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Indulto: rileva la data della sentenza dichiarativa di fallimento

Bancarotta fraudolenta documentale

Cassazione penale sez. V, 18/05/2018, n.40477

In tema di indulto, per determinarne il tempo di applicazione o di revoca, deve farsi riferimento alla data della sentenza dichiarativa di fallimento. (In motivazione, la Corte ha precisato che la consumazione dei reati di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto detta sentenza ha natura di elemento costitutivo del reato).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Monza in data 07/03/2014, con cui A.U. era stato condannato a pena di giustizia in relazione al reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, nn. 1 e 2, comma 3, art. 223, comma 1, - perchè, in concorso con altri, nella qualità di legale rappresentante della Compas s.r.l., cedeva a favore della Rose s.n.c., a titolo gratuito, l'avviamento, le giacenze di magazzino, gli stampi e l'indebito uso degli stessi per la produzione di modelli coperti da brevetto detenuto dalla Compas, del valore complessivo di Euro 500.000,00; l'importo complessivo di Euro 130.000,00 corrispondente a pagamenti effettuati in favore della Rose s.n.c. e privi di causale sottostante; distraeva l'importo di Euro 14.471,01, corrispondente al pagamento effettuato al cliente Ktitor a favore di Compas, riscosso in data 12/07/2006 e non versato nelle casse sociali, l'importo di Euro 280.365,16 relativo ad assegni emessi in favore di Z.A. senza causale sottostante, nonchè i locali della Compas s.r.l., cedendoli alla Compasitalia s.r.l. a titolo gratuito, per il valore di Euro 103.873,00 oggetto di nota di accredito a titolo di reso merce, quest'ultima non rinvenuta, ed, infine, l'importo di Euro 34.120,60 relativa al costo sostenuto dalla Compas per prodotti acquistati ed utilizzati dalla Compasitalia s.r.l.; distraeva, altresì, l'importo di Euro 31.750,00 relativo a bonifici effettuati in favore della E/GCE Global Consulting, senza alcuna relativa annotazione in contabilità; esponendo in contabilità crediti ancora da riscuotere, quando invece erano stati incassati, nonchè registrando movimentazioni contabili inattendibili per mancanza di corrispondenza tra incassi e pagamenti e storno di credito e di debiti, omettendo di procedere con sequenza progressiva nelle registrazioni su registri acquisti e vendite e sul libro giornale, omettendo di indicare nel conto finanziamento dei soci le movimentazioni relative a ciascun socio, omettendo di indicare nei conti di mastro e saldi di apertura e di chiusura, omettendo di aggiornare il libro beni ammortizzabili ed omettendo di indicare la descrizione dei beni e dei dati indispensabili per la identificazione del bene e del fornitore, teneva i libri e le altre scritture contabili della società in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; allo scopo di favorire, a danno dei creditori, la Banca Popolare di Sondrio, accreditava in data 25/11/2005 la somma di Euro 200.000,00 ed in data 29/11/2005 la somma di Euro 400.000, importo derivante dal versamento di Simest s.p.a. a favore della Compas s.r.l. di Euro 600.000,00 quale corrispettivo per l'acquisto di quote della Yugocompas e dietro concessione a favore della Simest s.p.a. di garanzia fideiussoria pari ad Euro 200.000,00 concessa dalla Banca Popolare di Sondrio e successivamente riscossa dalla Simest s.p.a., sul conto corrente n. 2155 aperto presso l'Agenzia di Desio della Banca Popolare di Sondrio, azzerava l'esposizione debitoria chirografaria dello scoperto di conto pari ad Euro 69.879,00, ed attraverso il versamento dell'importo di Euro 340.000,00 anticipava la copertura dei temporanei sconfinamenti che la Compas s.r.l. avrebbe generato a seguito di pagamenti effettuati movimentando il predetto conto corrente; con le aggravanti di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e di aver commesso più fatti tra quelli previsti dall'art. 216 L. Fall.; in (OMISSIS) - riduceva la pena inflitta all'imputato. 2. A.U., a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Carmelina Adamo, in data 09/11/2016 ricorre per: 2.1. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), anche sotto il profilo del travisamento della prova, avendo la Corte territoriale ritenuto la sussistenza di una condotta distrattiva nei confronti della società Rose s.n.c., a ciò preordinatamente costituita, benchè questa avesse un diverso oggetto sociale - occupandosi di triturazione di polipropilene e non di produzione di sedie per ufficio -; inoltre la crisi di liquidità della Compas s.r.l. rappresenterebbe semplicemente un dato tautologico, non essendo sufficiente la semplice cointeressenza tra le due società a dimostrare il depauperamento; quanto al valore delle giacenze di magazzino, la valutazione effettuata dal curatore, pari ad Euro 500.000,00, sarebbe del tutto inattendibile, come dimostrato dal fatto che anche la sentenza di primo grado aveva rilevato l'assenza di valore economico dei brevetti; nè si sarebbe realizzata alcuna distrazione di clientela in favore della Rose s.n.c., che, come dimostrato dall'istruttoria dibattimentale, aveva clienti del tutto diversi, data la diversità dell'oggetto sociale, tanto è vero che dopo il fallimento di Compas s.r.l. nessuno dei clienti di detta società aveva continuato ad operare con la Rose s.n.c., circostanza su cui la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare; d'altra parte, entrambe le sentenze di merito hanno affermato come non fosse quantificabile l'esatto ammontare della distrazione, il che, in altri termini, dimostrerebbe la carenza di prova circa la distrazione stessa, atteso che l'istruttoria dibattimentale avrebbe dimostrato che la valutazione delle giacenze di magazzino operata dalla curatela era arbitraria ed erronea, e lo spacchettamento clienti era residuale su clienti e forniture già di Compas. 