CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Prima di passare all'esame dei singoli ricorsi, si reputa opportuno richiamare i principi di diritto di comune applicazione alla luce dei quali saranno valutati i motivi di doglianza, onde far loro eventuale rinvio nello scrutinio della posizione di ciascun ricorrente.
1.1. La Corte territoriale ha esaminato le doglianze difensive proposte con gli atti di gravame in rapporto alle specifiche questioni poste, previa ampia disamina dei profili di fatto già trattati dalla pronuncia impugnata che ha ritenuto di dover largamente condividere (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, RV. 216664; Sez. 2, n. 55199 del 29/05/2018, Salcini, RV. 274252; Sez. 6, n. 27784 del 05/04/2017, Abbinante, RV. 270398, in motivazione; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Mairajane, RV. 261839; Sez. 6, n. 48428 del 08/10/2014, Barone, RV. 261248). Pertanto, la sentenza ha ritenuto necessario fare ricorso alla motivazione per relationem, peraltro, legittima allorché, come avvenuto nel caso di specie, le stesse questioni risultavano già sottoposte al vaglio del primo giudice e da questo correttamente superate (tra le tante, cfr. Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, Bruno, RV. 259929; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, RV. 252615).
Gran parte delle censure articolate dalle difese dei ricorrenti deducono, infatti, il vizio di carenza della motivazione che, tuttavia, veste nella gran parte dei casi argomentazioni inerenti alla ricostruzione dei fatti, tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso stimato più plausibile o, comunque, più favorevole al ricorrente; tuttavia, la valutazione dei dati processuali e la scelta tra i vari significati assegnati al compendio probatorio investono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D'Ippedico, RV. 271623; Sez. 2, n. 10255 del 29/11/2019, dep. 2020, Fasciani, RV. 278745).
È, infatti, preclusa a questa Corte di cassazione "la possibilità dì una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova" (tra molte v. Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, RV. 273217).
Deve, inoltre, essere ribadito il principio di diritto secondo cui è escluso che possa configurare il vizio di motivazione, anche nella forma del cosiddetto travisamento della prova, un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della prova medesima (ex multis, Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, RV. 255087), dovendo l'errore percettivo avere ad oggetto il risultato di una prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, RV. 264481; Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo, RV. 274478; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, RV. 272406).
Fatta tale doverosa premessa, va osservato che in gran parte dei ricorsi si rinvengono motivi di censura che investono in via diretta il significato che i giudici di merito hanno assegnato alle risultanze probatorie, talora afferenti alle captazioni telefoniche e/o ambientali, al significato delle riprese video, non solo per il contenuto intrinseco che ognuna di esse presenta, apprezzato nella maggior parte di casi da Tribunale e Corte di appello in maniera praticamente sovrapponibile, ma anche per il significato che le stesse hanno assunto in relazione ad altre captazioni o ad altri dati processuali, quando cioè all'interprete si è posto il compito di effettuare una valutazione complessiva delle risultanze probatorie di diversa natura.
Se per detto profilo risulta ovvio il rinvio ai limiti imposti dal vaglio di legittimità rispetto alle valutazioni di stretto merito, lo stesso è a dirsi per i risultati delle operazioni tecniche di captazione, costituendo ius receptum la circostanza che l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando criptico o cifrato, resta questione di mero fatto, come tale rimessa alla valutazione del giudice di merito, purché esposta in termini logici in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
Il relativo significato, infatti, non può essere sindacato da questa Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esso è recepito, ferma restando la possibilità di prospettare in sede di legittimità "una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il contenuto sia stato indicato in modo difforme da quello reale e la difformità risulti decisiva e incontestabile"(Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, RV. 263715).
Risulta del pari consolidato l'altro filone interpretativo secondo cui "le dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata hanno piena valenza probatoria e, pur dovendo essere attentamente interpretate e valutate, non necessitano degli elementi di corroborazione previsti dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. Pen."(Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, cit.; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, RV. 278611; Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, Valorosi, RV. 278314).
La giurisprudenza di legittimità ha, seppure in ordine al differente contesto associativo di tipo mafioso (ma che non vi è ragione per escludere in ipotesi di sodalizio dedito al narcotraffico), puntualizzato che le intercettazioni vanno valutate verificando che: a) il contenuto della conversazione sia chiaro; b) non vi sia dubbio che gli interlocutori si riferiscano all'imputato; c) per il ruolo ricoperto dagli interlocutori nell'ambito dell'associazione di cui fanno parte, non vi sia motivo per ritenere che parlino in maniera non seria degli affari illeciti trattati; d) non vi sia ragione alcuna per ritenere che un interlocutore riferisca il falso all'altro (cfr. Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa Giusy Mariarco, RV. 278611).
1.2. Quanto allo specifico profilo attinente alla sussistenza dell'associazione dedita al narcotraffico ed alla partecipazione dei singoli imputati, mentre solo quattro ricorrenti (Fa.Al., Pa.Ba., Pi.Da. e Ta.) contestano, seppure con censure -si anticipa -generiche, l'esistenza della compagine per come apprezzata dalle due sentenze di merito, numerosi ricorrenti pongono in discussione la personale partecipazione a detto sodalizio.
Rinviando, quanto alla sussistenza del sodalizio dedito al narcotraffico (salvo quanto si dirà in ordine alle deduzioni che mettono in dubbio la consistenza attraverso le questioni che attengono alla mancata riqualificazione nell'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. cit.), alle relative posizioni, risulta necessario richiamare i principi di diritto a cui il Collegio si atterrà in ordine alla verifica degli elementi costitutivi, con particolare riferimento al tempo ed ai modi in cui il contributo del singolo aderente può assumere rilevanza per l'integrazione della fattispecie associativa in tema di narcotraffico.
Ed infatti, ai fini della verifica degli elementi costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare de"'affectio" di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, ben potendo rilevarsi significativi periodi oggettivamente brevi comunque idonei ad inferire l'esistenza di un sistema collaudato in concreto realizzato attraverso atteggiamenti impliciti, rivelatori di un rapporto duraturo, continuo e costante tra i sodali (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021 Sermone, RV. 282122; Sez. 4, n. 50570 del 26/11/2019, Amarante, RV. 278440 - 02). Si è messo in luce come anche il coinvolgimento in unico reato-fine può integrare l'elemento oggettivo della partecipazione, ove però le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne rivelino, secondo massime di comune esperienza, un significativo ruolo nelle dinamiche operative del gruppo criminale (Sez. 3, n. 36381 del 09/05/2019, Cruzado Ocaris, RV. 276701 - 06); proprio con riferimento a fattispecie relativa a "piazza di spaccio", ed a ragione dei meccanismi che governano tale tipologia di associazione, spesso connotati da automatismi, è stata ritenuta significativa della partecipazione all'associazione l'adesione e l'apporto di un contributo anche per una fase temporalmente limitata (Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Ciccarelli, RV. 276677 - 01).
La sussistenza del dolo del delitto di associazione a delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell'accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente, di modo ché, quando la condotta si esaurisca nella partecipazione ad un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, seppure occorra una puntuale e rigorosa la prova della volontà di partecipazione alla associazione (Sez. 6, n. 5970 del 23/01/1997 Ramirez, RV. 208306 - 01).
2. Sia la questione comune a tutti i ricorrenti connessa alla mancata riqualificazione dell'associazione nell'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 sia quella afferente alla mancata riqualificazione dei reati-fine nella ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. cit. risultano manifestamente infondate e riproduttive di identiche censure adeguatamente smentite dal Giudici di merito.
2.1. Ragioni di carattere logico impongono di trattare (la questione sarà dirimente in ordine al motivo comune a tutti i ricorrenti - ad eccezione della Ro.Ru. - circa la qualificazione dell'associazione dedita al narcotraffico), quale primo aspetto, la questione proposta dai ricorrenti Bo.St., Me.Da., Pi.Da., Pi.Da., Sa.Ma., Sc.Da., Tr.Da., Gi.En., La.Cl., Ta., Ma.Al., Vi.An. e Ri.Ma., che rivolgono censure alla ritenuta qualificazione delle ipotesi di spaccio ex art. 73, comma 1 e 4 D.P.R. n 309 nell'ipotesi lieve di cui al successivo comma 5.
I ricorrenti, muovendo dal dato quantitativo della sostanza stupefacente oggetto di cessione e, in taluni casi, dal numero limitato di episodi o di giorni, critica la qualificazione dei singoli reati ex art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 operato dalla Corte territoriale.
Ed invero, la fattispecie di reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, è ravvisabile nei casi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo dello stupefacente, sia, evenienza all'evidenza trascurata nei motivi di ricorso, dagli altri parametri richiamati dalla norma e segnatamente dai mezzi, dalle modalità e dalle circostanze dell'azione.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 35737 del 2010, Rico, RV. 247911) hanno ribadito il principio secondo cui l'applicabilità o meno della norma in parola non può essere risolta in astratto, dovendosi valutare tutte le concrete circostanze poste alla sua attenzione, essendo il giudice di merito tenuto a determinare il trattamento sanzionatorio, senza che possano prefigurarsi automatismi (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, RV. 216668).
Quanto ai singoli elementi valorizzagli ai fini di una corretta qualificazione giuridica della condotta, questa Corte ha ritenuto che la "ipotesi lieve"non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti continuativa, come si desume dall'art. 74, comma 6, D.P.R. cit., che, ipotizzando l'esistenza dell'associazione costituita per commettere fatti descritti dal comma 5 dell'art. 73, rende evidente l'inconferenza del relativo elemento connesso alla reiterazione della condotta (Sez. 6, n. 39374 del 03/07/2017, dep. 23/08/2017, El Batouchi, RV. 27084901; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016), così come non risulta essere determinante la diversa tipologia di sostanza eventualmente ceduta (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, RV. 274076; Sez. 6, n. 46495 del 19/09/2017, Rachadi, RV. 271338) in quanto, anche in tal caso "è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie completa selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto"(Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, RV. 274076).
Si osserva che la Corte territoriale, oltre a riportare in sintesi per ciascun ricorrente la vicenda che lo vedeva interessato, ha richiamato l'analogo punto che aveva già costituito oggetto di censura in sede di giudizio abbreviato dinanzi al Tribunale di Roma, rilevando come i ricorrenti operassero in una ben organizzata e strutturata "piazza di spaccio".
Ed infatti, occorre ribadire, sul piano generale e al fine della verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di merito, che la decisione di appello non può essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, specie quando l'iter motivazionale di entrambe si dispiega secondo l'articolazione di sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (ex multis, Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, RV. 223061). Siffatta integrazione tra le due motivazioni si verifica, non solo allorché i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, ma anche, e a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (da ultimo, per tutte, Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, RV. 252615 - 01).
Ciò premesso, la Corte di merito, previo sintetico riferimento al contenuto della decisione di primo grado, ha messo in risalto le ragioni che facevano escludere che le fattispecie contestate fossero caratterizzate dalla lieve entità: è stato messo in evidenza lo svolgimento di un'attività di spaccio di cocaina, hashish e marijuana in forma pluripersonale, ben strutturata ed organizzata, realizzata in un contesto spaziale delimitato, l'alternanza dei soggetti che, di fatto, coprivano ogni esigenza di mercato degli acquirenti, le modalità attraverso cui veniva effettuato l'immediato approvvigionamento della sostanza che veniva reiteratamente fornita sul posto in un numero di dosi tali da evitare di essere colti in possesso di cospicue quantità (in tal senso le esplicitate ragioni per cui si rendeva necessario, durante tutto il tempo dell'attività di spaccio, della accensione del fuoco alimentato con legna fatta pervenire sul posto, al fine di bruciare eventuale sostanza in occasione degli interventi delle forze di polizia), la "professionalità" attraverso cui si svolgeva detta illecita attività, in grado di gestire il commercio illecito di plurime tipologie di sostanza stupefacenti e pertanto, coprire ogni esigenza del mercato della droga, la raccolta del denaro, la rendicontazione dettagliata e la consegna.
Detti elementi, seppure già apprezzati in occasione della valutazione in ordine all'esistenza degli elementi costitutivi di una organizzazione finalizzata alla commissione di plurime cessioni e vendite di stupefacente ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, non è certo indifferente, come parrebbero voler accreditare i ricorrenti, rispetto alle singole condotte prese di volta in volta in esame.
Logica e completa, pertanto, risulta la motivazione sia della Corte territoriale che del Tribunale che, in punto di non scarsa offensività della condotta di cessione di sostanza stupefacente, ha messo in evidenza il contesto in cui lo stesso avveniva, il numero di occasioni in cui venivano visti contattare gli acquirenti (in un solo turno ne venivano apprezzate circa duecento), la stabile presenza alternata con altri soggetti e la logisticamente organizzata gestione dei depositi di sostanza fornita in plurima qualità a secondo delle richieste formulate dagli acquirenti.
Per escludere l'ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la Corte territoriale ha fatto reiterato e specifico riferimento al concetto di "piazza di spaccio" che, per ormai pacifica giurisprudenza di merito e di legittimità (in tal senso, vedi Sez. 6, n.13982 del 20/02/2018, Lombino, RV. 272529), costituisce espressione che evoca un'organizzazione composta da soggetti posti a presidio (vedette) e controllo della zona, funzionale a rendere più efficace e sicuro lo smercio della sostanza, per porsi al riparo da improvvisi controlli di polizia; viene prevista una turnazione degli spacciatori che, alternandosi tra loro, assicurino una prosecuzione dello smercio, senza soluzione di continuità, tale da implicare l'esistenza di una organizzazione più complessa che fa capo ad associazioni criminali che gestiscono il mercato illecito impedendo intromissioni da parte di altri spacciatori non graditi o non autorizzati.
A prescindere dalle definizioni, poi fatte proprie dalla Corte di appello che a tale paradigma ("piazza di spaccio") ha ricondotto il contesto in cui veniva realizzata l'attività di commercio di sostanza stupefacente dei ricorrenti, escludendo il riconoscimento del reato di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, corretta risulta la valorizzata offensività della condotta che non è stata ancorata al mero dato quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma anche alle concrete capacità di azione dei soggetti, avuto riguardo all'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine (in tal senso, v. Sez. 6, n. 13982 del 20/02/2018, RV. 272529), così facendo riferimento al quadro della gestione di una "piazza di spaccio" quale attività connotata da un'articolata organizzazione di supporto e difesa e tale da assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente.
D'altra parte, ciò che rileva ai fini della valutazione della dedotta minima offensività della condotta, oltre al dato qualitativo e quantitativo, è la verifica - in concreto - della sussistenza degli altri parametri normativi, quali i mezzi, le modalità, le circostanze dell'azione. La reiterazione e frequenza dello spaccio, allorché si rifletta sul dato quantitativo in ragione della consistente disponibilità necessaria a rifornire un più vasto numero di clienti, può anche essere evidentemente una ragione valida per escludere la minima offensività del fatto.
Nel caso di specie, quindi, il dato numerico dei clienti e la consistenza dell'attività di spaccio è stata ritenuta incompatibile con l'invocata riqualificazione nell'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, del testo unico citato.
Ciò premesso in ordine alla manifesta infondatezza in termini generali circa omessa riqualificazione delle condotte nell'ipotesi lieve di cui all'art. 73, comma 5 del citato testo unico, i ricorsi Bo.St., Me.Da., Pi.Da., Pi.Da., Sa.Ma., Sc.Da., Tr.Da., Gi.En., La.Cl., Ta., Ma.Al., Vi.An. e Ri.Ma. si presentano anche generici nella parte in cui, partendo dal parziale presupposto a mente del quale le condotte contestate sarebbero circoscritte nel tempo, nello spazio (in quanto localizzate in un ambito territoriale ristretto) e comunque contenute numericamente, omettono di confutare la parte della decisione che ha apprezzato il contesto in cui l'attività di spaccio, professionalmente portata avanti da tutti i soggetti coinvolti, si è realizzata e che, con motivazione adeguata e priva di lacune, è stata ritenuta determinante per escludere l'ipotesi di lieve entità ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
I ricorsi si presentano, altresì, declinati in fatto nella parte in cui, a fronte della realizzata attività di spaccio avente ad oggetto lo smercio di cocaina, hashish e marijuana, i ricorrenti sopra citati tendono ad accreditare una lettura riduttiva della complessiva condotta per come adeguatamente apprezzata dai giudici di merito allorché hanno rappresentato le ragioni che facevano ritenere la stessa essersi svolta in maniera strutturata, con alternanza di ruoli e tale da costituire punto di riferimento di acquirenti le cui esigenze e necessità di assunzione venivano puntualmente e rapidamente evase, così dando contezza della corretta qualificazione giuridica effettuata dalla Corte di merito.
2.2. Analogo limite incontra il motivo, comune a tutti i ricorrenti, ad eccezione di Ro.Ru., afferente all'omessa riqualificazione della ritenuta ipotesi associativa ex art. 74, comma 1 e 2, D.P.R. n. 309/1990 in quella "minore" di cui al successivo comma 6.
Al riguardo deve premettersi che la specificità dell'associazione minore sta nell'essere stata "costituita per" commettere reati ex art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990. Essa, come costantemente affermato da questa Corte, "è configurabile a condizione sia che i sodali abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità, sia che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990"(Sez. 6, n. 12537 del 19/01/2016, Biondi, RV. 267267 -01; il principio è stato ribadito da Sez. 6, n. 1642 del 9/10/2019, dep. 2020, Degli Angioli, RV. 278098 - 01; Sez. 6, n. 49921 del 25/01/2018, C., RV. 274287 - 01; Sez. 4, n. 53568 del 5/10/2017, Pardo, RV. 271708 - 01).
Al fine della sussistenza dell'associazione di cui all'art. 74, commi 6, cit., assumono rilievo, quindi, sia il profilo genetico-programmatico sia la concreta dinamica operativa del sodalizio, correlata alla struttura dell'associazione. In altri termini, il momento genetico ha peculiare rilievo, ma, in concreto, deve valutarsi anche l'effettiva operatività del sodalizio, nel senso che, in assenza di una precisa ed espressa presa di posizione dei sodali o di quelli che hanno la possibilità di determinare le scelte, non può non darsi rilievo alla concreta azione, eventualmente eccedente il limite della lieve entità, quale espressione di una prospettiva fin dall'inizio valutata o comunque non esclusa.
Sul piano probatorio può assumersi come parametro un dato presuntivo, correlato alle ordinarie modalità strutturali e/o operative con le quali si manifesta l'agire del sodalizio. In presenza di profili strutturali ridotti e di fatti di detenzione, approvvigionamento e spaccio tutti compatibili con la qualificazione in termini di lieve entità, ben potrà attribuirsi tale qualificazione anche all'associazione, a prescindere da una più approfondita verifica del momento genetico e della concreta esclusione a livello programmatico di azioni di maggiore rilievo.
Di contro, in presenza di fatti eccedenti quella soglia, tanto più se coinvolgenti soggetti che abbiano la possibilità di influire sulle determinazioni operative del sodalizio, potrà ragionevolmente presumersi che l'associazione non avesse escluso, ma, anzi, avesse concepito la realizzazione di fatti non di lieve entità. Il che varrà a qualificare corrispondentemente il sodalizio, in assenza di prova contraria, da parte di chi abbia interesse, in ordine a una diversa base progettuale e programmatica e in ordine all'estemporaneità di un'azione di maggior rilievo.
2.2.1. D'altro canto, ai fini della qualificazione del fatto come di lieve entità ai sensi dell'art. 73, comma 5, cit., come detto nel paragrafo che precede, deve farsi riferimento ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell'azione ovvero alla quantità e qualità delle sostanze. Tale valutazione deve riguardare sincronicamente tutti gli elementi, al fine di giungere ad un giudizio di minima offensività, fermo restando che il fatto non può dirsi lieve allorché anche solo uno di quegli elementi osti a quel giudizio di minima offensività (in tal senso Cass. Sez. U, n. 35737 del 24/6/2010, Rico, RV. 247911; Sez. 3, n. 32695 del 27/3/2015, Genco, RV. 264491; Sez. 6, n. 39977 del 19/9/2013, Tayb, RV. 256610).
Proprio la circostanza che sia prevista l'ipotesi associativa minore di cui all'art. 74, comma 6, postula che la lieve entità sia pienamente compatibile con la mera reiterazione delle condotte e con la loro professionalità (Cass. Sez. 6, n. 21612 del 29/4/2014, Villari, RV. 259233; Cass. Sez. 6, n. 41090 del 18/7/2013, Airano, RV. 256609), elementi che non possono in alcun modo reputarsi ostativi. Se, però, a tale stregua è irrilevante il protrarsi e la reiterazione dell'attività, ciò non significa che non debba darsi rilievo sia ai profili strutturali di quell'attività sia al concreto contenuto e oggetto della stessa, in quanto gli uni e/o l'altro conducano comunque ad un complessivo giudizio di offensività non qualificabile come minima.
Si è altresì sostenuto che per l'ipotesi di "spaccio di strada", la sussistenza della lieve entità non possa essere valutata con riferimento alla singola cessione, perché altrimenti, salvo cessioni di quantitativi ingenti, si verrebbe sempre a configurare la fattispecie lieve, manifestandosi ulteriormente la pressante esigenza di una valutazione globale del fatto, dovendosi guardare alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, all'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine. Ne deriva che non potrà ritenersi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una "piazza di spaccio", che è connotata da un'articolata organizzazione di supporto e difesa, ed assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 13982 del 20 febbraio 2018).
Può accadere, dunque, che siano di volta in volta acquisite e cedute piccole quantità, peraltro sulla base di una struttura volta ad assicurare condizioni di massima sicurezza a chi svolge l'attività di spaccio ovvero sulla base di un assetto organizzativo di quell'attività che consente rapidi approvvigionamenti e, dunque, costanti e assai ravvicinate cessioni. Al tempo stesso può accadere che, pur in assenza di peculiari strutture, siano movimentate rilevanti quantità ovvero diverse tipologie di sostanze, volte ad assicurare il soddisfacimento di una più ampia clientela. In nessuno di tali casi sarebbe configurabile l'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, D.P.R. 309 del 1990, per l'evidente maggiore offensività delle relative condotte, e corrispondentemente, qualora quelle attività si inquadrino in uno stabile sodalizio, non sarebbe possibile ricondurre quest'ultimo all'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6. Ciò non perché l'attività sia reiterata o genericamente riferibile a un sodalizio, ma per il fatto che la stessa non esprime una minima offensività e, correlativamente, il sodalizio non può dirsi volto alla realizzazione di fatti di lieve entità.
2.2.2. Così inquadrato il tema, deve rilevarsi che le valutazioni dei giudici di merito si sottraggono alle censure formulate dai ricorrenti.
