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Bancarotta fraudolenta documentale: sulla utilizzabilità di documenti esterni ed appunti del fallito

Bancarotta fraudolenta documentale

Cassazione penale sez. V, 26/09/2018, n.1925

Nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza. (Fattispecie in cui per la ricostruzione delle vicende patrimoniali dell'impresa era stato necessario fare capo a fonti di documentazione esterne, nonchè ad appunti del fallito, costituenti di fatto una contabilità "in nero", che avrebbero dovuto restare celati al fine di coprire il sistema di evasione di imposta e il drenaggio di risorse finanziarie verso conti correnti personali).

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza emessa il 13/07/2017 la Corte di Appello di Milano ha confermato l'affermazione di responsabilità pronunciata, con sentenza del 21.11.2013 emessa all'esito del giudizio abbreviato, dal GUP del Tribunale meneghino, che aveva condannato alle pene ritenute di giustizia C.D. e N.D., in qualità, rispettivamente, di amministratore unico della C.D. s.r.l., dichiarata fallita il 22.9.2011, e di collaboratrice nella gestione della società con poteri di firma sui conti correnti societari, per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, per aver sottratto dalle casse sociali, tra il 2007 ed il 2010, 2 milioni e 600 mila Euro, per aver falsificato i libri e le scritture contabili, istituendo una contabilità parallela ed occulta, e per aver continuato a ricorrere al credito dissimulando lo stato di insolvenza, ottenendo dalla BCC di (OMISSIS) anticipazioni per un importo di Euro 668.827,00, presentando fatture fittizie o per crediti riscossi (capo A), nonchè per il reato di indicazione nelle dichiarazioni annuali ai fini IRES di costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente e anche oggettivamente parzialmente inesistenti (capo C); in parziale riforma, la Corte territoriale ha dichiarato l'estinzione per prescrizione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 limitatamente agli anni 2007 e 2008, rideterminando la pena finale. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di C. e N., Avv. Pietro Resegotti e Avv. Francesco Cannizzaro, deducendo i seguenti motivi, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla distrazione della somma di Euro 2.600.000,00, asseritamente utilizzata per l'acquisto di immobili confluiti nella "(OMISSIS)" s.r.l., cassaforte di famiglia. 2.1.1. Lamentano l'omessa motivazione sui motivi di appello, con cui era stato dedotto che gli acquisti "in nero" non costituivano la base della riserva di denaro da distrarre, e che le fatture soggettivamente inesistenti venivano emesse per coprire le forniture in nero che la società era costretta a compiere in un mercato in cui i fornitori medio-piccoli imponevano tale modalità di acquisto. E' illogico ritenere, invece, che gli imputati avrebbero emesso fatture per operazioni non reali, al fine di procurarsi denaro da distrarre, con cui acquistare immobili, poi offerti in garanzia a tutti i creditori con la richiesta di concordato preventivo. Proprio dalla contabilità parallela, e dalle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da N., risulta che gli scambi con la F., allorquando contrassegnati, nelle agende, con l'asterisco, riguardavano operazioni parzialmente inesistenti: la F. restituiva il contante, trattenendo il 10% a titolo di compenso per la prestazione illecita resa, che veniva impiegato dalla C. per pagare in contanti gli effettivi fornitori del materiale. La C., dunque, acquistava in nero la merce (rottami e trafilati) e vendeva in chiaro alle grandi fonderie, senza alcuna evasione di imposta, che riguardava i soli fornitori; la fallita, in altri termini, aveva necessità di ricorrere alla fatturazione inesistente tramite la F. s.r.l., per poter acquistare dai piccoli fornitori in nero, e pagava un cospicuo balzello (il 10%) alla società cartiera, per poter esporre i costi di reperimento del materiale fornito. 2.1.2. Sotto altro profilo, lamentano l'omessa motivazione sulla mancanza di prova dell'utilizzo di fondi distratti al fine dell'acquisto di immobili confluiti nella (OMISSIS); l'acquisto degli immobili era avvenuto grazie al denaro accumulato in oltre 20 anni di attività, oggetto anche di un condono, ed al rilascio di garanzie personali, sotto forma di titoli di credito. Infine, l'elaborato del curatore, depositato in sede di rinnovazione dell'istruttoria in appello, sarebbe una mera riproposizione delle relazioni di servizio della G.d.F.. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla bancarotta documentale: lamentano che la tenuta di una contabilità parallela abbia assorbito qualsiasi valutazione, senza considerare che quella parallela era una ulteriore documentazione contabile in aggiunta a quella ufficiale, istituita per necessità, e non per scelta, in un settore così delicato; e tale contabilità, del resto, è stata reperita ed utilizzata per una rapidissima ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, grazie alla collaborazione della N.. Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe valutato che la contabilità parallela nulla aggiungeva o sottraeva ai valori economici, fornendone soltanto una differente imputazione in termini soggettivi; i valori di bilancio emergenti dalla contabilità ufficiale erano gli stessi di quelli scaturiti dalla contabilità parallela, che ha consentito l'elevazione di pesanti sanzioni tributarie ai fornitori in nero. La motivazione manca, invece, con riferimento alla successiva rapida ricostruzione del patrimonio e dei movimenti consentita grazie alle esplicazioni della N. nel corso di un solo interrogatorio davanti alla G.d.F., senza alcuna particolare diligenza o alcun ricorso a consulenze tecniche, ed in ordine all'elemento soggettivo. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'abusivo ricorso al credito: gli imputati sono stati assolti dalla truffa ai danni della BCC contestata al capo B, non essendovi stata alcuna predisposizione di false fatture per ottenere anticipazioni di credito; la Corte di Appello avrebbe fornito una non motivazione, priva di riferimenti anche all'importo contestato. Tutte le anticipazioni bancarie ottenute, inoltre, erano garantite attraverso il pegno di titoli e gli immobili della (OMISSIS). 2.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti: sulla base del meccanismo già richiamato, le operazioni erano oggettivamente esistenti, e solo soggettivamente inesistenti; operazioni che, secondo la giurisprudenza di legittimità, sarebbero penalmente irrilevanti. La sentenza avrebbe fatto riferimento invece ad operazioni oggettivamente inesistenti, senza alcuna indicazione specifica delle fatture, dei dati, degli importi; inoltre, nell'interrogatorio, N. aveva fornito i nomi di tutti i fornitori che aveva effettuato le vendite in nero. 2.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualità di amministratore di fatto di N.N.: lamentano l'omessa motivazione, non essendo stato indicato il requisito dell'esercizio continuativo e significativo dei poteri gestionali, essendo emerso il mero ruolo esecutivo, ed in posizione subordinata, nella tenuta della contabilità. 2.6. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, nonostante lo stato di incensuratezza degli imputati, e la collaborazione investigativa prestata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono, nel loro complesso, infondati. 2. Con il primo motivo i ricorrenti contestano la ricostruzione dei fatti posta a fondamento dell'affermazione di responsabilità per la bancarotta fraudolenta patrimoniale, riproponendo le doglianze con cui, già in appello, avevano sostenuto che non vi era stata alcuna distrazione di 2,6 milioni di Euro, che le fatture per operazioni inesistenti venivano emesse soltanto per coprire le forniture in nero che la società - intermediaria tra i commercianti di rottami, che vendevano esclusivamente in nero, e le grandi fonderie, che acquistavano in chiaro - era costretta ad acquistare dai "rottamai", senza compiere alcuna evasione di imposta, ma anzi pagando alla F. s.r.l. il 10% delle fatture inesistenti emesse per procurarsi il denaro contante; tali somme sarebbero, dunque, state utilizzate per pagare i fornitori di rottami in nero, non già per dirottarli verso la "cassaforte di famiglia" (la "(OMISSIS)" s.r.l.), e consentire gli acquisti di immobili, effettuati, al contrario, grazie ai proventi di oltre venti anni di attività imprenditoriale. Il motivo illustrato è inammissibile, perchè propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur essendo formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte i ricorrenti non lamentano una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito alla ricostruzione dei fatti ed alla natura distrattiva delle operazioni finanziarie accertate. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà, evidenziando che: la distrazione di 2,6 milioni di Euro è emersa dall'esame della contabilità parallela istituita dagli imputati, e rinvenuta dalla G.d.F. presso la sede sociale; le agende rinvenute, e denominate "Cassa", registravano i reingressi di contanti da F. s.r.l. e dalle altre società che emettevano fatture per operazioni inesistenti, e le corrispondenti uscite verso i conti correnti personali degli imputati; i reali ingressi di merci, di gran lunga inferiori a quelli fatturati, emergevano dai files "Archivio" e dalle agende denominate "Merce"; i versamenti in contanti sui conti correnti personali degli imputati e la provenienza da tali conti delle somme utilizzate