2.2. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e), c.p.p., in riferimento alla distrazione di Euro 130.000,00 in favore della Rose s.n.c., avendo la difesa dato contezza del fatto che il ricorrente avesse utilizzato il detto importo per acquistare dalla Rose s.n.c. materiale plastico, attraverso le fatture da 1 a 5, e che, all'esito della vendita, vi era stato un residuo di materiale in magazzino, come da inventario redatto dal ricorrente, e come dimostrato dalla deposizione della teste A.S., ritenuta immotivatamente non attendibile; nè la Corte territoriale avrebbe considerato che la crisi di liquidità, di per sè, non possa costituire sintomo di condotta fraudolenta, trattandosi, invece, di un aspetto fisiologico della vita di un'azienda, nè risolutiva può apparire la crisi di produttività; peraltro, nessun rilievo, del tutto erroneamente, sarebbe stato dato alla circostanza costituita dalle rimanenze di magazzino di propilene, non potendosi, in ogni caso, attribuire particolare rilevanza alle lacune contabili, realizzandosi, quindi un'inversione dell'onere della prova a carico del ricorrente, non avendo la sentenze neanche adeguatamente dimostrato perchè il ricorrente avrebbe dovuto distrarre la somma di denaro per far fronte alle richieste del coimputato Z.A., non comprendendosi per quale ragione detto creditore avrebbe usufruito, in quella fase, di una via preferenziale; 2.3. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in riferimento alla distrazione di merce ceduta a titolo gratuito alla Compasitalia s.r.l., avendo la sentenza fondato la motivazione su un dato congetturale, costituito dal mancato rinvenimento della merce indicata nella fatture "reso merce", nonostante la dimostrazione, fornita dall'imputato, che la merce era stata oggetto di fornitura per clienti terzi, attraverso la produzione delle fatture di vendita; illogica, pertanto, sarebbe la motivazione della sentenza impugnata, che sposta l'onere della prova sull'imputato, senza neanche considerare che la contabilità della società fosse confusa e disordinata, il che giustificherebbe la circostanza che la fattura di reso fosse stata emessa dopo la vendita della merce stessa; 2.4. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in riferimento alla distrazione in favore della Compasitalia s.n.c., sostenendo il costo di merce per Euro 34.120,60, avendo la Corte territoriale omesso di considerare che la Compas s.r.l. prendeva in consegna le forniture aventi ad oggetto i prodotti della Compasitalia s.r.l., come dimostrato dai pagamenti intercorsi tra le due società e dalla deposizione del teste P.; 2.5. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla bancarotta documentale, atteso che risulta accertato come la contabilità fosse stata gestita esclusivamente dal Z.A., come riconosciuto anche dal primo giudice, e che l'imputato non avesse in alcun modo il controllo della contabilità, come dimostrato ampiamente dalla vicenda C., anche perchè egli non ne aveva le competenze, essendo, quindi, indimostrato anche l'elemento psicologico del reato; 2.6. violazione di norme processuali sancite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c), in riferimento all'art. 521 c.p.p., in relazione alla fattispecie di bancarotta preferenziale, in quanto detta imputazione era stata originariamente elevata anche a carico dello Z.A., il quale era stato ritenuto dal primo giudice vittima del reato, il che integra una violazione dell'art. 521 c.p.p., in quanto lo Z. è divenuto vittima del reato, nonostante l'originaria imputazione, con impossibilità, per il ricorrente, di potersi difendere; 2.7. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione alla bancarotta preferenziale, in quanto il denaro oggetto del pagamento costituiva un fondo vincolato per l'acquisto di quote di altra società, appartenente al Ministero delle Infrastrutture, su cui lo Z. non poteva esigere alcunchè, nè poteva rientrare nella disponibilità della Compas s.r.l.; 2.8. violazione di norme processuali sancite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, ex art. 606 c.p.p., lett. c), in riferimento all'art. 157 c.p., relativamente alla bancarotta preferenziale, estinta per prescrizione, atteso che il reato risulta consumato alla data del 20/10/2006; 2.9. vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, nonostante la transazione conclusa dall'imputato; 2.10. violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento alla mancata applicazione dell'indulto, dovendosi considerare la sentenza dichiarativa di fallimento come una condizione obiettiva di punibilità e non come elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che il momento consumativo deve essere individuato in quello delle singole condotte e non nella data della dichiarazione di fallimento. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è parzialmente fondato, nei sensi di seguito specificati. 