RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza elei 23 marzo 2023, confermava la sentenza di primo grado con la quale Ci.Lo. era stato condannato per ricettazione di un assegno.
1.1 Avverso la sentenza ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando che la Corte di appello aveva ritenuto di non concedere l'attenuante di cui all'art. 62 n.6, osservando che non risultava che l'imputato avesse risarcito il danno subito da La.Vi., soggetto con cui Ci.Lo. non aveva avuto alcun contatto, visto che, secondo l'accusa, aveva consegnato l'assegno di cui al capo di imputazione a Vi.Ed., che era stato risarcito, come dallo stesso dichiarato in udienza.
1.2 Il difensore rileva che la Corte di appello aveva del tutto omesso l'analisi della specifica istanza con cui si era richiesta, in via subordinata, la sostituzione della reclusione con le pene sostitutive di cui all'art. 20-bis cod. pen., istanza ritualmente formulata con le conclusioni scritte inviate tempestivamente all'indirizzo certificato della Corte di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato quanto al secondo motivo.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato: la Corte di appello ha riportato in sentenza le dichiarazioni del maresciallo Bu., il quale ha precisato che "Il titolo era stato negoziato da La.Vi., il quale l'aveva ricevuto dal suo conoscente Vi.Ed. che a sua volta ha indicato l'odierno imputato come suo dante causa"; ha riportato anche le dichiarazioni di Vi.Ed., che ha riferito "di aver ricevuto l'assegno proprio dall'odierno appellante, in pagamento di canoni di locazione scaduti: - di averlo consegnato a La.Vi. al quale aveva chiesto la cortesia di monetizzarlo in quanto privo di c/c bancario...di non essere stato risarcito del danno subito" (pag. 2 sentenza Corte di appello)".
Se quindi è corretto affermare che sicuramente non era La.Vi. il soggetto al quale il danno andava risarcito, si deve però ribadire il principio affermato da una risalente pronuncia secondo cui "non costituisce risarcimento integrale del danno prodotto dal reato di ricettazione la restituzione della somma ricevuta dal ricettatore a titolo di intermediazione nella vendita ad altro ricettatore della cosa di provenienza delittuosa. Per la concessione dell'attenuante in parola occorre che il ricettatore, oltre a risarcire il danno non patrimoniale e quello patrimoniale da lucro cessante e da altri danni emergenti, abbia corrisposto al proprietario derubato il controvalore della cosa dispersa per effetto della ricettazione." (Sez. 1, n. 11855 del 03/07/1980, Mastini, Rv. 146625); per poter ottenere il riconoscimento dell'attenuante del danno risarcito, il ricorrente avrebbe quindi dovuto dimostrare di avere effettuato il risarcimento nei confronti della persona alla quale il tiolo era stato sottratto (Vi.Fr., indicato nel capo di imputazione); peraltro, l'avvenuto risarcimento in favore di Vi.Ed. di cui si parla in ricorso non avrebbe comunque portato al riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 n.6 cod. pen., posto che il risarcimento non è avvenuto prima del giudizio, come richiesto dalla norma.
1.2 Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso.
Occorre premettere che la sentenza di primo grado è stata pronunciata il 4 novembre 2020, l'atto di appello è stato depositato il 18 marzo 2021 e il motivo relativo alla richiesta di applicazione di sanzione sostitutiva è stato presentato con memoria depositata il 7 marzo 2023, mentre l'udienza dinnanzi alla Corte di appello si è tenuta il 23 marzo 2023.
L'art. 95 del D.Lgs. 150/22 ha dettato norme specifiche in tema di disciplina transitoria in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi prevedendo espressamente che:" Le norme previste al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto". Per espressa disposizione normativa, pertanto, ne è derivata l'immediata applicabilità ai giudizi penali di appello pendenti delle disposizioni dettate dalla c.d. riforma Cartabia in tema di pene sostitutive.
Affinché il giudice possa pronunciarsi sulle pene sostitutive, è però necessaria una richiesta da parte dell'imputato: ciò in quanto l'art. 597 cod. proc. pen., nel prevedere che il giudice si appello possa applicare con la sentenza anche di ufficio la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, nulla dice sulle pene sostitutive, che quindi deve ritenersi non possano essere applicate di ufficio; infatti, l'art. 545-bis cod. pen. prevede che "Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ne dà avviso alle parti. Se l'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all'ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso".
Come precisato nella relazione al D.Lgs. n.150/2022 (che ha introdotto la norma in esame), il giudice, una volta verificata la astratta possibilità di sostituire la pena principale, deve acquisire l'assenso dell'imputato, avendo poi due possibilità:
a) se vi sono già gli elementi necessari per decidere sulla sostituzione della pena principale, il giudice decide immediatamente (la decisione immediata può anche essere di rigetto della eventuale istanza di sostituzione della pena, ove il giudice ritenga in radice di non possedere gli elementi per la sostituzione, come in caso di pericolosità conclamata);
b) se tali elementi non vi sono, il giudice fissa una nuova udienza non oltre sessanta giorni, per acquisire dall'ufficio esecuzione penale esterna e dalla polizia giudiziaria, se del caso, le necessarie informazioni utili alla decisione sulla pena sostitutiva più adeguata al caso concreto (nuovo art. 545 bis, co. 1, terzo periodo, e co. 2, cod. proc. pen.).
In ogni caso, non si può comunque prescindere da una manifestazione di volontà dell'imputato, che può ovviamente precedere l'avviso dato dal giudice ai sensi della norma sopra richiamata; sul termine entro il quale tale richiesta deve essere effettuata, questa Corte ha recentemente affermato che "in tema di pene sostitutive, ai sensi della disciplina transitoria contenuta nell'art. 95 D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. riforma Cartabia), affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi in merito all'applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all'art. 20-bis cod. pen., è necessaria una richiesta in tal senso dell'imputato, da formulare non necessariamente con l'atto di gravame, ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell'udienza di discussione in appello (Sez.6, 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090; nello stesso senso, Sez.6, n. 46782 del 29/09/2023 Borazio, Rv. 285564). Tale conclusione è perfettamente in linea con l'art. 545-bis cod. proc. pen: se infatti si ritiene che l'avviso del giudice all'imputato della ricorrenza delle condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive può essere dato in udienza, è chiaro che fino a quel momento la richiesta può essere presentata dall'imputato.
Orbene, nel caso di specie il ricorrente ha dimostrato di avere richiesto con memoria depositata in cancelleria prima dell'udienza di trattazione la concessione delle pene sostitutive prestando anche il consenso senza che, rispetto a detta istanza, alcuna decisione la corte di appello risulta avere assunto; sussiste pertanto il lamentato difetto assoluto di motivazione su tale punto da parte della corte territoriale/Che deve essere chiamata a rivalutare la possibilità di concessione delle nuove pene sostitutive, introdotte con il D.Lgs. 150/2022 successivo all'emissione della sentenza di primo grado.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'omessa valutazione della richiesta di sostituzione della pena irrogata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Rigetta nel resto il ricorso e dichiara irrevocabile l'affermazione di responsabilità.
Così deciso il 28 marzo 2024.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2024.