Nella sentenza impugnata, al pari di quella di primo grado, infatti, non è stato posto in luce solo il dato della reiterazione delle condotte di spaccio, ma è stata rimarcata, soprattutto, la successione ininterrotta dal pomeriggio fino al mattino di un numero elevato di quelle condotte, che, pur avendo ciascuna ad oggetto piccoli quantitativi di sostanza stupefacente, determinava che "il volume complessivo delle vendite nel corso di ciascun turno era tutt'altro che contenuto", così da comprovare che l'associazione "poteva contare su fonti di approvvigionamento della droga pressoché illimitate, che implicavano la necessità di avere accesso a considerevoli somme di denaro per l'acquisto", come comprovato, peraltro, dai sequestri delle somme di denaro, avvenuti il 26 febbraio 2019 e l'8 aprile 2019 nei confronti di Da.Gi. e Ci.Gi., trovate in possesso rispettivamente della somma di 45.395,00 e 55.200,00 euro.
La Corte territoriale ha poi precisato non solo che, in occasioni di alcuni arresti, operati nei confronti di Bo.St., Tr.St., Vi.An., La.Cl., erano stati rinvenuti quantitativi non modesti di sostanze stupefacenti, tali da non poter sussumere i fatti nell'ambito dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/90, ma anche che l'attività era organizzata come una vera impresa, con predisposizione di turni di lavoro e modalità operative prestabilite, e il sodalizio disponeva di importi di tale entità da potersi permettere il regolare pagamento agli associati degli stipendi e delle mesate.
Anche il numero dei sodali conosciuti era incompatibile con l'associazione di minore entità, giacché la presenza di tanta manovalanza è indicativa del volume tutt'altro che irrisorio degli affari. Peraltro, la Corte di appello ha rimarcato che il numero effettivo dei sodali era sicuramente maggiore rispetto al numero dei soggetti compiutamente identificati, considerato che le immagini raccolte durante i turni notturni e a causa della scarsa visibilità non avevano consentito di riconoscere un gruppo di adepti, formato da persone di carnagione scura, di verosimile provenienza extracomunitaria, che venivano di norma impiegate come pusher nei turni notturni.
Tutto ciò giustifica l'assunto dei giudici di merito secondo cui il sodalizio non era riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. cit. È corretto, infatti, affermare che, per l'assetto che lo stesso si era dato, per la concreta capacità operativa, attestata dalle innumerevoli condotte di cessione e dalle modalità consolidate che utilizzava, per la diversa tipologia di sostanze stupefacenti trattate, non solo si sarebbe dovuto escludere che tutti i reati riferibili al sodalizio fossero connotati dalla lieve entità, ma anche e innanzi tutto che fosse stata concretamente concepita sul piano programmatico e progettuale solo la commissione di fatti di lieve entità.
Il dato presuntivo, così emergente, non risulta in alcun modo superato da argomenti di segno contrario, dedotti dalle difese.
Deve rilevarsi, infatti, che la circostanza che fossero venute in evidenza quantità di stupefacenti limitate a pochi grammi non assume rilievo decisivo a fronte non solo del fatto che in talune occasioni erano stati sequestrati quantitativi rilevanti di sostanza stupefacente e di somme di denaro, ma anche della necessità di dimostrare semmai in senso contrario che il complessivo agire del sodalizio fosse programmaticamente rivolto al compimento di fatti di lieve entità con esclusione di condotte di maggior rilievo. In tale prospettiva non è stato dimostrato che i sodali avessero condiviso solo un progetto limitato a condotte di modesto spessore, essendo invece emersa la condivisione di un'attività di spaccio consolidata e insidiosa.
Né può avere rilievo l'argomento difensivo attinente al circoscritto spazio territoriale in cui il sodalizio agiva. Come sottolineato dalla Corte territoriale, il fatto che l'attività dell'organizzazione si svolgesse in un preciso e circoscritto spazio territoriale non contrastava con la struttura del reato associativo, ma costituiva un ulteriore indizio del radicamento del gruppo che aveva conseguito il pieno controllo di una - sia pur ristretta - porzione di territorio. In quella zona la commissione dei reati-fine risultava documentata in maniera costante per tutto il tempo di installazione delle telecamere, a conferma dell'esistenza di un'associazione attiva ed operante.
Né, tanto meno, possono giovare ai ricorrenti gli esiti di altri procedimenti penali, in cui si è affermata la sussistenza della fattispecie di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. citato con riferimento a diverse organizzazioni, operanti nella zona, la cui struttura - secondo gli stessi ricorrenti - presenterebbe elementi comuni all'odierna associazione.
Come già correttamente osservato dalla Corte territoriale, l'argomento non coglie nel segno, giacché le decisioni evocate si riferiscono per loro natura solo agli specifici casi in esame e non possono valere nel caso in disamina, in quanto attinenti a vicende estranee all'odierno procedimento.
Devono, dunque, respingersi i motivi di ricorso volti a prospettare la riconducibilità dell'ipotesi associativa alla figura dell'associazione minore di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. 309/90.
2.3. Ciò premesso in termini generali, s'impone l'esame dei singoli ricorsi.
3. I ricorsi presentati da Sp.Al. e Ca.Ma., ritenuti responsabili di essere partecipi dell'associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 1) e, rispettivamente, in ordine ai reati-fine di cui ai capi 33) (Sp.Al.) e 8) (Ca.Ma.), in quanto versati in fatto e generici, devono essere dichiarati inammissibili.
3.1. Fermo restando quanto sopra rilevato quanto ad inammissibilità della questione posta in merito alla mancata riqualificazione della ipotesi associativa (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), il primo motivo, con cui i ricorrenti deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla partecipazione all'associazione dedita al narcotraffico, è prevalentemente generico e declinato in fatto.
3.1.1. Richiamati i principi a cui questa Corte deve attenersi al fine di rispondere alle deduzioni con cui si assume genericamente l'inesistenza del contributo morale e materiale anche con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo (sub Par. 1.2. del "Considerato in diritto"), si osserva come il ricorso dello Sp.Al., nella parte in cui vorrebbe far discendere esiti favorevoli dal dato che lo avrebbe visto operare nella zona dello spaccio per un periodo di tempo limitato, risulta privo della dovuta specificità.
La Corte territoriale ha osservato come, a prescindere dalla constatata presenza in zona per come documentata dalle immagini riprodotte dall'impianto di video sorveglianza per circa una settimana che consentiva di attribuire al ricorrente il ruolo di spacciatore, tanto da essere arrestato il 24 marzo del 2018, significativa sia stato ritenuto il contenuto della conversazione captata tra Va.Em. e Sa.Ma., rispettivamente capo del sodalizio e partecipe, dal quale emergeva che la partecipazione del ricorrente all'associazione risalisse ad almeno un anno prima; la circostanza veniva, infatti, desunta dall'avanzata pretesa dello Sp.Al., in occasione dell'ultimo arresto, di avere diritto ad un "indennizzo" per il timore di essere attinto da un ordine di esecuzione pena per fatti risalenti al 2017, posti in essere nell'ambito della medesima associazione (da pag. 109 a pag. 110).
Tale conversazione ha consentito alla Corte di appello di ritenere, con motivazione esaustiva, come la partecipazione dello Sp.Ga. al sodalizio fosse consapevole e ben radicata anche in ragione della ricezione da parte del ricorrente dello stipendio ("mesata").
3.1.2. Analogo limite incontra il corrispondente motivo di ricorso che riguarda Ca.Ma., che assume essere dato determinante l'asserita limitata presenza nella "piazza di spaccio".
La Corte territoriale ha rilevato come, a prescindere dal periodo di tempo in cui era stato osservato in loco, il contenuto delle captazioni che lo avevano interessato, anche in periodo precedente a quello oggetto di osservazioni, era tale da dimostrare lo stretto legame esistente con la struttura associativa, tanto da ambire a rimanerci al fine di continuare a percepirne i relativi compensi (v. pag. 72, punto 5.1. sentenza impugnata).
3.2. Manifestamente infondato risulta il comune rilievo in ordine al trattamento sanzionatorio ed al bilanciamento in termini di equivalenza delle attenuanti generiche con le contestate aggravanti.
Adeguata risulta la motivazione resa dalla Corte di appello che, sia in ordine alla posizione dello Sp.Al. (pag. 110, punto 30.2.), sia in merito a quella del Ca.Ma. (pag. 73 punto 5.2.), ha osservato come la complessiva pena quantificata nel minimo edittale, in assenza di elementi positivamente valorizzatali, fosse stata congruamente determinata dal Tribunale.
4. Il ricorso di Ca.Al., ritenuto responsabile di partecipazione alla associazione di cui al capo 1), è fondato limitatamente alla recidiva ed al trattamento sanzionatorio, mentre va dichiarato inammissibile nel resto.
4.1. Rinviando a quanto sopra osservato in ordine all'inammissibilità del motivo afferente alla mancata riqualificazione della ipotesi associativa (oggetto del secondo motivo di ricorso) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), il primo motivo con cui si censura la ritenuta partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico da parte del Ca.Al. è inammissibile sotto plurimi profili.
Si rinvia a quanto sopra evidenziato in ordine alla comune risposta delle due decisioni di merito ed alla corrispondente integrazione tra motivazioni, osservandosi come in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., RV. 280601).
Sono, infatti, inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti in ordine allo spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, RV. 280747).
Ciò premesso si osserva come il ricorrente, pur evocando cumulativamente vizi della motivazione, ha di fatto sollecitato una rilettura delle prove acquisite nel giudizio di merito, in contrasto con il consolidato orientamento interpretativo - divenuto ormai "diritto vivente" - secondo cui è preclusa alla Corte di Cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, RV. 273217-01; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, RV. 271702-01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, RV. 265482-01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, RV. 275100-01).
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, in tema di prova, il dubbio idoneo ad introdurre un'ipotesi alternativa di ricostruzione dei fatti è soltanto quello "ragionevole", ovvero quello che trova conforto nella logica, sicché, in caso di prospettazioni alternative, occorre comunque individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi ricostruttiva accolta, non potendo il dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, RV. 281647).
Al fine di rendere palese come risulti preclusa l'opera di parcellizzata analisi delle singole risultanze che hanno portato la Corte territoriale a fondare il giudizio di colpevolezza, si precisa che, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il Ca.Al. non è ritenuto partecipe dell'associazione di cui al capo 1) sol perché intenzionato alla futura gestione del cosiddetto "spaccio dinamico" da attuarsi per mezzo di spacciatori automuniti che avrebbero dovuto servire i clienti a domicilio, ma quale diretto collaboratore e consigliere, anche in ragione della pregressa esperienza nel campo della cessione degli stupefacenti, del Va.Em. con cui si rapportava nella gestione della "piazza di spaccio" per ragioni che esulavano dal mero rapporto amicale.
La circostanza che nel corso delle captate conversazioni fosse emerso che il ricorrente gestisse, sempre in accordo con il Va.Em., anche lo spaccio di sostanza stupefacente per il tramite di soggetti automuniti che aveva dotato di apposite utenze cellulari (in tal senso esplicita la sentenza del Tribunale da pag. 161 in poi ove si fa riferimento alla già avviata attività di spaccio accennando al "trasportino" ed al lavoro comune che avrebbe consentito al Ca.Al. di ritirarsi dopo un anno e ricevendo la risposta affermativa del Va.Em. ("se lavoriamo così sì")), non fa venir meno la rilevanza delle plurime risultanze che danno conto del suo contributo fornito immediatamente dopo la scarcerazione per reati della stessa specie.
La sentenza evidenzia come il ricorrente, intercettato mentre discorreva insieme a Va.Em. e Sa.Ma. (nominativi niente affatto neutri in ordine alla valenza dei colloqui che ne scaturivano), era a pieno titolo inserito nella stessa gestione dell'attività di spaccio, ponendosi come interlocutore privilegiato del Va.Em. (in tal senso la riproduzione dell'intercettazione del 18 gennaio 2019 da pag. 158 in poi della sentenza del Tribunale, solo parzialmente riportata e analizzata dal ricorrente) con il quale discorreva alla pari.
Né risulta rilevante, aspetto particolarmente valorizzato anche nei motivi di appello, che fosse venuto meno il ruolo di organizzatore del sodalizio inizialmente contestato (in tal senso la sentenza del Giudice delle indagini preliminari); tale conclusione, che ha comunque riguardato la consistenza del ruolo svolto all'interno del sodalizio, non pregiudica l'apprezzata partecipazione ricavata dalla valutazione del contenuto delle captazioni che sono state fedelmente riportate e non confutate se non attraverso frammentaria enunciazione e conseguente preclusa riduttiva ed alternativa lettura.
Anche se la decisione afferma che l'accertamento dell'ipotesi che vedeva il Ca.Al. gestire il cosiddetto "spaccio dinamico" non fosse emerso dalle attività di video sorveglianza, modalità deputata al controllo della zona di spaccio, comunque evidenzia come sussista il non meno rilevante contenuto delle intercettazioni, a cui la Corte di appello riferimento, che ricostruiscono le esatte modalità con cui venivano decisi e discusse le strategiche modalità attraverso cui effettuare l'attività di vendita dello stupefacente nella "piazza di spaccio".
Eguale irrilevanza assume il fatto che al ricorrente non siano stati contestati specifici reati-fine, avendo la Corte territoriale ricostruito il concreto ruolo assunto in detto contesto associativo, che si vorrebbe, per mezzo di una rilettura delle emergenze probatorie, porre alla diretta attenzione di questa Corte di legittimità per sollecitare una differente valutazione che i Giudici di merito, in entrambe le decisioni, hanno dimostrato di aver adeguatamente effettuato.
Nonostante la decisione di primo grado avesse assegnato specifici e non contestati significati al contenuto delle intercettazioni, senza che fossero prospettate critiche in sede di gravame (significativa la parte del ricorso che censura la lettura delle captazioni che depone per la consegna di cellulari criptati al Ca.Al. da parte del Va.Em.) e per ciò solo precluse ex art. 606, comma 3, cod. proc. Pen., la difesa vorrebbe sottoporre al vaglio di questa Corte il contenuto di parziali e frammentarie conversazioni, chiedendone un difforme apprezzamento che si assume sia stato oggetto di travisamento, ma in realtà fondato sul non dimostrato assunto di una maggiore plausibilità e decisività.
4.3. Il terzo motivo con cui si deducono vizi di motivazione e violazione di legge quanto a ritenuta recidiva è fondato, circostanza che impone l'annullamento della decisione impugnata limitatamente a detto punto ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio (quarto motivo).
Secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione della recidiva richiede adeguata motivazione del giudice, che può anche essere adempiuta implicitamente, ove però si faccia riferimento alla riprovevole condotta e alla pericolosità del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, RV. 267130). È stato anche precisato che detta motivazione è indispensabile sia che si affermi sia che escluda la sussistenza della stessa, potendo comunque essere adempiuto detto obbligo motivazionale per mezzo di argomentazione succinta che dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782).
Nel caso di specie, pertanto, non si tratta di negare la possibilità che la decisione possa motivare implicitamente in merito alle ragioni del rigetto delle censure rivolte alla ritenuta recidiva, quanto di rilevare la carenza di elementi della stessa in ordine alla ricorrenza dei necessari requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore (in tal senso la motivazione di questa Corte a Sezioni Unite n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, Schettino RV. 275319 - 01, che richiama Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, RV. 267130).
Nonostante il limitato vincolo argomentativo che incombe sul giudice di merito che deve comunque dare atto della ponderata valutazione in ordine esistenza di elementi dimostrativi di una maggiore riprovevolezza della condotta e la sussistenza di elementi che denotino un'aumentata pericolosità sociale, la Corte di appello ha fatto insufficiente riferimento all'esistenza di precedenti penali ed al reato contestato (testualmente: "La recidiva ex art. 99, è stata contestata correttamente, sulla base dei precedenti risultanti dal certificato penale in atti, da cui emerge pienamente la rilevanza della recidiva rispetto alla condotta di adesione all'organizzazione criminale").
4.4. In ragione dell'assenza di qualsivoglia motivazione in ordine alle ragioni dell'aumentata pericolosità si impone l'annullamento della decisione impugnata con rinvio alla Corte di appello di Roma in ordine alla ritenuta recidiva e, se del caso, al conseguente trattamento sanzionatorio.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
5. I ricorsi di Da.Co., partecipe dell'associazione dedita al narcotraffico di cui al capo 1, e Pi.Da., partecipe dell'associazione di cui al capo 1, nonché responsabile dei reati-fine contestati ai capi 29) e 37), sono rispettivamente, inammissibile (Da.Co.) e fondato limitatamente al trattamento sanzionatorio (Pi.Da.).
5.1. Il primo motivo con cui i due ricorrenti deducono vizi di motivazione e violazione di legge in ordine alla ritenuta partecipazione all'associazione ex art. 74, D.P.R. n. 309 del 1990, che si assume avrebbe semmai consentito una riqualificazione delle condotte nella ipotesi concorsuale è inammissibile per plurimi motivi.
5.1.1. La parte del motivo con cui si censura la mancata declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla Da.Co. all'atto della perquisizione che ha portato al sequestro della somma in contante di euro 45.395,00 è generico; il motivo omette un reale confronto con la corretta risposta fornita dalla Corte di merito sulla medesima questione che ha rilevato (pag. 79 e 80, punto 9.1) come la funzione di custode del denaro per conto della organizzazione criminale emergesse, non solo dalle citate "spontanee dichiarazioni", quanto dal contenuto delle conversazioni telefoniche captate da cui sì evinceva come la donna percepisse settimanalmente una somma di denaro per la consapevole, nevralgica ed essenziale funzione di depositaria delle somme di denaro provento dell'attività di cessione di sostanza stupefacente.
Né il motivo, a fronte di precisa motivazione sul punto, evidenzia per quale ragione l'eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni (il cui contenuto neppure viene esplicitato in questa sede, onde valutarne la rilevanza) inciderebbero sul complessivo compendio probatorio per come apprezzato tanto da determinare un diverso esito del giudizio.
Deve farsi rinvio al consolidato principio di diritto secondo cui costituisce specifico onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali, a pena di inammissibilità della censura, indicare gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, RV. 243416 - 01). Sarebbe stato, invero necessario che la parte indicasse se ed in quale misura il giudice di merito avesse posto a sostegno della sua decisione gli elementi che si tacciano di inutilizzabilità e le ragioni per le quali questa non sia in grado di resistere senza la loro valorizzazione (Sez. 2, n. 669 del 01/02/2000, Carloni, RV. 215408 - 01); detta indicazione si rendeva tanto più necessaria nel caso di specie in cui la Corte di appello aveva dato conto delle differenti ed ulteriori ragioni che facevano ritenere che la ricorrente detenesse per conto di altri l'ingente somma di denaro sequestrata.
5.1.2. Generico e volto a una non consentita rilettura dei dati probatori risulta la parte del motivo con cui la Da.Co. deduce vizi di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione all'associazione.
Quanto alla dedotta mancanza di consapevolezza della struttura associativa per conto della quale custodiva il denaro, la decisione dà conto delle ragioni che facevano ritenere come la Da.Co. fosse consapevole della compagine al servizio della quale prestava la propria opera ricevendo un compenso settimanale, interloquendo direttamente con gli associati, tanto da rassicurare immediatamente dopo l'arresto il Va.Em., incontrato in casa dei coniugi Pa., nel cui stabile abitava, di non aver fornito alcuna indicazione utile agli investigatori, ricevendo contestuale garanzia in ordine alla successiva tutela legale afferente il patito procedimento penale.
La difesa confuta le valutazioni del materiale probatorio tentando si assegnare una valenza differente o neutra allo stesso, specie quanto all'interpretazione del significato delle conversazioni intercettate, operazione che, per quanto detto in termini generali, è preclusa in sede di legittimità.
5.1.3. Riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata dalla Corte di appello e generico risulta il motivo con cui Pi.Da. censura la ritenuta partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico.
La decisione, con pertinenti riferimenti in fatto, argomenta compiutamente come il Pi.Da. fosse ben consapevole di aderire al sodalizio criminale: esaustiva risulta la parte della motivazione (pag. 112 e 113, punto 25.1.) che ha richiamato i numerosi avvistamenti nei luoghi deputati allo spaccio (nel solo mese di novembre la presenza del ricorrente è stata monitorata in almeno venti occasioni), l'attività di "bonifica" dei luoghi che precedeva il turno e la determinante circostanza che aveva visto il ricorrente gettare lo stupefacente nel fuoco il giorno dell'arresto, espediente, come rappresentato nella parte generale della sentenza di merito, previamente concordato tra i sodali e teso a scongiurare il rischio di sequestro di sostanza stupefacente ed il conseguente accertamento dei reati.
Proprio la condotta del ricorrente, che in occasione di precedenti interventi delle forze dell'ordine aveva preferito nascondere lo stupefacente piuttosto che gettarlo nel braciere che veniva continuamente alimentato per tale ragione, aveva costituito oggetto di commenti negativi da parte del Va.Em. e degli altri associati che, dopo l'arresto, si mostravano preoccupati per il rischio che potesse rivelare notizie relative all'organizzazione del sodalizio.
Anche in tal caso la difesa, attraverso una preclusa rilettura dei numerosi elementi valorizzati ed opera di non consentita parcellizzazione delle risultanze probatorie, tenta di assegnare un riduttivo significato al materiale probatorio, valutazione che si rivela distante da quella effettuata, con motivazione adeguata, nella competente sede di merito.
5.2. Quanto alla comune questione (secondo motivo) afferente alla mancata riqualificazione dell'associazione di cui all'art. 74, comma 1 e 2, in quella prevista dal comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990, si rinvia alla parte generale quanto a rilevata inammissibilità (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto").
Analogo rinvio si deve effettuare in ordine alla contestata mancata qualificazione dei reati-fine contestati ai capi 29) e 37) nella ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, D.P.R. cit. dedotta con il quarto motivo (cfr. Par. 2.1. del "Considerato in diritto").
5.3. Il terzo motivo, attraverso il quale Pi.Da. censura la parte della decisione che ha tenuto ferma la sussistenza dei reati-fine di cui ai capi 29) e 37), è generico.
La Corte di merito ha operato un corretto rinvio alla parte generale della sentenza in cui erano stata esplicitate le modalità attraverso cui venivano organizzate quotidianamente le attività di spaccio della compagine dedita al narcotraffico. In tali termini depone la parte della decisione che, in ordine alla contestazione degli specifici reati, ha apprezzato la presenza del Pi.Da. sul luogo esclusivamente deputato alla cessione e vendita di sostanza stupefacente, allorché era intento a collaborare con altri sodali nell'attività illecita svolta nelle giornate del 4 e 19 novembre 2018.
5.4. Manifestamente infondato risulta il motivo (quinto) con cui si censura il trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo anche con riferimento alla equivalenza tra attenuanti generiche ed aggravanti contestate nei confronti della Da.Co. .
Corretta risulta la motivazione che, in punto di pena, ha ritenuto che il leggero scostamento dal limite edittale risultasse congruo in ragione dell'apprezzato ruolo di responsabilità quale affidatala del denaro del sodalizio (pag. 81, punto 9.2); detta argomentazione, in uno alla rideterminazione in melius della pena applicata per i fatti di ricettazione di cui al capo 41), decisi separatamente nell'ambito di altro procedimento che perveniva a sentenza passata in giudicato, dà ampiamente conto della valorizzata analisi dei presupposti di cui all'art. 133 cod. Pen. .
