Bancarotta fraudolenta: la parziale omissione del dovere annotativo è punita a titolo di dolo generico
top of page

Cassazione penale sez. V, 18/01/2023, n.15743

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo, integrante la fattispecie di cui alla seconda ipotesi dell'art. 216, comma 1, n. 2, l. fall., è punita a titolo di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda difficoltosa o impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa. (In motivazione la Corte ha chiarito che l'impedimento nella ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito non rappresenta l'evento del reato, ma costituisce una peculiare modalità della condotta, che interagisce sull'elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale).

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 07/07/2015, con cui G.G. era stato condannato a pena di giustizia per più fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, relativamente alle società, di cui era stato amministratore unico, (Omissis) s.r.l., (Omissis) s.r.l., (Omissis) s.r.l., fusesi per incorporazione in data 21/02/2011 e poi dichiarate fallite in data 13/10/2011, esclusa la contestata recidiva, rideterminava la pena principale e le pene accessorie fallimentari nei confronti dell'imputato.

2. G.G. ricorre, in data 20/05/2022, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Giancarlo Ascanio, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

2.1 violazione di legge, in riferimento all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento agli artt. 516 e 521 c.p.p., ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in quanto con il capo di imputazione era stata contestata al G. la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico, in riferimento alla (Omissis) s.r.l., e la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico, in riferimento alle altre due società; dalla motivazione della Corte territoriale, invece, emerge che, quanto alla (Omissis) s.r.l., era stata ritenuta, piuttosto, la condotta di sottrazione della documentazione, che richiede il dolo specifico; in tal modo, quindi, appare evidente il difetto di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza; inoltre, la sentenza impugnata ha operato un'indebita commistione tra le due fattispecie di bancarotta, ritenendo che la condotta di sottrazione, nel caso di specie, fosse sorretta dal dolo generico, con un evidente errore di diritto; anche in relazione alle altre due società dichiarate fallite, la (Omissis) s.r.l. e la (Omissis) s.r.l., la sentenza impugnata ha individuato una condotta di sottrazione, pur ritenendo non provato il dolo specifico, incorrendo nelle medesime violazioni già illustrate;

2.2 violazione di legge, in riferimento all'art. 216, comma 1, n. 2, 217 legge fallimentare, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in quanto la difesa aveva evidenziato con il gravame che all'atto della fusione tra le società, e poi in sede di assemblea, la situazione patrimoniale delle società era stata necessariamente oggetto di valutazione ed approvazione, a dimostrazione della regolare tenuta della contabilità e della sua esistenza, essendo stata omessa la valutazione anche della documentazione prodotta dalla difesa in dal primo grado (relazione del curatore del 18/01/2022, in cui si indicava il luogo di conservazione delle scritture, atto di fusione preceduto dall'approvazione della situazione patrimoniale e dei bilanci), da cui emergeva l'esistenza di una contabilità idonea alla ricostruzione patrimoniale; a confutazione di tale dato, la sentenza impugnata si è limitata a riportare stralci della relazione del curatore fallimentare e dell'amministratore giudiziario che, in ogni caso, non hanno mai avallato un'ipotesi di sottrazione delle dette scritture contabili, né, tantomeno, l'impossibilità di ricostruire la situazione contabile; né la Corte di merito si è confrontata con la richiesta di derubricazione della condotta ai sensi dell'art. 217 legge fallimentare, anche alla luce della ravvisata assenza del dolo specifico;

2.3 violazione di legge, in riferimento all'art. 216, comma 1, n. 2, 219 legge fallimentare, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in quanto illegittimamente è stata contestata la pluralità di fatti di bancarotta in riferimento a tre distinte società poi fusesi per incorporazione nella (Omissis) s.r.l., sicché all'esito dell'incorporazione era nato un diverso soggetto giuridico unitario, rispetto al quale non poteva ipotizzarsi la pluralità di fatti di bancarotta, derivante, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che la condotta avrebbe singolarmente riguardato ciascuna società.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di G.G. è fondato e va, pertanto, accolto per le ragioni di seguito indicate.

1.La vicenda riguarda la fusione di tre società - (Omissis) s.r.l., (Omissis) s.r.l., (Omissis) s.r.l. - operanti nel settore turistico, unitamente alla Ostiensis Viaggi s.r.l., in un unico soggetto giuridico, in data 21/02/2011, al fine di conservare l'avviamento per poi procedere ad un affitto di azienda; tali società erano state, nelle more, sottoposte a sequestro preventivo in quanto ritenute riferibili ad un soggetto detenuto per violazioni alla disciplina sugli stupefacenti, per cui veniva nominato un amministratore giudiziario.

Il Giudice per le indagini preliminari, dopo l'esecuzione del decreto di sequestro preventivo, autorizzava il contratto di affitto di azienda, per cui si svolgeva, in data 19/07/2011, l'assemblea della (Omissis) s.r.l. presso lo studio dell'amministratore giudiziario, in cui venivano approvati i bilanci delle società in sequestro al 31/12/2020; successivamente veniva dichiarato il fallimento delle tre società, con nomina di altrettanti curatori.

Tanto premesso, la Corte territoriale ha ritenuto che, pur a fronte di una contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale generica per la prima società e di bancarotta patrimoniale a dolo specifico per le altre due società, il primo giudice avesse ritenuto che in tutti e tre i casi la condotta fosse consistita nella tenuta irregolare della contabilità, al fine di recare pregiudizio ai creditori (pag. 8 della sentenza impugnata).

La Corte di merito, dopo un'accurata ricostruzione della vicenda, ha osservato, in riferimento alla (Omissis) s.r.l., che il curatore fallimentare aveva ottenuto dal G., dopo vari tentativi, documentazione incompleta e non utile a ricostruire l'ultimo triennio di vita della società, e che l'imputato aveva dapprima riferito di aver consegnato la documentazione contabile al custode nominato in sede di sequestro intervenuto nel marzo 2011, non avendo poi più tenuto la documentazione, quindi aveva redatto una memoria, in cui riferiva di aver utilizzato un programma di gestione informatica della contabilità, affidata ad una società che non l'aveva più restituita. La sentenza impugnata ha considerato le dichiarazioni del custode giudiziario - che smentiva la versione del G., avendo dichiarato di non aver mai ricevuto i libri contabili, ma solo una situazione contabile ed una rendicontazione dei mastrini al 2010 relativi ad epoca precedente la fusione - e l'assenza di ogni riscontro alla vicenda della consegna della contabilità ad una società di elaborazione dei dati, concludendo nel senso che la condotta fosse inquadrabile in una bancarotta per tenuta incompleta, oltre che tardiva, della contabilità, in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, sorretta, nel caso di specie, dalla consapevolezza dell'imputato e, quindi, dal dolo generico.