1.I primi due motivi di ricorso, strettamente collegati tra loro dal punto di vista logico-argomentativo, appaiono pedissequamente reiterativi del gravame, come si evince dalla sentenza impugnata che, in riferimento alla distrazione in favore della Rose s.n.c., ha ricordato, a pag. 1 della motivazione, l'iter argomentativo seguito dal primo giudice, quindi, alla pag. 2, ha sintetizzato il motivo di gravame, sul quale ha fornito una motivazione del tutto immune da censure logiche, contenuta alle pagg. 4 e 5. In sintesi, come si evince dal compendio motivazionale delle sentenze di merito che, trattandosi di "doppia conforme", costituisce un unico corpus argomentativo, la Rose s.n.c. era stata costituita nel luglio 2004 allo scopo di diversificare la produzione di Compas s.r.l., come dichiarato dal ricorrente e dal coimputato Z., quest'ultimo successivamente assolto in appello; socie della nuova società risultavano la moglie e la nuora del ricorrente, che beneficiavano dei fondi pubblici stanziati per l'imprenditoria femminile, e la sede veniva fissata presso la precedente sede operativa della Compas s.r.l.. Il dato emerso dalle indagini del curatore era costituito dal fatto che, nonostante fosse stata costituita nel 2004, la Rose s.n.c. avesse iniziato a svolgere la sua attività produttiva proprio in coincidenza con la cessazione dell'attività della Compas s.r.l., nel maggio - giugno 2006; inoltre, nei magazzini della Rose s.n.c. venivano rinvenuti numerosi prodotti della Compas s.r.l., quali pezzi da assemblare per sedie, stampi e meccanismi brevettati, e risultava altresì che la Rose s.n.c. avesse preso in carico alcuni vecchi clienti della Compas s.r.l., di cui due certamente trattavano il prodotto finito e non solo il polipropilene. Sulla scorta di detti elementi il curatore valutava in Euro 500.000,00 il valore dell'azienda distratta, di cui otteneva il sequestro preventivo; la vertenza si era chiusa con una transazione, all'esito della quale la Compas s.r.l. riceveva una somma a titolo risarcitorio, qualificata considerevole dal primo giudice, argomento su cui il ricorso è rimasto del tutto silente. Sulla scorta delle emergenze dibattimentali era stata, quindi, ravvisata l'ipotesi distrattiva, rispetto alla quale le doglianze difensive contenute in ricorso si basano sulla mera rilettura di dati probatori in senso favorevole al ricorrente, il che, come noto, esula del tutto dal perimetro del giudizio di legittimità. La difesa, sostanzialmente, ha riproposto le medesime, parziali doglianze già esaminate dalla Corte di merito, dimenticando, ad esempio, oltre alla già ricordata circostanza della transazione, che la teste A.S., figlia dell'imputato, era stata ritenuta del tutto inattendibile sin dal primo grado di giudizio, in quanto il tentativo di dimostrare, attraverso la detta prova dichiarativa, che il polipropilene acquistato e non rivenduto fosse stato venduto agli stampatori, era rimasto del tutto privo di riscontro documentale. Ciò riguarda specificamente la fattispecie distrattiva di 130.000,00 Euro, effettuata in assegni bancari girati dall' A. direttamente alla Rose s.n.c. che, secondo la prospettazione difensiva, corrisponderebbero al pagamento di fatture per forniture di materiale plastico per complessivi kg. 105,450; inoltre, si era evidenziato come la circostanza che la Compas s.r.l., già in forte crisi di liquidità e di produttività, potesse avere operato un ingente ordinativo di materia prima alla fine del 2005, era già di per sè sospetta, diventando ancor più equivoca alla luce del mancato rinvenimento della merce stessa, di cui non poteva dare ragione l'inventario di magazzino redatto dall'imputato nel 2006 che, peraltro, dava conto solo di una minima percentuale del materiale, non comprendendosi neanche per quale ragione detto materiale avrebbe dovuto essere venduto dalla Compas s.r.l. piuttosto che dalla Rose s.n.c., essendo stata quest'ultima creata con questo scopo preciso. In tal senso il primo giudice aveva rilevato come l' A., a seguito della crisi dei rapporti con lo Z. - il cui ingresso nella compagine societaria era avvenuto in epoca prossima al dissesto della società -, per evitare le conseguenze scaturenti dalle pretese economiche del predetto, i rapporti con il quale erano poi peggiorati a seguito della sua separazione dalla moglie A.S., aveva evidentemente ritenuto di far defluire dalle casse della società l'importo del finanziamento ottenuto dalla Simest, utilizzando la descritta modalità operativa. La sentenza impugnata, a sua volta, come si evince dalla motivazione a pag. 4, ha ribadito come fosse stato impossibile verificare le asserite vendite all'estero da parte di Compas s.r.l., che potessero giustificare la mancanza dei beni di magazzino, mentre nei magazzini della Rose s.n.c. erano stati rinvenuti beni evidentemente di pertinenza della fallita; ha ribadito la circostanza che alcuni clienti presi in carico da Rose s.n.c. erano clienti di Compas s.r.l., e trattavano il prodotto finito e non solo il polipropilene; ha nuovamente sottolineato la coincidenza tra l'interruzione dell'attività di Compas s.r.l. e l'inizio di quella di Rose s.n.c., e la straordinaria confusione di attività anche tra Compas s.r.l. e Compasitalia s.r.l., quest'ultima una costola della prima; ha affermato che la valutazione del magazzino in Euro 300.000,00 era stata effettuata sulla base delle scritture contabili, non essendo stata diversamente giustificata la differente valutazione effettuata dall' A. in sede di inventario, pari ad