5.5. Fondato risulta, invece, il corrispondente motivo formulato dal Pi.Da. in ordine alla quantificazione del trattamento sanzionatorio.
Seppure debba convenirsi che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. Pen. con espressioni di tipo sintetico, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, RV. 271243), deve osservarsi che nel caso in esame la Corte territoriale, nonostante l'intervenuta rideterminazione della pena complessivamente irrogata per la sola elisione di quella che il primo giudice aveva irrogato per i reati contestati al capo 31), non fornisce indicazione alcuna in ordine ai criteri utilizzati per la determinazione della pena base e degli aumenti per ciascun reato fine individuato, rispettivamente, in dodici anni e sei mesi.
5.6. La carenza assoluta di motivazione in ordine a questione demandata al vaglio della Corte di merito attraverso i motivi di gravame (pag. 42 motivi di appello), implica la necessità di annullare la sentenza nei confronti di Pi.Da. in ordine al complessivo trattamento sanzionatorio.
Il ricorso del Pi.Da. è, nel resto, inammissibile.
6. Inammissibile per genericità e manifesta infondatezza risulta il ricorso presentato da Ag.Lu., ritenuto responsabile per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato-fine di cui al capo 30).
Tenuto fermo quanto rilevato in ordine all'inammissibilità del motivo in ordine all'esclusa ipotesi ex art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), manifestamente infondato risulta il secondo motivo con cui il ricorrente rivolge censure al mancato differente bilanciamento tra le riconosciute circostanze attenuanti generiche e contestate aggravanti, avendo la Corte territoriale rappresentato come gli elementi positivamente valorizzagli fossero stati già adeguatamente apprezzati in sede di riconoscimento delle circostanze attenuanti e non emergessero ulteriori elementi di speciale meritevolezza idonei a giustificare un differente bilanciamento, motivazione che, in quanto non illogica, si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte.
7. Inammissibile per genericità e manifesta infondatezza risulta il ricorso presentato da Sp.Ga. ritenuto responsabile per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato-fine di cui al capo 30).
Tenuto fermo quanto rilevato in ordine all'inammissibilità del motivo in ordine all'esclusa ipotesi ex art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (primo motivo) (Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), manifestamente infondato e generico risulta il secondo motivo con cui il ricorrente rivolge censure al trattamento sanzionatorio, di fatto dolendosi del differente bilanciamento tra le riconosciute attenuanti generiche e le contestate aggravanti, avendo la Corte territoriale rappresentato come gli elementi acquisiti non consentissero, anche in ragione della recidiva specifica già ritenuta con sentenza passata in giudicato, di concedere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, motivazione che, in quanto non illogica, si sottrae al sindacato di legittimità di questa Corte.
8. Il ricorso di Tr.St., ritenuto responsabile di partecipazione alla associazione di cui al capo 1), è fondato limitatamente alla ritenuta recidiva ed all'eventuale trattamento sanzionatorio, mentre va dichiarato inammissibile nel resto.
8.1. Rinviando a quanto sopra osservato in ordine all'inammissibilità del motivo afferente alla mancata riqualificazione della ipotesi associativa (oggetto del primo motivo di ricorso) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), manifestamente infondato risulta il secondo motivo con cui si censura l'omessa motivazione in ordine alla ritenuta aggravante di cui all'art. 74, comma 3, D.P.R. n. 309 del 1990.
In disparte l'ipotesi della partecipazione di persone dedite all'uso di stupefacenti o psicotrope, prevista dall'art. 74, comma 3, D.P.R. n. 309 del 1990, la cui natura oggettiva risulta da pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 36335 del 09/07/2021, Cerami, RV. 282229), determinante risulta l'analoga natura oggettiva del numero degli associati pari o superiore a dieci che caratterizza l'ulteriore ipotesi di cui al comma 3 dell'art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990 (cfr. Sez. 4, n. 27523 del 10/05/2017, Giliberto, RV. 271126). Detta aggravante si comunica secondo i criteri previsti dall'art. 59 cod. Pen. a tutti coloro che concorrono nel reato, sia che fossero a conoscenza del numero dei partecipi, sia che ne abbiano per colpa ignorato la circostanza.
Apodittica e generica, pertanto, si rivela l'affermazione contenuta nel ricorso secondo cui il ricorrente avesse interloquito con pochi elementi appartenenti al gruppo, riferimento generico e versato in fatto, non idoneo a confutare la conoscenza, anche in ragione della specifica funzione svolta nell'attività associativa e il costante rapporto avuto con il vertice dell'associazione, le specifiche modalità operative dell'associazione, anche nella sua consistenza numerica, per conto della quale provvedeva a reperire e pagare l'affitto dei locali ove stoccava e custodiva lo stupefacente che provvedeva, con continuità, a suddividere in singole dosi e fornire agli associati.
8.2. Il motivo con cui si deducono vizi di motivazione e violazione di legge quanto a ritenuta recidiva è fondato, circostanza che impone l'annullamento della decisione impugnata limitatamente a detto punto ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio (quarto motivo) che necessiterà di una nuova complessiva valutazione all'esito del vaglio (se negativo) circa la sussistenza della contestata recidiva.
Richiamate le decisioni di questa Corte di legittimità in ordine alla motivazione dell'applicazione della recidiva (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, cit. e Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, cit. RV. 274782), citate in ordine ad analoga questione dedotta dal ricorso di Ca.Al., la Corte di appello, a fronte della censura tesa a censurare l'applicazione della recidiva, ha fatto insufficiente riferimento all'esistenza ed "evidente rilevanza" dei precedenti penali ed al reato contestato (testualmente: "La recidiva è stata contestata correttamente, emergendo a carico del Tr.St. due precedenti specifici, prima della commissione dei fatti per cui è processo, ed essendo evidente la rilevanza delle precedenti condanne, rispetto a questi ultimi reati".
8.3. L'assenza di motivazione in ordine alle ragioni della aumentata pericolosità, apoditticamente individuata nell'autoevidenza dei precedenti penali, impone l'annullamento con rinvio della decisione impugnata in ordine alla ritenuta recidiva e, se del caso, al conseguente trattamento sanzionatorio.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
9. Il ricorso di To.Ro., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e responsabile in ordine ai reati-fine di cui ai capi 12), 13), 14), 15), 16), 17), 18), 19), 21), 22), 24), 25), 26), 28) e 29), è inammissibile per plurime ragioni.
9.1. Il motivo attraverso il quale il ricorrente assume che gli elementi valorizzati non siano significativi della partecipazione al sodalizio dedito al narcotraffico, fermo restando il rinvio alla parte della presente decisione che ha confutato la erronea riqualificazione dell'ipotesi associativa ex art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (secondo motivo) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), è generico, declinato in fatto e riproduttivo di identiche censure confutate con corretti argomenti dalla Corte di appello.
A fronte di frammentaria e parcellizzata analisi degli elementi per come illustrata anche nel ricorso, sede in cui non si contesta la ritenuta responsabilità in ordine ai numerosi reati-fine, si osserva come la Corte territoriale abbia dato conto delle ragioni che deponevano per una stabile partecipazione del To.Ro. all'associazione che gestiva la "piazza di spaccio" (pag. 113, punto 33.1.). La Corte di appello, anche attraverso un pertinente richiamo alla corrispondente parte della sentenza di primo grado, ha riscontrato la presenza quotidiana in loco del ricorrente, ove veniva notato fino al momento dell'arresto (10 dicembre 2018), tanto da essere coinvolto nella realizzazione dei quindici reati-fine; è stata apprezzata l'inclusione del ricorrente tra i soggetti a cui era stato contestato il capo 31), imputazione che, pur assorbita nella complessiva condotta associativa da parte della Corte di appello, costituiva un determinante elemento in ordine alla prova di tale delitto.
La decisione, pertanto, valorizza la pluralità di condotte del To.Ro., il quale agiva, a seconda dei casi, quale spacciatore o "vedetta", con modalità aderenti alle regole dell'associazione, venendo visto fuggire in occasione dell'intervento delle forze di polizia e gettare lo stupefacente nel fuoco in sintonia con gli ordini ricevuti al riguardo.
Corretto risulta, altresì, il significato assegnato dai Giudici di merito al contenuto delle captazioni che evocano una richiesta di anticipo del compenso da parte del ricorrente a cui segue uno scambio di messaggi tra l'interlocutore e Va.Em., circostanza ritenuta logicamente in linea con l'appartenenza alla compagine associativa del To.Ro. che il 17 ottobre 2018 veniva arrestato insieme a Gi.En. e Vi.An. e denunciato in stato di libertà il 19 novembre 2018.
Il ruolo di persona dedita alla cessione quotidiana di stupefacente ed al controllo della zona interessata allo spaccio ed il conseguimento di un compenso fisso per l'opera svolta, da conto del contributo fornito al sodalizio ed al perseguimento di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza da parte del ricorrente di far parte di una compagine strutturata e durevole e di essere disponibili ad operare per l'attuazione del programma criminoso comune (Sez. 6, n. 3886 del 07/11/2011, dep. 2012, Papa, RV. 251562).
9.2. Riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata risulta il terzo motivo (paragrafato "IV" nel ricorso) con cui si censura il trattamento sanzionatorio, avendo la Corte territoriale dato conto dell'assenza di elementi tali da superare il bilanciamento in termini di equivalenza tra aggravanti ed attenuanti e della congrua pena determinata in tre mesi di reclusione per ogni reato-fine.
10. Il ricorso di Pa.Da., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1 e in ordine dei reati-fine di cui ai capi 29) e 39), in quanto generico, deve essere dichiarato inammissibile.
10.1. Oltre al primo motivo con cui si deduce la mancata riqualificazione ai sensi del comma 6, dell'art. 74, D.P.R. cit., per la cui inammissibilità si rimanda alla parte a ciò deputata (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), generico risulta il secondo motivo con cui si censura la confermata recidiva contestata.
La Corte di appello non ha solo evidenziato - come osservato nel ricorso - che le precedenti condanne afferenti a reati di diversa natura avessero avuto una sicura incidenza nella genesi dei reati contestati, esplicitando comunque la le ragioni della maggiore gravità della condotta a sostegno dell'aumento di pena prevista dall'aggravante, ma ha al contempo apprezzato la pari determinante sentenza di condanna irrevocabile che aveva dichiarato il ricorrente recidivo reiterato nel quinquennio in relazione a fatti analoghi rispetto a quelli per cui si procede, commessi nello stesso arco di tempo, ma in un contesto diverso (Corte di appello Roma del 10/2/2022, irrevocabile il 16 maggio 2022), esplicitate ragioni della decisione a confutazione della questione dedotta con cui il ricorrente non si confronta.
11. I ricorsi di Fa.Va. e Ma.Da., ritenuti partecipi dell'associazione di cui al capo 1) e responsabili dei reati-fine contestati ai capi 21), 22), 23), 24), 25), 26) e 27), devono essere dichiarati inammissibili.
11.1. Pecca di genericità il primo comune motivo formulato da entrambi i ricorrenti, limitandosi lo stesso ad una vaga confutazione degli esiti cui è pervenuta la decisione impugnata senza alcun effettivo e concreto confronto con la stessa.
Deve ribadirsi, infatti, il consolidato principio di diritto secondo cui l'impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (tra tante, Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, RV. 236945).
Proprio in merito al ruolo di entrambi i ricorrenti la decisione ha apprezzato la sovrapponibilità delle rispettive posizioni, evidenziando il ruolo di vedette di entrambi, osservati partecipare alle preliminari riunioni all'esito delle quali prendevano posto nelle rispettive posizioni, l'inserimento stabile nei turni, le plurime conversazioni in cui si accennava alla Fa.Va., al contempo escludendo che la donna si limitasse ad accompagnare il compagno (pag. 82, punto 10 e 11.1 sentenza impugnata).
La Corte di appello ha fornito adeguata risposta in ordine al perché le lamentele degli uomini del gruppo per il fatto che il Ma.Da. svolgeva pochi turni non incidessero sull'apprezzata partecipazione al sodalizio, rilevando come costui fosse comunque in essi stabilmente inserito, risposta fondata sulle stimate risultanze probatorie che il ricorso omette di confutare, reiterando identica questione logicamente e con completezza affrontata e superata in sede di merito.
11.2. Fermo quanto già rilevato in ordine alla dedotta mancata riqualificazione dell'ipotesi associativa dell'art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (in tal senso il titolo del paragrafo afferente al motivo), generico risulta, altresì, il motivo con cui si censura il trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo, alla luce della determinata pena base attestata sui minimi edittali, l'applicazione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti e i minimali aumenti per i plurimi reati (un anno e dieci mesi di reclusione in aumento per i sette reati-fine).
12. Il ricorso di Da.Gi., ritenuto responsabile dei reati di cui ai capi 1) e 36), è fondato limitatamente all'aumento di pena per la ritenuta continuazione, inammissibile nel resto.
12.1. Il primo motivo con cui si censura la ritenuta partecipazione all'associazione da parte del Da.Gi. è declinato in fatto e teso ad una riduttiva e parcellizzata lettura degli elementi probatori adeguatamente apprezzati dai Giudici di merito.
In tema di giudizio di cassazione, infatti, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., RV. 280601).
La Corte di appello, come effettuato per gli altri partecipi, ha enumerato quali fossero gli elementi che deponevano per una perfetta adesione del ricorrente al programma associativo, evidenziandone l'apporto personale rivolto alla diretta organizzazione dell'attività di spaccio attraverso la "apertura della zona" (intesa quale area all'interno della quale veniva svolta l'attività di cessione e vendita dello stupefacente), la collaborazione nel controllo dei luoghi e la stabile presenza, grazie alla quale provvedeva ad allertare i sodali del rischio di interventi da parte della polizia giudiziaria, utilizzando segnali convenuti poiché conformi a quelli reiteratamente emersi nel corso delle indagini; dato determinante è stato, altresì, ritenuto che il ricorrente fosse conteggiato tra coloro che ricevevano la paga (pagg. 75 e 76, punto 7.1).
Corrette pertanto risultano la valorizzata frequenza e la tipologia di condotte registrate nel corso dell'indagine (in tal senso quelle utilizzate per indicare al sodale di fuggire e di bruciare nel braciere a tal fine predisposto la sostanza stupefacente in ipotesi di avvistamento delle forze dell'ordine), ritenute significative dell'esistenza di uno stabile e duraturo rapporto con l'associazione dedita al narcotraffico che il ricorrente vorrebbe confutare attraverso una riduttiva e parcellizzata lettura dei dati probatori.
Generica risulta la parte del ricorso con cui si censura la mancata risposta in merito alle memorie che si afferma fossero state presentate nei procedimenti cautelari e richiamate nell'atto di appello, così come la dedotta omessa risposta in merito alla giustificazione fornita dal ricorrente che assume essersi recato sul posto in cui si svolgeva lo spaccio solo per acquistare stupefacente per uso personale.
Deve rilevarsi che la mancata risposta alle argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotta in sede di legittimità unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, RV. 253445).
Nel caso di specie, invero, il generico riferimento ad allegazioni effettuate in sede di gravame (sull'inammissibilità del ricorso che deduca l'omessa valutazione, da parte del giudice d'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, ex multis, Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, RV. 258962) ed ai rilievi difensivi risulta logicamente superata dalla parte della decisione che, come sopra rilevato, dà conto di tutt'altro scenario rispetto a quello edulcorato prospettato dalla difesa del ricorrente che, attraverso il motivo di ricorso, tenta di accreditare una differente lettura delle risultanze probatorie adeguatamente effettuata dai Giudici di merito là dove hanno individuato lo specifico ruolo svolto dal Da.Gi. all'interno dell'area deputata alla vendita dello stupefacente.
12.2. Premessa l'inammissibilità del ricorso in punto di mancata riqualificazione ex art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 (secondo motivo) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), il terzo motivo, attraverso il quale si deduce la genericità della contestazione contenuta nel capo 36) è indeducibile in quanto sottratto al vaglio del giudice di merito, sede in cui il ricorrente, contrariamente a quanto rileva nel presente ricorso, aveva dedotto la genericità della contestazione di cui al capo 31), a sostegno della quale rappresentava come il Giudice delle indagini preliminari, al fine di dare contenuto specifico alla contestazione di cui al capo 31) - la cui condotta veniva ritenuta assorbita nella fattispecie associativa di cui al capo 1) - prendeva quale paradigma proprio i fatti del 18 ottobre 2018 (capo 36).
La motivazione della decisione che, attraverso l'accoglimento delle ragioni che avevano portato a censurare la genericità del capo 31), fornisce risposta allo specifico motivo per come formulato in quella sede di gravame, di fatto, smentendo la mancata conoscenza dell'esatta contestazione mossa al Da.Gi. che, invero, proprio sul significato assegnato al capo 36), evidentemente noto, ha fatto leva per corroborare la genericità delle condotte contestate attraverso il capo 31).
12.3. Il quarto motivo con cui la difesa censura la quantificazione della pena in ordine all'aumento operato per la ritenuta continuazione con i fatti ricompresi nella sentenza del Tribunale di Roma del 18 luglio 2019 è fondato, con conseguente necessità di annullare con rinvio alla Corte di appello, in parte qua, la sentenza.
La Corte di appello, nella determinazione della pena complessivamente applicata, ha ritenuto che per i fatti di cui alla sentenza irrevocabile resa dal Tribunale di Roma concernenti l'ipotesi lieve prevista dall'art. 73, comma 5, D.P.R. cit. ricorresse la continuazione aumentando la pena di mesi sei di reclusione (a fronte di condanna ad otto mesi di reclusione), senza spiegare le ragioni della asimmetria esistente con le singole componenti della pena, tanto più che nel caso di specie, alla lieve diminuzione per la ritenuta continuazione operata rispetto alla sentenza che ne accertava la responsabilità ex art. 73, comma 5, D.P.R. cit., si contrappone un aumento prossimo a quello operato in ordine alla contestata fattispecie di cui all'art. 73, comma 1, D.P.R. cit. ricompresa nel capo 36).
Richiamata la giurisprudenza già enunciata quanto a graduazione della pena e discrezionalità del giudice di merito (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, cit.), nel caso che ci occupa nessuna motivazione, neppure in termini di generica congruità, è stata fornita dalla Corte di appello che, pur avendo ridotto di due mesi la pena che la decisione irrevocabile aveva ritenuto di applicare, ha omesso ogni giudizio sulle ragioni alla base di un simile aumento ex art. 81 cod. Pen. .
Dall'assenza di motivazione sul punto consegue l'annullamento con rinvio della decisione alla Corte di appello che dovrà rimotivare in ordine all'aumento di pena per i fatti di cui alla sentenza del Tribunale di Roma, irrevocabile il 31 dicembre 2019.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
13. Il ricorso di Pr.An., ritenuta partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e in ordine al delitto di ricettazione di cui al capo 41), è infondato e deve essere rigettato.
13.1. Tenuto fermo quanto già espresso in ordine all'inammissibilità della questione afferente alla mancata riqualificazione ex art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309 del 1990 (secondo motivo) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), il primo motivo di ricorso, con cui si deduce l'irrilevanza, ai fini della ritenuta responsabilità, della condotta della ricorrente in quanto si assume fosse stata limitata nel tempo e spiegabile in ragione del rapporto di coniugio e convivenza con il marito detenuto agli arresti domiciliari, è riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata dalla Corte di appello.
La decisione, oltre a richiamare la motivazione che aveva portato a rigettare in merito allo stesso punto il gravame proposto dal Pa.Vi., specie nella parte in fa riferimento alla frequente presenza del Va.Em. presso l'abitazione della coppia con la finalità di ricevere gli incassi dell'attività di spaccio e di effettuare il pagamento dei compensi ai sodali, informando il Va.Em. dei conteggi, rilevava come le posizioni dei due fosse praticamente sovrapponibile (pagg. 98 e 99); ha escluso che la condotta della ricorrente fosse subalterna a quella del marito in quanto costei era perfettamente consapevole dell'apporto fornito nell'agevolazione dell'organizzazione criminale.
La Corte territoriale ha rilevato come la ricorrente svolgesse un ruolo autonomo, sia allorché si rapportava direttamente al Va.Em., sia quando prendeva parte attiva alle conversazioni inerenti al sodalizio in merito alla custodia del denaro, interloquiva e coinvolgeva Da.Gi., che alla ricorrente si rapportava, consegnandole il denaro, quando aveva delle lamentele o la necessità di formulare richieste specifiche.
Manifestamente infondato risulta il rilievo secondo cui non sussisterebbero atti di indagini da cui desumere che il Va.Em. avesse affidato un compito decisivo alla ricorrente.
Deve, in proposito ribadirsi il consolidato principio reiteratamente enunciato da questa Corte a mente del quale la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, RV. 257595).
Al riguardo la decisione del Tribunale aveva già analiticamente posto in evidenza quali fossero i plurimi elementi che rappresentavano come la Pr.An. fosse inserita nel contesto associativo tanto da interloquire direttamente con il Va.Em., esprimendogli giudizi anche in ordine a membri del gruppo: le indagini dimostravano l'esatta consistenza della fattiva collaborazione, tanto da essere la donna incaricata nello svolgimento di compiti che palesavano la fiducia che il sodalizio, in genere, ed il Va.Em., in particolare, nutrivano in lei (sentenza Tribunale, da pag. 308 a pag. 313, con particolare riferimento alle conclusive valutazioni riportate nel terzo periodo di pag. 313).
Il Tribunale, alla cui sentenza la Corte di merito ha fatto pertinente rinvio, aveva rilevato come il fatto che la Pr.An. fosse subalterna al Pa.Vi. (in tal senso anche con riferimento alla quantificazione della pena), non si ponesse in contrasto, come assume la ricorrente, con i requisiti necessari per ritenere sussistente la partecipazione al sodalizio che, in presenza di reato a forma libera, può essere realizzato anche con una condotta comunque significativa allorché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell'organismo e la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, RV. 282139).
In detti termini, è stato individuato il contributo della ricorrente che, unitamente al marito, provvedeva a ricevere l'incasso dell'attività di spaccio, custodire, contabilizzare e far recapitare le somme di denaro a Va.Em., occupandosi all'occorrenza del pagamento del compenso dei sodali; dette operazioni, a dispetto di quanto rilevato dalla difesa che assume che la donna sapesse appena riprodurre la propria firma, non necessita di particolari competenze linguistiche, competenze che invece, in fatto, ha dimostrato di possedere.
A fronte, pertanto, di motivi di gravame che già trovavano esaustiva risposta nella decisione impugnata anche là dove la Corte di appello ha richiamato le conclusioni raggiunte dal primo giudice, la difesa tenta di accreditare una differente lettura delle risultanze probatorie che i Giudici di merito, nei rispettivi gradi di giudizio, hanno dimostrato di aver correttamente effettuato attraverso pertinenti e puntuali riferimenti alle fonti di prova utilizzate che danno conto del concreto contributo fornito al sodalizio dalla ricorrente.
