al capo B dell'imputazione:


esse debbono essere disattese, ma non essendo (in parte) manifestamente infondate, non precludono la declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione.


2a. Il primo motivo di doglianza investe il profilo della legittimità dell'operato della Polizia Stradale riguardo all'individuazione delle situazioni in cui possono sottoporre i conducenti di autoveicoli ad accertamenti del tasso alcolemico.


Dell'art. 186 C.d.S., comma 4, stabilisce che nei casi in cui gli accertamenti qualitativi di cui al comma 3, abbiano dato esito positivo e in ogni caso d'incidente ovvero quando si abbia altrimenti motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi in stato di alterazione psicofisica derivante dall'influenza dell'alcool, gli organi della Polizia Stradale hanno la facoltà di effettuare l'accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento (etilometro).


La questione interpretativa concerne in particolare la durata del periodo, decorrente dallo accadimento dalla situazione tipica (incidente stradale), entro cui gli organi accertatori possono esercitare la facoltà di sottoporre il conducente alla verifica mediante etilometro.


Il ricorrente sostiene che in nessun caso avrebbe potuto essere sottoposto ad alcooltest e di conseguenza che il rifiuto di sottoporvisi non avrebbe potuto essere sanzionato ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 7, dal momento che non si trovava nè alla guida del veicolo nè in una situazione di rischio abilitante gli operanti all'accertamento strumentale.


L'obiezione è infondata.


Alla duplice condizione, infatti, che venga stabilita un'apprezzabile connessione tra incidente stradale e condotta del conducente e che tra la prima ed il materiale reperimento del secondo non vi sia soluzione di continuità, il ricorso all'impiego dell'etilometro deve ritenersi legittimo anche a distanza di qualche ora dall'evento tipico, dovendosi mutuare il medesimo schema concettuale elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di quasi flagranza del reato (art. 382 c.p.p.).


Secondo un orientamento presente nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità cui si ritiene di aderire, lo stato di quasi flagranza sussiste, infatti, anche nel caso in cui l'inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purchè senza soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato (ex pluribus v. Sez. 3, sent. n. 22136 del 06/05/2015, B. e altro, Rv. 263663; Sez. 1, sent. n. 6916 del 24/11/2011, Vinetti, Rv. 252915; Sez. 2, sent. n. 44369 del 10/11/2010, Califano e altro, Rv. 249169, quest'ultima resa in fattispecie in cui dall'arrivo della P.G. sul luogo del delitto, dall'acquisizione di notizie utili e dall'inizio delle ricerche erano trascorse circa quattro ore prima dell'arresto dell'indagato).


Nella fattispecie, infatti, la Corte territoriale ha congruamente dato conto che le indagini sul conto del ricorrente erano partite dalle dichiarazioni rese dal teste D.N., che lo aveva inequivocabilmente indicato come il conducente della Fiat Multipla responsabile di un tamponamento ai propri danni e che, barcollando vistosamente e rifiutandosi di fornire i suoi dati personali, era risalito in macchina, pur apparendo visibilmente ubriaco.


Non esplica, dunque, alcun rilievo la circostanza che all'atto di essere fermato dagli operanti, il ricorrente non si trovasse in un locale in cui non venivano serviti alcolici nè che lungo il tragitto seguito per giungervi non fossero presenti altri locali di somministrazione di tali bevande: l'importante è che, dopo aver acquisito informazioni sulla sua identità e sulle sue condizioni soggettive, del resto perduranti al momento del controllo, il personale di polizia stradale lo avesse rintracciato all'esito di quelle ricerche, sebbene non nell'immediatezza dell'incidente.


Nell'esporre, ancorchè sommariamente, l'iter procedurale seguito dagli operanti, la Corte territoriale ha, infine, dato conto in maniera complessivamente congrua delle modalità del sinistro in cui il M. era rimasto coinvolto (v. supra), talchè appaiono destituite di fondamento tutte le censure inerenti un presunto difetto di motivazione sul punto, che in realtà non sussiste.


anche violazione dell'art. 360 c.p.p., a motivo dell'omesso avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore nella procedura di accertamento del tasso alcolemico mediante etilometro.


La doglianza appare, tuttavia, tanto priva di rilevanza quanto intempestiva.