Euro 75.000,00, atteso che i conti non tornerebbero neanche ammettendo che il valore di 300.000,00 Euro fosse riferito ai magazzino iniziale al 01/01/2006. Quanto alla distrazione di Euro 130.000,00, l'operazione si collocava in un periodo fortemente sospetto, in cui la Compas s.r.l. non aveva in cassa le somme per pagare, avendole prelevate dal finanziamento ottenuto da Simest s.p.a. all'inizio del 2006, essendo, in ogni caso, decisivo il fatto che del materiale trasformato non vi fosse alcuna traccia, non potendosi dare credito a quanto affermato dalla teste A.S., come in precedenza già rilevato, in assenza di traccia documentale, a fronte di una rimanenza di kg. 1.500 di polipropilene e di un acquisto iniziale di kg, 105.450. La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, ha considerato espressamente, come aveva già fatto il primo giudice, sia le fatture di acquisto sia l'inventario redatto dall'imputato, confutando specificamente le doglianze difensive sul punto. Appare di tutta evidenza, quindi, come la critica difensiva - secondo cui la crisi di liquidità di per sè non possa essere considerata sintomo di attività fraudolenta sia sicuramente condivisibile, e, tuttavia, nel caso in esame, essa si risolve in una critica del tutto parziale, atteso che la motivazione dei giudici di merito non si è affatto basata sulla sola crisi di liquidità, bensì su di un complesso di condotte coeve alla detta crisi di liquidità, ed altrimenti inspiegabili, se non in chiave distrattiva, alla luce di specifiche emergenze fattuali e della carenza di documentazione a sostegno della prospettazione difensiva alternativa, che la rendono, quindi, del tutto implausibile. 2. Quanto alla vicenda delle distrazioni coinvolgenti Compasitalia s.r.l., la sentenza impugnata, dopo aver esaminato i motivi di gravame, a pag. 5 ha osservato che le doglianze difensive non fossero condivisibili, data la genericità della fattura per reso merce, che non consentiva di effettuare alcun raffronto con le fatture di vendita all'estero della merce e, quindi, di non poter verificare che si trattasse della stessa merce. Quanto all'acquisto di merce per Euro 43.120,60, esso era da inquadrare in una gestione ordini confusa, di cui si è rilevata la incongruità, dato che la Compas s.r.l., sostanzialmente inattiva, acquistava beni poi utilizzati da Compasitalia s.r.l. che, a sua volta, la rivendeva a terzi. Compasitalia s.r.l., in realtà, era risultata essere una specie di vaso comunicante della Compas s.r.l. ormai in crisi, consentendole di operare sul mercato a magazzino e casse vuote, attraverso un meccanismo di reciproche forniture, di resi merce e di partite in compensazione, per cui Compas s.r.l. fronteggiava gli ordini della clientela con il magazzino di Compasitalia s.r.l., acquistava le forniture con le partite in compensazione, in un sistema di radicale confusione tra le due società, scaricando su Compas s.r.i. i costi ed attribuendo i ricavi, invece, a Compasitalia s.r.l.. In realtà, già il primo giudice aveva ampiamente spiegato come Compasitalia s.r.l. fosse stata costituita in data 11/07/2005, con sede operativa nei locali della Compas s.r.l., con il compito di commercializzare e distribuire i prodotti della Compas s.r.l., e che l'episodio distruttivo di Euro 103.873,00 era scaturito dal rinvenimento, da parte del curatore, di una fattura di "reso merce" di detto importo, alla quale, tuttavia, non corrispondeva alcuna merce rinvenuta presso i magazzini di Compas s.r.l., mentre le due fatture di vendita esibite dalla difesa per giustificare il mancato rinvenimento della merce - che, secondo la prospettazione difensiva, sarebbero state vendute ad un cliente turco ed a un cliente serbo - apparivano del tutto incongrue, in quanto risalenti ad un mese prima della fatture "reso merce" e non corrispondevano, nel totale degli importi, pari ad Euro 93.321,00, al valore della merce resa; quest'ultima, inoltre, era indicata in fattura in maniera del tutto generica, in quanto il documento era privo della descrizione dei prodotti, della loro quantità e del loro valore nominale, oltre che di qualsivoglia riferimento al documento di trasporto cui avrebbe dovuto riferirsi il reso, impedendo, in tal modo, di comprendere a quale fornitura precedentemente consegnata da Compas s.r.l. a Compasitalia s.r.l. si riferisse la nota di restituzione In relazione alla somma di Euro 34.120,60, inoltre, la sentenza di primo grado aveva evocato le deposizioni dei testi P., B. e C., tutti dipendenti di Compas s.r.l., i quali avevano riferito della confusione tra la gestione degli ordini e delle consegne tra le due società, apparendo il nome di Compas s.r.l. sugli ordini dei fornitori, mentre i pagamenti venivano incassati da Compaitalia s.r.l.; la deposizione del teste P., evocata dalla difesa in ricorso, era stata, quindi, ritenuta insufficiente già dal primo giudice, in quanto i pagamento che il teste aveva indicato erano risultati difficile riferibilità a singole operazioni; il primo giudice, quindi, aveva inquadrato detta vicenda in un più ampio contesto, in cui la Compasitalia s.r.l., così come la Rose s.n.c., costituiva una sorta di vaso comunicante per la gestione operativa e contabile della Compas s.r.l., ormai in piena crisi di liquidità, al fine di consentire a quest'ultima di continuare ad operare sul mercato. Ne consegue che, anche in relazione a dette vicende, riguardanti il terzo ed il quarto motivo di ricorso, le argomentazioni difensive non appaiono essersi confrontate con la complessiva motivazione delle sentenze di merito, risolvendosi, quindi, in doglianze reiterative del gravame e, in concreto, superate dalla motivazione, oltre che ai limiti dell'inammissibilità, in quanto basate su deposizioni testimoniali e documentazione di cui la Corte di legittimità non dispone. 