RITENUTO IN FATTO
La.Vi.ha promosso ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano del 28 novembre 2023, che ne ha confermato l'affermazione di reità, statuita in primo grado nel giudizio abbreviato, in relazione al delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 216 prima parte n. 2, 223 R.D. n. 267/42, commesso in qualità di amministratore della Dental Ce. Srl in liquidazione, dichiarata fallita il 16 luglio 2014.
1. L'atto di impugnazione si è affidato ad un articolato motivo, fondato sul richiamo del vizio di inosservanza della legge penale anche in relazione alla mancata riqualificazione del reato in quello di bancarotta semplice documentale. La Corte d'appello - seguendo l'errore in cui sarebbe incorso il primo giudice - avrebbe individuato nel dolo generico l'elemento soggettivo necessario a perfezionare il reato contestato, mentre la imputazione riguarda il delitto di bancarotta fraudolenta documentale per la mancata consegna della contabilità al curatore del fallimento, che esige la prova del dolo specifico. La mera omissione della tenuta della contabilità potrebbe al più costituire il reato di bancarotta semplice di cui all'art. 217 comma 2 R.D. n. 267/42.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. Va in premessa ricordato che oggetto dell'imputazione è la mancata ostensione dell'intero impianto contabile agli organi fallimentari, e che costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte quello secondo il quale "in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa - in seno all'art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai citati organi" (sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi, Rv. 279838; sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, Morace, Rv. 279179). L'indirizzo in esame ha superato quello risalente, che tendeva ad equiparare - a riguardo delle condotte riconducibili alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale nella duplice declinazione, specifica e generica - l'omissione della tenuta della contabilità alla sua conservazione irregolare od incompleta; l'"omissione" connota l'"inesistenza" degli adempimenti contabili, ritenuta equivalente alla sottrazione o all'occultamento di scritture esistenti e non consegnate al curatore, purché accompagnata dalla prova dello scopo di trarne un ingiusto profitto o di recare nocumento alla massa creditizia; invece, la cura irregolare o incompleta di un impianto contabile messo a disposizione della curatela, per assurgere all'integrazione del più grave delitto di bancarotta fraudolenta documentale nella forma di cui all'art. 216 comma primo n. 2, seconda ipotesi, R.D. n. 267 del 1942 rispetto a quello di bancarotta semplice di cui all'art. 217 comma 2 del R.D. n. 267 del 1942, deve essere caratterizzata - quanto all'elemento soggettivo - dal dolo generico di "fraudolenza", inteso quantomeno come compiuta rappresentazione che le scritture consegnate alla curatela del fallimento non renderanno possibile la puntuale ricostruzione del patrimonio o dell'andamento degli affari (cfr. Sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, Inverardi, Rv. 276650). Pertanto, l'ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può rientrare - in questi termini - nell'alveo della bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216 comma 1 n. 2, prima ipotesi, del R.D. n. 267 del 1942, ma solo qualora si accerti (e si dia conto) che scopo dell'omissione sia stato quello di recare pregiudizio ai creditori, atteso che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella, analoga sotto il profilo materiale, prevista dall'art. 217 L. Fall, (per quanto riferita alla sola contabilità obbligatoria: Sez. 5, n. 44886 del 23/09/2015, Rv. 265508), punita sotto il titolo della bancarotta semplice documentale (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri e altri, Rv. 252992). Sugli indicatori della prova del dolo specifico si sono soffermati i diversi arresti giurisprudenziali che hanno sottolineato la necessità di privilegiare una chiave di lettura che esalti la specularità di talune emergenze probatorie - come la dimostrazione dell'esistenza di risorse finanziarie o di un patrimonio positivo resi inaccessibili agli organi fallimentari o la sproporzione tra l'entità del passivo e l'inesistenza di attivo - che orientino sull'intenzionalità di ostacolarne il tracciamento attraverso la mancata consegna delle scritturazioni (cfr. sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Di Pietra, Rv. 284304, che si è soffermata per esempio sull'ingentissima esposizione debitoria per crediti privilegiati e chirografari); si è ancora recentemente osservato che lo scopo di recare pregiudizio ai creditori può essere desunto anche dall'irreperibilità dell'amministratore, a condizione tuttavia che ad essa si accompagnino ulteriori indici di fraudolenza, quali il passivo rilevante e la distrazione dei beni aziendali (sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Occhiuzzi, Rv. 283983); così, appare significativo menzionare il principio di diritto che ha puntualizzato la necessità di un approfondimento della motivazione che affermi la responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale nei casi in cui non sia stata contestualmente riconosciuta quella per bancarotta fraudolenta patrimoniale, con particolare attenzione ad indicatori ulteriori ed integrativi rispetto all'irreperibilità del fallito (sez. 5, n. 26613 del 22/02/2019, Amidani, Rv. 276910).
1.1. La sentenza impugnata, per contrastare il motivo di gravame che ha confutato l'emersione della prova dell'elemento soggettivo del reato, ha dato evidenza dell' impossibilità, per il curatore, di rielaborazione degli accadimenti aziendali a cagione dell' indisponibilità delle scritture contabili, nella sua pacifica oggettività; ha rimarcato che il curatore fallimentare è riuscito, con difficoltà, a rintracciare telefonicamente l'imputata, che ha dapprima promesso di presentarsi al suo cospetto, senza rispettare l'impegno e, in un secondo momento, non ha ritirato la lettera raccomandata formalmente speditale dall'organo fallimentare ai fini di una sua ufficiale convocazione, rendendosi nella sostanza irreperibile; la sussistenza del dolo specifico è stata desunta dall'impedita ricostruzione delle "malversazioni realizzate dalla società in danno dei creditori, come confermato dallo stato del passivo (nessun attivo era stato rinvenuto nella disponibilità della fallita)". Ed è proprio a tale ultimo proposito che la sentenza impugnata tradisce profili di intrinseca e significativa illogicità espositiva, perché, una volta stigmatizzato il comportamento nella sua materialità, non sono stati in alcun modo individuati i dati sintomatici della volontà di ricavare, con le omissioni compilative o il nascondimento della contabilità, un ingiusto profitto o di occultare, in pregiudizio dei creditori, l'evoluzione delle vicende aziendali. A titolo esemplificativo, è stato citato un bilancio di esercizio, risalente al 2008, di cui non è dato conoscere le voci attive, potenzialmente idonee a rappresentare disponibilità economiche sottratte alla massa ; non è stata chiarita l'entità e la tipologia delle passività insinuate nella procedura concorsuale; sono state genericamente menzionate "fatture", per diverse annualità, esibite a funzionari dell'INPS nel corso di un accesso ispettivo, senza alcuna descrizione del loro contenuto e/o dell'eventuale attinenza a prestazioni svolte, foriere a loro volta di generare un accrescimento patrimoniale potenzialmente aggredibile dai creditori. Si tratta evidentemente di indici rilevanti, che potrebbero assumere portata decisiva ai fini della prova del dolo specifico e, dunque, di un elemento essenziale richiesto dal paradigma della norma incriminatrice contestata.
2. In conclusione, la fondatezza del ricorso proposto dall'imputata impone l'annullamento della impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello perché provveda a riesaminare la res iudicanda per le ragioni indicate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano.
Così deciso in Roma, 6 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2024.