Sempre in riferimento all'elemento soggettivo della fattispecie, la Corte territoriale prosegue aggiungendo che dalla condotta complessiva dell'imputato che aveva dapprima omesso di prendere contatto con il curatore, poi aveva riferito di aver consegnato la documentazione all'amministratore giudiziario, circostanza rivelatasi non vera, e, quindi, aveva fornito una terza versione dei fatti, anch'essa priva di riscontro - emergeva, all'evidenza, la volontà di nascondere le modalità di tenuta della documentazione, nella consapevolezza della loro confusione ed incompletezza e della inidoneità a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari, peraltro finanziati con somme provento dal traffico di sostanze stupefacenti.

Quanto alla bancarotta fraudolenta documentale della (Omissis) s.r.l. e della (Omissis) s.r.l., la sentenza impugnata ricorda come nessuna documentazione fosse stata depositata e come la curatrice avesse riferito di non aver rintracciato il G.; peraltro, che la documentazione esistesse risultava dall'elenco depositato al curatore del fallimento della (Omissis) s.r.l., inclusivo del progetto di fusione, del verbale di approvazione del bilancio al 31/12/2010, oltre che dal rinvenimento, presso la sede della società incorporante, di non meglio specificata documentazione riferibile alla (Omissis) s.r.l. ed alla (Omissis) s.r.l.; pertanto - come si legge in motivazione, alla pag. 13 della sentenza impugnata - benché il G. avesse omesso di consegnare alla curatrice la documentazione contabile, integrando tale condotta la sottrazione dei libri e delle scritture contabili, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori o di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto, in quanto l'omessa consegna delle scritture contabili alla curatrice aveva determinato l'impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari delle due predette società, circostanza di cui l'imputato aveva consapevolezza e volontà.

2. La motivazione della sentenza impugnata costituisce l'esito di un palese disorientamento concettuale, da parte della Corte territoriale, circa le categorie interpretative che individuano la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale nella sua duplice declinazione.

In tal senso, quindi, il Collegio ritiene doveroso, al fine di ribadire il percorso ermeneutico consolidato in sede di legittimità, inquadrare la tematica processuale in riferimento agli aspetti essenziali in essa coinvolti.

2.1 Appare necessario, anzitutto, ricordare che, ai sensi dell'art. 2214 c.c., comma 1, tutti gli imprenditori commerciali devono, obbligatoriamente, tenere il libro giornale - in cui vanno annotate, giorno per giorno e con immediatezza, tutte le operazioni nell'ordine in cui sono compiute - ed il libro degli inventari - che comprende l'inventario redatto all'inizio dell'esercizio dell'impresa e gli inventari annuali, per indicare lo stato patrimoniale dell'impresa, la cui funzione è quella di elencare e valutare le attività e le passività relative all'impresa, nonché le attività e le passività dell'imprenditore estranee alla stessa -; l'inventario, come noto, si chiude con il bilancio, ossia con un conto patrimoniale costituito dalla contrapposizione tra il complesso delle attività ed il complesso delle passività, e con il conto dei profitti e delle perdite, che e', invece, un conto economico indicante le fonti dei ricavi e delle spese pertinenti ad ogni esercizio (art. 2217 c.c.).

Alla stregua delle dimensioni e della natura dell'impresa, inoltre, il comma 2 della detta norma, prevede che l'imprenditore debba tenere le altre scritture contabili e conservare, per ciascun affare, gli originali delle lettere, dei telegrammi, delle fatture, sia ricevute che spedite.

Tra tali ulteriori scritture contabili rientrano anche quelle la cui obbligatorietà è individuata da altre norme settoriali: in tal senso, la normativa fiscale - il D.P.R. n. 633 del 1972 in tema di Iva ed il D.P.R. n. 917 del 1986 in tema di imposte sui redditi prevede la tenuta obbligatorio dei libri Iva - ovvero il libro delle fatture passive, delle fatture attive e dei corrispettivi, ove presenti - nonché il libro dei beni ammortizzabili, in cui vengono annotati i cespiti durevoli e soggetti ad ammortamento; la normativa sul lavoro, a sua volta, prevede, invece, come obbligatoria, la tenuta del libro unico del lavoro - in cui sono confluiti i precedenti libro matricola e libro paga - e del registro degli infortuni, ai fini della normativa INAIL; la normativa societaria, inoltre, prevede come obbligatoria la tenuta sia dei libri sociali e contabili che consentono una rappresentazione finanziaria della struttura societaria - ossia il libro soci, il libro delle obbligazioni, il libro degli strumenti finanziari - che dei libri che consentono la verifica del funzionamento degli organi societari - ossia il libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari, il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo amministrativo, il libro delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo di controllo, il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee degli obbligazionisti, nel caso in cui l'impresa abbia emesso un prestito obbligazionario -. Ciò che può differenziare l'onere e le modalità di redazione e tenuta dei libri e delle scritture contabili è anche il regime contabile applicabile all'impresa, nel senso che, in caso di regime contabile ordinario, i libri contabili obbligatori sono praticamente tutti quelli elencati in precedenza, ovviamente variabili a seconda della tipologia e della dimensione dell'attività, mentre se all'impresa è applicabile il regime contabile semplificato, questa è esonerata dalla tenuta dei libri previsti dalla normativa civilistica, in quanto non vi è obbligo di redazione del bilancio, dovendo istituire e tenere solo i libri IVA ed il registro dei beni ammortizzabili ai fini fiscali, nonché il libro unico del lavoro ed il registro degli infortuni ai fini della normativa sul lavoro.