3. Quanto alla bancarotta documentale - le cui connotazioni risultano ampiamente descritte dalle sentenze di merito, quanto alla caotica tenuta della contabilità medesima la difesa non contesta la sussistenza dei fatti, ma solo la riferibilità degli stessi all' A., affermando che ad occuparsi della contabilità fosse esclusivamente lo Z.. La Corte di merito, ripercorrendo le argomentazioni del primo giudice, ha osservato come l' A. avesse una profonda conoscenza dello stato economico della società, oltre ad essere colui che prendeva le decisioni di tipo gestionale, che, data la loro natura, erano strettamente ricollegabili alla modalità confusa di tenuta della contabilità. Anche in riferimento alla bancarotta documentale, quindi, i motivi sono reiterativi del gravame, oltre che evocativi di una vicenda - quella relativa all'asserita truffa patita dal C. - di cui questa Corte, in quanto giudice della legittimità, non può in alcun modo conoscere e che, in ogni caso, è semplicemente evocata, prescindendo da qualsivoglia ricorso al principio di autosufficienza del ricorso. 4. Fondata, invece, risulta la doglianza inerente il decorso del termine massimo di prescrizione della bancarotta preferenziale, pari ad anni sette mesi sei, in assenza di cause di sospensione del decorso della prescrizione; ne deriva, quindi, che il reato risulta estinto alla data del 20/04/2014, in epoca anteriore alla pronuncia della sentenza impugnata. Ne discende, sul punto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al reato di bancarotta preferenziale di cui al capo A3), estinto per prescrizione. Le altre doglianze riferite alla fattispecie di bancarotta preferenziale sono assorbite dalla declaratoria di prescrizione, dovendosi solo rilevare come, in ogni caso, non fosse neanche ipotizzabile alcuna violazione dell'art. 521 c.p.p., in quanto l'assoluzione in appello del coimputato Z. non aveva determinato alcun mutamento del fatto ascritto all' A., nè della condotta a questi attribuita. 5. In riferimento alle circostanze attenuanti generiche, la Corte di merito ha rilevato, con motivazione immune da censure logiche, come i rilievi difensivi sulla pena fossero parzialmente fondati e, pertanto, ha diversamente modulato, in favore dell'imputato, la pena inflitta, riducendola, anche alla luce della transazione conclusa dall'imputato, che è stata, quindi, specificamente valorizzata; la sentenza ha, tuttavia, considerato come fossero del tutto immutate le considerazioni poste a fondamento del già operato criterio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, alla luce del numero e della qualità delle circostanze aggravanti, evidenziate dal primo giudice. 6. Quanto all'applicazione dell'indulto, deve essere osservato, anzitutto, che trattasi di questione che può essere fatta specificamente valere in sede esecutiva, ricordandosi il consolidato orientamento di legittimità, secondo cui, potendosi ottenere l'applicazione dell'indulto in sede esecutiva, il motivo di ricorso circa l'omessa pronuncia del giudice del gravame sull'applicazione della causa estintiva della pena risulta inammissibile per carenza di interesse, salvo il caso in cui detta applicazione sia stata negata in sede di appello, cosa che, nel caso in esame, non si è verificato (Sez. 2, sentenza n. 21977 del 28/04/2017, Brancher, Rv. 269800; Sez. 2, sentenza n. 11186 del 09/02/2016, Dama, Rv. 266353). A ciò deve aggiungersi che, inoltre, la difesa non ha in alcun modo provato che le condotte ascritte al ricorrente fossero state poste in essere in epoca compatibile con l'applicazione dell'indulto; al contrario, deve dirsi che la data del commesso reato, coincidente con la sentenza dichiarativa di fallimento, è quella del 20/10/2006, quindi posteriore al limite normativo di applicazione dell'indulto, coincidente con il 02/05/2006. Quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, piuttosto che come condizione obiettiva di punibilità, va detto, per quanto di rilievo in questa sede, che il Collegio aderisce all'orientamento secondo cui, in tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento è un elemento costitutivo del reato e non una condizione oggettiva di punibilità; pertanto, il reato si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito (Sez. 5, sentenza 09/12/2014, dep. 23/04/2015, Caprara ed altri, Rv. 263244; Sez. 5, sentenza n. 48739 del 14/10/2014, Grillo Luigi, Rv. 261299; Sez. 5, sentenza n. 26548 del 19/03/2014, Nauner, RV. 260477; Sez. 1., sentenza n. 1825 del 06/11/2006, Iacobucci, Rv. 235793; Sez. 1, sentenza n. 4859 del 27/10/1994, dep. 17/01/1995, Ferrari, Rv. 200019). Come noto, un diverso, più recente, orientamento giurisprudenziale ha affermato, invece, che la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali alle condotte del debitore - di per sè offensive degli interessi dei creditori in quanto espongono a pericolo la garanzia di soddisfacimento delle loro ragioni - segue la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, sentenza n. 53184 del 12/10/2017, Fontana, Rv. 271590; Sez. 5, sentenza n. 4400 del 