RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 1 giugno 2023, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Salerno che aveva dichiarato Gu.Ch. colpevole dei reati di cui agli articoli 171-bis, primo comma, e 171-ter, secondo comma, lett. c) della legge n.633 del 41 (capo A) e di cui all'art. 648 cod. pen. (capo B), e, uniti i fatti sotto il vincolo della continuazione,ritenuta più grave la condotta di ricettazione nell'ipotesi attenuata di cui al secondo comma, nonché concesse le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di 5 mesi di reclusione e al pagamento di 800,00 euro di multa.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, l'imputato, in data 29 gennaio 2016, avrebbe detenuto al fine di porre in commercio, e introdotto nel territorio dello Stato al fine di lucro, n. 118 video - giochi per X-Box, n. 589 DVD, n. 455 CD musicali e n. 45 CD/DVD per Play Station modello 1 e/o 2, per un totale di 1.208 supporti audiovisivi, abusivamente duplicati e privi dell'indicazione della casa discografica e del contrassegno S.I.A.E.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe Gu.Ch., con atto sottoscritto dall'avvocato Gaetano Apicella, articolando tre motivi, preceduti da una descrizione dei fatti e dello svolgimento del processo in primo grado e in appello.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 171-bis, 103 e 181 -bis della I. 633/41, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla sussistenza del reato di abusiva duplicazione e detenzione a scopo commerciale di programmi per elaboratore contenuti in supporti non contrassegnati dalla SIAE.
Si deduce che la Corte d'Appello avrebbe omesso di confrontarsi con la specifica richiesta della difesa di verificare la presenza effettiva, sui supporti sequestrati, di programmi per elaboratori registrati e tutelati dalla legge n. 633 del 1941. Si rappresenta che gli accertamenti dei militari operanti, in ordine a questo aspetto, sono stati costituiti esclusivamente dalla visione di qualche video e dall'ascolto di musica, e che non è stata compiuta alcuna verifica peritale di riscontro e conferma della presenza di programmi informatici all'interno dei supporti sequestrati.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 171 -ter, 103 e 181-b/s della legge n 633 del 1941, nonché vizio di motivazione, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo ancora alla ritenuta sussistenza del reato di abusiva duplicazione e riproduzione di opere audio e/o video registrate e tutelate dalla legge sulla protezione del diritto d'autore.
Si deduce, analogamente a quanto affermato con il primo motivo, che i giudici di merito non hanno accertato se le opere che si assumono contenute nei supporti sequestrati fossero registrate e tutelate dalla legge n. 633 del 1941.
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 648 cod. pen. e 531, comma 2, cod. proc. pen., a norma dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.
Si deduce che la Corte d'Appello avrebbe mancato di assolvere l'onere, incombente sull'accusa, di provare con precisione la data di commissione del reato di ricettazione ai fini di calcolo del termine di prescrizione del reato, ed avrebbe inoltre violato il principio secondo cui, in caso di incertezza, il termine di decorrenza della prescrizione va computato facendo risalire il momento consumativo del reato alla data più risalente, a vantaggio dell'imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
2. Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la ritenuta sussistenza della condotta di abusiva duplicazione di programmi per elaboratori registrati e tutelati dalla legge n. 633 del 1941, deducendo che non è stata compiuta alcuna effettiva verifica sul contenuto dei supporti sequestrati ed asseritamente contenenti programmi per elaboratori.
Può essere utile premettere che, come precisato in giurisprudenza, la duplicazione abusiva di programmi per elaboratore comprende non soltanto la produzione non autorizzata di copie perfette del programma interessato, ma anche la realizzazione di programmi ricavati dallo sviluppo o da modifiche del prodotto originale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 8011 del 25/01/2012, Sterpilla, Rv. 252757-01, e Sez. 5, n. 38325 del 21/06/2011, Desogus, Rv. 250849-01).
Va poi rilevato che la sentenza impugnata ritiene la sussistenza della condotta di abusiva duplicazione di programmi per elaboratori registrati e tutelati dalla legge n. 633 del 1941 evidenziando che: a) i supporti erano in notevolissima quantità, ed erano tutti privi di contrassegno SIAE; b) le relative custodie contenevano le locandine dei titoli ottenute mediante fotocopia a colori dell'originale; c) l'imputato non ha esibito alcuna documentazione idonea a dimostrare la provenienza lecita del materiale sequestrato o l'assenza di tutela per le opere contenute nei supporti.
Va inoltre aggiunto che, secondo quanto indicato dalla sentenza di primo grado, espressamente richiamata da quella di appello, i supporti di cui all'imputazione in parte erano esposti dall'imputato sulla pubblica strada in prossimità di un supermercato, e in parte erano custoditi dal medesimo soggetto in un borsone di tela presente sul luogo e al momento del controllo. Ancora, sempre secondo quanto indicato nella sentenza di primo grado, alcuni dei supporti sequestrati, sebbene non specificamente relativi ai programmi per elaboratori, sono stati visionati e sono risultati contenere film e brani musicali esattamente corrispondenti a quelli indicati nella copertina ad essi apposta.
Ciò posto, gli elementi indicati dai giudici di merito costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti per concludere che i supporti riferiti a programmi per elaboratore avessero effettivamente tale contenuto e fossero stati abusivamente duplicati.