13.2. Il terzo motivo, in comune con il primo motivo del ricorso di Pa.Vi., con cui si assume che, in ragione della clausola di riserva contenuta nella fattispecie di cui all'art. 648 cod. Pen., non sia possibile realizzare la distinta ipotesi di ricettazione avente ad oggetto il prodotto dell'associazione dedita al narcotraffico è infondato.
13.2.1. In risposta alla questione formulata in sede di gravame, la Corte di appello ha ritenuto la sussistenza di entrambi i reati sul presupposto che, da un lato, risultasse differente il bene giuridico tutelato dalle due fattispecie prese in esame, dall'altro, Pr.An. e Pa.Vi., pur realizzando attività collaterali per conto dell'associazione, fossero rimasti estranei ai reati-fine da cui traeva origine la somma di denaro, diretto provento delle plurime attività di cessione e vendita dello stupefacente realizzatasi nel corso del turno notturno gestito da Ag.Lu. .
Pur non potendosi condividere l'affermazione della Corte territoriale secondo cui sarebbe rilevante, ai fini della ipotizzabilità del concorso formale, la differenza esistente tra beni giuridici oggetto di tutela da parte delle due fattispecie (e ciò in base al principio del "ne bis in idem" convenzionale, per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nella causa Grande Stevens c. Italia del 4 marzo 2014 e della sentenza n. 200 della Corte costituzionale, là dove si assegna preminenza all'identità dei fatti materiali), deve invece convenirsi sulla rilevanza della mancata partecipazione dei ricorrenti, conformemente alla clausola contenuta nella disposizione prevista dall'art. 648 cod. Pen., ai delitti che hanno specificamente generato le somme dì denaro della cui ricettazione si discorre.
13.2.2. In conformità depone la stessa massima della sentenza delle Sezioni Unite Iavarazzo, pur citata nei ricorsi, che esplicita come sia possibile la configurazione del concorso tra i reati di associazione mafiosa e delitti di cui agli art. 648-bis o 648-ter cod. Pen. nel caso dell'associato che ricicli o reimpieghi proventi dei soli delitti-scopo alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun contributo causale (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo, RV. 259590 - 1), situazione che è assimilabile ai fatti che rilevano in questa sede.
È pur vero che la decisione in questione sia relativa a differenti ipotesi di reato rispetto a quelle in esame che attengono, rispettivamente, alla partecipazione all'associazione ex art. 74, D.P.R. n. 309 del 1990 ed alla ricettazione ex art. 648 cod. Pen., in luogo della partecipazione ad associazione di tipo mafioso e del riciclaggio o reimpiego, ma comune risulta la ratio che sorregge il principio di diritto in essa espresso, specie nella parte in cui vengono fornite pertinenti valutazioni in ordine alla valenza che assume la clausola di riserva in ipotesi del genere.
Nel caso della ricettazione, nessuna rilevanza assume il rapporto di presupposizione sussistente o meno con il delitto associativo: ciò che, invece, deve essere scrutinata è solo la sussistenza o meno di condotte dì partecipazione o concorso nel reato, fermo restando che, nel caso in esame, il denaro ricevuto dai ricorrenti proviene - come meglio si preciserà in seguito - da un determinato reato fine e non, in genere, dal delitto ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990.
Il tema deve essere pertanto limitato alla verifica del se possa ritenersi assorbito il reato di ricettazione nella ipotesi associativa quando la ricchezza che si riceve provenga, non (solo) direttamente dal delitto associativo, ma dai reati-fine di questo, questione che deve ricevere risposta negativa.
13.2.3. Ed infatti, proprio la decisione delle Sezioni Unite Iavarazzo precisa i termini della questione, osservando come spesso siano state sovrapposte le tematiche, niente affatto assimilabili, afferenti, da una parte, alla presupposizione tra delitto associativo e riciclaggio e reimpiego, e dall'altra, alla portata della clausola di riserva, osservando come i principi espressi in alcune sentenze fossero stati impropriamente associati o sovrapposti.
La citata decisione ha, invece, messo in risalto come alcune pronunce (cfr. Sez. 1, n. 40354 del 27/05/2011, Calabrese, RV. 251166), dopo aver premesso la natura di reato presupposto dell'associazione ex art. 416-bis cod. Pen. in ragione della sua capacità di realizzare ricchezza illecita, hanno escluso l'operatività della clausola di riserva, sia nel caso in cui i proventi delittuosi siano riconducibili all'associazione mafiosa in quanto tale, sia nel caso in cui essi derivino dai soli reati-fine e questi non siano stati in concreto commessi neppure a titolo di concorso dall'agente (Sez. 1, n. 6930 del 27/11/2008, Ceccherini, cit.; Sez. 1, n. 1439 del 27/11/2008, Benedetti, cit.).
Esplicita risulta la parte motiva della decisione delle Sezioni Unite Iavarazzo, in cui si afferma che "Nei confronti del membro dell'associazione mafiosa che "ripulisca" o reimpieghi il denaro, i beni, o le altre utilità riconducibili ai soli delitti-scopo, alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun apporto, non opera la clausola di esclusione della responsabilità prevista dall'art. 648-bis cod. Pen., in quanto l'oggetto dell'attività tipica del delitto di riciclaggio non è direttamente ricollegabile al reato cui egli concorre"(cfr. punto 8 del "considerato in diritto"Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Iavarazzo cit.).
A prescindere dalla capacità in sé del delitto associativo di produrre reddito, aspetto su cui si è positivamente pronunciata la sentenza Iavarazzo limitatamente al delitto di cui all'art. 416-bis cod. Pen., l'assorbimento della ricettazione nella fattispecie associativa può ritenersi sussistente solo nel caso in cui l'agente realizzi o partecipi alla realizzazione del reato-fine da cui la ricchezza ricevuta sia stata effettivamente generata, mantenendo, invece, integra la propria autonomia quella condotta che, come nel caso sottoposto a scrutinio, ha visto Pr.An. e Pa.Vi., riceversi la somma di denaro senza che nei loro confronti sia stata ipotizzata la partecipazione ai reati-fine di spaccio di sostanza stupefacente che aveva generato la specifica somma di denaro della cui ricettazione si discorre.
13.2.4. Nondimeno si osserva che, le caratteristiche dell'ipotesi associativa contestata ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, trova maggiori punti di contatto con quella giurisprudenza esistente in tema di associazione a delinquere semplice che, proprio partendo dalla citata sentenza Iavarazzo, rileva come il reato di associazione per delinquere di cui all'art. 416 cod. Pen. non generi, autonomamente dai reati-fine, vantaggi economici costituenti prodotto o profitto illecito immediatamente riconducibili al sodalizio criminale, in quanto il mero fatto di associarsi al fine della commissione più delitti è di per sé improduttivo di ricchezze illecite.
Detta interpretazione della clausola di riserva del delitto di ricettazione che esclude la possibilità che la stessa possa ritenersi operativa rispetto alla specifica somma proveniente dai reati-fine di cessione e vendita di sostanza stupefacente, in ordine ai quali nessuna contestazione è stata mossa da entrambi i ricorrenti, trova conforto in numerose decisioni di questa Corte (Sez. 2 n. 5730 del 20/09/2019, dep. 2020, Musto, RV. 278244; Sez. 1, n. 7860 del 20/01/2015, Meli, RV. 262758, ma da ultimo Sez. 2 n. 2009 del 07/11/23, dep. 2024, Giordano, non massimata).
Il citato principio, seppure affermato in relazione all'associazione per delinquere semplice, può essere esteso anche all'associazione finalizzata al narcotraffico di sostanze stupefacenti che dal primo mutua parte degli elementi.
13.2.5. Superata nei termini sopra evidenziati la questione della clausola di riserva, scarso rilievo assume la tesi sostenuta dai ricorrenti secondo cui la condotta contestata in ordine ai fatti di ricettazione sia di fatto sovrapponibile a quella contestata attraverso la ritenuta partecipazione al sodalizio.
Da un canto, i fatti di ricettazione contestati, afferenti alla condotta di ricezione del denaro proveniente dai reati-fine realizzati in occasione del turno pomeridiano e notturno di spaccio da altri sodali, non esauriscono la condotta partecipativa di ben più ampio orizzonte nella parte in cui era stata valorizzata la stabile cura della contabilità del gruppo, compito che veniva realizzato con più articolata condotta posta in essere attraverso la raccolta del denaro, il suo trasferimento ad altro partecipe, che successivamente consegnava l'importo settimanalmente al Va.Em. che, a sua volta, corrispondeva, in ordine a tale apporto di riconosciuta rilevanza, un compenso periodico ai sodali.
D'altro canto, non tiene in considerazione come - esclusa l'incidenza della clausola di riserva contenuta nella fattispecie di cui all'art. 648 cod. Pen. - la possibilità niente affatto remota e ostativa che una medesima condotta possa integrare plurimi reati proprio in ragione del disciplinato concorso formale ex art. 81, primo comma, cod. Pen., sempre che non vengano superati i limiti che giurisprudenza convenzionale e costituzionale che impongono, anche in materia di concorso formale di reati e in presenza di azione unica, il confronto con la vicenda empirica.
Come precisato dalla Corte costituzionale (in tal senso la sentenza n. 200 del 2016) le norme sul concorso formale riprendono efficacia, quando all'unicità della condotta non corrisponda la medesimezza del fatto da intendersi quale identità storico-naturalistica di elementi ulteriori rispetto all'azione o all'omissione dell'agente, siano essi costituiti d all'oggetto fisico di quest'ultima, ovvero dal nesso causale e dall'evento.
13.2.6. In conclusione, la condotta contestata ai ricorrenti Pr.An. e Pa.Vi. in ordine alla ritenuta partecipazione all'associazione ex art. 74, D.P.R. cit. di cui al capo 1) è, invece, diretta a fornire un contributo causale al sodalizio dedito al narcotraffico e, al contempo, a riceversi i proventi dei reati-fine a cui non hanno partecipato (esplicita in tal senso la pag. 123 della sentenza del Tribunale da cui emerge che i soldi raccolti e consegnati fossero i proventi del turno di notte gestito da Ag.Lu. e di quello pomeridiano), senza che sussista alcuna sovrapposizione tra le due ipotesi di reato e le rispettive complessive condotte empiricamente prese in esame.
13.2.7. Deve, pertanto, esprimersi il principio di diritto, mutuato dal corrispondente principio statuito dalle Sezioni Unite Iavarazzo di cui costituisce specificazione, secondo cui "Nei confronti del partecipe dell'associazione dedita al narcotraffico ex art. 74,D.P.R. n. 309 del 1990 che ricetti denaro, beni, o cose riconducibili ai soli delitti-scopo di cui all'art. 73 D.P.R. cit., alla cui realizzazione egli non abbia fornito alcun apporto, non opera la clausola di riserva dall'art. 648 cod. Pen., in quanto lo specifico oggetto dell'attività tipica del delitto di ricettazione non è direttamente ricollegabile al reato cui egli concorre".
13.3. Manifestamente infondata risulta la censura rivolta alla determinazione del trattamento sanzionatorio che, quanto a pena base e a ritenuta equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche ed aggravanti, ha dato conto sia dei plurimi procedimenti penali in materia di resistenza a pubblico ufficiale e del rilevante ruolo assunto dalla ricorrente all'interno del sodalizio.
Indeducibile, invece, risultano la censura rivolta alla ritenuta recidiva che non aveva formato oggetto di specifica critica nel gravame, visto che il riferimento alla remota datazione del prospettato unico precedente era teso a giustificare in quella sede la richiesta di un più favorevole giudizio comparazione delle circostanze attenuanti generiche sulle altre aggravanti.
14. Il ricorso di Pa.Vi., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e responsabile in ordine al delitto di ricettazione di cui al capo 41), va rigettato in quanto infondato.
14.1. Quanto alla infondatezza del primo motivo e della inammissibilità del secondo, con cui, rispettivamente, si censurano la compatibilità tra i fatti di cui al capo 1) e quelli di ricettazione e la mancata riqualificazione nel delitto ex art. 74, comma 6, D.P.R. cit. si è già detto in occasione della trattazione del corrispondente motivo della Pr.An. (sub Par. 13.2.) e di quanto enunciato in parte generale.
14.2. Il terzo motivo che involge la determinazione del trattamento sanzionatorio è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale ridotto in maniera significativa la pena base e l'aumento già operato per la continuazione proprio perché ritenuti eccessivi, in tal modo dando tangibile segno di aver apprezzato, nell'opera di quantificazione della pena complessivamente irrogata, i presupposti di cui all'art. 133 cod. Pen. anche evocando il ruolo di spicco in concreto svolto in favore della compagine associativa.
14.3. Il quarto motivo, con cui la difesa censura il mancato riconoscimento della continuazione con i fatti oggetto di accertamento e ricompresi nella sentenza di condanna del Tribunale di Roma del 14 marzo 2017, confermata dalla Corte di appello di Roma il 10 ottobre 2017, irrevocabile il 28 dicembre 2017, è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha rilevato (pag. 99 sentenza impugnata) che dalla sentenza acquisita emergesse che i fatti aventi ad oggetto un reato in materia di spaccio di sostanza stupefacente risultavano commessi a distanza di tempo e in un contesto estraneo rispetto a quello connesso allo specifico ruolo assunto dal Pa.Vi., quale partecipe del sodalizio che faceva capo al Va.Em. .
Proprio l'ampiezza dell'arco temporale ed il diverso ambito nel quale i fatti erano maturati hanno costituito elemento sintomatico della non riconducibilità a una medesima preventiva risoluzione criminosa dei delitti di cui alla sentenza allegata.
Il ricorrente, invero, si limita a rivolgere critiche involgenti il precluso merito, ipotizzando che la differenza tra le due decisioni risentisse della misura detentiva in atto al momento della commissione delle condotte di reato contestate, senza riuscire a fornire - in quella sede di merito come in questa sede di legittimità - dati concreti tesi a confutare la rilevata impossibilità di individuare la presenza di elementi da cui desumere una previa programmazione delle condotte delittuose.
Il giudizio sulla continuazione criminosa, infatti, ha ad oggetto la verifica in ordine alla sussistenza o meno di una programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte delineate attorno ad uno specifico elemento oggettivo idoneo a caratterizzare in termini di concretezza la deliberazione, così da poterle distinguere rispetto ad una scelta criminosa solo generica.
Esplicita risulta la sentenza n. 183 del 2013 della Corte costituzionale che ha precisato come il giudizio sulla continuazione fra reati richieda l'accertamento che il soggetto agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati che si accingeva a commettere e che detti reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria.
In presenza di una serie di reati in successione cronologica attribuiti alla responsabilità dello stesso soggetto, la verifica da svolgere è se si è in presenza di un identico disegno criminoso, ovvero se gli illeciti rivelano la tendenza a delinquere riconducibile a un programma di attività delittuosa da sviluppare nel tempo. La continuazione - a differenza dalla mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, dovuta a una determinata scelta di vita - presuppone l'anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti, almeno a grandi linee, nella mente del reo (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016 Elourriari, RV. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, RV. 260896).
In conclusione, la motivazione della Corte di appello, lungi dal trascurare le argomentazioni sottopostele al vaglio, ha enunciato con logicità e completezza gli elementi obiettivi che costituivano un ostacolo al riconoscimento della richiesta di unificazione dei reati attraverso l'istituto di cui all'art. 81, secondo comma, cod. Pen. .
15. Il ricorso di Pe.Jo. , ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e in ordine al reato-fine di cui al capo 30) o 31) (sussiste sul punto motivo di ricorso), è inammissibile.
15.1. Operato il rinvio alla ritenuta inammissibilità della comune questione afferente alla mancata riqualificazione dell'ipotesi associativa (secondo motivo) (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), riproduttivo di identica censura adeguatamente confutata dalla Corte di appello e declinato in fatto risulta il motivo con cui la difesa rivolge critiche alla identificazione del ricorrente quale persona presente sui luoghi dello spaccio e appellato come Wi.. .
Completa risulta, invero, la risposta della Corte territoriale che ha rappresentato come, da un canto, il ricorrente fosse stato ripetutamente controllato in zona dalle forze di polizia, d'altro canto, che la riconducibilità del nominativo di Wi. al ricorrente fosse emersa dalla contemporanea visione del Pe.Jo. che giungeva sui luoghi dello spaccio e dal chiaro tenore delle contemporanee intercettazioni ambientali che faceva - appunto - riferimento al suo arrivo (pagg. 101 e 102, punto 24.1).
Ed invero, questa Corte ha statuito che ai fini dell'identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati, così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l'onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (tra le tante, Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, De Cicco, RV. 269900; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2104, Amato, RV. 259478 - 01).
Detta valutazione, in quanto implicante apprezzamenti in fatto logicamente e con completezza espressi attraverso pertinente riferimento alle risultanze probatorie già analizzate e valutate negli stessi termini nelle distinte fasi di merito, è insindacabile in sede di legittimità specie se, come nel caso di specie, frutto di combinata analisi di servizi di appostamento, riprese di video sorveglianza e lettura delle conversazioni ambientali che erano state ritenute decisive della identificazione del soggetto appellato Wi. dagli altri sodali, valutazione che si intende confutare attraverso mere supposizioni tese ad accreditare una differente lettura delle stesse non fondata su elementi che denotino un loro travisamento.
15.2. Il terzo motivo con cui si censura l'erronea applicazione della pena in ordine al reato di cui al capo 31) è manifestamente infondato e, poiché costituente mero errore materiale, privo di effetti negativi sulla posizione del ricorrente.
È evidente come la Corte territoriale, là dove ha citato il capo 31), intendesse riferirsi al capo 30); la circostanza è resa palese dal tenore della stessa motivazione nella parte in cui dà conto della genericità del motivo di gravame dedotto che ha portato a confermare la decisione di primo grado sul punto (pag. 102, punto 24.2) e allorché ha rideterminato la pena con l'eliminazione di quella irrogata dal Tribunale per il capo 31) (punto 24.3 ove si legge "eliminando l'aumento comminato per l'imputazione di cui al capo 31").
16. Il ricorso di Me.Da., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e responsabile in ordine al reato fine di cui al capo 39), è inammissibile.
16.1. Generico e riproduttivo di identica di identica censura risulta il primo motivo con cui il ricorrente mostra di non condividere la ritenuta partecipazione all'associazione ex art. 74, commi 1 e 2, D.P.R. n. 309 del 1990.
Oltre a doversi rinviare a quanto già evidenziato in ordine alla comune risposta delle due decisioni di merito ed alla corrispondente integrazione tra motivazioni, non risulta pregevole il tentativo del Me.Da. di interpretare riduttivamente le risultanze processuali da cui emergeva che costui, subentrato nel gruppo immediatamente dopo l'arresto di alcuni sodali sin dal 14 dicembre 2018: avesse manifestato di aver compreso il contesto in cui si trovava; avesse espresso la disponibilità a svolgere il ruolo di spacciatore unitamente al Tr.Da. attenendosi rigorosamente alle regole assegnategli; fosse destinatario del compenso giornaliero che riteneva non adeguato tanto da far presente all'interlocutore di voler percepire duecento euro a giornata; realizzasse condotte funzionali alla programmata attività di spaccio alacremente svolta per tutto il tempo in cui veniva osservato, tanto da riuscire a cedere, in una sola giornata, ben 196 dosi di sostanza stupefacente, circostanza che consentiva di valorizzare il commento soddisfatto di Sa.Ma. che, entusiasta del risultato, affermava di non fare in tempo ad approvvigionarlo (significative le pagg. 272 e seguenti della sentenza del Tribunale).
A fronte di precise indicazioni che la Corte di appello ha sinteticamente richiamato attraverso il consentito rinvio alla parte corrispondente della decisione di primo grado (pag. 90 sentenza impugnata) onde confutare la dedotta occasionale opera di spaccio, spiegando le ragioni che davano conto dei presupposti della stabile e non limitato apporto alla organizzazione ed alla finalità della stessa, il ricorrente riproduce questioni già adeguatamente smentite dal primo giudice, ignorando la risposta data dalla Corte di appello (quanto ad aspecificità del ricorso in tali ipotesi, cfr. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Gattelli, RV. 268822).
16.2. In ordine al secondo ed al terzo motivo afferenti alla mancata riqualificazione delle ipotesi di cui all'art. 74 e 73 D.P.R. cit. nelle corrispondenti ipotesi minori, si rinvia a quanto rilevato in parte generale allorché se ne è evidenziata la inammissibilità (v. Par. Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto").
16.3. La parte del quarto motivo con cui si censura, seppure genericamente, la ritenuta recidiva, risulta indeducibile in quanto non sottoposto all'attenzione della Corte di appello, sede in cui si rileva la mera enunciazione della questione nel titolo del paragrafo relativo alla doglianza involgente, invece, il trattamento sanzionatorio (pag. 10 dei motivi di appello), senza alcuna effettiva articolazione del preannunciato motivo.
Manifestamente infondata e riproduttiva di identica questione sottoposta al vaglio della Corte di merito risulta, invece, la censura rivolta al giudizio di equivalenza tra circostanze.
Quanto alla determinazione della pena, infatti, va ribadito che una specifica e dettagliata motivazione, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la stessa sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti - come nella specie - essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. Pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (tra le tante, Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, RV. 245596).
Con particolare riferimento al concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra aggravanti ed attenuanti possono costituire oggetto di censura in sede di legittimità soltanto nell'ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico e non anche qualora risulti sufficientemente motivata la soluzione dell'equivalenza (Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 2014, Sulo, RV. 258874).
Ciò premesso in termini generali, la Corte territoriale, con motivazione che non può ritenersi illogica o carente, ha dato conto dell'assenza di elementi di segno positivo che deponessero per una diversa valutazione del bilanciamento operato, con conseguente insindacabilità della relativa decisione in sede di legittimità.
17. Il ricorso di Ca.Al., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e responsabile del reato fine di cui al capo 30), è inammissibile, in quanto riproduttivo di identiche censure adeguatamente confutate dalla Corte di appello e prevalentemente generico.
17.1. Rinviandosi alla parte della decisione che ha confutato il motivo comune (secondo del presente ricorso) in ordine alla mancata riqualificazione nella ipotesi di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (cfr. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), si rileva come lo stesso, specie allorché fa esclusivo riferimento alla minimale cessione di sostanza stupefacente - tentando di accreditare una lettura eccentrica rispetto alle risultanze probatorie - , si presenti anche generico in quanto privo di alcun confronto con la decisione di primo grado.
17.2. Il primo ed il terzo motivo in ordine alla ritenuta responsabilità per la partecipazione all'associazione dedita al narcotraffico ed in ordine al capo 30) è, infatti, teso ad edulcorare le argomentazioni della Corte di appello che, su entrambi i profili, spiegano quali siano gli elementi (pagg. 73 e 74) che depongono per la partecipazione del ricorrente, che veniva ripreso in più occasioni sul luogo di spaccio mentre svolgeva il ruolo di "vedetta" in plurime giornate che ricomprendono, non solo quelle contenute nel capo 30) (presenza quale "vedetta" che non è oggetto di smentita), ma anche quelle che erano state inizialmente valorizzate ai fini della contestazione mossa attraverso le condotte confluite (indistintamente e genericamente) nel capo 31), poi assorbito nel capo 1).