per gli acquisti degli immobili sono stati verificati direttamente dalla G.d.F.; come chiarito dal curatore, gli assegni circolari utilizzati per l'acquisto degli immobili poi intestati agli imputati o alla società di famiglia (OMISSIS) venivano tratti sulla base di provviste finanziarie derivanti dai conti personali alimentati con versamento di contanti; l'ammontare degli acquisti di immobili è pressochè coincidente con le distrazioni di somme ai danni della fallita. Tanto premesso, deve ritenersi immune da censure di illogicità la motivazione della sentenza impugnata, che, sulla base di una valutazione dei concreti elementi probatori acquisiti e, in ragione del rito prescelto, pienamente utilizzabili, ha ricostruito le modalità distrattive escogitate dagli imputati e la destinazione delle somme sottratte; con tale ricostruzione, in realtà, i ricorrenti non operano un concreto confronto argomentativo, limitandosi ad una generica contestazione della sua plausibilità, ed alla riproposizione di una lettura alternativa dei fatti, peraltro avulsa dagli elementi probatori richiamati dalle sentenze di merito. In tal senso, va rammentato che, in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), atteso che l'atto di impugnazione non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). 3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano che la responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale sia stata affermata sulla base della sola istituzione di una contabilità parallela, senza considerare che essa era resa necessaria dalle operazioni in nero per l'acquisto delle forniture, che era in aggiunta a quella ufficiale, che, grazie ad essa ed alla collaborazione della N., è stata possibile una rapida ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, e che i valori economici della contabilità parallela erano in realtà identici a quelli della contabilità ufficiale. Oltre ai profili eminentemente di merito dedotti, circa la ribadita pretesa necessità di operare sul mercato in nero, e, di conseguenza, di istituire una contabilità parallela, le doglianze sono infondate. Al riguardo, giova rammentare che il bene protetto dalla norma incriminatrice della bancarotta fraudolenta documentale è l'interesse dei creditori alla conoscenza del patrimonio dell'imprenditore destinato a soddisfare le loro ragioni, che viene leso dalla tenuta della contabilità in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o da renderla difficile. A proposito della impossibilità di ricostruzione, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare che la ricostruzione "aliunde" della documentazione non esclude la bancarotta fraudolenta documentale, atteso che la necessità di acquisire presso terzi la documentazione costituisce la riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società (Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, Ronchese, Rv. 262588; Sez. 5, n. 5503 del 15/11/1999, dep. 2000, D'Andria, Rv. 215255). Sul punto, peraltro, sebbene un più risalente orientamento abbia affermato che il reato di bancarotta fraudolenta documentale, previsto dalla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2, quarta ipotesi, non sussiste quando la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari sia stata attuata con ricorso a documenti e dati provenienti dal fallito, senza necessità di far ricorso a fonti di documentazioni esterne pubbliche o private (Sez. 5, n. 10920 del 28/10/1997, Boccia, Rv. 209209; Sez. 5, n. 13600 del 28/06/1989, Tocci, Rv. 182253, a proposito del ricorso alla contabilità ufficiosa o comunque a documenti e dati provenienti dal fallito, sempre che non sia necessario far capo a fonti di documentazione esterne o private), è stato successivamente precisato che, poichè nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l'interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona e altro, Rv. 265682; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965; Sez. 5, n. 24333 del 18/05/2005, Mattia, Rv. 232212; Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383), come nel caso in cui per la ricostruzione sia stato necessario fare capo a fonti di documentazione esterne ed ad appunti del fallito, che avrebbero dovuto restare clandestini (Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383). Tanto premesso, nel caso in esame, la contabilità ufficiale era tenuta senz'altro in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, sì da integrare l'offesa al bene giuridico protetto, consistente nell'interesse ad una conoscenza documentata e giuridicamente utile sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa (Sez. 5, n. 10423 del 22/05/2000, Piana, Rv. 218383), e non ad una mera informazione conseguita ex post sulla base di documentazione non ufficiale; in tal senso, la contabilità "in nero" tenuta dagli imputati, oltre a connotare la fraudolenza della condotta, finalizzata appunto a coprire il sistema di evasione di imposta ed il drenaggio di risorse finanziarie verso i conti correnti personali, non può essere ritenuta idonea ad escludere il reato, in quanto istituita non già a supporto, in aggiunta alla contabilità ufficiale, ma proprio quale documentazione parallela, destinata a restare clandestina e non ostensibile ai creditori; tant'è che la contabilità "in nero" non è stata esibita agli organi fallimentari per consentire una ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, ma è stata rinvenuta dalla G.d.F. in sede di indagini preliminari, e sottoposta a sequestro; nè la collaborazione prestata da N.N., autrice della contabilità parallela, nella successiva individuazione dei movimenti finanziari può essere ritenuta suscettibile di elidere l'offesa, già perfezionata, al bene tutelato. Vanno, pertanto, formulati i seguenti principi di diritto: - "poichè l'interesse tutelato dal delitto di bancarotta fraudolenta documentale non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell'impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, il reato sussiste non soltanto quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, sono stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza; a tal fine, non è sufficiente ad escluderlo l'esistenza di una contabilità parallela, in nero, costituita da semplici "appunti" (manoscritti o informatici) provenienti dall'imputato, specie se destinati a restare clandestini, siccome non costituenti scritture informali di supporto, ma solo documenti destinati a rimanere clandestini ed utilizzabili soltanto da chi, all'interno del gruppo, aveva contezza dei ricavi in nero"; - "la ricostruzione aliunde della documentazione contabile, mediante ricorso ad una contabilità parallela, in nero, istituita al fine di occultare condotte distrattive o di evasione di imposta, non esclude la bancarotta fraudolenta documentale, atteso che la necessità di acquisire i dati patrimoniali e finanziari dalla contabilità in nero costituisce la riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da non rendere possibile una affidabile ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari della società". 4. Il terzo motivo, concernente il ricorso abusivo al credito, è inammissibile per genericità (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568), limitandosi a dedurre l'assoluzione dal reato di truffa originariamente contestato al capo B in relazione alle fatture fittizie o per crediti già riscossi presentate per ottenere le anticipazioni bancarie, senza confrontarsi con l'argomentazione della sentenza impugnata che, sulla base della relazione del curatore fallimentare, ha affermato che le false rappresentazioni contabili inerenti alle operazioni commerciali avevano evidenziato volumi di affari e redditività non corrispondenti alla realtà, che avevano consentito l'ottenimento di anticipazioni bancarie rimaste poi insolute; a nulla rilevando la circostanza - peraltro solo dedotta, ma non documentata - che le anticipazioni erano garantite da pegni su titoli e dagli immobili della (OMISSIS). 5. Il quarto motivo, con cui si deduce l'insussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, trattandosi di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, è manifestamente infondato. Al riguardo, quanto alla ricostruzione del fatto, la sentenza impugnata ha evidenziato l'esistenza di fatture per operazioni totalmente inesistenti emesse da F. s.r.l. e da C.T., aggiungendo che anche l'esame della contabilità parallela, in nero, ha confermato l'assenza di corrispondenza delle movimentazioni di magazzino in entrata indicate nei documenti contabili fittizi; in tal senso smentendo la tesi della necessaria rivendita in chiaro della merce, e confermando la sottrazione al fisco di circa 14 milioni di Euro grazie alla indicazione di fatture per operazioni inesistenti del valore di oltre 52 milioni di Euro. In ogni caso, pur accedendo alla versione sostenuta dai ricorrenti, secondo cui (almeno una parte del)le fatture concernevano operazioni solo soggettivamente inesistenti, la tesi della irrilevanza penale ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 è manifestamente infondata. Al riguardo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare il principio secondo cui, in tema di reati finanziari e tributari, il delitto di emissione di fatture od altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l'operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura od altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, sia per l'ampiezza della norma che si riferisce genericamente ad "operazioni inesistenti", sia perchè anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (ex