In riferimento a tale ultimo aspetto, tuttavia, va ricordato che non vi è affatto sovrapposizione tra il regime della contabilità semplificata a fini tributari e la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, nel senso che, pacificamente, il detto regime semplificato non comporta l'esonero dall'obbligo di tenuta dei libri e delle scritture contabili previsto dall'art. 2214 c.c., sia ai fini civili che per gli effetti penali previsti dalla legge fallimentare, con la conseguenza che, mentre oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, nel caso di bancarotta semplice documentale, invece, l'illiceità della condotta è circoscritta alle sole scritture obbligatorie (tra le altre: Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi Andrea, Rv. 281875; Sez. 5, n. 33878 del 03/05/2017, Vadacca, Rv. 281875; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 44886 del 23/9/2015, Rossi, Rv. 265508; Sez. 5, n. 52219 del 30/10/2014, Ragosa, Rv. 262198; Sez. 5, n. 22593 del 20/4/2012, Pupillo, Rv. 252973; Sez. F, n. 33402 del 06/08/2009, Castrogiovanni, Rv. 244842; Sez. 5, n. 7165 del 29/1/1977, Alberi, Rv. 136073).

Il che, ovviamente, non implica che la condotta di bancarotta fraudolenta documentale debba necessariamente investire la totalità delle scritture contabili, rilevando, in tal senso, la dimostrazione che le concrete modalità di tenuta di quelle scritture che risultino lacunose, incomplete, inattendibili, si rifletta in un'accertata impossibilità o estrema difficoltà ricostruttiva, e, quindi, che non sia possibile addivenire ad una ricostruzione della vita dell'impresa alla luce di altra contabilità, anche se ufficiosa, tenuta dall'imprenditore.

2.2 La diversificazione nella individuazione della tipologia di documenti contabili che possono costituire l'oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale, e l'impossibilità di individuarne un numerus clausus, discende dal fatto che non solo le scritture contabili obbligatorie, ma anche quelle facoltative, ossia caratterizzate da una funzione ausiliaria, nonché quelle atipiche, possono risultano atte ad integrare e sviluppare i dati forniti dalla contabilità obbligatoria, posto che l'oggetto materiale del reato di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, si focalizza non tanto su di una determinata categoria di scritture contabili, bensì sulla modalità della loro tenuta, intesa quale insuscettibilità alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ovvero quale estrema difficoltà ricostruttiva. In tal senso, ad esempio, si può ricordare Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Guadagnoli e altri, Rv. 250094, in tema di "schede di mastro", che, pur "non direttamente previste dal codice, assolvono ad un insostituibile scopo identificativo delle operazioni riportate sul libro Giornale (con tecnica esclusivamente cronologica e non per quadro di complessivi movimenti rapportati ad un soggetto). Del resto l'art. 2214 c.c., comma 1, prevede la necessità di conservazione di ogni scrittura che sia richiesta dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e la scienza commercialistica attesta che senza l'ausilio di queste schede è impossibile la redazione di un bilancio credibile."

2.3 Quanto all'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale, la giurisprudenza di questa Corte, in adesione al contenuto della disposizione normativa, ha chiarito come il dolo da omessa tenuta, sottrazione, falsificazione od occultamento delle scritture contabili, prevista dall'art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, legge fallimentare, sia un dolo specifico; mentre, nell'ipotesi prevista dalla seconda parte della medesima disposizione, per le condotte di infedele tenuta delle scritture contabili, in guisa da rendere impossibile la ricostruzione degli affari e del patrimonio sociale, è sufficiente il dolo generico (tra le altre: Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv, 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Inverardi, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 8/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838).

La ricostruzione dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nella sua duplice declinazione, si fonda sull'ovvia constatazione secondo cui, alla luce degli artt. 2214 e segg. c.c., la conservazione e la fedele redazione delle scritture di impresa è preciso ed indefettibile onere dell'imprenditore, sia individuale che associato, nonché, di conseguenza, anche dell'amministratore di fatto, individuato ai sensi dell'art. 2639 c.c..

La norma incriminatrice di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, come da tempo affermato da questa Corte, tende, tra l'altro, anche a tutelare l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela; sicché, nel caso in cui le scritture siano state tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, la disposizione circoscrive nel perimetro della rilevanza penale ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari. Da tempo è stato chiarito come tale ultimo addebito si riferisca ad una condotta a forma libera che, in realtà, comprende ogni ipotesi di falsità, sia materiale che ideologica, posto che proprio l'agevole svolgimento delle operazioni della curatela non può che essere ostacolata non solo da falsità materiali dei documenti, ma anche - e soprattutto - da quelle ideologiche, che forniscono un'infedele rappresentazione del dato contabile (Sez. 5, n. 3115 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Clementoni, Rv. 249267; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189812).

In linea con tale linea interpretativa, va ulteriormente chiarito che la parziale omissione del dovere annotativo, che riguardi uno o più libri contabili, integra la fattispecie di bancarotta documentale a dolo generico; ciò in quanto la singola, omessa annotazione, o anche l'annotazione parziale, presuppongono, in ogni caso, l'esistenza della scrittura contabile di riferimento, elemento imprescindibile per la configurazione della bancarotta a dolo generico; inoltre, tali condotte di falsificazione ideologica, che rendono lacunosa e/o incompleta la rappresentazione contenuta nella scrittura, concretano, in sostanza, altrettante falsificazioni per omissione, valutabili ai fini di una impossibilità o difficoltà nella ricostruzione delle vicende contabili e patrimoniali dell'impresa (Sez. 5, n. 3114 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, Zaccaria, Rv. 249266).

La distinzione delle due fondamentali categorie di manifestazione della condotta penalmente rilevante in tema di bancarotta fraudolenta documentale è stata di recente affrontata anche sotto l'aspetto della individuazione del discrimine tra la condotta di falsificazione integrante la bancarotta documentale, di cui alla prima parte della disposizione incriminatrice, punita a titolo di dolo specifico, e quella concernente la condotta di cui alla seconda parte dell'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, punita a titolo di dolo generico. In tal senso è stato chiarito che "la condotta di falsificazione delle scritture contabili integrante la fattispecie di bancarotta documentale prevista dalla prima parte della norma da ultima citata può avere natura tanto materiale che ideologica, ma consiste comunque in un intervento manipolativo su una realtà contabile già definitivamente formata.

La condotta integrante la fattispecie di bancarotta documentale "generica" si realizza sempre, invece, con un falso ideologico, che si caratterizza per la contestualità alla tenuta della contabilità. In altri termini, l'annotazione originaria di dati oggettivamente falsi nella contabilità (ovvero l'omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall'art. 216, comma 1, n. 2) legge fall." (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Montanari Silvio, Rv. 278321).