La decisione valorizza le numerose videoriprese che monitoravano la condotta del ricorrente e le conversazioni intercettate da cui, contrariamente a quanto si assume nel ricorso, si poteva rilevare come Ca.Al. fosse tenuto in seria considerazione dal Va.Em. che, conversando col Ca.Al., riferiva della sua affidabilità quale "vedetta" perché in grado di riconoscere gli appartenenti alla polizia giudiziaria.
Il terzo motivo risulta, altresì, manifestamente infondato e generico là dove, pur dando per scontata la funzione di "vedetta" nelle giornate ricomprese nel capo 30), se ne assume apoditticamente l'irrilevanza ai fini del concorso con coloro che spacciavano in detto contesto, venendo, infine, arrestati.
Consolidata risulta, invero, quella giurisprudenza di legittimità che, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato, assegna rilevanza, non solo al contributo concorsuale che abbia efficacia causale quale condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, come nel caso in cui il reato sarebbe ugualmente commesso ma con con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà (Sez. 4, n. 52791 del 08/11/2018, Barbato, RV. 274521; in ordine alla generale sufficienza del contributo agevolatore nel concorso di persone nel reato cfr. Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, RV. 229200; Sez. 4, n. 2310 del 22/11/1994, dep. 1995, P.G. in proc. A.V.C.I., RV. 201244); il citato principio di diritto ha trovato specifica applicazione proprio con riferimento allo svolgimento della funzione di "vedetta" (compito di avvisare i concorrenti, dediti all'attività di spaccio, dell'arrivo della polizia giudiziaria), ritenuta costituire ipotesi concorsuale nel reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti materialmente realizzata da altri.
18. Il ricorso di Fa.Al., ritenuto partecipe dell'associazione di cui al capo 1) e responsabile in ordine ai reati-fine di cui ai capi 5), 6), 7), 8), 9), 11), 12), 13), 14), 15), 21) e 28), è fondato limitatamente alla recidiva ed al trattamento sanzionatorio, mentre va dichiarato inammissibile nel resto.
18.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si censura la stessa possibilità di inquadrare i fatti nell'ipotesi associativa ex art. 74 D.P.R. cit. assumendosi, tra l'altro, che la decisione non avrebbe fornito risposta ai motivi di gravame formulati sul punto, è generico in quanto privo di ogni confronto con la stessa decisione impugnata.
Deve essere richiamato il principio di diritto reiteratamente espresso da questa Corte in ordine alla inammissibilità del motivo per genericità allorché manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità (tra tante, Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, Scicchitano, RV. 236945). Questa Corte ha, altresì, sostenuto l'inammissibilità del ricorso che si limiti a lamentare - come nel caso sottoposto a scrutinio - l'omessa valutazione, da parte del giudice d'appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, senza alcuna indicazione del relativo contenuto, al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (ex multis, Sez. 2, n. 9029 del 05/11/2013, dep. 2014, Mirra, RV. 258962).
A fronte di adeguata motivazione da parte della Corte di appello che ha messo in evidenza i presupposti per la sussistenza dell'associazione (pagg. da 38 e 41), quanto ad esistenza e consistenza, presupposti, modalità operative, localizzazione, struttura, rapporti tra sodali, mutuo soccorso quanto a mantenimento del nucleo familiare ed interessamento in ordine alla difesa legale di cui i sodali necessitavano (con particolare riferimento alle pagg. da 41 a 45), la difesa del ricorrente si limita ad indicare quali debbano essere i requisiti dell'associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti sulla base di citati riferimenti giurisprudenziali, senza peritarsi nella confutazione delle argomentazioni spese in merito al ruolo assunto dal Fa.Al. nell'ambito della "piazza di spaccio", alla valorizzazione dei plurimi reati-fine e alla varietà dei ruoli (spacciatore e "vedetta") assunti, tali da essere significativi della sua consapevole partecipazione quale "gregario" al sodalizio.
Tale contributo, in tanto non si è potuto manifestare in forma più intensa, in quanto il Fa.Al. era sottoposto alla misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, evenienza che - nell'ambito di una conversazione captata - ha costituito motivo di disappunto da parte dei vertici dell'associazione (pag. 83).
18.2. Rilevata la comune inammissibilità del motivo svolto (secondo motivo) in ordine alla mancata riqualificazione della fattispecie associativa (v. Par. 2.2. del "Considerato in diritto"), fondato risulta, invece, il motivo - adeguatamente svolto in sede di gravame in punto di mancata valutazione dell'aumentata pericolosità - con cui si censura l'omessa risposta in ordine alla contestata recidiva.
La decisione impugnata si limita ad evocare l'esistenza di precedenti penali (testualmente: "Per quanto riguarda i motivi di appello aventi ad oggetto il trattamento sanzionatorio, si conferma la rilevanza della recidiva, alla luce dei precedenti risultanti dal certificato penale in atti, da cui emergono due precedenti definitivi per rapina, commesse nel 2011 e nel 2014, un precedente per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni commessi nel 2018 ed uno specifico precedente in materia di stupefacenti, per un reato commesso in coincidenza temporale con i fatti di cui all'odierno processo") senza altro rilevare al riguardo.
Analoga carenza si rinviene in ordine al trattamento sanzionatorio allorché la Corte di appello non rende note le ragioni della ritenuta congruità della pena, specie in ordine agli aumenti per la continuazione.
Nonostante gli aumenti operati in ordine ai reati-fine calcolati in misura fissa di due mesi di reclusione ciascuno siano minimali, la Corte di appello nulla dice in ordine alla loro quantificazione, limitandosi ad esprimere un giudizio circa la sola correttezza dell'equivalenza tra attenuanti ed aggravanti.
18.3. La carente motivazione in ordine alle ragioni dell'aumentata pericolosità e la mancanza di ogni valutazione in ordine alla determinazione della pena, anche con riferimento agli aumenti operati per la continuazione, impone l'annullamento su detti punti con rinvio alla Corte di appello di Roma.
Il ricorso è inammissibile nel resto.
19. Il ricorso Sa.Ma., ritenuto partecipe dell'associazione contestata al capo 1) e responsabile in ordine ai reati-fine di cui ai capi 3), 4), 5), 7), 8), 10), 11), 12), 13), 14), 16), 18), 19), 26), 27), 28), 29), 30), 32), 35), 36), 37) e 40), è inammissibile.
19.1. Preso atto della sopra rilevata inammissibilità dei motivi comuni (primo motivo), sia quanto ad esclusione dell'ipotesi lieve ex art. 73, comma 5, sia in ordine all'associazione di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. cit. (cfr. Par. Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto"), il secondo motivo con cui si censura la parte della decisione che avrebbe omesso di motivare in ordine al contributo causale del Sa.Ma. nei singoli reati-fine di cui ai capi 3), 5), 7), 10), 11), 12) e 18) è declinato in fatto e, eminentemente, geneticamente inammissibile.
Ed infatti, a fronte di un generico motivo contenuto nei motivi di appello attraverso cui si contestava la responsabilità del ricorrente asseritamente fondata sulla sola presenza sul posto, senza alcun riferimento a specifici elementi che devolvessero le questioni afferenti ai capi 3), 5), 7), 10), 11), 12) e 18), solo numericamente e genericamente evocati, la Corte di appello, nei limiti del devoluto e dopo aver in termini generali evidenziato il ruolo del ricorrente, a stretto contatto con il Va.Em. e responsabile, a seguito dell'arresto del Gi.En., del turno pomeridiano, addetto all'approvvigionamento della legna per il fuoco (la cui continua accensione assicurava la possibilità di bruciare immediatamente la sostanza stupefacente all'arrivo delle forze di polizia) e al rifornimento delle dosi già predisposte ai vari spacciatori che erano sul posto, rilevava come detta attività fosse stata sin da subito registrata dalle telecamere collocate in zona allorché davano conto del ruolo che il Sa.Ma. svolgeva.
Ciò posto, rinviando alla posizione del Ca.Al. quanto a rilevanza del contributo agevolatore nel concorso di persone nel reato (sub Par. 17.2.) e tenuto conto del motivo di appello formulato in forma generica senza alcun riferimento ai singoli episodi contestati, riferimento che il ricorrente effettua solo in sede di legittimità chiedendo a questa Corte una preclusa rivalutazione o rilettura dei dati processuali mai sottoposti al vaglio della Corte di marito, il motivo deve ritenersi geneticamente inammissibile.
Ed infatti costituisce principio di diritto consolidato quello secondo cui, in sede di impugnazione, il giudice non è obbligato a motivare in ordine a censure, nel caso in cui esse appaiano improponibili sia per genericità, sia per manifesta infondatezza (Sez. 3, n.53710 del 23/02/2016, C, RV. 268705; Sez.2, n.49007 del 16/09/2014, lussi, RV. 261423), con conseguente inammissibilità originaria, per carenza d'interesse, del ricorso per cassazione avente ad oggetto motivi non esaminati dal giudice di merito, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez.6, n.47722 del 06/10/2015, Arcone, RV. 265878; Sez.2, n.10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, RV. 263157).
19.2. Manifestamente infondata e riproduttiva di identica questione sottoposta al vaglio della Corte di merito risulta invece la deduzione con cui si censura il trattamento sanzionatorio con particolare riferimento alla pena base, agli aumenti per la continuazione dei reati satellite ed alla ritenuta equivalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti.
Richiamati i principi sopra citati in ordine alla motivazione sintetica circa la determinazione della pena con riferimento all'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. Pen. (tra le tante, Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, cit., e quanto a comparazione tra aggravanti ed attenuanti cfr., Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 2014, Sulo, cit.), si rileva come la Corte territoriale, con motivazione che non può ritenersi illogica o carente, ha dato conto delle ragioni che portavano a determinare la pena base per il delitto associativo al di sopra del minimo edittale (anni quattordici e mesi tre di reclusione), rappresentando, inoltre, l'assenza di elementi di segno positivo che deponessero per una diversa valutazione del bilanciamento operato specie attraverso l'evocato ruolo di spicco poco prima descritto e tale da far assumere al Sa.Ma. un ruolo prossimo a quello dirigenziale, con conseguente insindacabilità della relativa decisione in sede di legittimità.
Analogamente è a dirsi in ordine agli aumenti di tre mesi per ciascuno dei reati fine determinati dalla Corte di appello non prima di aver verificato, seppur sinteticamente, i presupposti di cui all'art. 133 cod. Pen. .
Non appare inutile premettere che il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore che assiste la decisione del Giudici di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
È, infatti, consolidato quell'indirizzo giurisprudenziale che pone l'accento sulla funzione della motivazione come tesa al controllo sul buon uso fatto dal giudice del suo potere discrezionale, non essendo invece consentita la complessiva determinazione della pena senza indicazione della pena stabilita per ciascun reato, di quello ritenuto più grave e dell'aumento per la continuazione (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, Zouine, RV. 201549 - 01).
La sentenza Pizzone citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio con la conseguente necessità che siano palesati gli elementi che hanno condotto al risultano cui si è pervenuti, ha tuttavia precisato che l'obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, non potendosi ritenere che il vizio renda nulla la decisione sul punto allorché la pena irrogata sia stata determinata in prossimità del minimo piuttosto che al massimo edittale (principio ormai consolidato secondo cui il mero richiamo ai "criteri di cui all'art. 133 cod. Pen." deve ritenersi motivazione adeguata per dimostrare l'intervenuta ponderazione della pena rispetto all'entità del fatto, v. tra le tante: Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Taurasi, RV. 256464; Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, Brachet, RV. 201537).
Una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena da irrogare è, pertanto, necessaria allorché la determinazione avvenga in misura prossima al massimo edittale (in proposito, v. Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, RV. 258356).
Gli stessi principi governano la determinazione della pena e relativa motivazione in ordine ai reati satellite, dovendosi ritenere (evenienza rilevante per il ricorso sottoposto a scrutinio) che ad un aumento per la continuazione di esigua entità (tre mesi per ogni ipotesi qualificata ex art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990) si escluda l'abuso del potere discrezionale conferito dall'art. 132 cod. Pen. e depone per una ponderata valutazione degli elementi posti a base della decisione in ordine al trattamento sanzionatorio.
20. Il ricorso di Ro.Ru., ritenuta responsabile per il delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione, è inammissibile.
20.1. Il primo motivo non è consentito.
Secondo la Corte di appello, la partecipazione della ricorrente al sodalizio criminoso era ampiamente dimostrata dalle numerose immagini che la ritraevano durante i turni di spaccio e che attestavano che agiva come pusher. In particolare, era emerso che tra il 28 e il 30 ottobre 2018 la ricorrente aveva compiuto un considerevole numero di cessioni (16 soltanto nella giornata del 28 ottobre e 14 il 30 ottobre); il 31 ottobre 2018 era stata ripresa mentre contava il denaro con Gi.En. e mentre scappava con i sodali a seguito di un intervento delle Forze dell'ordine. Dalle intercettazioni era anche risultato che la ricorrente, a un certo punto, era stata allontanata dal gruppo su disposizione di Va.Em., a seguito di un litigio con Gi.En. . La Corte territoriale ha aggiunto che gli elementi raccolti rendevano evidente che l'appellante era pienamente consapevole di agire nell'ambito di un gruppo organizzato.
Siffatta motivazione resiste ai rilievi della ricorrente.
Premesso, infatti, che, come già affermato da questa Corte (Sez. 6, n. 45592 del 24/10/2013, Minniti, RV. 257808 - 01; Sez. 1, n. 1849 del 9/12/2008, Cucchiarelli, RV. 242726 - 01), in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche l'attività di vendita ai consumatori, quando sia effettuata avvalendosi consapevolmente e continuativamente delle risorse dell'organizzazione e con la coscienza di farne, perciò, parte, costituisce un volontario apporto causale al raggiungimento del fine di profitto, perseguito dall'organizzazione, deve rilevarsi che la pluralità delle cessioni compiute, i contatti avuti con altri partecipi del sodalizio e la condivisione delle modalità operative del sodalizio dimostrano la volontà della ricorrente di apportare un contributo utile alla vita dell'associazione.
Né questa conclusione può essere smentita dal rilievo, formulato dalla ricorrente nei motivi aggiunti, relativo alla breve durata della sua partecipazione all'associazione.
Al riguardo, infatti, va richiamato l'insegnamento di legittimità, secondo cui "in tema di associazione per delinquere, a fronte di plurime commissioni, in concorso con altri partecipi, di fatti integranti i reati-fine dell'associazione, grava sul singolo la prova che il suo contributo non è dovuto a un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, a motivo della natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro"(v. Sez. 3, n. 27910 del 27/03/2019, Ciccarelli, RV. 276677 - 01; Sez. 3, n. 42228 del 3/02/2015, RV. 265346 - 01; Sez. 2, n. 47602 del 29/11/2012, Miglionico, RV. 254105 - 01).
Con tali principi la ricorrente non si è confrontata, limitandosi, a fronte della motivazione della sentenza impugnata, logica e coerente, a richiedere una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
Siffatto modo di procedere non è, però, consentito, perché trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto. Come costantemente sottolineato (ex multis Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, RV. 238215 - 01), infatti, il giudice di legittimità non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
20.2. Il secondo motivo, con cui la ricorrente ha lamentato l'omesso esame da parte del Collegio territoriale, della memoria depositata, è privo di specificità.
Deve premettersi che questa Corte è ferma nel ritenere che l'omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento, che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive, che devono essere esaminate dal giudice a cui vengono rivolte, a meno che contengano la mera ripetizione di difese già svolte o siano inconferenti rispetto all'oggetto del giudizio (Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, RV. 279578 - 01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, Mascaro, RV. 272739 - 01). Si è anche sottolineato che la parte, che deduce l'omessa valutazione di memorie difensive, ha l'onere di indicare, pena la genericità del motivo di impugnazione, l'argomento decisivo, contenuto nelle memorie e non valutato dal giudice nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, Armeli, RV. 276511 - 01).
Nel caso in esame, la ricorrente non ha illustrato la decisività delle argomentazioni sviluppate nella memoria e, ad ogni modo, deve ritenersi che, pur se la memoria non è stata espressamente menzionata nella sentenza impugnata, le doglianze in essa formulate, per come indicate nel presente ricorso, sono state valutate dalla Corte di appello. Il tema oggetto della memoria attiene, infatti, all'occasionalità della presenza della ricorrente nella piazza di spaccio ed esso è stato affrontato dal Collegio di secondo grado, come reso evidente dai rilievi espressi nel paragrafo che precede.
20.3. Quanto alla doglianza, formulata nei motivi nuovi, sulla sussistenza, al più, della consapevolezza della ricorrente di aderire ad un'associazione di cui all'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309/90 deve rilevarsi che già il numero delle cessioni, poste in essere dalla ricorrente in un arco temporale ristretto, deponeva per la consapevolezza della medesima ricorrente di aderire ad un'associazione non di minore entità.
21. Il ricorso di Pa.Ba., ritenuta responsabile del delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione, è inammissibile.
21.1. Il primo motivo, con cui la ricorrente ha contestato la sussistenza dell'associazione di cui al capo 1) dell'imputazione e la sua partecipazione, non è consentito.
Deve premettersi che l'associazione regolata dall'art. 74 d.P.R. n. 309/90 è una figura speciale che si distingue rispetto a quella generale, prevista all'art. 416 cod. Pen., per la tipicità dei reati-scopo, esclusivamente riconducibili all'art. 73 D.P.R. n. 309/90.
Perché sia dimostrata la sussistenza di tale associazione è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: 1) l'esistenza di un gruppo i cui membri si siano consapevolmente aggregati per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; 2) l'organizzazione, anche rudimentale, di attività personali e beni economici per il perseguimento del fine illecito comune; 3) la consapevolezza dei membri del gruppo di fare parte del sodalizio e di apportare un contributo apprezzabile, non episodico, idoneo a garantire la stabilità dell'unione illecita.
Sul piano soggettivo si è evidenziata la sufficienza dell'esistenza tra i singoli partecipi di una durevole comunanza di scopo, costituita dall'interesse a immettere sostanza stupefacente sul mercato del consumo, non essendo, invece, di ostacolo alla costituzione del rapporto associativo la diversità degli scopi personali e degli utili, che i singoli partecipi si propongono di ottenere dallo svolgimento della complessiva attività (Sez. 3, n. 6871 dell'8/7/2016; Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015). Si può affermare, quindi, che il perseguimento dell'interesse del sodalizio può concorrere con quello personale.
Nel caso in esame, il giudice di appello ha posto in luce gli elementi asseveranti l'esistenza dell'associazione dedita al narcotraffico, capeggiata da Va.Em. .
Conformemente al giudice di primo grado, la Corte territoriale ha valorizzato lo svolgimento in modo continuativo ed organizzato delle attività di spaccio, essendo risultato dai servizi di osservazione e dalle conversazioni captate che l'offerta in vendita degli stupefacenti era gestita "come una vera e propria attività lavorativa"(in questi termini si esprime la sentenza impugnata), articolata in due turni, rigidamente predeterminati con la previsione di sostituzioni in caso di defezioni o impedimenti. L'organizzazione prevedeva anche la somministrazione di pasti ai sodali impegnati nel turno, affidata a Mi.Mo., che aveva lo specifico compito di provvedere agli approvvigionamenti di cibarie. Era, inoltre, sempre assicurata la fornitura di legna da ardere nei bracieri, che rimanevano costantemente accesi durante i turni di spaccio per consentire di bruciare la sostanza stupefacente in caso di intervento delle Forze dell'ordine.
I turni di spaccio erano controllati con le vedette e la divisione dei ruoli prevedeva anche l'individuazione del custode del danaro, individuata in una donna incensurata e non conosciuta dalle Forze dell'ordine. Va.Em., tramite i suoi più fidati collaboratori, esercitava anche la disciplina nei confronti dei sodali.
Come sottolineato dal giudice di primo grado (vedi f. 44 e ss.) "l'associazione operava in modo strutturato, i moduli organizzativi, posti in essere, non erano affatto rudimentali, ma al contrario erano tali da consentire al gruppo l'immediato rimedio anche ai continui interventi delle Forze dell'ordine che in numerose occasioni hanno operato sequestri. Ciononostante, il gruppo era sì consolidato e ben strutturato e organizzato da riuscire a ricollocarsi immediatamente sul mercato senza perdere tempo prezioso".
I giudici di merito hanno sottolineato che, per come era strutturata l'associazione, nessuno avrebbe potuto far parte del gruppo se non fosse stato consapevole del ruolo svolto e del fine ultimo che tale ruolo avesse. Sintomatici in questo senso sono il pagamento della "mesata" e, per alcuni imputati, il sostegno delle spese legali al momento dell'arresto operato.
Sulla scorta dei suddetti rilievi deve conseguentemente escludersi che la Corte romana sia incorsa in violazione di legge e non abbia adeguatamente esaminato gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa in contestazione.
Difatti - nel porre in luce l'utilizzo di modalità condivise e consolidate, il ripetersi di condotte simili, che vedevano come protagonisti, in veste di spacciatori, l'uno o l'altro dei soggetti monitorati, la posizione di preminenza rivestita da uno di essi, i ruoli rigidamente prestabili, la tutela assicurata in caso di arresto - la Corte territoriale ha valorizzato elementi legittimamente intesi come rappresentativi dell'operatività di un gruppo di soggetti, che agivano per il perseguimento, non occasionale ed episodico ma stabile, di un programma delittuoso, avente ad oggetto il narcotraffico.
La prova di tali elementi risulta, infatti, idonea a delineare l'accordo tra più di tre soggetti, l'esistenza di profili organizzativi e di modalità operative consolidate, la destinazione di queste alla realizzazione di un programma avente ad oggetto la commissione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti, la compartecipazione di ciascuno per l'attuazione di quel programma: tutto ciò equivale alla puntuale rappresentazione di un'associazione per delinquere di cui all'art. 74 D.P.R. 309/90.
Non può comunque sottacersi che, come già affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, Di Maggio, RV. 279505 - 02; Sez. 3, n. 42228 del 3/2/2015, Prota, RV. 265346 - 01), la comprovata e non episodica corresponsabilità dei vari imputati in condotte di spaccio al fianco dei sodali determina la presunzione di riconducibilità dell'azione a un previo accordo associativo. A fronte di essa, nel caso in disamina, i ricorrenti non hanno addotto argomenti puntuali, volti a disarticolare il ragionamento riferito sia all'esistenza del sodalizio sia al contributo dei singoli.
Da tutto ciò discende che con riguardo al reato associativo, delineato nel capo 1) dell'imputazione, la decisione impugnata di merito si sottrae alle censure in varia guisa formulate da Pa.Ba. e da altri ricorrenti, che saranno di seguito indicati.