L'irrilevanza è data dal fatto che all'impiego dell'etilometro non si è mai pervenuti, avendo il ricorrente opposto un pervicace rifiuto all'invito degli operanti in tal senso e non è dato invocare il mancato rispetto di una garanzia difensiva in relazione ad una procedura in concreto mai avviata.


Componendo, inoltre, il contrasto interpretativo manifestatosi nella giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, la sentenza delle Sezioni Unite n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi ha chiarito che costituisce obbligo per gli organi verificatori avvertire l'indagato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia prima della prova dell'etilometro (art. 114 disp. att. c.p.p.), ma che la relativa violazione costituisce una nullità a regime intermedio, che non può più essere eccepita dopo la pronunzia della sentenza di primo grado (art. 180 c.p.p., art. 182 c.p.p., secondo periodo).


Ne discende che essendosi il giudizio di primo grado svolto con rito abbreviato, connotato dalla rinuncia dell'imputato a tutte le eccezioni di nullità, anche assolute e non essendo stata la doglianza neppure formulata con l'atto d'appello, essa si rivela comunque intempestiva.


2c. La non manifesta infondatezza di almeno una parte delle censure impone, tuttavia e come anticipato, di rilevare l'intervenuta prescrizione del reato di natura contravvenzionale di cui al cbn. disp. dell'art. 186 C.d.S., comma 7 e comma 2, lett. e) alla data del 24 giugno 2014 (prescrizione massima), reato che deve pertanto essere dichiarato estinto, comportando l'annullamento senza rinvio della decisione impugnata nel capo che lo riguarda.


3. Fondata appare, invece, la doglianza che ha investito - sia pure al diverso fine di conseguire il riconoscimento dell'esimente speciale di cui all'art. 393-bis c.p. - la ribadita affermazione di responsabilità del ricorrente in ordine al reato di resistenza a pubblico ufficiale.


Nella ricostruzione dai fatti datane in sentenza, il ricorrente, già alterato nei riflessi a causa dello stato di ebbrezza, si era rifiutato sia di aprire la vettura alla cui guida si era nuovamente posto sia di consegnarne le chiavi ad uno degli operanti, stringendole con forza e in tal modo opponendosi al tentativo del primo d'impossessarsene al fine di dar corso alla procedura, comportante anche il sequestro preventivo del veicolo.


La Corte territoriale ha ritenuto che detta condotta abbia comportato una vera, ancorchè breve, colluttazione con l'operante, integrando il paradigma di cui all'art. 337 c.p., laddove il M. sostiene (punto 3 del ricorso) che l'azione di stringere la mano nel pugno serrato altro non rappresentava che una reazione riflessa, dovuta normale e comprensibile irrigidimento del corpo di fronte alla percezione di un pericolo, integrante perciò una mera resistenza passiva, non diretta ad ostacolare il compimento degli atti d'ufficio preventivati dai pubblici ufficiali operanti.


Reputa il Collegio che, ferma restando la legittimità della condotta degli operanti per le ragioni dianzi esposte, s'impone una nuova valutazione di quella riferibile al M., al fine di verificare in maniera più rigorosa se quella ascrittagli è sussumibile nel fuoco dell'art. 337 c.p. o se invece debba ricondursi al concetto di resistenza passiva, poichè, al di là della qualificazione datane dai giudici d'appello (colluttazione), non sembra essere trasmodata in alcuna violenza all'indirizzo del pubblico agente.


Vale, infatti, ricordare che riguardo al mero atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha affermato il principio che esso integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, ove non costituisca una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l'azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando eventualmente la fuga (Sez. 5, sent. n. 8379 del 27/09/2013, Rodrigo, Rv. 259043; Sez. 6, sent. n. 8997 del 11/02/2010, Palumbo e altro, Rv. 246412; Sez. 6, sent. n. 35125 del 26/06/2003, Graziotti, Rv.


226525).


A maggior ragione il principio appare, dunque, applicabile alla fattispecie in esame, connotata dall'impiego di una forza fisica di gran lunga inferiore a quella insita nel mero atto di divincolarsi.


La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto e gli atti rinviati ad altra sezione della Corte territoriale che nel giudizio di rinvio si atterrà al principio di diritto sopra richiamato.


P.Q.M.


annulla la sentenza impugnata in ordine alla contravvenzione perchè estinta per prescrizione ed in ordine alla resistenza e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'Appello di Firenze.


Così deciso in Roma, il 16 giugno 2015.


Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2015

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