RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Ancona ha confermato la
sentenza pronunciata dal Tribunale di Pesaro, in data 25 gennaio 2022, che aveva
ritenuto S. U. responsabile del reato di bancarotta semplice documentale,
condannandolo, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di
mesi quattro di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale.
La Corte di appello ha ritenuto che l'imputato, quale rappresentante legale
dell'associazione Casartigiani - Artigianato Metaurense, non possa essere considerato
come mero amministratore formale, sottolineando aspetti che hanno fatto emergere
profili di responsabilità sostanziale ed un suo pieno coinvolgimento nella vita
dell'associazione.
2. L'imputato, per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Denuncia, con primo motivo, vizio di violazione di legge in relazione agli articoli
18 e 217, legge fall. Deduce che la sentenza di fallimento pronunciata dal Tribunale di
Pesaro, confermata in sede di reclamo dalla Corte di appello di Ancona, è stata annullata
dalla Corte di cassazione, con ordinanza del 16 Marzo 2020, con rinvio alla medesima
Corte territoriale, per ulteriori accertamenti sulla prosecuzione dell'impresa non essendo
stato ritenuto sufficiente l'avvenuto affitto dell'azienda. Il ricorso in riassunzione è stato,
tuttavia, successivamente dichiarato improcedibile con sentenza della Corte di appello di
Ancona del 27 novembre 2020, n. 1257/20. La Corte di appello, con la sentenza
impugnata, avrebbe dovuto tenere conto della regola sancita dall'art. 393 cod.proc. civ.,
ritenendo inefficace la sentenza dichiarativa di fallimento, come stabilito da questa Corte
con sentenza della I Sezione civile n. 3022/2020, traendone la dovuta conseguenza in
punto di insussistenza dell'addebito contestato all'imputato per essere venuto meno un
elemento costitutivo del reato.
2.2. Con secondo motivo denuncia vizio di violazione dell'art. 217, comma 2, legge
fall. per la mancanza dell'elemento soggettivo del reato.
3. Le parti non hanno formulato richiesta di discussione orale ex art. 23, comma 8,
del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 ( conv. in legge 18 dicembre 2020, n. 176) e
successive proroghe.
4. Il Sostituto Procuratore generale, Lucia Odello, ha chiesto l'annullamento senza
rinvio della sentenza impugnata.
5. Il difensore, ha insistito, con memoria scritta,
nell'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.11 primo motivo di ricorso, con il quale si invoca l'applicazione nel presente
giudizio del principio sancito con la sentenza della Cass. civ., Sez.1., n. 3022/2020, non
merita accogli mento.
1.1. Va premesso che, secondo le deduzioni del ricorrente, all'esito
dell'annullamento con rinvio in sede di legittimità della sentenza di rigetto del reclamo ex
art. 18 L.Fall. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento dell' associazione C.
- Artigianato M., il ricorso in riassunzione, sempre in sede civile, è stato
dichiarato improcedibile con sentenza della Corte di appello di Ancona del 27 novembre
2020, n. 1257/20 per vizi procedurali; in dipendenza di ciò il ricorrente invoca tout court
l'applicabilità alla fattispecie in esame del principio espresso dalla sentenza suddetta in
punto di inefficacia della sentenza di fallimento e di conseguente insussistenza del reato.
1.1.1. Con la suddetta pronuncia n. 3022/2020, la Sez. 1 di questa Corte,
investita della questione circa l'applicabilità al processo fallimentare della disciplina
generale delle impugnazioni - ed in particolare dell'art. 393 cod. proc. civ., nella parte
in cui dispone che in caso di mancata riassunzione o di estinzione del giudizio di rinvio
""l'intero processo di estingue"" - ha affermato che, in tema di effetti del giudizio di rinvio
su quello per la dichiarazione di fallimento, ove la sentenza di rigetto del reclamo contro
la sentenza dichiarativa, di cui all'art. 18 I. fall., sia stata cassata con rinvio e il processo
non sia stato riassunto nel termine prescritto, trova piena applicazione la regola generale
di cui all'art. 393 c.p.c., alla stregua della quale alla mancata riassunzione consegue
l'estinzione dell'intero processo e, quindi, anche l'inefficacia della sentenza di fallimento
(Cass. civ. Sez. 1, n. 3022 del 10/02/2020, Rv. 657053 - 01).