Quanto alla partecipazione di Pa.Ba. al sodalizio, premesso che le sentenze dei giudici del merito si integrano laddove -come nel caso in esame - l'iter motivazionale di entrambe si dispiega secondo sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., RV. 277218 - 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, RV. 257595 - 01), deve rilevarsi che il giudice di primo grado ha adeguatamente indicato il ruolo della ricorrente, la sua consapevolezza di fare parte di un sodalizio, la sua capacità nella gestione della piazza di spaccio (cfr. pagina 282 e seguenti della sentenza di primo grado). Significativa in tal senso è la conversazione in cui l'imputata si era proposta a Sa.Ma. per poter sostituire il marito (Pi.Da.), arrestato il 27 dicembre 2018 unitamente a Tr.Da. ed Gi.En., tanto che, nel prosieguo, la ricorrente è stata posta nella piazza di spaccio a lavorare in coppia con Tr.Da. come vedetta. La collaborazione si era poi interrotta il 23 maggio 2019, allorquando ella è stata arrestata insieme con Da.Gi. .
Entrambi i giudici del merito hanno evidenziato che dai dialoghi intercettati emergeva la consapevolezza della ricorrente di far parte di un'organizzazione ben strutturata sul territorio. L'imputata, infatti, aveva fatto esplicito riferimento nel dialogo all'avere già prestato attività nell'associazione ("Va.Em. mi ha già fatto lavorare"), così dimostrando piena conoscenza della struttura associativa e dei ruoli dei suoi partecipi.
A fronte di tali argomentazioni deve ricordarsi che questa Corte è ferma nel ritenere che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell'organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, RV. 282139 - 01).
In tale prospettiva non può dubitarsi che la ricorrente, quale persona dedita al controllo della zona interessata allo spaccio secondo turni di lavoro e compiti prestabiliti, a conoscenza della struttura associativa e del ruolo dei suoi partecipi, abbia fornito un contributo per l'attuazione del programma criminoso del sodalizio, nella consapevolezza di far parte di una compagine strutturata e durevole.
Tale conclusione non è scalfita dal rilievo della ricorrente secondo cui ella sarebbe stata vista sulla piazza di spaccio solo in poche giornate.
L'adesione al programma associativo, infatti, può prescindere dall'effettiva prova della duratura appartenenza al sodalizio criminale, essendo sufficiente, da un lato, la dimostrazione della sua condivisione per un tempo apprezzabile e, dall'altro, la prospettiva soggettiva di durevole intraneità all'organizzazione. È sufficiente, dunque, anche l'osservazione di un breve periodo di contatti fra i compartecipi, quando dimostrino sia l'oggettiva sussistenza di una collaborazione stabile nella programmazione criminale, che la soggettiva volontà di condividere il progetto per un tempo apprezzabile.
Circostanze, queste ultime, ben evidenziate nella sentenza impugnata, che non è stata validamente censurata dalla ricorrente, limitatasi a riproporre, per lo più, una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dalla Corte distrettuale, la cui motivazione, anche in ragione della integrazione tra le due conformi decisioni, non presenta affatto quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale, da questa Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) dell'art. 606, comma 1, cod. proc. Pen. (anche nella sua nuova formulazione).
21.2. Quanto al secondo motivo, con cui la ricorrente ha censurato la qualificazione del delitto associativo ai sensi dell'art. 74, comma 1, D.P.R. n. 309/90, si rinvia alle argomentazioni formulate nel Par. 2.2. del "Considerato in diritto".
22. Il ricorso di Pi.Da., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione e per i reati-fine di cui ai capi 37) e 38) dell'imputazione, è inammissibile.
22.1. Il primo motivo non è consentito.
Quanto alla doglianza sull'inesistenza dell'associazione può rinviarsi alle argomentazioni svolte nel Par. 21.1. del "Considerato in diritto".
Con riguardo alla partecipazione del ricorrente al sodalizio, deve premettersi che la Corte territoriale, dopo aver evidenziato che la presenza dell'imputato era stata documentata con assiduità dal mese di novembre 2018 al successivo 26 dicembre, data del suo arresto, ha rimarcato sia che numerose immagini ritraevano l'appellante durante i turni di spaccio mentre predisponeva l'area, accendendo il braciere, sia che la conversazione, menzionata nella sentenza del giudice per le indagini preliminari, nel corso della quale l'imputato, dialogando con altri sodali, aveva affermato di lavorare pure la notte alla C, non era ambigua e si riferiva all'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, essendo la C una località conosciuta come piazza di spaccio e non essendo nota alcuna occupazione lavorativa dell'imputato in orario notturno.
La Corte di appello ha aggiunto che dal contesto delle circostanze, così come descritte dal primo giudice, appariva evidente che la persona, alla quale i sodali si riferivano con il soprannome di "Da.", corrispondeva a Pi.Da. . Difatti, nel corso di una conversazione tra Va.Em., Pa.Vi. e Sa.Ma., intercorsa il primo febbraio 2019, i dialoganti avevano parlato di "ò40Da.@" con uno specifico riferimento all'arresto di quest'ultimo in epoca corrispondente a quella dell'arresto di Pi.Da. .
Come rimarcato dal Collegio territoriale, la conversazione è importante anche perché dimostra che l'imputato beneficiava della cosiddetta "mesata", giacché nel contesto del dialogo gli interlocutori avevano affermato, tra l'altro, che "Da." aveva un debito con l'associazione a seguito di un prelievo di stupefacente per uso personale e che la relativa somma doveva essere detratta dal sussidio mensile.
Alla luce di tale motivazione deve, in primo luogo, affermarsi che la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 6, n. 17619, dell'8/01/2008, Gionta, RV. 239724 - 01) è ferma nel ritenere che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all'apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.
Il giudice "deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del senso delle conversazioni non lasci margini di dubbio"(Sez. 6, n. 29350 del 3/5/2006, Rispoli, RV. 235088 - 01).
Ciò premesso, è agevole rilevare che i giudici di merito si sono specificamente attenuti nella valutazione delle intercettazioni telefoniche a tali criteri. Nel rilevare, ad es., che l'identificazione di "Da." nel ricorrente trovava conferma nel fatto che i conversanti parlavano di Da. con uno specifico riferimento all'arresto di quest'ultimo in epoca corrispondente a quella dell'arresto di Pi.Da., la Corte del merito ha utilizzato un metodo interpretativo logico, effettivamente fondato sull'analisi delle conversazioni in relazione alla qualità dei soggetti intercettati e al contesto in cui si inserivano i colloqui.
In secondo luogo, ricordato che questa Corte è ferma nel ritenere che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell'organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, RV. 282139 - 01), deve rilevarsi che risulta evidente che il ricorrente, quale persona dedita al controllo della zona interessata allo spaccio secondo turni di lavoro e compiti prestabiliti, che beneficiava della mesata, che dialogava con altri sodali ed era a conoscenza della struttura associativa e del ruolo dei suoi partecipi, ha fornito un contributo per l'attuazione del programma criminoso comune del sodalizio, nella consapevolezza di far parte di una compagine strutturata e durevole.
La sentenza impugnata, dunque, è immune da vizi rilevabili in questa sede mentre le deduzioni del ricorrente, per un verso, non si confrontano con la motivazione svolta dai giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, RV. 277710 - 01; Sez. 6, n. 20377 dell'11/3/2009, Arnone e altri, RV. 243838 - 01); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis: Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, RV. 226074 - 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, RV. 284556 - 01).
22.2. Con riguardo al secondo e al terzo motivo, afferenti alle qualificazioni del delitto associativo e dei reati-fine, si rinvia ai Par.Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto".
22.3. Anche il quarto motivo, relativo all'affermazione della responsabilità del ricorrente per il reato di cui al capo 38) dell'imputazione, non è consentito.
Il giudice di primo grado ha rilevato che lo svolgimento dell'attività di vedetta nelle giornate di spaccio, avvenute il 19 novembre 2018 (capo 37) e il 12 dicembre successivo (capo 38) era testimoniato dalle immagini del sistema di videosorveglianza nell'area denominata "(Omissis)" ed era dettagliatamente ricostruito nelle rispettive annotazioni di Polizia giudiziaria.
Posto che le sentenze del merito si integrano laddove - come nel caso in esame - l'iter motivazionale di entrambe si dispiega secondo sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., RV. 277218 - 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, RV. 257595 - 01), deve rilevarsi che il giudice di primo grado ha adeguatamente indicato il contributo offerto dal ricorrente alla commissione del reato di cui al capo 38), mentre la censura difensiva è tesa a sollecitare una rilettura delle prove acquisite nel giudizio di merito, in contrasto con il consolidato orientamento di legittimità secondo cui è preclusa alla Corte di cassazione la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, RV. 273217 - 01; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, RV. 271702 - 01; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, RV. 265482 - 01; Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, RV. 275100 - 01).
22.4. Anche l'ultimo motivo non coglie nel segno.
Secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione della recidiva richiede adeguata motivazione del giudice, che può anche essere adempiuta implicitamente, ove si faccia riferimento alla riprovevole condotta e alla pericolosità del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, RV. 267130 -01). È stato anche precisato che detta motivazione è indispensabile sia che si affermi sia che escluda la recidiva, potendo comunque essere adempiuto l'obbligo motivazionale per mezzo di argomentazione succinta che dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha affermato che a carico dell'appellante risultano molteplici precedenti per reati della stessa indole, commessi ininterrottamente dal 1989, i quali hanno avuto una chiara rilevanza nella determinazione criminosa e nella genesi dei reati in contestazione.
In tal modo, il Collegio di secondo, avendo dato conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato, ha fatto corretta applicazione dei principi suindicati.
23. Il ricorso di Ta.Pa., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e ai reati fine di cui ai capi 2) e 3) dell'imputazione, è fondato limitatamente al motivo sulla recidiva, mentre è inammissibile nel resto.
23.1. Il primo motivo dell'atto di ricorso a firma dell'avv. Giancarlo Di Giulio e le censure veicolate nell'atto di ricorso a firma dell'avv. Eleonora Nicla Moiraghi sulla ritenuta partecipazione del ricorrente al sodalizio di cui al capo 1) dell'imputazione, non sono consentite.
Quanto alla doglianza sull'inesistenza dell'associazione può rinviarsi alle argomentazioni svolte nel Par. 21.1. del "Considerato in diritto".
Con riguardo alla partecipazione del ricorrente al sodalizio, la Corte di appello ha affermato che la partecipazione dell'imputato all'associazione si desumeva anzitutto dalla sua documentata presenza ai turni di spaccio del 31 marzo 2018 e del successivo 5 aprile (capi 2 e 3 dell'imputazione).
Le immagini registravano, inoltre, la presenza dell'appellante anche nella giornata del 30 marzo e del 3 aprile 2018. In tali circostanze l'imputato aveva assunto, a seconda dei casi, il ruolo di pusher o di vedetta ed era apparso perfettamente inserito nel gruppo, del quale mostrava di conoscere le regole, condividendone anche gli strumenti. Significative, sotto questo aspetto, sono le immagini registrate il 31 marzo 2018, in cui si vede Ta. mentre prende posizione e subito dopo viene raggiunto da Gi.En., che gli consegna una busta contenente lo stupefacente; in seguito, si vede Ta. aprire la lamiera del cancello per dare inizio all'attività di spaccio, che si protrae per la durata del turno, nel corso del quale l'imputato è ben visibile nell'atto di cedere le sostanze.
Alla luce di queste circostanze la Corte territoriale ha affermato che doveva ritenersi l'imputato responsabile del reato di partecipazione all'associazione, essendo evidente che egli, sia pure per un limitato periodo, aveva preso parte alle attività del sodalizio in diretto contatto con i sodali e nella piena consapevolezza di aderire alle regole del gruppo.
Siffatta motivazione resiste a ogni rilievo censorio.
Come già innanzi ricordato, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può elemento sintomatico della disponibilità, intesa come appartenenza associativa, laddove le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015 - dep. 14/01/2016, Policastri, RV. 265890 - 01; conformi Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Durand e altri, RV. 257800 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare la partecipazione del ricorrente a due reati fine e i ruoli di pusher e vedetta, svolti dal medesimo ricorrente, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito da quest'ultimo all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione. La consapevolezza di tale contributo emerge chiaramente da quanto sottolineato dal giudice di primo grado, laddove ha rimarcato che l'imputato era stato ripreso nella piazza di spaccio mentre si muoveva con dimestichezza, manifestando di conoscere le regole del gruppo e relazionandosi con i responsabili del turno pomeridiano, oltre che collaborando con altri sodali.
23.2. Quanto al secondo e terzo motivo dell'atto di ricorso dell'avv. Giancarlo Di Giulio e alle censure sulla qualificazione dei reati, formulate nell'atto di ricorso dell'avv. Eleonora Nicla Moiraghi, può farsi rinvio ai Par. Par. 2.1. e 22.2. del "Considerato in diritto".
23.3. Anche il quarto motivo, relativo all'affermazione della responsabilità del ricorrente per il reato di cui al capo 3) dell'imputazione, non coglie nel segno.
La Corte di appello ha affermato che il 5 aprile 2018 Ta.Pa. era stato ripreso mentre arrivava sul posto insieme con Sc.Da. e Sa.Ma. ed era stato visto partecipare con questi ultimi alla bonifica della zona, prima di collocarsi nella posizione a lui assegnata come vedetta.
La consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato, rileva non solo il contributo che abbia efficacia causale quale condizione dell'evento lesivo, ma anche quello che assuma la forma di un contributo agevolatore, come nel caso in cui il reato sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà (Sez. 4, n. 52791 del 08/11/2018, Barbato, RV. 274521 - 01; in ordine alla generale sufficienza del contributo agevolatore nel concorso di persone nel reato cfr. Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004, Terreno, RV. 229200 - 01; Sez. 4, n. 2310 del 22/11/1994, dep. 1995, P.G. in proc. A.V.C.I., RV. 201244 - 01).
Il citato principio di diritto ha trovato specifica applicazione proprio con riferimento allo svolgimento della funzione di "vedetta" (compito svolto dal ricorrente, consistito nell'avvisare i concorrenti, dediti all'attività di spaccio, dell'arrivo della Polizia giudiziaria), ritenuta costituire ipotesi concorsuale nel reato di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti materialmente realizzata da altri.
23.4. È fondato, invece, il motivo con cui si deducono vizi di motivazione e violazione di legge quanto alla ritenuta recidiva.
Secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione della recidiva richiede adeguata motivazione del giudice, che può anche essere adempiuta implicitamente, ove si faccia riferimento alla riprovevole condotta e alla pericolosità del suo autore (Sez. 6, n. 20271 del 27/04/2016, Duse, RV. 267130 -01). È stato anche precisato che detta motivazione è indispensabile sia che si affermi sia che escluda la recidiva, potendo comunque l'onere motivazionale essere adempito per mezzo di argomentazione succinta che dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782).
Alla luce di tali coordinate deve rilevarsi che la Corte di appello, a fronte della censura sull'applicazione dell'aggravante de qua, nell'affermare che "la recidiva è stata contestata correttamente e ha un indiscutibile rilievo, tenuto conto dei reiterati precedenti specifici anche recenti che figurano a carico di Ta.", ha fatto insufficiente riferimento all'esistenza e al "rilievo indiscutibile"dei precedenti penali, senza illustrare le ragioni dell'aumentata pericolosità del soggetto.
Si impone, pertanto, l'annullamento della decisione impugnata in ordine alla ritenuta recidiva e, se del caso, al conseguente trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
24. Il ricorso di Va.Em., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione, è fondato limitatamente al motivo sulla recidiva, mentre è inammissibile nel resto.
24.1. Quanto al primo motivo può farsi rinvio ai Par. Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto"ove si è affrontato il tema della qualificazione dei reati-fine e di quello associativo, con la precisazione che non si ravvisano orientamenti tra loro contrastanti e tali da giustificare la rimessione della decisione alle Sezioni unite di questa Corte, sollecitata dal ricorrente.
24.2. Il secondo motivo è fondato.
Il ricorrente ha contestato il percorso motivazionale con cui la Corte di appello ha disatteso la richiesta di esclusione della recidiva.
Al riguardo deve premettersi che, nell'applicazione della recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione, sia che affermi sia che escluda la sua rilevanza, verificando, oltre il mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di pericolosità, considerando la natura dei reati, il tipo di devianza che indicano, la qualità dei comportamenti, il livello di offensività delle condotte, la distanza temporale e il loro livello di omogeneità, l'eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro possibile sintomo della personalità del reo e del suo grado di colpevolezza (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano, RV. 251690 - 01; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782 - 01).
Il ricorrente, in sede di appello, aveva sottolineato che per uno dei due reati per cui era stato condannato vi era stato l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale e il giudice di primo grado non aveva verificato se la reiterazione della condotta criminosa fosse l'effettivo sintomo di pericolosità del reo.
A fronte di tali rilievi la Corte di appello ha fatto insufficiente riferimento all'esistenza di due precedenti penali per reati omogenei e al fatto che doveva ritenersi che la recidiva avesse significativamente inciso sulla determinazione criminosa e sullo sviluppo dell'azione delittuosa con indubbia ripercussione sulla pericolosità sociale. In tal modo, però, il Collegio del merito non ha adeguatamente illustrato le ragioni dell'aumentata pericolosità del soggetto, apoditticamente individuata nell'autoevidenza dei precedenti penali.
Si impone, pertanto, l'annullamento della decisione impugnata in ordine alla ritenuta recidiva e, se del caso, al conseguente trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
25. Il ricorso di Sc.Da., condannato per i reati di cui al capo 1) e per i reati - fine di cui ai capi ai capi 3), 4), 33) e 35) dell'imputazione), è inammissibile.
25.1. Il primo motivo non è consentito.
L'imputato non ha posto in discussione la partecipazione ai reati-fine contestatigli ma ha asserito di essere un soggetto estraneo all'associazione, assunto come pusher alla giornata.
La Corte territoriale, dopo avere indicato che le immagini delle telecamere di videosorveglianza avevano ripreso in reiterate occasioni l'appellante nella piazza di spaccio mentre svolgeva il ruolo di vedetta (capi 33 e 34) e dà indicazioni ai clienti sul pusher, a cui rivolgersi per l'acquisto, e mentre partecipa alle cessioni di cui ai capi 3) e 4), ha affermato che le condotte descritte, per la loro ripetitività e per i ripetuti rapporti con i sodali del gruppo, integravano il reato di partecipazione all'associazione, che, del resto, potendo contare su un numero considerevoli di sodali, non si avvaleva di norma di personale assunto alla giornata.
Siffatta motivazione non presta il fianco a censure.
Costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può elemento sintomatico della disponibilità, intesa come appartenenza associativa, laddove le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015 - dep. 14/01/2016, Policastri, RV. 265890 - 01; conformi Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Durand e altri, RV. 257800 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare la partecipazione del ricorrente a due reati-fine (partecipazione non posta in discussione dal ricorrente) e i ruoli di pusher e vedetta, svolti dal medesimo, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito dall'imputato all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione. La consapevolezza di tale contributo emerge chiaramente da quanto sottolineato dal giudice di primo grado, laddove ha rimarcato che l'imputato era stato ripreso nella piazza di spaccio mentre si muoveva con disinvoltura, dando prova di conoscere le modalità operative, i ruoli dei soggetti e gli altri sodali con cui si relazionava. Il menzionato giudice ha sottolineato che il modus operandi dell'organizzazione induceva a ritenere che tutti coloro che prendevano parte all'attività nella piazza fossero intranei all'associazione. "Il ruolo ben definito e la delicatezza del compito affidato a Sc.Da. facevano escludere che, nel caso specifico, egli potesse essere considerato un avventizio, arruolato alla giornata", dovendosi, invece, ritenere che egli, sebbene per un breve periodo, aveva fatto parte dell'organismo che operava nella piazza di spaccio.
Alla luce di quanto precede deve rilevarsi che il ragionamento probatorio sviluppato dai giudici di merito muove da corrette premesse in punto di fatto e principi di diritto, idonee a corroborare la sussunzione dell'attività del ricorrente nella fattispecie associativa contestata.
25.2. Quanto al secondo e al terzo motivo può farsi rinvio ai Par. Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto,"ove si è affrontato il tema della qualificazione dei reati fine e di quello associativo, con la precisazione che non si ravvisano orientamenti tra loro contrastanti e tali da giustificare la rimessione della decisione alle Sezioni unite di questa Corte, sollecitata dal ricorrente.
26. Il ricorso di La.Cl., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato-fine di cui al capo 33) dell'imputazione, è fondato limitatamente al motivo sulla recidiva, mentre è inammissibile nel resto.
26.1. Il primo motivo, incentrato sulla dedotta occasionalità della partecipazione alle attività del sodalizio da parte del ricorrente, non è consentito.
La Corte di appello ha rilevato che La.Cl. era stato avvistato nella piazza di spaccio in due occasioni (17 marzo e 24 marzo 2018) con il ruolo di vedetta e ha precisato che il numero limitato di avvistamenti non era incompatibile con la partecipazione al sodalizio, atteso che l'associazione non si serviva di vedette occasionali ma si avvaleva di persone di fiducia, che venivano inserite in turni anticipatamente predisposti.
Tenuto conto delle modalità operative del gruppo, che agiva secondo regole consolidate e imponeva ai sodali rigide forme di cautela, era evidente, infatti, secondo la Corte territoriale, che l'impiego di manodopera occasionale non solo non poteva avere alcuna convenienza per gli interessi del sodalizio ma costituiva un evidente fattore di rischio in caso di irruzione delle Forze dell'ordine. A conferma di questo modus operandi militavano le numerose intercettazioni nel corso delle quali Va.Em. o i suoi più stretti collaboratori erano stati captati mentre impartivano istruzioni alle reclute e ne controllavano l'operato, escludendoli se si dimostravano indisciplinati e dimostrando in tal modo di esercitare una costante forma di controllo sui collaboratori, della quale questi ultimi apparivano pienamente consapevoli.
Siffatta motivazione sfugge a ogni rilievo censorio.
Ricordato che questa Corte è ferma nel ritenere che la partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti è un reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può realizzarsi in forme diverse, purché si traduca in un apprezzabile contributo alla realizzazione degli scopi dell'organismo, posto che in tal modo si verifica la lesione degli interessi salvaguardati dalla norma incriminatrice (Sez. 3, n. 35975 del 26/05/2021, Caterino, RV. 282139 - 01), deve rilevarsi che risulta evidente che il ricorrente, quale persona dedita al controllo della zona interessata allo spaccio secondo turni di lavoro e compiti prestabiliti, che era a conoscenza della struttura associativa e del ruolo dei suoi partecipi, ha fornito un contributo per l'attuazione del programma criminoso comune al sodalizio, nella consapevolezza di far parte di una compagine strutturata e durevole.
La sentenza impugnata, dunque, è immune da vizi rilevabili in questa sede mentre le deduzioni del ricorrente, per un verso, non si confrontano con la motivazione svolta dai giudici della cognizione e, dunque, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 - 01; Sez. 6, n. 20377 dell'11/3/2009, Arnone e altri, RV. 243838 - 01); per altro verso, sono volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali, non consentita in questa sede (ex plurimis-. Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, RV. 226074 - 01; Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, RV. 284556 - 01).
