RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma confermava la condanna di Pe.Em. per il reato di ricettazione di assegni non trasferibili, falsificati in quanto clonati.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva:
2.1. violazione di legge (art. 648 cod. pen.): non sarebbero sussistenti gli elementi della ricettazione tenuto conto che all'epoca della sua consumazione - ovvero l'ottobre 2017 - la falsificazione dell'assegno non trasferibile era stata depenalizzata, sicché non sussisteva il reato presupposto; il richiamo effettuato dalla Corte territoriale alla giurisprudenza relativa alla irrilevanza della depenalizzazione successiva alla consumazione del reato presupposto non sarebbe pertinente, tenuto conto che, nel caso in esame, non si trattava di valutare una condotta inizialmente rilevante, ma poi depenalizzata, ma di una condotta che al tempo della sua commissione non costituiva reato; si deduceva che, al più, la condotta in contestazione avrebbe potuto essere qualificata come truffa, in quanto la falsificazione dell'assegno può integrare il "raggiro" necessari per perpetrarla; tuttavia tale reato non sarebbe stato perseguibile per difetto di querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Per integrare il delitto di ricettazione è necessario che il bene ricevuto sia provento di reato.
Nel caso in esame (a) il reato presupposto, ovvero la falsificazione degli assegni attraverso "clonazione", risultava depenalizzato ad opera del D.Lgs. n. 7 del 15 gennaio 2017, (b) la condotta di ricezione degli assegni falsificati è stata consumata in epoca prossima al 23 ottobre 2017, dunque successivamente all'intervento di depenalizzazione, come risulta dalle denunce degli offesi.
Emerge cioè che la condotta di falsificazione è stata posta in essere quando la stessa non costituiva più reato, a causa dell'abolitio criminis decisa dal legislatore, il che impedisce di ritenere integrato il presupposto della ricettazione.
Tale conclusione è coerente con la giurisprudenza, formatasi sul tema dell'abolitio criminis, secondo cui la ricettazione di un assegno bancario con clausola di non trasferibilità oggetto di falsificazione conserva rilevanza penale anche dopo la depenalizzazione, ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, del presupposto reato di falso in scrittura privata, atteso che nella ricettazione la provenienza da delitto dell'oggetto materiale del reato è elemento definito da norma esterna alla fattispecie incriminatrice, per cui l'eventuale abrogazione di tale norma non assume rilievo ai sensi dell'art. 2 cod. pen., dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione della cosa (tra le altre: Sez. 2, n. 32775 del 30/06/2021, Briglia, Rv. 281859 - 01).
Tale giurisprudenza, che affronta il tema della rilevanza dell'abolitio criminis del reato presupposto sulla ricettazione, presuppone, infatti, che, nel momento in cui viene consumata, la condotta che identifica il reato presupposto, costituisca reato.
1.2. Può dunque essere affermato che la ricezione di assegni con clausola di non trasferibilità "falsificati dopo" la abolitio criminis effettuata con D.Lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016 non integra il reato di ricettazione perché non sussiste il delitto presupposto.
1.3. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il giorno 25 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2024.