RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza deliberata il 13/02/2024, la Corte di appello di Caltanissetta
ha confermato la sentenza del 27/06/2023 con la quale il Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale di Gela, all'esito del giudizio abbreviato, aveva
dichiarato Maria M., quale rappresentante legale dell'omonima ditta
individuale, dichiarata fallita il 15/02/2016, responsabile dei delitti di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e di bancarotta fraudolenta documentale e l'aveva
condannata alle pene di giustizia.
2. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Caltanissetta ha
proposto ricorso per cassazione Maria M., attraverso il difensore Avv. Lara
Amata, articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 125 e 192 cod. proc.
pen., 116 I. fall., 2558 e 2559 cod. civ. e vizi di motivazione. Erroneamente è
stata disattesa la tesi difensiva secondo cui la donazione da parte dell'imputata
di beni aziendali a favore della sorella era stata determinata dalla volontà di
continuare l'attività di famiglia e non dal dolo di depauperare la garanzia dei
creditori, tanto più che la sorella era in condizione maggiormente satisfattive
rispetto ai creditori stessi, mentre ai sensi degli artt. 2558 e 2559 cod. civ. dei
debiti riguardanti il ramo d'azienda donato rispondeva anche il donatario. Quanto
al trattore stradale, l'alienazione è avvenuta quando la società era fiorente,
mentre quella dell'autocisterna risaliva al 2008, ben otto anni prima del
fallimento, laddove l'attrezzatura non consegnata era stata acquistata dieci anni
prima e nelle more era andata distrutta o dispersa e per i tre autocarri non è
stato possibile individuarli in quanto la contestazione è priva del numero di
targa.
2.2. Il secondo motivo denuncia inosservanza dell'art. 216 I. fall. e vizi di
motivazione. L'atto di appello aveva censurato la mancanza di prove circa la
sussistenza del dolo specifico, avendo l'imputata dichiarato che dal 2008 l'attività
della ditta era cessata, sicché la mancata tenuta dei libri era dovuta solo a
trascuratezza, non essendo indicati gli elementi dai quali dedurre la
finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende
gestionali, così individuando lo scopo fraudolento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. Il primo motivo è infondato, pur presentando profili di inammissibilità.
La deduzione incentrata sulla disciplina civilistica è inammissibile, in quanto
il ricorso neppure deduce di averla sottoposta al giudice di appello, e, comunque,
manifestamente infondata, in quanto i creditori si sono trovati comunque in una
situazione per cui sul patrimonio della fallita concorrevano i creditori dell'avente
causa, il che determina, all'evidenza, un depauperamento in loro danno. La
finalizzazione alla continuazione dell'attività della famiglia (costellata di
fallimenti, peraltro) dà corpo, al più, al movente della condotta distrattiva, ma
certo non ne esclude la rilevanza penale. Quanto al trattatore, all'autocisterna e
all'attrezzatura non consegnata, è sufficiente ricordare che i fatti di distrazione,
una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi
momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata
quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza (Sez. U, n.
22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804 - 01). Priva di consistenza è la
censura relativa ai tre autocarri, indicati nell'imputazione e nelle sentenze con
riguardo alla marca, al giorno di acquisto e al prezzo dichiarato.
3. Il secondo motivo, invece, deve essere accolto. In premessa, va ribadito
che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità,
mentre per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o
falsificazione di libri e scritture contabili previste dall'art. 216, primo comma, n.
2), prima parte, I. fall. è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di
procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori
(Sez. 5, n. 17084 del 09/12/2014, dep. 2015, Caprara, Rv. 263242; Sez. 5, n.
18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904), la fattispecie di bancarotta
fraudolenta documentale, di cui alla seconda ipotesi dell'art. 216, comma primo,
n. 2), I. fall. richiede il dolo generico, ossia la mera consapevolezza che la
confusa tenuta della contabilità può rendere impossibile la ricostruzione delle
vicende del patrimonio (Sez. 5, n. 5237 del 22/11/2013, dep. 2014, Comirato,
Rv. 258982; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611); più in
particolare, l'omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato
di bancarotta documentale fraudolenta - e non quello di bancarotta semplice -
qualora si accerti che scopo dell'omissione sia quello di recare pregiudizio ai
creditori (Sez. 5, n. 25432 del 11/04/2012, De Mitri, Rv. 252992 - 01). La
sentenza di primo grado ha ricostruito il fatto ascritto all'imputata in termini di
omessa tenuta delle scritture contabili, per il quale è dunque necessario, ai fini
dell'integrazione della fattispecie contestata, il dolo specifico nei termini indicati,
mentre la Corte distrettuale si è limitata a rilevare che l'imputata teneva le scritture contabili in modo da ostacolare la ricostruzione delle operazioni eseguite
anche in data successiva rispetto all'affermata cessazione dell'attività.
La motivazione richiamata non dà conto della sussistenza dell'elemento
psicologico richiesto per l'integrazione della fattispecie ritenuta, sicché, in parte
qua, la sentenza impugnata deve essere annullata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di bancarotta
fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della
Corte di appello di Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 15/10/2024.