26.2. Quanto al secondo e al terzo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la qualificazione del delitto associativo ai sensi dell'art. 74, comma 1, D.P.R. n. 309/1990 e del reato-scopo ai sensi dell'art. 73 D.P.R. citato, si rinvia alle argomentazioni formulate nei Par. par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto".
26.3. Il quarto motivo è fondato.
A fronte del relativo motivo di gravame, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la recidiva, avuto riguardo ai plurimi precedenti penali a carico dell'imputato, anche specifici, tali da connotare i nuovi reati come espressione di una perdurante inclinazione a delinquere.
Così argomentando, però, il giudice di appello ha fatto insufficiente riferimento all'esistenza dei precedenti penali, senza illustrare le ragioni dell'aumentata pericolosità del soggetto e ciò in contrasto con l'orientamento costante di questa Corte (cfr. Sez. F, n. 35526 del 19/8/2013, RV. 256713 - 01), secondo cui, in tema di recidiva ritualmente contestata, il giudice è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, escludendo l'aumento di pena, con adeguata motivazione sul punto, ove non ritenga che dal nuovo delitto possa desumersi una maggiore capacità delinquenziale.
Si impone, pertanto, l'annullamento della decisione impugnata in ordine alla ritenuta recidiva e, se del caso, al conseguente trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
27. Il ricorso di De.To., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione, deve essere rigettato.
27.1. Il primo motivo, con cui si censura l'affermazione della responsabilità per il reato di cui al capo 31) dell'imputazione, è privo di specificità.
La Corte di appello, infatti, non ha riconosciuto valenza autonoma ai fatti contestati al capo 31), avendo ritenuto che le cessioni, richiamate in tale imputazione, si inserivano nella più generica condotta di partecipazione all'associazione, contribuendo ad integrare la fattispecie di cui all'art. 74 D.P.R. n. 309/90 ed assumendo un indiscutibile valore probatorio in relazione alla partecipazione al sodalizio degli imputati, immortalati nei fotogrammi. In sostanza, secondo la Corte territoriale, le condotte di cui al capo 31) non integravano autonomi reati-fine ma costituivano parte integrante della contestazione di cui al capo 1), in cui dovevano ritenersi assorbite, con la conseguente necessità di eliminare lo specifico aumento di pena comminato nei confronti dei singoli imputati ex art. 81 cpv. cod. Pen. .
27.2. Il secondo motivo non è consentito.
La Corte di appello ha rilevato che la partecipazione al sodalizio era dimostrata dalle immagini delle telecamere che lo inquadravano nelle giornate del 18 settembre 2018 nonché del 3, 4 e 5 ottobre successivi. Difatti: il 3 e il 4 ottobre 2018 De.To. era stato ripreso mentre arrivava sulla piazza e prendeva posizione; nella stessa giornata del 4 ottobre si era registrato un dialogo tra Gi.En. ed Ma.Ed. nel corso dei quali questi ultimi parlavano della paga di 60,00 euro da corrispondere al "guardone", alludendo a De.To., che in quel momento era li presente e che, infatti, subito dopo riceveva la paga; alle 16,30 Ma.Ed., nel consegnare l'incasso a Gi.En., aveva fatto il resoconto dei pagamenti effettuati e, tra gli altri, aveva menzionato i 60,00 euro corrisposti a De.To.; il 5 ottobre 2018 De.To. era stato inquadrato mentre era arrivato, aveva posizionato una sedia sul luogo di spaccio e poi era tornato indietro.
Le telecamere avevano inquadrato poi De.To. anche nella giornata del 18 settembre 2018 e quello stesso giorno con una conversazione fra Ri.Ma. e Vi.An. si era fatto riferimento alla somma di 60,00 euro, corrisposta a De.To. per la sua attività di "guardone".
La Corte territoriale, in risposta ai rilievi dell'appellante, aveva evidenziato che, proprio perché le telecamere non avevano ripreso l'imputato nel mentre compiva attività di spaccio, non erano stati contestati i reati di spaccio ma le attività riprese documentavano la presenza nei luoghi e, oltre a tale presenza, la partecipazione si desumeva anche da altri elementi, tra cui gli sms scambiati con Gi.En., tra cui quello con cui l'imputato chiedeva di lavorare anche dopo, ove il termine lavorare si riferiva alla partecipazione all'attività di spazio, visto che Gi.En. non svolgeva attività imprenditoriale e l'imputato stesso non aveva fornito una spiegazione diversa. Appariva significativa anche una conversazione in cui Gi.En. e Sa.Ma. avevano affidato all'imputato l'incarico di pulire la postazione di spaccio.
Secondo la Corte del merito, quindi, "l'insieme di tali elementi rende evidente che De.To. non si trovava casualmente nei luoghi di spaccio nelle occasioni in cui era stato ripreso dalle telecamere e non era un occasionale complice ma era inserito nei ranghi dell'organizzazione, della cui esistenza era ampiamente consapevole".
Siffatta motivazione è immune da vizi.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale ha valorizzato non solo la presenza dell'imputato sul luogo di spaccio ma anche la ricezione della somma di euro 60,00 per l'attività svolta, oltre agli sms e alle conversazioni suindicate, che deponevano per l'inserimento dell'imputato nel sodalizio. Peraltro, come rimarcato dal giudice di primo grado, l'imputato aveva mostrato di bene conoscere le dinamiche del gruppo nel quale si muoveva coordinandosi con disinvoltura, chiedendo al superiore gerarchico Gi.En. il turno ed acquisendo dal gruppo la paga giornaliera.
L'adeguatezza delle ragioni giustificative, illustrate nella sentenza impugnata, non è stata validamente censurata dal ricorrente, che si è limitato a riproporre, per lo più, una serie di obiezioni già esaustivamente disattese dalla Corte distrettuale, la cui motivazione, anche in considerazione dell'integrazione tra le due conformi decisioni, non presenta affatto quegli aspetti di carenza, contraddittorietà o macroscopica illogicità del ragionamento del giudice di merito che, alla stregua del consolidato insegnamento giurisprudenziale da questa Suprema Corte elaborato, potrebbero indurre a ritenere sussistente il vizio di cui alla lett. e) del comma primo dell'art. 606 cod. proc. Pen. (anche nella sua nuova formulazione).
27.3. Quanto al terzo motivo, può farsi rinvio alle argomentazioni formulate nel Par. 2.2. del "Considerato in diritto"in ordine alla qualificazione dell'associazione ai sensi dell'art. 74, comma 1, D.P.R. n. 309/90.
27.4. Il quarto motivo è infondato.
Il ricorrente ha lamentato che la Corte di appello, nel riconoscere le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, ha operato una riduzione di pena inferiore rispetto al massimo consentito (pari a un anno e mezzo invece di tre anni e tre mesi).
Al riguardo, premesso che nei confronti dell'imputato sono state riconosciute due circostanze aggravanti, deve rilevarsi che il giudizio espresso è coerente con l'insegnamento di questa Corte, che esclude il vizio di contraddittorietà della motivazione nel caso in cui il giudice, in sede di giudizio di bilanciamento, pur ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, non operi la riduzione di pena nella massima misura possibile in ragione della sussistenza delle aggravanti, che continuano a costituire elementi di qualificazione della gravità della condotta (Sez. 2, n. 37061 del 22/10/2020, Nunziato, RV. 280359 - 01; Sez. 4, n. 48391 del 05/11/2015, Armuzzi, RV. 265332; Sez. 3, n. 13210 del 11/03/2010, Puzzo, RV. 246820).
28. Il ricorso di Or.Mi., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) dell'imputazione, è fondato con riguardo alla recidiva e all'aumento di pena a titolo di continuazione con i fatti di cui alla sentenza del Tribunale di Roma, irrevocabile il 24 ottobre 2019, mentre è inammissibile nel resto.
28.1. Il primo motivo del ricorso, relativo all'affermazione della responsabilità per il delitto associativo, non è consentito.
La Corte di appello ha affermato che, benché la presenza dell'imputato fosse stata registrata per un limitato arco di tempo, la sua partecipazione al sodalizio risultava dimostrata, considerato che nei giorni dall'8 al 12 dicembre 2018 l'appellante risultava presente nella piazza di spaccio con frequenza quotidiana, svolgendo sempre il ruolo di vedetta. In varie occasioni l'imputato era stato ripreso mentre lanciava l'allarme oppure mentre indirizzava i clienti verso il pusher di turno. Il 9 dicembre 2018 l'imputato era stato ripreso mentre faceva luce con una torcia agli acquirenti. La collaborazione si era poi interrotta il 12 dicembre 2018, quando l'imputato era stato arrestato.
La Corte di appello ha poi ricordato che in una conversazione avvenuta il 14 dicembre 2018, ossia due giorni dopo l'arresto dell'imputato, il fratello di Va.Em. aveva commentato l'arresto con quest'ultimo ed aveva pronunciato la seguente frase: "Quando hanno bevuto Or.Mi. là da te". Inoltre, dopo l'arresto, Va.Em. era stato intercettato mentre si lamentava per la rilevante somma sborsata per le spese legali e, seppure nelle relative conversazioni non era stato esplicitamente menzionato il nome di Or.Mi. (come del resto neanche i nomi degli altri sodali, tratti in arresto insieme con lui), il contesto del dialogo lasciava presumere che le spese legali si riferissero a tutti e tre gli arrestati, i quali erano stati giudicati con rito direttissimo, ed è logico ipotizzare che sia stato cosi, atteso che le tre persone arrestate stavano operando congiuntamente nell'interesse del gruppo nella piazza di spaccio, gestita dall'organizzazione di Va.Em. .
Come rimarcato anche dal giudice di primo grado, il ricorrente, sia pure per un breve periodo, aveva dimostrato di conoscere perfettamente le dinamiche del gruppo: in linea con le indicazioni del gruppo, entrava in servizio per il turno di spaccio e qui ricopriva il ruolo assegnatogli, relazionandosi in modo paritario e confidenziale con diversi componenti dell'organizzazione, anche con ruoli direttivi.
Entrambi i giudici del merito hanno sottolineato che a suffragare definitivamente la sua intraneità all'organizzazione soccorreva la circostanza che egli fosse tra coloro che, per essere stati "bevuti" nell'esercizio dell'attività di lavoro, aveva ricevuto dal sodalizio la "mesata", ovvero il sussidio per i detenuti, spiegabile solo in ragione della perdurante affiliazione al gruppo.
A fronte di tale motivazione deve, innanzitutto, ricordarsi che "in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l'interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità"(Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, RV. 263715 - 01).
Evidentemente il giudice "deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del senso delle conversazioni non lasci margini di dubbio".
Si è chiarito che, qualora la conversazione captata non sia connotata da queste caratteristiche - per l'incompletezza dei colloqui registrati, per la cattiva qualità dell'intercettazione, per la cripticità del linguaggio usato dagli interlocutori, per la non sicura decifrabilità del contenuto o per altre ragioni - non per questo si ha un'automatica trasformazione da prova a indizio, in quanto è il risultato della prova che diviene meno certo, con la conseguente necessità di elementi di conferma che possano eliminare i ragionevoli dubbi esistenti (Sez. 6, n. 29350 del 3/5/2006, Rispoli, RV. 235088 - 01).
Ciò premesso, è agevole rilevare che i giudici dì merito si sono specificamente attenuti nella valutazione delle intercettazioni telefoniche a tali criteri, avendo analizzato le conversazioni, dal contenuto invero facilmente decifrabile, in relazione alla qualità dei soggetti intercettati, al contesto in cui si inserivano i colloqui e agli eventi che confermavano il significato attribuito, quale, ad es., l'arresto del ricorrente.
Del pari, immune da vizi è il rilievo dei giudici di merito sull'apporto fornito dal ricorrente al sodalizio.
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare che l'imputato aveva svolto il ruolo di vedetta ed era a conoscenza delle dinamiche del gruppo, relazionandosi anche con diversi componenti di esso in modo paritario e ricevendo la mesata, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito dal ricorrente all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione.
Al cospetto della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente ha chiesto una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Siffatto modo di procedere non è però consentito, perché trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto.
Come costantemente sottolineato (ex multis: Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, RV. 238215 - 01), il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
28.2. Quanto al secondo motivo, relativo alla qualificazione dell'associazione ai sensi dell'art. 74, comma 1, in luogo dell'art. 74, comma 6, D.P.R. n. 309/90, può farsi rinvio al Par. 2.2. del "Considerato in diritto".
28.3. È in parte fondato il terzo motivo.
Quanto alle attenuanti generiche deve rilevarsi che la Corte territoriale ha rimarcato che non vi erano elementi per concedere le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, così che - nell'esercizio del suo potere discrezionale - ha ritenuto non rilevanti gli elementi indicati dall'appellante.
Tale argomentazione sfugge ai rilievi del ricorrente, che, invero, nel chiedere con l'atto di appello la prevalenza delle attenuanti generiche, aveva giustificato la richiesta facendo riferimento ad elementi alquanto generici.
A diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alla recidiva.
Al riguardo deve premettersi che, nell'applicazione della recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione, sia che affermi sia che escluda la sua rilevanza, verificando, oltre il mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di pericolosità, considerando la natura dei reati, il tipo di devianza che indicano, la qualità dei comportamenti, il livello di offensività delle condotte, la distanza temporale e il loro livello di omogeneità, l'eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro possibile sintomo della personalità del reo e del suo grado di colpevolezza (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano, RV. 251690 - 01; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782 - 01).
Nel caso in esame, pur a fronte di un motivo di appello specifico, la Corte territoriale non ha fornito risposta, come invece era suo obbligo.
Non resiste ai rilievi del ricorrente neanche la risposta data dalla Corte del merito alla censura sull'aumento di pena a titolo di continuazione con i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma del 9 luglio 2019, divenuta irrevocabile il 24 ottobre 2019.
Non è superfluo premettere che il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore, che assiste la decisione del Giudici dì merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen., e che non sì sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
La sentenza Pizzone citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio con la conseguente necessità che siano palesati gli elementi che hanno condotto al risultano cui si è pervenuti, ha tuttavia precisato che l'obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, non potendosi ritenere che il vizio renda nulla la decisione sul punto allorché la pena irrogata sia stata determinata in prossimità del minimo piuttosto che al massimo edittale.
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche deve rilevarsi che il Collegio romano, nel determinare la pena a titolo di continuazione, ha fatto un insufficiente riferimento all'equità, mentre - avendo determinato la pena in misura prossima a quella inflitta nella sentenza irrevocabile - avrebbe dovuto adeguatamente spiegare le ragioni di un simile aumento ex art. 81 cod. Pen. .
Si impone, pertanto, l'annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello che dovrà motivare in ordine alla recidiva e all'aumento di pena per i fatti di cui alla sentenza del Tribunale di Roma, irrevocabile il 24 ottobre 2019.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
29. Il ricorso di Vi.An., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e per i reati di cui ai capi 16), 18), 19), 20), 21), 23), 24), 25), 26), 27), 28) e 29) dell'imputazione, è fondato con riguardo soltanto alla determinazione della pena a titolo di continuazione, mentre è inammissibile nel resto.
29.1. Quanto al primo motivo deve precisarsi che, al di là della rubrica in cui si fa riferimento all'assoluzione dell'imputato, lo sviluppo argomentativo è incentrato soltanto sulla ritenuta erronea qualificazione del delitto associativo. Può quindi farsi rinvio al Par.. 2.2. del "Considerato in diritto".
29.2. Il secondo motivo non è consentito.
La Corte di appello, dopo aver precisato che i motivi di appello erano estremamente generici, essendosi l'appellante limitato a osservare che le immagini del sistema di videosorveglianza non erano nitide e a ipotizzare che egli, abitando in zona, si trovava casualmente sul posto, ha evidenziato che le deduzioni difensive erano smentite dalle immagini e dal materiale probatorio raccolto. In reiterate circostanze, infatti, l'imputato era stato ripreso dalle telecamere mentre apriva il lucchetto del cancello all'inizio del turno e, in un caso, era stato intercettato mentre rispondeva alla richiesta di informazioni sugli orari dello spaccio da parte di una donna. Inoltre, l'imputato era stato intercettato durante una conversazione con la compagna, da cui si evinceva che egli beneficiava della cosiddetta mesata. Il 29 novembre 2018 l'imputato era stato tratto in arresto, dopo essere stato fermato alla guida di un'autovettura, munita di un doppio fondo, su cui trasportava 10 grammi di cocaina e 50 grammi di marijuana; l'autovettura era stata fatta preparare appositamente da Va.Em. per la consegna al "Capoccione" (ossia Vi.An.).
La Corte di appello ha avuto poi cura di precisare che, allorquando nelle conversazioni si parlava di "An.", si faceva riferimento all'imputato e tale individuazione non era basata sul solo nome di battesimo che, come aveva sottolineato l'appellante, è un nome molto diffuso ma era avvenuto sulla base di un incrocio di dati costituiti, oltre che dalle intercettazioni, dalle immagini delle telecamere e dalle annotazioni di Polizia giudiziaria.
Alla luce di quanto precede deve rilevarsi che la decisione impugnata non presta il fianco a censure e che, con il ricorso in disamina, il ricorrente si è limitato a svilire il contenuto degli elementi considerati, reiterando le censure formulate con l'atto di appello, puntualmente superate con motivazione dettagliata e priva di alcun vizio logico.
Quanto alla qualificazione dei reati-fine si rinvia al Par. 2.1. del "Considerato in diritto".
29.3. Il terzo motivo è fondato in parte.
Quanto alle attenuanti generiche deve rilevarsi che tali circostanze non potevano essere riconosciute come prevalenti, a ciò ostando la recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale, riconosciuta e applicata all'imputato.
Precisato che il ricorso è del tutto generico quanto all'aumento della pena a titolo di continuazione "interna" (cioè relativa ai reati-fine del presente procedimento), deve rilevarsi che è fondata, invece, la censura relativa alla pena inflitta a titolo di continuazione "esterna" (ovvero con gli altri fatti già giudicati), non avendo la Corte di appello motivato le ragioni del disposto aumento.
Come già ricordato, il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore che assiste la decisione del Giudici di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
Dall'assenza di motivazione in ordine alla pena a titolo di continuazione esterna consegue l'annullamento con rinvio della decisione alla Corte di appello che dovrà motivare in merito all'aumento di pena per i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma emessa il 2 dicembre 2019, irrevocabile il 5 novembre 2020.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
30. Il ricorso di Ma.Al., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato di cui ai capi 25), 26) e 29) dell'imputazione, è fondato con riguardo soltanto alla determinazione della pena a titolo di continuazione per i fatti già giudicati, mentre è inammissibile nel resto.
30.1 II primo motivo è, in parte non consentito e, in parte, manifestamente infondato.
Secondo la Corte di appello, la partecipazione dell'imputato all'associazione poteva ritenersi dimostrata, atteso che la sua presenza nei luoghi di spaccio era documentata per ben 26 volte nell'arco di tre mesi. Dalle immagini, captate dalle telecamere, si evinceva che Ma.Al. (alias "Spaghetto") veniva adoperato per molteplici incombenze, svolgendo all'occorrenza il ruolo di vedetta o di pusher e coadiuvando i sodali nelle attività collaterali. Nei giorni successivi all'arresto dell'imputato, Va.Em. era stato intercettato nel corso di una conversazione con la compagna mentre parlava del denaro che aveva speso per le spese legali conseguenti al recente arresto dei sodali, i quali il giorno precedente erano stati giudicati in Tribunale con rito direttissimo. In un'altra occasione, parlando dei pagamenti in favore dei sodali detenuti, Va.Em. aveva menzionato "Spaghetto" nell'elenco delle persone a suo carico.
La Corte territoriale ha precisato che il riferimento all'imputato con il soprannome di "Spaghetto" nelle suddette circostanze non poteva essere messo in discussione. L'allusione a Ma.Al., infatti, era dimostrata con certezza dal contesto degli eventi e dalle immagini delle telecamere in cui risultava effigiato proprio lui e non altre possibili persone con lo stesso soprannome.
Inoltre, il Collegio del merito ha evidenziato che nei fotogrammi l'imputato non era raffigurato come una persona che "passa lì per caso, solo perché abita nelle vicinanze", come asserito dalla difesa, ma era stato ripreso mentre partecipava a pieno titolo alle attività del gruppo, con un ruolo attivo. Per escludere la sua presenza casuale, del resto, era sufficiente evidenziare che Ma.Al. era stato immortalato, oltre il cancello che delimita la zona di spaccio, anche durante i turni notturni e in periodo invernale.
Alla stregua di quanto precede giova ricordare che costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può elemento sintomatico della disponibilità, intesa come appartenenza associativa, laddove le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015, dep. 2016, Policastri, RV. 265890 - 01; conformi Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Durand e altri, RV. 257800 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare che l'imputato aveva svolto diversi ruoli sulla piazza di spaccio, aveva commesso reati-fine e aveva beneficiato degli aiuti di Va.Em. in occasione del suo arresto, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito dal ricorrente all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione.
Al cospetto della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente ha chiesto una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Siffatto modo di procedere non è però consentito, perché trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto. Come costantemente sottolineato (ex multis: Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, RV. 238215 - 01), infatti, il giudice di legittimità non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Quanto alla qualificazione giuridica del delitto associativo si rinvia al Par. 2.2. del "Considerato in diritto".
30.2. Anche il secondo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la ritenuta sua partecipazione ai reati-fine, non coglie nel segno.
Al riguardo, la Corte territoriale ha affermato che le considerazioni svolte per escludere la casualità della presenza dell'imputato nelle occasioni in cui era stato immortalato dalle telecamere ed intercettato inducevano a ritenere provata con certezza la sua responsabilità.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente ha opposto generiche deduzioni, tese ad ottenere un'inammissibile rivalutazione degli elementi probatori posti a fondamento della sua responsabilità.
Quanto alla qualificazione giuridica dei reati-fine si rinvia al Par. 2.1. del "Considerato in diritto".
30.3. Il quarto motivo è privo di specificità.
La Corte di appello, eliminato l'aumento di pena per il reato di cui al capo 31), quanto alle attenuanti generiche ha insindacabilmente (in quanto frutto di un giudizio non illogico) affermato che tali circostanze non potevano essere concesse con giudizio di prevalenza, "non essendo emerso alcun elemento a sostegno della richiesta".
Quanto all'aumento disposto a titolo di continuazione per i reati-fine di questo procedimento, il ricorso si appalesa generico, atteso che, nel fare riferimento al particolare contesto sociale in cui si sono sviluppati i fatti, caratterizzato da ignoranza ed emarginazione, e allo stato di tossicodipendenza del ricorrente, non ha evidenziato ragioni tali da giustificare un aumento di pena inferiore a quello applicato (in misura contenuta e pari a un anno per tre reati fine).
30.4. È fondata, invece, la censura, formulata nel terzo motivo, relativa alla pena inflitta a titolo di continuazione per i fatti già giudicati.