06/10/2017, dep. 30/01/2018, Cragnotti ed altri, Rv. 272256; Sez. 5, sentenza n. 13910 del 08/02/2017, Santoro, Rv. 269388). Nell'economia del presente ricorso non è di immediata rilevanza l'ulteriore approfondimento della problematica, se non in riferimento al profilo dell'indulto, in tal sede rilevante. A tale proposito va ricordato che proprio la sentenza Santoro, citata, ha osservato: "Quanto poi ai profili dell'amnistia e dell'indulto (art. 79 Cost., comma 3, che si sovrappone all'art. 151 c.p., comma 3 e art. 174 c.p., comma 3), l'unitaria considerazione degli istituti e il fatto che, come puntualmente rilevato in dottrina, anche l'amnistia, che pure costituisce causa di estinzione del reato, ha riguardo non all'aspetto offensivo di quest'ultimo, ma alla sua punibilità, giustificano la conclusione in base alla quale assume valore determinante il momento del verificarsi della condizione obiettiva di punibilità (e anche questa conclusione è coerente con i risultati raggiunti dalla giurisprudenza di questa Corte: v. Sez. 5, n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio, Rv. 213867)". Ne discende, quindi, secondo l'impostazione della detta pronuncia, che, operando l'indulto come causa estintiva della pena, la dichiarazione di fallimento assume rilevanza nella sua natura di provvedimento giurisdizionale - natura che non muta, sia che la si qualifichi elemento costitutivo del reato di bancarotta prefallimentare, sia che la si qualifichi condizione obiettiva di punibilità - e, come tale, costituisce il riferimento cronologico necessario al fine di valutare l'applicazione o meno dell'indulto. L'affermazione contenuta nella sentenza Santoro, in realtà, si fonda - come emerge testualmente - sul richiamo alla sentenza Di Maio, a sua volta ascrivibile ad un orientamento della giurisprudenza di questa Corte che, ancorchè in epoca non recentissima, ha affrontato il profilo inerente l'incidenza della sentenza dichiarativa di fallimento rispetto al termine di efficacia dell'amnistia o dell'indulto. In particolare la Sez. 5, sentenza n. 7814 del 22/03/1999, Di Maio ed altri, Rv. 213867, in motivazione, ha rilevato che: "Già con s.u. 25.1.58 (Castagno, Giust. pen. 1958; II, 513, nota), si è stabilito che la dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo dei delitti di bancarotta. Da allora la giurisprudenza è costante (cfr. sez. 5, 28.1.76, Galli; idem 9.6.87, Pirornallo, CED, rv. 176143; sez. 1, 17.1.95, Ferrari, proprio in materia di indulto; id. rv. 200019 e 25.6.96, rv. 205.164). In sintesi, il tempo di commissione dei reati di cui agli artt. 216,217,223 e 224 L. Fall., giusto l'art. 238 s. L. è quello che decorre dalla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, e questo è il tempo che va rapportato al termine di efficacia dell'amnistia o dell'indulto, se non altrimenti specificato dalla legge di previsione. L'assunto teorico che la dichiarazione di fallimento è da considerarsi condizione obiettiva di punibilità, non sposta il problema. Difatti, parte della dottrina ritiene che la condizione obiettiva di punibilità, seppure estranea al fatto (condotta, evento in senso proprio, elemento psicologico), è elemento costitutivo del reato, di cui la punibilità è carattere indefettibile. Altra distingue gli elementi essenziali della norma penale da quelli costitutivi di reato, e include tra i primi le condizioni previste dall'art. 44 c.p.. Ma non offre un'alternativa alla regola, ancorata al dato positivo di cui all'art. 158 c.p., che quando è prevista una condizione obiettiva di punibilità, il tempo di consumazione del reato si computa a far data dal suo verificarsi". Anche in precedenza era stato affermato che "Il momento consumativo dei reati di bancarotta si perfeziona all'atto della pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, ancorchè la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto la sentenza di fallimento rappresenta elemento costitutivo del reato di bancarotta, e non condizione oggettiva di punibilità. Ne consegue che, in materia di applicazione o di revoca dell'indulto, è alla data della sentenza dichiarativa di fallimento che occorre far riferimento, essendo del tutto ininfluente che la condotta sia cessata in epoca anteriore" (Sez. 1, sentenza n. 2392 del 11/04/1996, P.G. in proc. Magnini, Rv. 205164), ed ancor prima Sez. 1, sentenza n. 4859 del 27/10/1994, dep. 17/01/1995, Ferrari, Rv. 20019, e Sez. 5, sentenza n. 2487 del 09/12/1982, dep. 22/03/1983, Stabile, Rv. 158009, avevano qualificato la sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato, ritenendosi ininfluente la data di sottrazione dei beni dell'impresa, ai fini della consumazione del reato, dovendosi, invece, ritenere concretizzata la fattispecie penale prevista dalla normativa fallimentare solo quando il reato è completo di tutti i suoi elementi costitutivi, essendo altrimenti irrilevante, ai fini della realizzazione della fattispecie penale, la mera sottrazione dei beni, prima dell'intervento della sentenza dichiarativa di fallimento; pertanto, a quello specifico momento deve farsi riferimento per verificare se sia applicabile un provvedimento di amnistia o indulto, tenuto conto del termine di efficacia del beneficio. In realtà la considerazione, contenuta nella motivazione della sentenza Di Maio, citata, rinvia alle divergenti posizioni assunte dalla dottrina dell'epoca circa la qualificazione della condizione obiettiva di punibilità rispetto