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Bancarotta semplice documentale: punibile anche a titolo di colpa

Bancarotta fraudolenta documentale

Cassazione penale sez. V, 19/10/2018, n.53210

La bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell'art. 42 cod. pen., che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di 'previsione espressa' non equivale a quella di 'previsione esplicita' e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12/07/2017, la Corte d'Appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Bergamo in data 05/02/2016, che aveva assolto per non aver commesso il fatto E.V. dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestata perchè in qualità di legale rappresentante dal (OMISSIS) della società "(OMISSIS) s.r.l." dichiarata fallita il (OMISSIS), in concorso con P.A. (precedente amministratore unico e di fatto), allo scopo di recare pregiudizio ai creditori e di procurarsi un ingiusto profitto, distruggeva o comunque occultava l'intera documentazione contabile della società, ha affermato la responsabilità penale dell'imputato per il reato di bancarotta semplice documentale, condannandolo alla pena di mesi 6 di reclusione e alle pene accessorie. La sentenza di primo grado lo aveva assolto dal reato di bancarotta fraudolenta documentale valorizzando le dichiarazioni dello stesso imputato rese alla Guardia di finanza, secondo il quale il precedente amministratore si era reso irreperibile ed egli aveva assunto la qualifica formale pochi mesi prima della dichiarazione di fallimento senza versare il corrispettivo delle quote sociali e senza poter visionare alcun documento contabile, in quanto, nonostante i continui solleciti al precedente amministratore P.A., questi non aveva provveduto mai a consegnargli la documentazione, ad eccezione dell'ultimo bilancio della società. Secondo la Corte territoriale, al contrario, risultava incontestabile la circostanza che la documentazione societaria fosse stata istituita dal commercialista incaricato (Studio (OMISSIS)) e consegnata in un successivo momento al P., quindi facilmente visionabile dall'imputato, che seppur mero prestanome, consapevolmente non si è mai preoccupato di acquisirla e conservarla; tanto premesso, riteneva responsabile l'imputato della condotta omissiva, riqualificando l'originaria imputazione nella meno grave fattispecie di cui all'art. 217, comma 2 e art. 223 Legge Fallimentare. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di E.V., Avv. Luciano Giulidori, deducendo i seguenti motivi di ricorso 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 442 e 546 c.p. per essere stata negata la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato: la Corte ha erroneamente calcolato la pena determinandola in mesi 6 di reclusione, pari al minimo di legge, senza considerare la diminuente del rito di cui all'art. 438 c.p.p., pari ad un terzo, alla cui stregua avrebbe dovuto determinare la pena finale in mesi 4 di reclusione. 2.2. Vizio di motivazione per mancato rispetto del canone di giudizio al di la di ogni ragionevole dubbio di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1: sotto un primo profilo, lamenta che la Corte abbia condannato l'imputato per la condotta omissiva nella tenuta delle scritture contabili della società in maniera apodittica, senza alcuna prova, e senza considerare il breve periodo di tempo in cui ha ricoperto la carica di amministratore (sei mesi), che gli avrebbe impedito di ottenere la consegna coattiva della documentazione contabile da parte del precedente amministratore. Sotto altro profilo, deduce la violazione del dovere di motivazione "rafforzata" e dell'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in caso di riforma di precedente sentenza assolutoria affermato dalle Sezioni Unite. 2.3. Violazione di legge in relazione all'art. 42 c.p. per erronea qualificazione giuridica del fatto: deduce la violazione dell'art. 42 cod. pen., che sancisce la necessità di una espressa previsione della punibilità a titolo di colpa, non menzionata nell'art. 217 legge fallimentare. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è fondato, in quanto la Corte di Appello, nel riqualificare il reato nella fattispecie di bancarotta semplice, ha individuato quale pena base il minimo edittale di sei mesi di reclusione, senza tuttavia calcolare la riduzione di 1/3 prevista per la scelta del giudizio abbreviato. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla pena detentiva, che va determinata ai sensi dell'art. 620 c.p.p., lett. l), in ragione della diminuente del rito prescelto, in mesi quattro di reclusione. 2. Infondata è, invece, la doglianza concernente la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in caso di riforma della precedente sentenza assolutoria. Invero, il principio secondo cui il giudice di appello che riformi la sentenza assolutoria di primo grado sulla base di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa ritenuta decisiva è obbligato, anche d'ufficio, a rinnovare l'istruzione dibattimentale - principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267489), anche con riferimento all'ipotesi di giudizio abbreviato (Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, Rv. 269785) -, si riferisce alla diversa valutazione probatoria di una fonte dichiarativa decisiva. Nel caso in esame, al contrario, la riforma della pronuncia assolutoria non è stata basata sul diverso apprezzamento di una fonte dichiarativa nell'assunto difensivo, il curatore fallimentare e i militari della G.d.F. -, bensì su una diversa interpretazione della fattispecie concreta, fondata sulla medesima piattaforma probatoria, e su una valutazione logica e complessiva dell'intero compendio probatorio. In altri termini, l'obbligo di rinnovazione diviene attuale solo allorquando venga in rilievo un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una prova dichiarativa, non, altresì, quando la valutazione di attendibilità rimanga inalterata, mutando, come nel caso in esame, la valutazione del compendio probatorio