Sempre in riferimento all'aspetto relativo all'elemento soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale "generica", vanno richiamate alcune significative pronunce, meno recenti, le quali avevano chiarito come in tale ipotesi l'elemento soggettivo debba essere individuato nel dolo intenzionale, ciò in quanto la finalità dell'agente è riferita ad un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva, cioè l'impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell'impresa, anziché ad un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, qual è il pregiudizio per i creditori (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189812).

Tale opzione ricostruttiva appare ancor più condivisibile se messa in relazione con un ulteriore profilo, che accomuna le fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale: sotto l'aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realtà, sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilità, che l'omessa tenuta della stessa - totale o parziale che sia -, ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilità ricostruttiva dell'andamento dell'azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale. Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento (o falsificazione nei termini chiariti dalla sentenza Montanari, citata), è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l'ingiusto profitto che l'agente intende raggiungere, per sé o per terzi), che costituisce il fuoco dell'elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma; le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalità della condotta che, pur non costituendo l'evento del reato, individuano l'atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

L'assetto attuale raggiunto dall'evoluzione ermeneutica in sede di legittimità non può essere compreso adeguatamente se si prescinde dalla ricostruzione delle pronunce più risalenti, che avevano oscillato nella individuazione dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta documentale descritto dalla seconda parte della norma di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare: era stato, infatti, affermato che "La bancarotta documentale prevista dalla seconda ipotesi, di cui all'art. 216, comma 1 n. 2 seconda ipotesi legge fallimentare, è caratterizzata dalla tenuta delle scritture ‘in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; con questa espressione la legge indica oltre ad un aspetto obiettivo della fattispecie, lo scopo cui deve tendere l'agente, e quindi il dolo specifico. Occorre, quindi, l'intenzione di impedire le conoscenze relative al patrimonio o al movimento degli affari, ma non occorre l'intenzione di recare pregiudizio ai creditori, e neanche la rappresentazione di questo pregiudizio, che non sono richieste nella disposizione di legge citata." (Sez. 5, n. 6650 del 22/01/1992, Zampini, Rv. 190499); secondo altro orientamento, invece, "L'art. 216, n. 2 L. Fall., per l'ipotesi di tenuta dei libri e delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, prevede il semplice dolo generico, consistente nell'intenzione dell'imprenditore di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione appunto del patrimonio o del movimento degli affari. Tale intenzione cela, di per sé, sul piano pratico lo scopo di danneggiare i creditori o di procurarsi un vantaggio, ed è per ciò che per quest'ultima ipotesi, a differenza di quelle di sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e scritture contabili, non è espressamente richiesto, dalla norma in esame, un particolare dolo specifico" (Sez. 5, n. 4735 del 24/03/1981, Benassi, Rv. 148926).

In realtà, nonostante la differenza strutturale, quanto all'elemento soggettivo, le due fattispecie di bancarotta documentale descritte dalla norma risultano accomunate dalla dimensione dell'accertamento, in quanto, come già condivisibilmente rilevato, "alle diverse configurazioni del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non corrisponde una sostanziale diversificazione nell'onere probatorio per l'accusa, perché è pur sempre necessario escludere in entrambi i casi la rilevanza di un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell'imprenditore fallito (Cass., sez. 5, 6 dicembre 1999, Amata, m. 216267). Infatti un atteggiamento di superficialità caratterizza la bancarotta documentale semplice, che può essere caratterizzata "dal dolo o indifferentemente dalla colpa, che sono ravvisabili quando l'agente ometta, rispettivamente, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture" (Cass., sez. 5, 18 ottobre 2005, Dalceggio, m. 233997)." (Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550, in motivazione).

Sotto tale aspetto, quindi, un primo profilo nevralgico da sottolineare è rappresentato dalla necessità, nel caso della bancarotta fraudolenta a dolo generico, di individuare l'aspetto discretivo - quanto all'elemento soggettivo rispetto alla bancarotta documentale semplice, in riferimento alla quale pacificamente si ritiene che esso possa consistere, indifferentemente, nella colpa - ossia nella semplice negligenza nella tenuta delle scritture contabili - ovvero nel dolo, che, in entrambi i casi è qualificato come dolo generico.

Questa Corte regolatrice ha, da tempo e con orientamento incontrastato, affermato che il reato di cui al comma 1, n. 2, ultima parte dell'art. 216 legge fallimentare richiede il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture "con la logica ed immanente consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore, e non anche la volontà dell'effetto di rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari" (Sez. 5, n. 6769 del 18/10/2005, dep. 23/02/2006, Dalceggio, Rv. 233997), mentre quello di bancarotta semplice è punibile sia a titolo di dolo che di colpa, per cui è configurabile sia che l'agente, consapevole dell'obbligo della tenuta dei libri e delle scritture ometta di tenerli con coscienza e volontà, sia che l'obbligato, per l'attività che esplica, ometta di tenerli per negligenza o anche per ignoranza delle disposizioni di legge, ignoranza che in siffatte ipotesi non scusa risolvendosi in ignoranza della legge penale.

Tuttavia, proprio tale assetto costituisce la spia del fatto che possa essere, in concreto, difficile discernere tra le due ipotesi di reato, posto che la diversità dell'oggetto giuridico non appare dirimente, in quanto esso può anche coincidere, considerato che la bancarotta documentale semplice riguarda le sole scritture obbligatorie, mentre quella fraudolenta anche tutte quelle scritture che risultano funzionali alla vita dell'impresa, come indicato dall'art. 2214 c.c., comma 2, ossia qualsiasi documento contabile, relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione e quindi, a maggior ragione, le scritture obbligatorie.

Per quanto la fattispecie di bancarotta documentale semplice sia un reato di pericolo presunto, la cui sussistenza si sostanzia nel mero inadempimento di un precetto formale, ossia quello individuato dall'art. 2214 c.c., comma 1, oltre che reato di pura condotta, che si realizza anche quando non si verifichi in concreto alcun danno per i creditori, nella prassi giudiziaria è emerso evidente come la distinzione tra le fattispecie incriminatrici, che hanno un indiscutibile nucleo in comune, passi anche attraverso una chiara qualificazione dell'elemento soggettivo.