agli elementi essenziali del reato, dando atto - come si evince dalla motivazione della sentenza, in precedenza citata - di come parte della dottrina stessa tendesse ad assimilare la menzionata condizione all'alveo degli elementi costitutivi del reato. In tal senso si era espressa anche giurisprudenza di legittimità ancor più risalente, che aveva ancorato il momento consumativo dei reati, la cui punibilità sia dalla legge subordinata ad una condizione, concomitante o successiva alla esecuzione del fatto - ad eccezione delle condizioni aventi natura estrinseca, quali le condizioni di procedibilità, querela, richiesta ed istanza - al verificarsi della condizione stessa (Sez. 1, ordinanza n. 888 del 11/05/1973, Tintinero, Rv. 124696). La medesima pronuncia, inoltre, aveva affermato come il reato non si esaurisca unicamente nella condotta umana imposta o vietata, comprendendo, altresì, tutti gli elementi essenziali che compongono la fattispecie, ivi comprese le condizioni obiettive non facenti parte del precetto; ne consegue che il reato stesso si consuma allorquando tutti i predetti elementi vengono realizzati, nel luogo e nel momento in cui si realizza l'ultima componente. In particolare, inoltre, quanto al ruolo svolto dalla condizione di punibilità nell'economia del reato, era stato affermato che esso risulta essere rivelatore del bene giuridico che si è voluto tutelare, la cui lesione o messa in pericolo fa scattare la punibilità della condotta tipica, portando a compimento la previsione legislativa (Sez. 1, ordinanza n. 888 del 11/05/1973, Tintinero, Rv. 124697, Rv. 124698). In realtà, la nozione di condizione obiettiva di punibilità risulta del tutto sfuggente, sia perchè l'art. 44 c.p. non ne fornisce una definizione, sia perchè gli stessi lavori preparatori risultano assolutamente poco chiari in merito, il che ha consentito il proliferare, in dottrina, di contrastanti punti di vista, direttamente proporzionali all'elasticità del concetto, attraendo la categoria della condizione obiettiva di punibilità nell'alveo degli elementi funzionali all'integrazione del reato, come rilevato anche dalla giurisprudenza sin qui citata. Tuttavia, l'art. 44 c.p. si riferisce chiaramente alla "punibilità del reato", per cui appare più coerente con il dettato normativo ritenere che la condizione obiettiva di punibilità sia richiesta al fine di rendere applicabile la pena, a fronte di un reato ontologicamente sussistente e perfetto nei suoi elementi essenziali; al contrario, se si volesse ritenere la condizione di punibilità essenziale per la sussistenza del reato, la disposizione normativa avrebbe parlato di "punibilità del fatto". Ne discende che per detta ragione si ritiene di non condividere l'orientamento secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento sia una condizione obiettiva di punibilità, proprio in quanto il reato fallimentare, in assenza della sentenza dichiarativa di fallimento, non può essere considerato ontologicamente integrato in tutte le sue componenti essenziali. In tal senso, peraltro, si erano espresse anche le Sez. U, sentenza n. 2 del 1958, dep. 25/01/1958, Mezzo, Rv. 098004, secondo cui "La dichiarazione di fallimento, rispetto ai fatti di bancarotta che siano anteriori alla sua pronuncia, costituisce una condizione di esistenza del reato, oltre a determinare la punibilità. Pertanto si differenzia concettualmente dalla condizione obiettiva di punibilità, perchè mentre queste presuppongono un reato già perfetto oggettivamente e soggettivamente, essa inerisce, invece, così intimamente alla struttura del reato da qualificare quei fatti, i quali, come fatti di bancarotta sarebbero penalmente irrilevanti fuori del fallimento. Segnando la dichiarazione di fallimento il momento consumativo del reato di bancarotta, e cioè il momento in cui si realizza la fattispecie penale, ne discende, che ove essa sia successiva alla data di applicazione di un decreto di amnistia, detto beneficio è inoperante per il reato di bancarotta semplice, non potendosi ritenere estinto per amnistia un reato che non esista nel momento in cui questa è intervenuta". Del tutto chiaramente, quindi, detta pronuncia aveva attratto la sentenza dichiarativa di fallimento nell'area degli elementi costitutivi del reato di bancarotta, pur attribuendo ad essa rilievo determinante ai fini della punibilità della fattispecie, benchè non in quanto elemento estraneo alla struttura del reato, ma proprio in quanto elemento qualificante i fatti; proprio in ciò, quindi, la sentenza dichiarativa di fallimento si differenzia, secondo le Sezioni Unite Mezzo, dalla condizione obiettiva di punibilità, la cui nozione si colloca a valle di un reato strutturalmente completo in tutte le sue componenti. La medesima pronuncia, inoltre, aveva chiarito che "La condizione obiettiva di punibilità, quali che siano le incertezze in ordine alla esatta nozione della stessa, risponde alla caratteristica di non fare parte dell'insieme degli elementi necessari per la esistenza del reato, questo inteso come fatto lesivo di un interesse penalmente protetto." (Sez. U, sentenza n. 2 del 1958, dep. 25/01/1958, Rv. 098005). Come in precedenza ricordato, sul solco della citata pronuncia - quanto alla qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato e non come condizione obiettiva di punibilità - si è collocata la successiva giurisprudenza delle Sezioni semplici (Sez. 5, sentenza n. 478 del 08/05/1968, Giarraffa, Rv. 