o l'interpretazione della fattispecie incriminatrice. In tal senso, del resto, è la stessa giurisprudenza della Corte EDU che ha delimitato l'obbligo di rinnovazione, affermando che "la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere soddisfatto da una semplice lettura delle sue dichiarazioni" (Corte EDU, Sez. 3, 14 giugno 2011, Dan c/ Repubblica di Moldavia). Analogamente, nella giurisprudenza di questa Corte, è stato affermato che, nel caso di condanna in appello, non sussiste l'obbligo di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale qualora il giudice abbia riformato la sentenza assolutoria di primo grado non già in base al diverso apprezzamento di una prova dichiarativa, bensì all'esito della differente interpretazione della fattispecie concreta, fondata su una complessiva valutazione dell'intero compendio probatorio (Sez. 5, n. 42746 del 09/05/2017, Fazzini, Rv. 271012; conf. non massimata n. 42771 del 2017), e che non sussiste l'obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell'assoluzione, quando l'attendibilità della deposizione è valutata in maniera del tutto identica dal giudice di appello, il quale si limita a procedere ad un diverso apprezzamento del complessivo compendio probatorio ovvero ad una diversa interpretazione della fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 33272 del 28/03/2017, Carosella, Rv. 270471). E', dunque, la diversa valutazione dell'attendibilità di una prova dichiarativa, strettamente connessa al canone dell'oralità, a fondare l'obbligo di rinnovazione, non già, di per sè, la diversa valutazione del complessivo compendio probatorio, nella sua inalterata dimensione dimostrativa; chè, altrimenti, si imporrebbe una inutile superfetazione processuale, per l'audizione di una fonte il cui contenuto e la cui attendibilità sono rimasti inalterati nel corso del procedimento, anche allorquando la fallacia risieda non già nel giudizio di attendibilità, ma nel ragionamento probatorio, in quanto contraddittorio o illogico. Conclusione, del resto, che appare riaffermata anche dalle Sezioni Unite infra richiamate, secondo cui "neppure può ravvisarsi la necessità della rinnovazione della istruzione dibattimentale qualora della prova dichiarativa non si discuta il contenuto probatorio, ma la sua qualificazione giuridica" (Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, p. 10). Non appare, al riguardo, ridondante sottolineare le differenze tra le categorie logiche dell'"interpretazione", quale attività di ricostruzione ed individuazione dei confini astratti della norma applicabile nel rapporto di interazione tra fattispecie astratta e fatto concreto, della "discrezionalità", relativa alla fase di ricostruzione, individuazione e/o concretizzazione dei concetti c.d. elastici della norma applicabile al caso concreto, e della "valutazione" delle prove, relativa alla fase di accertamento del fatto concreto: ebbene, nel caso in esame, l'obbligo "convenzionale" di rinnovazione non ricorre, in quanto l'affermazione di responsabilità penale, in riforma della precedente pronuncia assolutoria, è fondata su una valutazione logica e complessiva dell'intero compendio probatorio, immune dalle censure di contraddittorietà ed illogicità che calamitava la pronuncia assolutoria, in ragione del ragionamento probatorio atomistico e parcellizzato. Ciò che non viene in rilievo, in altri termini, è un diverso apprezzamento dell'attendibilità delle fonti dichiarative, in quanto la sentenza impugnata ha fondato l'affermazione di responsabilità sulla esclusiva valutazione della documentazione acquisita al fascicolo, attestante l'avvenuta istituzione delle scritture contabili, la restituzione delle stesse da parte del commercialista incaricato al precedente amministratore ( P.A.), la conoscenza dell'esistenza delle scritture da parte dell'odierno ricorrente, che aveva visionato l'ultimo bilancio, e la condotta inerte mantenuta dal nuovo amministratore nella acquisizione e tenuta delle stesse scritture. 2.1. Le doglianze relative alla valutazione probatoria della condotta omissiva, formulate dal ricorrente, sono invece inammissibili, in quanto propongono motivi eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Peraltro, il breve periodo in cui l'imputato ha assunto il ruolo di amministratore di diritto, dedotto dal ricorrente quale causa di esclusione della punibilità, oltre a non rivelarsi tale da rendere impossibile l'acquisizione della documentazione contabile della società, avendo l'imputato rivestito la carica per oltre sei mesi, non escluderebbe profili di illiceità penale, divenendo l'obbligo di tenuta delle scritture contabili attuale con la stessa assunzione della qualità di amministratore. 3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la bancarotta semplice documentale è punibile anche a titolo di colpa, a ciò non ostando il tenore dell'art. 42 cod. pen. che esige la previsione espressa della punibilità di un delitto a titolo di colpa, in quanto la nozione di "previsione espressa" non equivale a quella di "previsione esplicita" e, nel caso della bancarotta semplice documentale, la previsione implicita è desumibile dalla definizione come dolosa della bancarotta fraudolenta documentale (Sez. 5, n. 38598 del 09/07/2009, Romano, Rv. 244823); il reato di bancarotta semplice documentale è punibile a titolo tanto di dolo quanto di colpa, come appare desumibile dalla struttura della norma incriminatrice la quale, nel punire l'imprenditore che non tenga o tenga irregolarmente le prescritte scritture sociali e contabili, non prevede come necessaria ai fini della sussistenza dell'illecito la deliberata volontà di violare le disposizioni vigenti in materia e/o di arrecare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 27515 del 04/02/2004, Tinaglia, Rv. 228701). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che determina in mesi quattro di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2018. Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2018
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