Il che rende esplicita l'impostazione ricostruttiva di tutte le pronunce che hanno sottolineato come il requisito dell'impedimento della ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito sia del tutto estraneo al fatto tipico descritto dall'art. 217, comma 2, legge fallimentare, costituendo, invece, la peculiare modalità che connota la condotta della fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, seconda parte, legge fallimentare (Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, dep. 24/03/2021, Cammarota Mauro Nicola, Rv. 280729; Sez. 5, n. 32051 del 24/06/2014, Corasaniti, Rv. 260774; Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 03/02/2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 48523 del 06/10/2011, Barbieri, Rv. 251709; Sez. 5, n. 26907 del 07/06/2006, Catalano e altri, Rv. 235006); in continuità con tale impostazione, pertanto, rilevano anche gli arresti non recenti, ma assolutamente condivisibili dal punto di vista ricostruttivo, che hanno individuato nel dolo intenzionale l'elemento soggettivo della bancarotta documentale "generica" (per tutte: Sez. 5, n. 1137 del 17/12/2008, dep. 13/01/2009, Vianello e altri, Rv. 242550).

Quanto occorre, a questo punto, ribadire è che la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale "generica", sin qui delineata - nonostante quanto si legge in alcune pronunce, forse frutto di una non sufficiente meditazione delle categorie coinvolte - non è un reato di evento, nel senso che l'impedimento nella ricostruzione del volume degli affari o del patrimonio del fallito non rappresenta affatto l'evento del reato; se così fosse infatti, la struttura della fattispecie non potrebbe che essere a dolo specifico.

Al contrario, tale situazione di impossibilità o estrema difficoltà ricostruttiva costituisce una peculiare modalità della condotta che, come visto, interagisce sull'elemento psicologico nella sua connotazione di dolo intenzionale, secondo la ricostruzione che appare maggiormente condivisibile.

2.4 L'esclusione del dolo specifico in riferimento alla bancarotta documentale concernente la modalità di tenuta delle scritture contabili - condotta sorretta dal dolo generico, consistente nell'intenzione di rendere impossibile o difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, ossia nella consapevolezza, da parte dell'agente, che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione, in quanto la locuzione "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari" connota la condotta e non la volontà dell'agente, (Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, dep. 03/02/2014, Manfredini, Rv. 258881; Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010, Laudiero, Rv. 247444; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, De Simone, Rv. 189813) - non consente, tuttavia, alcuna scorciatoia probatoria.

E' stato, infatti, evidenziato, come l'affermazione di responsabilità in relazione a tale fattispecie non possa derivare dalla mera constatazione dello stato delle scritture contabili, da cui si faccia derivare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato; al contrario, infatti, è necessario, con metodo inferenziale, chiarire dalle modalità della condotta contestata la ragione e gli elementi sulla base dei quali l'imputato abbia avuto coscienza e volontà di realizzare l'oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio o il movimento degli affari e non, invece, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture, senza valutare le conseguenze di tale condotta, considerato che, in tal caso, viene integrato l'atteggiamento psicologico del diverso e meno grave reato di bancarotta semplice, di cui all'art. 217, comma 2, legge fallimentare.

In particolare, si è rilevato come il dolo generico possa essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall'accertata responsabilità dell'imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta la modalità fenomenica dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato, e', di regola, funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale (Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Scarponi Roberto, Rv. 283659; Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani Noris, Rv. 276910; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384; Sez. 5, n. 172 del 07/06/2006, dep. 09/01/2007, Vianello e altro, Rv. 236032).

In ultima analisi, alla luce del percorso ermeneutico sin qui analizzato, ciò che deve essere escluso, in riferimento alla struttura del dolo nella bancarotta fraudolenta documentale "generica", è la configurabilità del dolo eventuale, difficilmente compatibile con la struttura della fattispecie come sin qui delineata. In tal senso, e per completezza argomentativa, va ricordato anche l'approdo ermeneutico in riferimento all'amministratore che rivesta tale ruolo solo formalmente, secondo cui il prestanome degli effettivi gestori della società fallita risulta senza alcun dubbio il destinatario dell'obbligo relativo alla regolare tenuta e conservazione dei libri contabili, sancito dall'art. 2392 c.c., non essendo egli esonerato dal dovere di vigilanza sull'operato di soggetti terzi, eventualmente delegati, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2; tuttavia, non può, per effetto di una sorta di automatismo, affermarsi la responsabilità dolosa per condotte incriminate dalla legge fallimentare sulla base della mera carica ricoperta e dell'integrazione dell'elemento materiale del reato.

La pronuncia che meglio e più chiaramente ha definito tale aspetto (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280), ha ribadito la necessità di dimostrare l'effettiva e concreta consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno, pena il travolgimento del principio costituzionale della personalità della responsabilità penale (conformi: Sez. 5, n. 34112 del 01/03/2019, Alessio, non massimata; Sez. 5, n. 40487 del 28/05/2018, Bruccoleri, non massimata; Sez. 5, n. 40176 del 02/07/2018, Mastroeni, non massimata; Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, Demajo, Rv. 257950; Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Liberati, Rv. 232816).

Tale approdo, peraltro, non è contraddetto dall'orientamento (espresso, ad esempio, da Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Succi, Rv. 247251) secondo cui la responsabilità del soggetto, investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, possa ritenersi solo sulla base del diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, diversamente da quanto si verifica per l'ipotesi della distrazione, per la quale, invece, la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto.

Ed infatti, è stato condivisibilmente osservato, nella motivazione della sentenza La Porta, citata, come le pronunzie che si riconoscono in tale orientamento "solo incidentalmente si sono occupate del contenuto del dolo della bancarotta documentale ascritta all'amministratore formale, riguardando le rispettive decisioni contestazioni di bancarotta patrimoniale. In secondo luogo ciò che affermano è che nei confronti dell'amministratore formale, sul piano della prova, sussista una presunzione semplice di conoscenza della situazione contabile, senza con questo voler negare l'irrilevanza della componente rappresentativa del dolo."