108678; Sez. 1, ordinanza n. 374 del 20/02/1973, Alessandrini, Rv. 124661; Sez. 5, sentenza n. 9567 del 16/05/1975, Trauchida, Rv. 130944; Sez. 5, sentenza n. 1484 del 09/11/1981, dep. 15/02/1982, Canalicchio; Rv. 152239; Sez. 5, sentenza n. 11237 del 12/10/1984, Caporaso, Rv. 167158, precisando che la precedente elencazione comprende unicamente le sentenze che hanno affrontato la qualificazione della pronuncia di fallimento in riferimento al profilo concernente l'applicazione dell'amnistia e dell'indulto), sino al più recente orientamento di segno contrario, inaugurato dalla sentenza Santoro, citata. Le Sezioni Unite, a loro volta, non sono tornate ex professo sull'argomento, se si eccettuano i passaggi motivazionali contenuti in Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Niccoli, Rv. 239398, ed in Sez. U, n. 24468 del 26/02/2009, Rizzoli, Rv. 243587. che hanno ribadito l'orientamento delle Sez. U Mezzo quanto alla natura di elemento costitutivo della bancarotta in riferimento alla sentenza dichiarativa di fallimento ed ai provvedimenti alla stessa equiparati. Più di recente, infine, va segnalato lo snodo motivazionale contenuto nelle Sez. U n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804, secondo cui "i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualsiasi momento essi siano stati commessi e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza. Non si richiede alcun nesso (causale o psichico) tra la condotta dell'autore e il dissesto dell'impresa, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (tra le più recenti: Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv 261683). La condotta, in altre parole, si perfeziona con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo (in caso, appunto, di bancarotta distrattiva prefallimentare) e comunque esterno alla condotta stessa." Detta argomentazione appare, evidentemente, orientata nel senso di qualificare la sentenza dichiarativa di fallimento come condizione obiettiva di punibilità, benchè, tuttavia, la questione sottoposta all'esame del massimo consesso di questa Corte, nel caso in esame, non fosse, specificamente, la natura della sentenza dichiarativa di fallimento. La presente sede processuale non rende possibile investire della questione le Sezioni Unite, attesa la sostanziale irrilevanza del profilo in esame, stante la possibilità di affrontare e risolvere per altra via, come visto, il motivo di ricorso concernente la possibilità di applicare l'indulto al caso in esame. Ciò che preme sottolineare, in ogni caso, è come l'aspetto relativo all'applicabilità dell'amnistia e dell'indulto ai reati di bancarotta, vada tenuto distinto da quello relativo alla decorrenza del termine di prescrizione del reato, non potendo trarsi dalla disposizione di cui all'art. 158 c.p. alcun elemento significativo per poter qualificare la sentenza dichiarativa di fallimento come elemento costitutivo del reato ovvero come condizione obiettiva di punibilità. Al contrario, il fatto che per il reato consumato il termine di prescrizione decorra dal momento stesso della sua integrazione, ossia dal perfezionamento del reato in tutti i suoi elementi essenziali - e quindi, nel caso della bancarotta prefallimentare, dal momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento - dovrebbe costituire ulteriore elemento a sostegno della tesi tradizionale in riferimento alla natura della sentenza dichiarativa di fallimento, proprio in quanto il comma successivo della medesima norma - secondo cui "Quando la legge fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata" - in realtà costituisce un argomento a favore della estraneità della condizione obiettiva di punibilità dalla struttura degli elementi essenziali del reato. In caso contrario, infatti, la norma sarebbe stata del tutto superflua, laddove la necessità di specificare che la condizione obiettiva di punibilità vada considerata al fine di individuare il termine di decorrenza della prescrizione, costituisce la dimostrazione che, in assenza di detta disposizione, la rilevanza della condizione obiettiva di punibilità sarebbe stata del tutto ininfluente in riferimento al decorso del termine di prescrizione, in quanto sarebbe stata applicata la disciplina generale di cui all'art. 158 c.p., comma 1. In tal senso, quindi, il Collegio ritiene che non possa condividersi la motivazione della sentenza Di Maio, citata, che traeva dall'art. 158 c.p., un argomento per ritenere che la condizione obiettiva di punibilità fosse da collocare nella categoria, lato sensu, degli elementi essenziali del reato. Il motivo di ricorso concernente la mancata applicazione dell'indulto, da parte della sentenza impugnata, va, pertanto, rigettato. Conclusivamente, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al reato di bancarotta preferenziale di cui al capo A3), in quanto estinto per prescrizione, impone che la stessa sentenza vada annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in ordine ai reati residui. Il ricorso, nel resto, va rigettato per le ragioni in precedenza illustrate. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di bancarotta preferenziale di cui al capo A3) per essere lo stesso estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in ordine ai reati residui. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 18 maggio 2018. Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2018
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