1.1.2. La pronuncia in questione ha motivato tale conclusione rilevando, tra
l'altro, che: secondo « il testo originario dell'art. 18 della legge fall., antecedente alle
riforme di cui al d.lgs. n. 5 del 2006 e al d.lgs. n. 169 del 2007, l'opposizione al fallimento
costituiva, in base all'opinione prevalente, un mezzo di impugnazione teso ad avviare un
processo di cognizione di primo grado, caratterizzato dalla diretta applicazione delle
norme ordinarie del codice di rito anche relativamente alle successive fasi (appello e
ricorso per cassazione). Sicché nel contesto di quella normativa era possibile sostenere
[....] che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio, in casi simili a quello in esame,
avesse a travolgere il (solo) giudizio di opposizione, ferma restando la stabilizzazione
della sentenza di fallimento»; nel nuovo modello normativo, conseguente alla riforma
della legge fallimentare, una analoga conclusione sarebbe priva di supporto, visto che il
reclamo ex art. 18 legge Fall. è disciplinato in modo diverso, essendo caratterizzato da
un effetto devolutivo pieno e attinente a un provvedimento decisorio, emesso all'esito di
un procedimento contenzioso svoltosi in contraddittorio e suscettibile di acquistare
autorità di cosa giudicata. Invero, l'art. 393 c.p.c. ha la portata di una regola generale
e non è condivisibile l'affermazione secondo cui tale norma sarebbe applicabile solo in
presenza di sentenza avente ""funzione sostitutiva"" in quanto la norma prevede
l'estinzione dell'intero processo come conseguenza dell'estinzione del giudizio di rinvio,
con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del
principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione; nel caso del processo per
dichiarazione di fallimento, non è dato rinvenire l'esistenza di un'altra regola, speciale e
per l'appunto derogatoria, rispetto all'art. 393 cod. proc. civ., a differenza di quanto
previsto per l'opposizione a decreto ingiuntivo, per il quale vige la diversa regola di cui
all'art. 653 cod. proc.civ. che disciplina la sorte del decreto ingiuntivo opposto a seconda
che l'opposizione sia stata rigetta oppure accolta. La tesi secondo cui l'oggetto del
giudizio di reclamo, è costituito dal gravame proposto contro la detta sentenza, e non
dall'originaria domanda di fallimento, cosicché l'effetto della mancata riassunzione non
potrebbe essere quello dell'estinzione dell'intero processo fallimentare, ma unicamente
quello dell'estinzione del processo di reclamo, che seppure senza menzionarlo evoca
l'art. 338 cod. proc. civ., quale applicazione dell'art. 310 stesso codice, sarebbe errata
nel presupposto, in quanto l'oggetto del giudizio di reclamo non può scindersi da quello
innestato dalla domanda di fallimento, il quale oggi risponde all'archetipo del
procedimento giurisdizionale di tipo contenzioso in contraddittorio tra le parti. In altre
parole, il reclamo non innesta un processo autonomo avente a oggetto il (solo) gravame
avverso la sentenza di fallimento, quasi che codesta rimanga all'esterno del giudizio
detto.
1.2. Tanto premesso si osserva, innanzitutto, che il principio affermato dalla
sentenza suddetta, al di là della sua condivisibilità o valenza, non può trovare diretta e
immediata applicazione nel presente giudizio, come in sostanza invocato dal ricorrente,
e ciò per varie ragioni. Innanzitutto, nessun provvedimento è intervenuto in sede civile,
idoneo a dar conto della intervenuta inefficacia del sentenza dichiarativa di fallimento, o
comunque nessun provvedimento caducatorio di essa. Nel caso della pronuncia n.
3022/2020, infatti, era stato richiesto al giudice delegato di far annotare al registro delle
imprese un provvedimento che desse atto delle conseguenze della mancata riassunzione
del giudizio ex art. 393 cod. proc. civ., con ordine di cancellazione delle trascrizioni
pregiudizievoli a proprio carico e a favore della massa di disporre il deposito del
rendiconto del curatore ex art. 116 legge fall. ed il giudice delegato aveva respinto
l'istanza; il decreto, reclamato ai sensi dell'art. 26 legge fall., era stato confermato dal
Tribunale, sicchè il ricorrente proponeva ricorso per cassazione in relazione al quale
veniva emessa appunto la sentenza n. 3022/2020, di cassazione del decreto impugnato
con rinvio al Tribunale.