In tal senso, quindi, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale, pur non essendo necessario che l'amministratore formale si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità, e', nondimeno, necessario che l'abdicazione dagli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità che i soggetti a cui ha consentito di gestire la società alterino fraudolentemente la contabilità, impedendo o rendendo più difficile agli organi fallimentari la ricostruzione del patrimonio e del volume d'affari della fallita, oppure la sottraggano agli organi fallimentari o la omettano in danno dei creditori o per un ingiusto profitto e, ciò nonostante, decida di non esercitare i suoi poteri-doveri di vigilanza e controllo per evitare che ciò accada (Sez. 5, n. 44666 del 04/11/2021, La Porta Stefania, Rv. 282280).

Seppure, quindi, l'accettazione della carica conferisca doveri di vigilanza e controllo specifici, discendenti dalla corrispondente posizione di garanzia, la cui violazione comporta responsabilità penale, a titolo di dolo generico, non si può prescindere, per poter muovere l'addebito di consapevole mancanza di condotta impeditiva del fatto illecito, dalla rappresentazione, da parte del soggetto, della situazione anti-doverosa, ossia la prefigurazione delle conseguenze della stessa o, nella prospettazione del dolo eventuale, l'accettazione del rischio del loro accadimento. In caso contrario, attribuendo con un non condivisibile automatismo la responsabilità per fatto commesso dal terzo, si rischia di ledere non solo il principio di personalità della responsabilità penale, ma anche di tramutare il dolo della bancarotta fraudolenta in un addebito a sfondo mera mente colposo.

Ne risulta, dunque, la necessità che il giudice fornisca adeguata motivazione circa la possibilità, non soltanto astratta e presunta, ma reale, della conoscenza, da parte del prestanome, dello stato delle scritture ovvero della loro preordinata omessa tenuta, in guisa tale da cagionare l'effetto di impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi di dolo specifico, di procurare un danno al ceto creditorio o un ingiusto profitto a taluno.

Unicamente nei sensi precisati, quindi, in coerenza con la struttura del dolo di cui all'art. 40 c.p., comma 2, appare possibile qualificare il dolo dell'amministratore apparente come eventuale, in riferimento alla bancarotta documentale fraudolenta di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, prima e seconda parte, legge fallimentare, fattispecie per la quale, invece, si ribadisce che debba essere esclusa tale tipologia di dolo nel caso del soggetto che eserciti effettivamente, quale legale rappresentante di diritto o di fatto, la direzione dell'impresa, ribadendosi, in tale ipotesi, la dicotomia dolo generico intenzionale e dolo specifico, in riferimento alle diverse manifestazioni della condotta.

2.6 Venendo ora ad analizzare la bancarotta documentale a dolo specifico, consistente nella sottrazione, distruzione od omissione delle scritture contabili (escludendo, quindi, la condotta di falsificazione esercitata su scritture contabili in origine regolarmente tenute, pur essa connotata dal dolo specifico, di cui si è già detto in precedenza), occorre ricordare che la condotta di omessa tenuta delle scritture non rientra tra quelle alternativamente descritte dalla disposizione normativa, posto che tale condotta e', invece, richiamata unicamente dall'art. 217, comma 2, legge fallimentare, in cui si considera la condotta del fallito che "durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritte dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta".

L'elaborazione giurisprudenziale di legittimità, tuttavia, da tempo, ha delineato la ricostruzione della relativa condotta omissiva che, se sorretta dal dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori o di recare a sé o ad altri un ingiusto profitto, integra gli estremi della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 39808 del 23/09/2022, Lamanna Francesco, Rv. 28380; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi Stefano, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi Angelo, Rv. 276650; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, P.M. in proc. Di Cosimo, Rv. 262915; Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, De Mitri e altri, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11279 del 16/02/2010, Acciuolo e altro, Rv. 246370; Sez. 5, n. 32173 del 11/06/2009, Drago; Rv. 244494; Sez. 5, n. 9103 del 25/06/1992, Ruzza, Rv. 191662).

In sostanza, il percorso ermeneutico che si dipana attraverso le citate pronunce (peraltro elencate in maniera non esaustiva) consente di affermare alcuni principi ormai acquisiti nell'elaborazione di questa Corte di legittimità.

Anzitutto, perché l'omissione annotativa integri la fattispecie alternativamente prevista dalla prima parte dell'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, è necessaria la sussistenza del dolo specifico. In presenza di questa condizione, afferente l'elemento soggettivo del reato, non è necessario che detta omissione annotativa sia perdurata per tutta la vita dell'impresa, né che essa riguardi tutte le scritture contabili, ben potendo essere parziale, sia in riferimento all'oggetto che in riferimento allo sviluppo, potendo essa manifestarsi sia in senso diacronico che sincronico.

Ciò, peraltro, emerge inequivocabilmente dal testo della disposizione normativa, che chiarisce come la condotta riguarda "...in tutto o in parte...." le scritture contabili, potendo, quindi, manifestarsi attraverso la radicale carenza di tutte o di parte delle scritture e dei libri contabili e non in una loro tenuta lacunosa, connotata da omissioni annotative, come già detto in precedenza.

Si e', inoltre, spiegato, ad ulteriore individuazione del discrimine tra le due fattispecie delineate dalla disposizione di cui all'art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, che la fraudolenta tenuta delle scritture, a dolo generico, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi.

In tal senso, quindi, deve ritenersi definitivamente superata ed assolutamente non più proponibile l'opzione ermeneutica secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, venivano ritenute condotte equivalenti la distruzione, l'occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l'omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili, sicché per la sussistenza del reato si riteneva sufficiente l'accertamento di una di esse e la presenza in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 8369 del 27/9/2013, dep. 2014, Azzarello, Rv. 259038; Sez. 5, n. 9435 del 12/6/1984, Kranaver, Rv. 166406; Sez. 5, n. 6967 del 11/05/1981, Cristofari, Rv. 148775).

Ribadita, quindi, la differenza strutturale tra le due categorie, da un lato quella che ricomprende l'omessa tenuta delle scritture, ovvero la loro distruzione o il loro occultamento, e, dall'altro, quella relativa alla fraudolenta tenuta delle stesse, deve osservarsi come risulti invalsa nella prassi, la modalità di contestazione della fattispecie secondo una formulazione alternativa, di omissione delle scritture contabili ovvero di tenuta delle stesse in guisa tale da non consentire la ricostruzione del volume d'affari e del patrimonio della fallita. Tale modalità di contestazione, che è del tutto legittima (da ultimo: Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati Una, Rv. 280572), nondimeno, non incide in alcun modo sulla individuata alternatività delle condotte, nel senso che, se in sede di accertamento emerga la fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari, anche nella forma della loro omessa tenuta, non può essere addebitata all'agente la fraudolenta tenuta delle medesime, proprio perché, come detto, tale ultima ipotesi implica un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli stessi organi fallimentari.