Da un lato, infatti, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 171 -bis legge n. 633 del 1941 è sufficiente anche la realizzazione di programmi ricavati dallo sviluppo o da modifiche del prodotto originale. Dall'altro, è ragionevole assumere, pur in assenza di controlli specifici su ciascuno di essi, che i supporti riferiti a programmi per elaboratore, per la loro offerta in vendita in un luogo aperto ad un contino afflusso di persone, per il loro numero, e per gli accertamenti materialmente eseguiti a campione su altra parte del materiale complessivamente detenuto dall'imputato, avessero effettivamente il contenuto indicato nella locandina presente nella loro custodia.
3. Manifestamente infondate sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che contestano la ritenuta sussistenza della condotta di abusiva duplicazione di opere audio e video registrate e tutelate dalla legge n. 633 del 1941, deducendo che non è stata compiuta alcuna effettiva verifica in ordine alla sottoposizione dei film e brani musicali contenuti nei supporti sequestrati alla protezione concessa dalla disciplina del diritto d'autore.
Invero, gli elementi indicati in precedenza, al par 2, costituiscono indizi gravi precisi e concordanti per ritenere che i film e i brani musicali contenuti nei DVD e nei CD fossero protetti dal diritto d'autore.
Risulta infatti del tutto irragionevole, e meramente asserita, la prospettazione difensiva, secondo cui l'imputato potrebbe aver immesso in commercio una notevole mole di supporti contenenti film e brani musicali, costituito da ben 589 DVD e 455 CD, non protetti dalla disciplina del diritto d'autore. A tal fine, occorre considerare, innanzitutto, che è prassi assolutamente ordinaria chiedere adeguata protezione, di decisivo significato economico, per opere la cui realizzazione è estremamente costosa, o che comunque possono assicurare notevoli profitti, quali film e brani musicali. Va poi osservato, sotto altro distinto, ma connesso profilo, che la vendita di molteplici supporti ad un pubblico indifferenziato non può che avere ad oggetto opere note, perché oggetto di comune richiesta, e queste sono pressoché tutte protette dal diritto d'autore.
4. Manifestamente infondate, ancora, sono le censure enunciate nel terzo motivo, che contestano la mancata dichiarazione di estinzione del reato di ricettazione, deducendo che, non essendovi prova in ordine alla data di commissione di tale delitto, l'incertezza deve essere risolta a vantaggio dell'imputato.
4.1. Indubbiamente, è condivisibile l'affermazione secondo cui, in tema di prescrizione, l'onere di provare con precisione la data di commissione del reato non grava sull'imputato ma sull'accusa, con la conseguenza che, in mancanza di prova certa sulla data di consumazione, il termine di decorrenza va computato secondo il maggior vantaggio per l'imputato e il reato va ritenuto consumato alla data più risalente (cfr., per tutte, Sez. 6, n. 25927 del 13/05/2021, P., Rv. 281535-01, nonché, per un'applicazione del principio in materia di prescrizione, Sez. 2, n. 44322 del 15/10/2021, Ceglia, Rv. 282307-01).
Tuttavia, questa affermazione non va considerata in termini di assolutezza. Invero, come ripetutamente precisato in giurisprudenza, in tema di cause di estinzione del reato, il principio del favor rei, in base al quale, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all'imputato, opera solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (così, tra le tante, Sez. 3, n. 4139 del 13/12/2017, dep. 2018, Zizzi, Rv. 272076-01, in materia di reati concernenti la disciplina dell'attività edilizia, e Sez. 3, n. 46467 del 16/06/2017, V., Rv. 271146-01, in tema di violenza sessuale).
E questo principio è stato applicato anche con specifico riferimento al reato di ricettazione (il riferimento è a Sez. 2, n. 2865 del 06/12/1991, dep. 1992, Giura, Rv. 189896-01, la quale ha concluso che fosse immune da censure la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto che l'imputato avesse ricevuto un'auto rubata in epoca prossima alla data dell'accertamento, proprio perché il ricettatore non detiene a lungo una vettura di provenienza furtiva prima di rivenderla, ma, "ricevendola al fine di cederla ad altri, compie il primo atto poco prima del secondo, sia per fini speculativi sia per garantirsi l'impunità").
4.2. Nella specie, nulla essendo stato accertato in ordine alla data del reato presupposto, va premesso che il reato di ricettazione è stato constatato il giorno in cui l'imputato era intento a vendere i supporti abusivamente duplicati, ossia il 29 gennaio 2016.
Ora, siccome la sentenza impugnata è stata pronunciata il 1 giugno 2023, ed il tempo necessario a prescrivere il reato di ricettazione è a pari a dieci anni, considerata l'interruzione, occorrerebbe ritenere, per ipotizzarne l'estinzione per prescrizione al momento della decisione della Corte d'appello, che lo stesso sia stato commesso entro il maggio 2013, ossia oltre due anni e sei mesi prima del suo accertamento.
Risulta però del tutto inverosimile la tesi per cui l'imputato avrebbe commesso la ricettazione di 1.208 supporti audiovisivi abusivamente duplicati oltre due anni e mezzo prima di offrirli in vendita. Tale tesi, infatti, non solo contrasta radicalmente con evidenti ragioni economiche, a maggior ragione se si considera ,la rapida obsolescenza commerciale di tali prodotti, ma non trova nemmeno sostegno in elementi fattuali acquisiti agli atti o allegati dalla difesa.
È perciò immune da vizi la conclusione della sentenza impugnata, secondo cui il reato di ricettazione è stato commesso in prossimità dell'accertamento effettuato il 28 gennaio 2016, o comunque in epoca abbondantemente successiva a quella utile per ritenere decorso il termine necessario a prescrivere.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 12 gennaio 2024.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2024.