Pertanto, in relazione al principio affermato dalla pronuncia suddetta, non può
dubitarsi del fatto che occorra un provvedimento formale che dia conto dell'intervenuta
inefficacia/revoca della sentenza di fallimento, in dipendenza del verificarsi delle
condizioni di cui all'art. 393 c.p.c., non potendo il giudice penale rilevare incidentalmente
l'intervenuta inefficacia della sentenza dichiarativa di fallimento per la mancata
riassunzione della causa in sede civile. In mancanza di un provvedimento formale di
revoca, o di inefficacia, della sentenza dichiarativa di fallimento, quest'ultima continuerà
ad esplicare i suoi effetti ai sensi dell'art. 18 L.Fall.. Tale valutazione risulta in linea con i
principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui, il giudice penale investito del
giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267
non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento
(Sez. U, n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239398 - 01), poichè, diversamente, si
determinerebbe una impropria forma di impugnazione di una sentenza civile in sede
penale (Sez. 5, n. 21920 del 15/03/2018, Rv. 273188 - 01).
Va, poi, aggiunto che nella vicenda in esame, secondo quanto rappresentato dallo
stesso ricorrente, non si vede in un'ipotesi di mancata riassunzione della causa ex art.
393 c.p.c., bensì in un'ipotesi di riassunzione effettuata, ma dichiarata improcedibile, e
tale epilogo non risulta adeguatamente scrutinato dal ricorrente in relazione
all'applicabilità del disposto di cui all'art. 393 c.p.c.. Invero, il riferimen contenuto
nella norma in questione ""o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del
giudizio di rinvio, l'intero giudizio si estingue"" attiene testualmente ai casi di estinzione
del giudizio di rinvio.
1.3. In ogni caso, non ci si può esimere dal rilevare come il presupposto da cui
muove la sentenza n.3022/2020, ovvero che il procedimento ex art. 18 della legge
fallimentare - nella nuova veste delineata dalle riforme del 2006 e del 2007 in punto di
impugnazione avverso la sentenza di fallimento - sia un procedimento configurabile, sotto
tutti i profili, come appello, non sia condivisibile. Il reclamo non si ritiene introduca una
fase impugnatoria del processo per dichiarazione di fallimento, sussumibile negli schemi
di un giudizio di appello ordinario, bensì più correttamente, come sostenuto dalla dottrina,
un processo a cognizione piena, in unico grado, da definire con sentenza ricorribile per
Cassazione. L'estinzione del giudizio di rinvio non rende, pertanto, inefficace la sentenza
reclamata, esterna al processo contenzioso, che è caducabile da una espressa pronuncia
di revoca, che non ammette equipollenti a contenuto implicito od automatismi.
1.3.1 Verso tale conclusione milita, innanzitutto, la significativa previsione
introdotta dall'alt 2, comma 7, del d.lgs. n. 169 del 12/09/2007 che ha modificato l'art.
18 della legge fall. (già oggetto di una precedente modifica, di poco antecedente, attuata
con d.lgs. n. 5 del 09/01/2006 che aveva qualificato in termini di ""appello"" e non più di
""opposizione"" il procedimento in esame), espressamente qualificando come ""reclamo""
anziché come ""appello"" la procedura volta ad ottenere, su istanza del debitore o di
qualunque interessato, un giudizio sull'accertamento dei presupposti di fallibilità del
debitore, retto dalle norme sul rito camerale.
Nella Relazione illustrativa del decreto legislativo veniva indicato che «La
sostituzione dell'""appello"" con il ""reclamo"" è coerente con il rito camerale, adottato non
solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame: il reclamo è,
infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti pronunciati in camera di
consiglio, quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l'applicabilità della
disciplina dell'appello dettata dal codice di rito e ad assicurare l'effetto pienamente
devolutivo dell'impugnazione, com'è necessario attesi il carattere indisponibile della
materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il
patrimonio e sullo status del fallito».
Veniva, altresì, evidenziato che la modifica era ritenuta «corretta» e che, per
tali ragioni, «non è stata accolta l'osservazione del Senato che invitava il Governo a
ripristinare l'appello quale mezzo di impugnazione della sentenza dichiarativa di
fallimento».
1.3.2. Anche le caratteristiche strutturali del reclamo, come delineato dal
legislatore, forniscono una giustificazione sistematica alla interpretazione qui condivisa,
dovendosi considerare: che il contenuto del ricorso non diverge da quello dell'atto
introduttivo del processo di primo grado richiedendo ""l'esposizione dei fatti e degli
elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione"" oltre che ""l'indicazione dei mezzi di prova
di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti"" ; che, in caso di rigetto
del reclamo, ove la domanda sia stata respinta, l'art. 22 legge fall. impone alla Corte di
appello, in ipotesi di accoglimento del reclamo del creditore ricorrente o del pubblico
ministero, di rimettere gli atti al Tribunale per la dichiarazione di fallimento (escludendosi
la possibilità che il giudice del gravame sostituisca la propria decisione a quella
impugnata). Vanno, altresì, considerate le previsioni concernenti il divieto di sospendere
l'efficacia della sentenza (essendo il potere di sospensione limitato soltanto alla
liquidazione dell'attivo) e quella concernente il conferimento del potere di intervento a
qualunque interessato, contribuendo entrambe a corroborare la conclusione che la
procedura in esame non possa essere sussunta negli schemi di un giudizio di appello
ordinario.