In tal senso si rende necessario un ulteriore chiarimento, partendo dalla premessa secondo cui la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale è strutturata come norma incriminatrice mista alternativa, il che significa che la disposizione incriminatrice prevede un unico reato che, tuttavia, può essere commesso con condotte diverse, ma equivalenti, ossia con condotte fungibili.

Ciò consente di spiegare la ragione per la quale si afferma che, una volta accertata la responsabilità in ordine alla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita, che richiede il solo dolo generico, diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, nel caso in cui - attraverso la detta modalità alternativa - siano contestate entrambe le condotte (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi e altro, Rv. 271753).

Tale approdo ermeneutico, per la verità non sempre adeguatamente approfondito, richiede, tuttavia, un chiarimento ulteriore.

Qualora emerga, sulla scorta di uno specifico accertamento, che la contabilità sia in parte omessa ed in parte irregolarmente tenuta, e che detta ultima situazione renda impossibile o complessa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, evidentemente proprio la descritta struttura della norma rende possibile non solo la contestazione alternativa, ma anche la sufficienza, ai fini della individuazione della fattispecie penalmente rilevante, dell'accertamento di una sola delle condotte, ancorché diversamente strutturate, purché risulti possibile configurare anche il relativo elemento soggettivo.

Ciò che, invece, non appare in alcun modo possibile è la confusione tra le due diverse condotte, data la loro specificità strutturale, sia sotto l'aspetto della condotta che dell'elemento soggettivo.

Il che significa, una volta contestata la condotta per la quale è richiesto il dolo specifico, che il giudice debba accertare la sussistenza delle prove in riferimento a tale ipotesi, non potendo, a fronte di una omessa tenuta della contabilità, anche parziale o limitata ad un determinato arco temporale, ritenere integrata, piuttosto, la condotta di tenuta irregolare della stessa.

Da ciò scaturisce, pertanto, l'esigenza che la contestazione, dapprima, e l'accertamento, poi, in sede di merito, siano assolutamente accurati e specifici quanto alla individuazione delle scritture che, concretamente, costituiscono l'oggetto della condotta. A fronte della possibilità che qualunque scrittura anche non obbligatoria - possa essere funzionale a rivelare condotte distrattive o, comunque, incompatibili con una corretta gestione imprenditoriale e tali da determinare un vantaggio ingiusto per l'imprenditore o un pregiudizio per il ceto creditorio, va affermato il principio secondo cui la motivazione del giudice di merito deve individuare e spiegare la concreta attitudine e, quindi, l'incidenza, volta per volta, delle scritture prese in considerazione rispetto a tali determinazioni fenomeniche; il che, quindi, presuppone, auspicabilmente, anche la chiara indicazione, sin dalla fase della contestazione, della funzionalità delle scritture, in riferimento alla specifica condotta posta in essere ed alla corrispettiva attitudine delle stesse, come individuate, ad incidere sulla rappresentazione contabile dell'azienda e sulla sua alterazione.

Per ribadire ulteriormente tale esigenza - spesso del tutto tralasciata in sede di merito - va ricordato quanto affermato da Sez. 5, n. 182 del 23/11/2006, dep. 09/01/2007, Piovesan e altro, Rv. 236045, in un caso in cui la falsificazione ideologica del verbale del CdA di una s.r.l. era stato posto a fondamento della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale amministrazione: "La bancarotta fraudolenta documentale mira alla tutela degli interessi creditori e della procedura, proscrivendo l'alterazione della rappresentazione contabile dei dati di gestione. Pertanto l'oggetto materiale del reato è rappresentato dal compendio contabile: la norma, con il richiamo ai "libri o le altre scritture contabili" si collega direttamente alla disposizione dell'art. 2214 c.c. che impone all'imprenditore la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, nonché delle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. Non vi è alcun dubbio, seguendo il tracciato letterale e l'oggetto della protezione assicurata dalla norma, che siffatto corredo si caratterizzi per la sua portata "contabile", con esclusione dei cd. "libri sociali" che rappresentano fatti di organizzazione interna all'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari. Che i "libri sociali" rappresentino un novero distinto ed autonomo rispetto ai "libri contabili" può dedursi dalla stessa lettera della norma: il legislatore ha fornito propria disciplina ai "libri sociali" nell'art. 2421 c.c., distinta ed ulteriore rispetto a quelli "contabili" ("oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'art. 2214 c.c. la società deve tenere ecc.") La falsificazione dei "libri sociali, quindi, risulta esterna alla sfera punitiva della L. Fall. Art. 216, comma 1, n. 2 (e L. Fall. art. 217, comma 2), a condizione - ovviamente - che l'alterazione dal vero (o la sottrazione, distruzione) non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione. Il verbale di consiglio di amministrazione, è atto previsto dall'art. 2421 c.c., comma 1, n. 4 (e non è rapportabile al tipologia documentale considerata dall'art. 2214 c.c.) e la sua falsificazione, salvo il caso di una incidenza diretta dell'alterazione sul quadro contabile, non determina la responsabilità per bancarotta fraudolenta documentale".

Tale esigenza si salda con il principio in precedenza ricordato - secondo cui gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica, o del dolo generico, nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica, non possono certamente coincidere con la mera scomparsa dei libri contabili o con la sola tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari - e, quindi, rende evidente come, in concreto, a fronte di fenomeni di distrazione, la prova della bancarotta documentale risulti indiscutibilmente più agevole.

Sicché, a fronte del dato fenomenico descritto dalla norma incriminatrice, ulteriori circostanze devono essere, volta per volta, individuate dai giudici di merito, funzionali a circoscrivere, in un caso, la finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio ai creditori, ovvero, nell'altro, la consapevolezza che l'irregolare tenuta della documentazione contabile sia in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio.