multis, Sez. 3, n. 20353 del 17/03/2010, Bizzozzero, Rv. 247110, in una fattispecie di indicazione in fattura di acquirente diverso da quello effettivo; Sez. 3, n. 24307 del 19/01/2017, Cortella, Rv. 269986); anche a seguito della novella apportata dal d.lgs. n. 158 del 2015, che ha aggiunto il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. g-bis, la condotta di emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non è assorbita in quella di compimento di operazioni simulate soggettivamente, in quanto in base alla immutata definizione contenuta nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, lett. a), sono fatture per operazioni inesistenti anche quelle che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi; ne consegue che il discrimine tra i reati previsti, rispettivamente, dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 3 non è dato dalla natura dell'operazione ma dal modo in cui essa è documentata (Sez. 3, n. 38185 del 11/04/2017, Pozzi, Rv. 270692). Nel caso in esame, anche nella prospettazione dei ricorrenti, l'emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti avrebbe dunque consentito a terzi - i fornitori del materiale ferroso, destinato alla rivendita alle grandi fonderie - l'evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto. 6. Il quinto motivo, concernente il ruolo di amministratore di fatto di N.N., è inammissibile, perchè propone doglianze eminentemente di fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). In particolare, con le censure proposte la ricorrente non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica - unici vizi della motivazione proponibili ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata in merito al ruolo di amministratore di fatto dell'imputata. Il controllo di legittimità, tuttavia, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicchè il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione. Pertanto, nel rammentare che la Corte di Cassazione è giudice della motivazione, non già della decisione, ed esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va al contrario evidenziato che, sulla base della logica e coerente motivazione relativa alla ricostruzione dei fatti, fondata su argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà, il ruolo di N.N. non può essere relegato a quello meramente esecutivo della volontà del marito, il coimputato C., nella compilazione della contabilità parallela, essendo al contrario emerso che la N. era la principale artefice ed organizzatrice del meccanismo di annotazione documentale e dei meccanismi finanziari adoperati per il drenaggio delle risorse economiche verso i propri conti personali; l'imputata, del resto, era titolare dei poteri di firma sui conti correnti societari, dai quali risultano distratte le risorse finanziarie destinate ad alimentare i conti personali e, in seguito, il patrimonio della cassaforte di famiglia, la società (OMISSIS) utilizzata per l'acquisto di immobili. Ebbene, premesso che, in tema di reati fallimentari, la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive - in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare - il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Faruolo, Rv. 269101), nel caso in esame l'affermazione del ruolo di amministratore di fatto rivestito da N.N. nella società fallita appare sostenuta da congrua e logica motivazione, insuscettibile di sindacato in sede di legittimità. 7. Il sesto motivo, con cui si deduce la violazione degli artt. 62 bis e 69 cod. pen. anche sotto il profilo del vizio di motivazione, è inammissibile. Premesso che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purchè sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va ribadito che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986). Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato, da un lato, la gravità delle condotte poste in essere dagli imputati, e, dall'altro, l'assenza di elementi favorevoli valutabili ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenendo a tal fine insufficiente anche la collaborazione prestata dalla N. per la ricostruzione dei flussi finanziari sulla base della contabilità parallela istituita, già, peraltro, valutata ai fini del contenimento della sanzione inflitta, determinata, per il reato più grave, nella pena, prossima al minimo edittale, di anni tre e mesi sei di reclusione, con un modesto aumento di sei mesi ai sensi della L. Fall., art. 219, comma 2, per la c.d. continuazione fallimentare, e di tre mesi per la continuazione con il reato tributario. Sicchè la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244). 8. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018. Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2019
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