1.3.3. Il procedimento di reclamo si configura, pertanto, come procedimento
incidentale, che si innesta a margine della procedura fallimentare, in grado di sviluppare,
su richiesta della parte privata (ma anche della parte pubblica in caso di rigetto della
richiesta dichiarativa di fallimento da parte del Tribunale fallimentare), un confronto pieno
sulla sussistenza o meno dei presupposti del fallimento, rimesso alla competenza della
Corte di appello, e non più del Tribunale, a differenza di quanto previsto in precedenza,
nel rispetto del principio del contraddittorio e delle facoltà ad esso connesse nell'interesse
delle parti. L'oggetto del giudizio di reclamo si identifica nell'accertamento della non
fallibilità del debitore e la sentenza che, in fase rescissoria, rigetta il reclamo conferma
che il fallimento è stato rettamente dichiarato disattendendo la domanda di accertamento
negativo, mentre se accoglie il reclamo revoca il fallimento in conseguenza della statuita
non fallibilità del debitore per motivi oggettivi e soggettivi. La sentenza che conclude il
relativo procedimento non si sostituisce all'evidenza alla sentenza dichiarativa di
fallimento, che rimane, peraltro, vitale durante l'espletamento della relativa procedura
(salva possibilità di sospensione ai sensi dell'art. 19 della legge fall.) e fino alla formale
conclusione della stessa.
Ammettere, altresì, che l'estinzione del giudizio di rinvio determini la cessazione
dello stato di insolvenza, ovvero l'automatica inefficacia della sentenza dichiarativa di
fallimento, equivarrebbe ad introdurre una causa atipica di chiusura del fallimento, non
compresa fra quelle enumerate dall'art. 118 legge fall.; tale conclusione non sarebbe
conciliabile neppure con la previsione contenuta nell'art. 119, comma 5, legge fall. che
prevede l'emissione del decreto di chiusura a seguito del passaggio in giudicato della
sentenza di revoca. Invero, gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento possono
essere rimossi solo dal passaggio in giudicato della sentenza che ne dispone la revoca ai
sensi dell'art. 21 della legge fall.
Tale conclusione è confortata anche dall'insegnamento espresso da questa Corte
secondo cui «gli effetti della sentenza di fallimento, la cui provvisoria esecutività, disposta
dall'art. 16, comma 2, I.fall., non è suscettibile di sospensione, vengono meno solo con
il passaggio in giudicato della decisione che, accogliendo il reclamo ex art. 18 I.fall., la
revoca ( cfr. Cass. 1073/2018; Cass. 17191/2014; Cass. 13100/2013)» ( Sez. 3, n.
22153 del 03/08/2021, Rv. 662422 - 01).
1.3.4. Sulla base di tali coordinate diventa arduo assimilare il procedimento di
reclamo ex art. 18 legge Fall. ad un ordinario procedimento di appello, essendo a tale
proposito ininfluente che la competenza a decidere sia stata rimessa alla Corte di appello
(ed essendo rinvenibili nel nostro ordinamento anche altre ipotesi simili in cui la Corte di
appello è chiamata a giudicare nell'ambito di procedimenti non riconducibili ai binari di
un appello ordinario), dovendo, piuttostd;~ tenersi conto del carattere speciale della
procedura (desumibile dalle norme sopra richiamate) rispetto alla quale la sentenza
dichiarativa di fallimento vive ""a margine"", fino al momento in cui intervenga, per
decisione degli stessi organi della procedura, la chiusura del fallimento ( nelle ipotesi di
cui all'art. 119 della legge) o la revoca della medesima sentenza ( prevista e disciplinata
dall'art. 21 della stessa legge).
1.3.5. Nel giudizio di reclamo ex art. 18 della legge fall. manca il cd. ""effetto
sostitutivo necessario"" che contraddistingue l'appello quale mezzo di gravame avente
come normale obiettivo non la mera eliminazione della sentenza impugnata, bensì
sempre e direttamente la pronuncia di una nuova decisione sul merito della causa,
destinata a prendere in ogni caso il posto della sentenza di primo grado (anche nell'ipotesi
di rigetto dell'appello oltre che di accoglimento).