Appare evidente come tra le suddette circostanze assuma un rilievo fondamentale la condotta del fallito, nel suo concreto rapporto con le vicende attinenti alla vita economica dell'impresa, nel senso che, una volta accertati fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, il giudice di merito potrà, del tutto ragionevolmente, ricollegare, sul piano probatorio, la logica presunzione per la quale l'irregolare tenuta delle scritture contabili e', di regola, funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale, ovvero che l'omessa tenuta della contabilità, o le condotte ad essa equivalenti, sia funzionale alla detta dissimulazione di atti depauperativi, allo scopo di arrecare un pregiudizio ai creditori o avvantaggiare il fallito, ovvero terzi (tra le altre, Cass., Sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani Noris, Rv. 276910; Sez. 5, n. 23251 del 29/04/2014, Pavone, Rv. 262384).

Altrettanto palesemente risulta come le situazioni maggiormente problematiche siano da individuare in quei casi in cui non si ravvisano condotte distrattive di alcun tipo. Se non risulta elevata alcuna contestazione di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oppure sia intervenuta assoluzione per tale imputazione, va ribadita la necessità di una motivazione particolarmente rigorosa sull'elemento soggettivo dell'addebito di bancarotta fraudolenta documentale, perché in tal caso la prova non può giovarsi della presunzione per la quale l'irregolare tenuta delle scritture contabili è di regola funzionale all'occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale.

Ciò è ancora più vero nel caso della bancarotta fraudolenta documentale a dolo specifico che, come detto, può manifestarsi anche in forma di parziale omissione; in presenza di specifiche circostanze - come ad esempio, la coincidenza tra l'omissione e l'affermarsi di una condizione di insolvenza; l'accertamento di condotte distrattive specifiche; la totale irreperibilità del legale rappresentante dell'azienda o la mancata cooperazione dello stesso con gli organi della procedura fallimentare - è ben possibile argomentare come il quadro ricostruttivo appaia ragionevolmente incompatibile con un'ipotesi di trascuratezza colposa; in tal caso, quindi, è possibile ritenere il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, purché sorretto da adeguata motivazione che dia conto anche della specifica funzione delle scritture contabili e della finalizzazione della loro omissione alla determinazione dell'evento su cui deve cadere la rappresentazione e la volontà del soggetto agente.

Diversamente, nel caso in cui non siano ravvisabili elementi a sostegno del dolo specifico, va senza dubbio esclusa la possibilità di far rientrare la condotta in quella punita a titolo di dolo generico, la cui struttura fenomenica, come detto in quanto basata su scritture che, per quanto incomplete o inidonee alla ricostruzione dell'andamento dell'impresa, sono state sottoposte agli organi fallimentari - risulta del tutto eccentrica rispetto alla condotta omissiva, anche parziale.

In tali casi, se le circostanze della vicenda processuale non consentono di individuare compiutamente neanche una condotta di irregolare tenuta delle scritture contabili - ossia di altre scritture alterate e/o falsificate, diverse da quelle non rinvenute - si verifica, senza alcun dubbio, l'assenza di elementi circostanziali che consentano di individuare il dolo specifico della fattispecie, con la conseguenza che la condotta dovrà essere inquadrata in quella di cui all'art. 217, comma 2, legge fallimentare.

Conclusivamente, può affermarsi che in entrambi i casi di bancarotta fraudolenta documentale, sia sempre doveroso, da parte dei giudici di merito, specificare quali siano le scritture tenute in maniera decettiva ovvero le scritture omesse; tanto, in funzione della dimostrazione dell'impossibilità di ricostruzione o dello scopo, alternativo, di pregiudizio per i creditori o di ingiusto profitto di taluno, con correlativo onere di approfondimento della condotta per come emersa, tanto se essa rientri nel fuoco del dolo generico che di quello specifico.

2.7 Nella presente vicenda processuale, la Corte di merito ha completamente confuso le categorie dogmatiche, prescindendo anche da un doveroso approfondimento dei canoni ermeneutici elaborati da questa Corte, come sin qui sintetizzati.

Infatti, appare palesemente confliggente con tali principi l'aver affermato, quanto alla (Omissis) s.r.l., che la documentazione ricevuta dal curatore fosse incompleta e non utile a ricostruire l'ultimo triennio di vita della società, il che sembrerebbe introdurre una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale per omissione, non avendo, peraltro, la Corte di merito neanche specificato quale tipologia di documentazione fosse pervenuta al curatore.

In tal senso affermare, come si legge in sentenza, che la condotta complessiva dell'imputato manifestasse la volontà di nascondere le modalità di tenuta della documentazione, nella consapevolezza della loro confusione ed incompletezza e della inidoneità a ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari, costituisce un'affermazione inconcludente e congetturale, nella misura in cui sarebbe stato indispensabile individuare, dapprima, le scritture effettivamente rivenute, quindi descriverne la modalità di tenuta e, infine, argomentare sulla loro incompletezza e/o alterazione in funzione della impossibilità di ricostruzione dell'andamento contabile della società.

Quanto alle altre due società, la illogicità della motivazione appare ancor più manifesta, nella misura in cui la Corte territoriale dà atto della totale omissione delle scritture contabili ed afferma che, in ogni caso, non era stata raggiunta la prova del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori o di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto, in quanto l'omessa consegna delle scritture contabili alla curatrice aveva determinato l'impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari delle due predette società, circostanza di cui l'imputato aveva consapevolezza e volontà.

La Corte di merito, in sostanza, ha operato una inaccettabile confusione tra le due condotte, sovrapponendo differenti categorie concettuali e fornendo una motivazione assolutamente illogica, oltre che apparente, in relazione ad una fattispecie di reato in ultima analisi insussistente da punto di vista normativo, in quanto non corrispondente ad alcune delle condotte descritte dalla norma di riferimento.

Il primo motivo di ricorso risulta, quindi, fondato; ne discende l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma che, nella piena libertà valutativa del compendio probatorio, dovrà anzitutto specificare in concreto la condotta emersa ed inquadrarla - alla luce dei principi di diritto illustrati - in una della categorie normative di cui all'art. 216, comma 1, n. 1, legge fallimentare, prima o seconda ipotesi, ovvero in quella di cui all'art. 217, comma 2, legge fallimentare, chiarendo, in riferimento alla fattispecie eventualmente individuata, le ragioni per le quali ne ravvisi la sussistenza.

Gli altri motivi di ricorso restano, pertanto, assorbiti.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2023

Bancarotta fraudolenta: la parziale omissione del dovere annotativo è punita a titolo di dolo generico

bottom of page