Come già ricordato, il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore, che assiste la decisione del Giudici di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen., e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello non ha illustrato le ragioni del disposto aumento della pena a titolo di continuazione esterna. Ne consegue l'annullamento con rinvio della decisione ad altra Sezione della Corte di appello che dovrà motivare in merito all'aumento di pena per i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma emessa il 9 luglio 2019, irrevocabile il 24 ottobre 2019.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
31. Il ricorso di Tr.Da., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato di cui al capo 16) dell'imputazione, è fondato con riguardo soltanto alla determinazione della pena a titolo di continuazione per i fatti già giudicati, mentre è inammissibile nel resto.
31.1. Il primo motivo è, in parte, non consentito e, in parte, manifestamente infondato.
La Corte d'appello ha rilevato che la presenza dell'imputato risultava documentata il 18 agosto 2018 e in ulteriori 24 occasioni, dal 25 novembre al 26 dicembre 2018: circostanze in cui era stato visto svolgere il ruolo di vedetta o di pusher. Lo stesso era stato visto mentre portava ai pusher di turno la benzina o la legna per il fuoco ovvero mentre trasportava la sedia per prendere posizione accanto al pusher o, ancora, nell'atto di effettuare la bonifica dell'area o mentre fuggiva al grido di "levate, levate". In un'altra occasione era stato visto mentre era impegnato a riparare la rete divisoria insieme con Pi.Da. (24 novembre 2018).
Significative poi, secondo la Corte di appello, erano anche le conversazioni con Gi.En., suo diretto referente, nel corso delle quali l'imputato aveva chiesto al primo a che ora dovesse andare a lavorare ovvero gli aveva comunicato che era in ritardo. L'imputato, inoltre, era stato anche intercettato in un'occasione in cui aveva chiesto un anticipo sulla paga dovuta.
Sulla base di questi elementi la Corte del merito ha ritenuto integrato il reato associativo anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo.
Come già ricordato, costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può elemento sintomatico della disponibilità, intesa come appartenenza associativa, laddove le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015, dep. 2016, Policastri, RV. 265890 - 01; conformi Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Durand e altri, RV. 257800 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare che l'imputato aveva svolto diversi ruoli sulla piazza di spaccio, aveva commesso un reato-fine e aveva rapporti con uno dei collaboratori del capo dell'associazione, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito dal ricorrente all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione.
Al cospetto della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente ha chiesto una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Siffatto modo di procedere non è però consentito, perché trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto. Come costantemente sottolineato (ex multis Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, RV. 238215 - 01), il giudice di legittimità non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Quanto alla qualificazione giuridica del delitto associativo si rinvia al Par. 2.2. del "Considerato in diritto".
31.2. Anche il secondo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la ritenuta sua partecipazione al reato-fine, non coglie nel segno.
La Corte territoriale ha sottolineato che la partecipazione dell'imputato al reato-fine di cui al capo 16) era ampiamente provata. Le immagini del sistema di videosorveglianza, infatti, avevano mostrato l'imputato mentre il 18 agosto 2018 svolgeva il ruolo di vedetta.
A fronte di tali argomentazioni il ricorrente ha opposto generiche deduzioni, tese ad ottenere un'inammissibile rivalutazione degli elementi probatori posti a fondamento della sua responsabilità.
Quanto alla qualificazione giuridica del reato fine si rinvia al Par. 2.1. del "Considerato in diritto".
31.3. Il quarto motivo è privo di specificità.
La Corte di appello, quanto alle attenuanti generiche ha insindacabilmente (in quanto frutto di un giudizio non illogico) affermato, nell'esercizio del suo potere discrezionale, che gli elementi addotti dall'appellante erano già stati valutati per concedere le menzionate circostanze equivalenti alle aggravanti e non vi erano le condizioni per riconoscerle come prevalenti.
Quanto all'aumento disposto a titolo di continuazione per il reato-fine, il ricorso si appalesa generico, atteso che, nel fare riferimento al particolare contesto sociale in cui si sono sviluppati i fatti, caratterizzato da ignoranza ed emarginazione, e allo stato di tossicodipendenza e all'età del ricorrente, non ha evidenziato ragioni tali da giustificare un aumento di pena inferiore a quello applicato (in misura pari a sei mesi).
31.4. È fondata, invece, la censura, sollevata nel terzo motivo, relativa alla pena inflitta a titolo di continuazione con i fatti già giudicati, non avendo la Corte di appello motivato le ragioni del disposto aumento, fissato peraltro nella misura di un anno, pur se concernente l'ipotesi lieve prevista dall'art. 73, comma 5, D.P.R. cit. .
Come già ricordato, il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore, che assiste la decisione del Giudici di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen., e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
Nel caso in esame, l'assenza di motivazione in ordine alla pena a titolo di continuazione esterna comporta l'annullamento della decisione con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello che dovrà motivare in merito all'aumento di pena per i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma emessa il 29 maggio 2019, irrevocabile il 19 febbraio 2020.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
32. Il ricorso di Ri.Ma., condannato per i reati di cui ai capi 1), 6), 7), 10), 12), 13), 15), 16), 17), 18), 20), 21), 22), 23), 24), 26), 27) e 28), è fondato limitatamente al primo motivo, mentre va rigettato nel resto.
32.1. Il primo motivo, con cui il ricorrente ha censurato l'affermazione della sua responsabilità per il reato di cui al capo n. 10) dell'imputazione, è fondato.
Dalla ricostruzione dei fatti, operata dalla sentenza di primo grado, emerge che l'imputato, il 27 maggio 2018 è stato visto arrivare insieme con Sa.Ma., Ma.Ed. e Pi.Cl. in Piazza A e successivamente recarsi 'negli O', dove, come si legge nell'anzidetta sentenza, i menzionati soggetti, "pur restando nella stessa zona, si distanziavano tra di loro e, in particolare: Pi.Cl. si poneva in Piazza B, da dove indirizzava acquirenti verso il cancelletto, alle spalle del quale c'era Ma.Ed., che effettuava le cessioni; Sa.Ma. e Ri.Ma., invece, permanevano negli O, protetti dalla fitta vegetazione. In particolare, Sa.Ma., facendo avanti e indietro dagli O verso via L con il ruolo di vedetta". Sulla base di quanto emerge dall'esame degli eventi di quella giornata non si era vista più la figura di Ri.Ma. che, una volta "andato negli O", non si era attivato per il controllo della piazza di spaccio, diversamente da Sa.Ma. .
La Corte di appello ha affermato che la constatata presenza dell'imputato all'inizio del turno di spaccio costituiva piena prova della sua partecipazione ai fatti in contestazione, in concorso con gli altri sodali, impegnati nello stesso turno.
Alla luce di quanto precede deve rilevarsi che l'imputato è stato visto solo all'inizio del turno di spaccio, ma non è stata accertata alcuna sua condotta attiva al di là della sua presenza. Ciò comporta che, almeno per tali fatti, non pare raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio della sua partecipazione ai fatti del 27 maggio 2018, come contestati al capo 10) dell'imputazione.
Né le sentenze di merito dimostrano la presenza di ulteriori elementi di prova a sostegno della ipotesi accusatoria in ordine a tale capo di imputazione (cfr. la sentenza di primo grado dove a pag. 54, nel riportare i passaggi argomentativi della misura cautelare personale, esclude per tale episodio la gravità indiziaria per il Ri.Ma., per poi a pag. 314 richiamare tale ricostruzione per ritenere provata la sua responsabilità nel suddetto reato a titolo di "vedetta"), da esaminare in sede di rinvio.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo 10) per non avere l'imputato commesso il fatto e la pena può essere determinata da questa Corte, come si dirà di seguito.
32.2. Quanto al secondo motivo, con cui il ricorrente ha censurato la qualificazione del delitto associativo e dei reati-fine, si rinvia ai Par. Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto".
32.3. Il terzo motivo è infondato.
La Corte di appello, dopo aver affermato (cfr. f. 51 della sentenza impugnata) che lo stato di tossicodipendenza di alcuni associati emergeva dal tenore delle conversazioni intercettate e trovava conferma in alcune produzioni documentali, provenienti dagli stessi imputati, ha ritenuto sussistente l'aggravante di cui all'art. 74, comma 3, D.P.R. n. 309 del 1990, conformandosi all'orientamento della Corte di legittimità secondo cui tale circostanza è configurabile anche nei confronti dell'associato tossicodipendente, in quanto il requisito oggettivo di applicabilità è esclusivamente costituito dal fatto che tra i partecipanti all'associazione ci siano persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti, in considerazione della maggiore pericolosità sociale di un'organizzazione criminosa che si avvalga della partecipazione di tossicodipendenti (Sez. 6, n. 13749 del 24/02/2021, Ferreri, RV. 281499 - 01; Sez. 2, n. 48924 dell'11/10/2016, Adduci e altri, RV. 268527 -01).
32.4. Il quarto motivo è privo di specificità.
La Corte di appello, nel rigettare la richiesta del riconoscimento della sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 4) cod. Pen., ha valorizzato il "contesto" (la "piazza di spaccio") in cui erano state realizzate le cessioni di stupefacente addebitate al ricorrente, che non consentiva di valutare atomisticamente i vari episodi delittuosi.
Va rammentato che le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che, "a seguito della nuova formulazione dell'art. 62 n. 4 cod. Pen., recata dall'art. 2 legge 7 febbraio 1990, n. 19, la circostanza attenuante del danno di speciale tenuità è applicabile ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, purché la speciale tenuità riguardi congiuntamente l'entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell'evento dannoso o pericoloso (ex multis, con riferimento a diverse fattispecie delittuose e categorie di delitti, Sez. 6, n. 7905 del 20/05/1997, dep. 1998, Maniscale, RV. 211378; Sez. 5, n. 43342 del 19/10/2005, Sorbo, RV. 232851; Sez. 3, n. 2685 del 12/10/2011, Konteye, RV. 251888; Sez. 5, n. 26807 del 19/03/2013, Ngom, RV. 257545; Sez. 5, n. 44829 del 12/06/2014, Fabbri, RV. 262193; Sez. 5, n. 36790 del 22/06/2015, Palermo, RV. 264745; Sez. 5, n. 27874 del 27/01/2016, Rapicano, RV. 267357)"(Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, RV. 279499).
Le Sezioni Unite, nel citato arresto, hanno pertanto ritenuto che la suddetta circostanza attenuante sia applicabile anche ai reati in materia di stupefacenti in presenza di un evento dannoso o pericoloso connotato anch'esso da speciale tenuità.
Ebbene, la verifica della "speciale tenuità" rilevante per il riconoscimento dell'attenuante di cui alla seconda parte dell'art. 62, n. 4 cod. Pen. con riferimento all'offensività della singola condotta va condotta alla stregua delle circostanze del caso concreto, e quindi anche del contesto in cui le diverse violazioni si collocano (che tra l'altro avevano portato ad escludere nel caso in esame anche il loro inquadramento nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 73, coma 5, D.P.R. n. 309 del 1990).
Con questi principi il ricorrente non si è confrontato, atteso che, nel censurare il diniego dell'attenuante de qua, si è appuntato in modo aspecifico solo sulla parte della motivazione in cui la Corte di appello ha fatto riferimento all'entità del danno "patrimoniale" prodotto.
32.4. Alla luce di quanto precede la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo 10) per non aver commesso il fatto e la pena può essere determinata da questa Corte, eliminando quella inflitta dal giudice di merito per tale reato, pari a mesi tre di reclusione. Ne discende che la pena complessiva deve essere quantificata in anni nove e mesi quattro di reclusione.
Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
33. Il ricorso di Gi.En., condannato per i reati di cui ai capi 1), 2), 3), 4), 5) 6), 8), 9), 10), 11), 13), 14), 15), 18), 19) 20), 21), 22), 23), 24), 25), 27), 28), 43), 44) e 45) dell'imputazione è inammissibile.
33.1. Il primo motivo è privo di specificità.
Oltre a ricordare varie disposizioni normative in tema di motivazione dei provvedimenti giudiziari, il ricorrente ha affermato di avere chiesto l'assoluzione dal reato di cui al capo 31) dell'imputazione ma ha trascurato di considerare che la Corte di appello ha escluso l'autonoma rilevanza di tale reato e, di conseguenza, ha eliminato il relativo aumento di pena calcolato dal primo giudice.
33.2. Il secondo motivo, relativo all'affermazione della responsabilità per i reati-fine, è del tutto generico.
Il ricorrente ha omesso ogni confronto con la sentenza impugnata, limitandosi sostanzialmente a censurare un'asserita carenza della motivazione, senza indicare specificamente le ragioni del dedotto vizio.
33.3. Quanto alle censure formulate nel terzo motivo, relative alla qualificazione giuridica dei reati ascritti al ricorrente, si rinvia alle argomentazioni contenute nei Par Par. 2.1. e 2.2. del "Considerato in diritto".
33.4. Il quarto e il quinto motivo del ricorso risultano indeducibili in quanto non sottoposti all'attenzione della Corte di appello.
33.5. Il sesto motivo, concernente la mancata esclusione della recidiva, è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum quello secondo cui, nell'applicazione della recidiva facoltativa, è richiesta al giudice una specifica motivazione, sia che affermi sia che escluda la sua rilevanza, verificando, oltre il mero riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di pericolosità, considerando la natura dei reati, il tipo di devianza che indicano, la qualità dei comportamenti, il livello di offensività delle condotte, la distanza temporale e il loro livello di omogeneità, l'eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro possibile sintomo della personalità del reo e del suo grado di colpevolezza (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marciano, RV. 251690 - 01; Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, RV. 274782 - 01).
A tali principi si è uniformata la Corte territoriale, che, nel disattendere la richiesta di esclusione della recidiva, ha affermato che la rilevanza di tale circostanza era resa evidente dalla lunghissima serie di condanne risultanti dal certificato penale, aventi ad oggetto reati in materia di stupefacenti, commessi ininterrottamente nel periodo dal 2011 al 2018.
Così motivando, la menzionata Corte ha preso in considerazione i precedenti penali dell'imputato e ha ritenuto che la lunghissima e ininterrotta serie di reati omogenei, commessi dall'imputato, era chiaro sintomo della sua pericolosità.
34. Il ricorso di Bo.St., condannato per il delitto associativo di cui al capo 1) e per il reato fine di cui al capo 34) dell'imputazione, è fondato limitatamente alla determinazione della pena a titolo di continuazione per i fatti già giudicati, mentre è inammissibile nel resto.
34.1. Il primo motivo, con cui il ricorrente contesta l'affermazione della responsabilità per il delitto associativo, non è consentito.
La Corte territoriale ha evidenziato, innanzitutto, che i fatti di cui al capo 33) della rubrica accusatoria, per i quali l'imputato era stato arrestato il 17 maggio 2018 e separatamente giudicato e condannato, avevano evidenziato che, in quella circostanza, l'appellante era in azione nella piazza di spaccio e ricopriva un ruolo preminente, quale detentore della droga e responsabile dei rifornimenti. Da questi fatti, secondo la Corte, si desumeva in modo certo la partecipazione al sodalizio, essendo del tutto inverosimile che l'associazione potesse aver affidato un ruolo così delicato a un avventizio anziché a un fidato sodale.
Oltre a tale dato, il Collegio di appello, al fine della sussistenza della partecipazione dell'imputato al sodalizio, ha valorizzato le intercettazioni in cui si parlava della mesata, fornita da Va.Em. all'imputato, e della "mesata" spettante a Pa.Vi. per la detenzione del marito. In una conversazione, poi, Va.Em. aveva detto a Pa.Vi. di fornire un telefono a Bo.St. per eventuali comunicazioni. Indicativo anche il suo ruolo di "preparatore dei cinquini" per il piccolo spaccio, come da conversazione telefonica tenuta da Va.Em. in data successiva al suo arresto.
Entrambi i giudici del merito hanno sottolineato la gravità della condotta di cui al capo 34) (per la quale è stata riconosciuta la continuazione con il reato associativo), laddove, ristretto agli arresti domiciliari per i fatti di cui al capo 33), il ricorrente ha continuato a coadiuvare l'associazione con il suo supporto.
Alla luce di tali circostanze deve ricordarsi che costituisce orientamento consolidato quello secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, anche il coinvolgimento in un solo reato-fine può elemento sintomatico della disponibilità, intesa come appartenenza associativa, laddove le connotazioni della condotta dell'agente, consapevolmente servitosi dell'organizzazione per commettere il fatto, ne riveli, secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico in funzione delle dinamiche operative e della crescita criminale dell'associazione (Sez. 6, n. 1343 del 4/11/2015 - dep. 14/01/2016, Policastri, RV. 265890 - 01; conformi Sez. 1, n. 43850 del 3/07/2013, Durand e altri, RV. 257800 - 01).
Nel caso in esame, la Corte territoriale, nel rimarcare che l'imputato aveva svolto ruoli importanti, aveva commesso reati-fine e aveva beneficiato degli aiuti di Va.Em. in occasione del suo arresto, ha chiaramente e correttamente indicato il contributo consapevole fornito dal ricorrente all'esistenza e al rafforzamento dell'associazione.
Siffatta conclusione non è smentita dalle deduzioni difensive relative alla breve durata dell'intervento del ricorrente e alla sua scelta di allontanarsi completamente dal territorio, avendo chiesto di essere ristretto in una comunità terapeutica, distante 70 km dalla propria abitazione e dai luoghi del fatto.
Difatti, dalle conversazioni intercettate emerge che Va.Em. si era accollato le spese di mantenimento della moglie dell'imputato detenuto e tale circostanza depone in modo chiaro per il difetto della dissociazione del ricorrente dal contesto criminale di appartenenza.
Al cospetto della motivazione della sentenza impugnata il ricorrente ha chiesto una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Siffatto modo di procedere non è però consentito, perché trasformerebbe questa Corte nell'ennesimo giudice del fatto.
Come costantemente sottolineato (ex multis: Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola e altri, RV. 238215 - 01), il giudice di legittimità non può procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
34.2. Il sesto motivo del ricorso, da trattare - per ragioni di ordine logico - subito dopo quello sulla partecipazione del ricorrente al sodalizio, trova risposta nelle argomentazioni svolte al Par. 2.2. del "Considerato in diritto", cui si rinvia.
34.3. Anche il secondo motivo non è consentito.
Quanto al reato di cui al capo 34) dell'imputazione, infatti, la Corte territoriale ha affermato che dall'annotazione di servizio si evinceva che il 21 marzo 2018 gli operanti avevano osservato le cessioni di sostanza stupefacente, effettuate da un agente in favore di tre avventori, e avevano constatato che Bo.St. era sempre rimasto affacciato alla finestra in osservazione, tenendo d'occhio la strada in entrambe le direzioni. Quando gli operanti avevano deciso di intervenire, lo spacciatore, al cenno di Bo.St., si era dato alla fuga.
Secondo la Corte territoriale, così delineati i fatti, appariva evidente l'apporto prestato dall'imputato, il quale dalla finestra di casa sua aveva attivamente partecipato alle operazioni di spaccio, coadiuvando lo spacciatore e avvertendolo dell'arrivo delle Forze dell'ordine, così consentendogli la fuga.
Siffatta motivazione, in quanto logica e non contraddittoria, sfugge a ogni rilievo consentito in questa sede, dovendosi precisare che non giova al ricorrente la pronuncia di assoluzione di Mi.Ma., allegata al ricorso, che non è fondata sull'insussistenza del fatto, ma sulla mancanza di individuazione certa del medesimo Mi.Ma., così che l'epilogo decisorio assolutorio è strettamente legato alla posizione del coimputato e non può avere effetti favorevoli per il ricorrente Bo.St. .
34.4. Quanto al terzo motivo, relativo alla mancata qualificazione del reato di cui al capo 34) ai sensi dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 90 si rinvia al Par. 2.1. del "Considerato in diritto".
34.5. Il quarto motivo, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, è privo di specificità.
La Corte di appello ha insindacabilmente (in quanto frutto di un giudizio non illogico) affermato che tali circostanze non potevano essere concesse con giudizio di prevalenza, "non essendo emersi elementi di tal pregio da giustificare un trattamento così favorevole".
34.6. Il quinto motivo, relativo all'aumento di pena disposto a titolo di continuazione con la sentenza emessa il 25 maggio 2020 dalla Corte di appello di Roma, irrevocabile il 9 ottobre 2020, afferente ai fatti di cui al capo 33), è fondato.
Come già ricordato, il giudice di merito, nel determinare la pena complessiva per gli aumenti dei reati satellite ritenuti in continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l'aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
L'astratto rigore, che assiste la decisione del Giudici di merito nell'operazione di calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno nel motivare richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all'entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall'art. 81 cod. Pen., e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, RV. 282269 - 01).
Nel caso in esame, la Corte di appello ha operato un aumento di pena pari a tre anni di reclusione (ridotti a due per il rito abbreviato), senza spiegare le ragioni poste a base di un simile aumento, non di minima entità.
Siffatta lacuna motivazionale impone l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo giudizio sul punto.
35. L'esito dei ricorsi comporta la dichiarazione dell'irrevocabilità dell'affermazione della responsabilità nei confronti di Ca.Al., Pi.Da., Fa.Al., Tr.St., Ta.Pa., Or.Mi., La.Cl., Va.Em., Vi.An., Ma.Al., Bo.St., Tr.Da.e Da.Gi. .
36. Al rigetto dei ricorsi di Pr.An., Pa.Vi., De.To. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. Pen. .
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi di Pa.Ba., To.Ro., Sp.Al., Sp.Ga., Ca.Ma., Sa.Ma., Da.Co., Ag.Lu., Ma.Da., Fa.Va., Pe.Jo., Me.Da., Ca.Al., Pa.Da., Sc.Da., Ro.Ru., Gi.En. e Pi.Da. consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall'art. 616, comma 1, cod. proc. Pen. .
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ri.Ma. limitatamente al reato di cui al capo 10) per non aver commesso il fatto e ridetermina la pena finale in quella di anni 9 e mesi 4 di reclusione.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Ca.Al., Tr.St., Ta.Pa., La.Cl., Va.Em. limitatamente alla statuizione sulla recidiva e all'eventuale trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Fa.Al. limitatamente alla recidiva e al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sui punti ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Or.Mi. limitatamente alla recidiva e all'aumento a titolo di continuazione e rinvia per nuovo giudizio sui punti ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Pi.Da. limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Vi.An., Ma.Al., Da.Gi., Bo.St. e Tr.Da. limitatamente all'aumento a titolo di continuazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Rigetta nel resto il ricorso di Ri.Ma. .
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di Ca.Al., Pi.Da., Fa.Al., Tr.St., Ta.Pa., Or.Mi., La.Cl., Va.Em., Vi.An., Ma.Al., Bo.St., Tr.Da., Da.Gi., dichiarando la irrevocabilità della sentenza in ordine all'affermazione della loro responsabilità.
Rigetta i ricorsi di Pr.An., Pa.Vi., De.To. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Pa.Ba., To.Ro., Sp.Al., Sp.Ga., Ca.Ma., Sa.Ma., Da.Co., Ag.Lu., Ma.Da., Fa.Va., Pe.Jo., Me.Da., Ca.Al., Pa.Da., Sc.Da., Ro.Ru., Gi.En. e Pi.Da. che condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2024.