D'altra parte, proprio la natura sostitutiva della sentenza di appello dà ragione
della differente disciplina introdotta dall'art. 393 cod.proc.civ. rispetto al quadro delineato
dall'art. 338 del medesimo codice (secondo cui l'estinzione del giudizio di appello fa
passare in giudicato la sentenza impugnata), come ritenuto dalle Sezioni Unite civili (Sez.
U., n. 4071 del 16/02/2010, Rv. 611575-01) che- nel definire i rapporti fra le sfere
applicative degli artt. 393 e 338 cod.proc.civ.- hanno affermato che « la ragione di questa
apparente deroga dell'art. 393 cod.proc. civ. al sistema dell'estinzione viene
concordemente individuata nell'efficacia della sentenza di appello che è sempre
sostitutiva della sentenza di primo grado, sia quando la riformi sia quando la confermi»
con la ulteriore precisazione che « la deroga è, in realtà, solo apparente e comunque
coerente con il sistema definito dagli artt. 310 e 338 cod.proc.civ., appunto perché solo
dopo la pronuncia del giudice d'appello la sentenza di primo grado perde quell'efficacia
cui possa riconoscersi una stabilizzazione in conseguenza dell'estinzione del processo» (
Sez. U., n. 4071 del 16/02/2010, Rv. 611575-01).
1.3.6. La limitazione dell'effetto caducatorio soltanto alla sentenza che abbia
pronunciato sull'istanza di reclamo di parte- e non alla sentenza dichiarativa di fallimento
trova preciso aggancio, inoltre, ai prindpi affermati anche da Cass. S.U. n. 4071/2010,
secondo cui in tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, nel caso in cui l'estinzione del giudizio di rinvio sia successiva ad una pronuncia
di cassazione di una decisione di rigetto, in primo grado o in appello, dell'opposizione
proposta avverso un decreto ingiuntivo, a tale estinzione consegue il passaggio in
giudicato del decreto opposto, secondo quanto prevede il citato art. 653, comma primo,
cod. proc. civ., che, limitatamente a questa ipotesi, prevale sul menzionato art. 393.
La circostanza che la legge fallimentare non contenga una specifica previsione
sovrapponibile a quella di cui all'art. 653 c.p.c. a cui fa cenno la sentenza n. 3022/2020
risulta smentita dalla circostanza che la legge fallimentare prevede, come detto,
specifiche ipotesi di caducazione/estinzione e segnatamente la revoca ex art. 18 I. fall. e
quelle di chiusura di cui agli artt. 118 e 119 L.Fall. deroganti all'evidenza alla ""regola
generale"" di cui all'art. 393 c.p.c.
Inoltre, la limitazione dell'effetto caducatorio soltanto alla sentenza che abbia
pronunciato sull'istanza di reclamo di parte- e non alla sentenza dichiarativa di fallimento
si collega anche alla speciale connotazione della stessa sentenza dichiarativa di
fallimento e degli effetti normativamente previsti, ricadenti su una pluralità di soggetti,
anche estranei alla fase della pronuncia di fallimento.
2. È manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso con il quale la difesa
deduce che la mera qualità di legale rappresentante dell'associazione Casartigiani
Artigianato Metaurense dichiarata fallita non sarebbe sufficiente a ritenere la
responsabilità dell'imputato, essendo questi, piuttosto, chiamato a svolgere un ruolo
meramente formale, come desumibile dalle dichiarazioni dei testi Morelli e Iacucci ( il cui
verbale di prova risulta allegato al ricorso). La censura non si confronta con la
motivazione spesa dalla Corte di appello sul punto, che, richiamando proprio il contenuto
della deposizione del teste Morelli, ha messo in risalto come l'imputato fosse in realtà
coinvolto negli aspetti organizzativi inerenti la vita dell'associazione, firmando documenti
a proprio nome, in guisa da non potere essere considerato rappresentante solo formale
e non effettivo, in quanto coinvolto nell'attività della fallita, sia a livello operativo che
gestionale. Le doglianze difensive, fondate su circostanze specifiche aventi incidenza
minima sulla ricostruzione fattuale della condotta, non riescono a disarticolare la tenuta
dell'apparato motivazionale.
In ogni caso, anche aderendo, per ipotesi, all'assunto difensivo la soluzione
comunque non muterebbe alla luce dell'insegnamento di questa Corte secondo cui
«l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per
sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche
laddove sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita
(cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo
dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia
fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da
impedire la ricostruzione del movimento degli affari»
Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Rv. 271754 - 01).
3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11/07/2024.