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Bancarotta fraudolenta documentale: affidare la contabilità al commercialista non esclude il reato

Bancarotta fraudolenta documentale

Giugno 2024 - Cassazione penale sez. I, 12/06/2024, n.29559

In tema di bancarotta fraudolenta documentale l'imprenditore e - nel caso di bancarotta cosiddetta impropria - gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con ordinanza del 9 febbraio 2024 la Corte di appello di Brescia dichiarava inammissibile l'istanza di revisione presentata da Ma.St., Br.Pa. e Ca.Gi. avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Milano del 3 ottobre 2019, divenuta irrevocabile a seguito della sentenza n. 33114 dell'8 ottobre 2020, pronunciata dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale. Occorre premettere che con la decisione di merito di cui si chiedeva la revisione, ex art. 630 cod. proc. pen., l'imputato Ma.St. veniva condannato per i reati di bancarotta fraudolenta documentale aggravata di cui al capo A e di bancarotta semplice aggravata dal dissesto economico di cui al capo C, per i quali gli veniva irrogata la pena di tre anni di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge; l'imputata Br.Pa., invece, veniva condannata per il reato di bancarotta semplice aggravata dal dissesto economico di cui al capo C, per il quale le veniva irrogata la pena di mesi sei di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge; l'imputato Ca.Gi., infine, veniva condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale aggravata di cui al capo A, per il quale gli veniva irrogata la pena di due anni di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge. Le imputazioni ascritte agli imputati ai capi A, B e C dell'originaria rubrica attenevano al fallimento della società GM s.r.L, deliberato dal Tribunale di Milano il 24 giugno 2013, della quale l'imputato Ma.St. era stato amministratore di fatto, oltre che detentore della quota dell'80 % del capitale sociale; l'imputata Br.Pa. era stata amministratrice unica della società dal 18 novembre 2004 al 22 ottobre 2008, oltre che detentrice della quota del 20 % del capitale sociale; infine, l'imputato Ca.Gi. era stato liquidatore della società fallita a partire dal 2012. La declaratoria di inammissibilità veniva pronunciata dalla Corte di appello di Brescia sull'assunto che l'istanza di revisione presentata da Ma.St., Br.Pa. e Ca.Gi. si limitava a proporre una rivisitazione del compendio probatorio acquisito nei giudizi di merito, fondata su una diversa valutazione delle fonti di prova che erano state già esaminate nel processo di cognizione presupposto. 2. Avverso questa ordinanza Ma.St., Br.Pa. e Ca.Gi., a mezzo dell'avv. Roberto Afeltra, ricorrevano per cassazione, articolando due censure difensive. Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 546, comma 1, lett. e), e 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per avere la Corte di appello di Brescia omesso di valutare tutti i documenti prodotti dalla difesa dei ricorrenti Ma.St. e Ca.Gi., il cui esame avrebbe consentito di appurare che i condannati non avevano commesso il reato di cui al capo A, risultando i libri contabili della società GM Srl a disposizione del curatore fallimentare, essendo gli stessi stati depositati presso il commercialista dell'azienda dichiarata fallita, Pi.Lu., come comprovato dalla nota datata 30 aprile 2009, che risultava acquisita agli atti. Si deduceva, in proposito, che la richiesta di esaminare Pi.Lu. ed Bo.Er., che era stata respinta dalla Corte territoriale, avrebbe consentito di chiarire il contesto professionale nel quale si erano concretizzate le condotte omissive contestate a Ma.St. e Ca.Gi. al capo A e di escludere la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie della bancarotta fraudolenta documentale aggravata per la quale gli imputati erano stati condannati nel giudizio di cognizione. Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, in riferimento agli artt. 546, comma 1, lett. e), e 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale omesso di valutare la documentazione allegata nell'interesse dei ricorrenti, relativa all'entità del passivo fallimentare di GM Srl, il cui vaglio avrebbe consentito di rivalutare il giudizio di responsabilità formulato nei confronti di Ma.St. e Br.Pa. per il reato ascrittogli al capo C dell'originaria rubrica. Secondo la difesa del ricorrente, dalla documentazione contabile relativa ai crediti vantati da Equitalia Sastri e da Banca Nazionale del Lavoro Spa, prodotta nel giudizio di revisione, si evinceva che, al contrario di quanto affermato dalla Corte di appello di Milano nella decisione di merito presupposta, nessun aggravamento delle condizioni di dissesto di GM Srl si era verificata a partire dal 2006, che era l'anno nel quale la crisi economica della società in esame si era sviluppata. 2.1. Infine, la difesa dei ricorrenti, il 7 giugno 2024, depositava memorie di replica alla requisitoria della Procura generale della Corte di cassazione, che aveva chiesto l'inammissibilità del ricorso, ribadendo ulteriormente che i documenti contabili erano stati depositati presso il commercialista dell'azienda dichiarata fallita, Pi.Lu., come dimostrato dalla nota del 30 aprile 2009, proveniente dallo stesso professionista, che imponeva di ritenere smentito dalle emergenze processuali il giudizio di colpevolezza formulato nei confronti di Ma.St. e Ca.Gi. per il reato di cui al capo A dell'originaria rubrica. Le argomentazioni esposte negli atti difensivi richiamati imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Diritto CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi proposti da Ma.St., Br.Pa. e Ca.Gi. sono infondati. 2. Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, per avere la Corte di appello di Brescia omesso di valutare analiticamente i documenti prodotti dalla difesa dei ricorrenti Ma.St. e Ca.Gi., il cui esame avrebbe consentito di accertare che i condannati non avevano commesso il reato di cui al capo A, risultando i libri contabili di GM Srl a disposizione del curatore fallimentare, essendo gli stessi stati depositati presso il commercialista dell'azienda dichiarata fallita il 24 giugno 2013, Pi.Lu., come comprovato dalla nota datata 30 aprile 2009, allegata agli atti. Osserva il Collegio che la censura costituisce una mera riproposizione dell'analoga doglianza alla quale la Corte di appello di Milano, a pagina 5 della sentenza oggetto di revisione, aveva risposto con argomentazioni processuali ineccepibili. Nel giudizio di merito, infatti, la Corte territoriale evidenziava che dagli atti processuali emergeva che allo studio professionale del commercialista della società fallita, Pi.Lu., non era stato era demandato il compito di tenere le scritture contabili della società fallita, con la conseguenza che le emergenze processuali smentiscono l'assunto difensivo. Ne discendeva che la testimonianza di Pi.Lu., invocata nel giudizio di merito, ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., non appariva decisiva ai fini della rivalutazione del compendio probatorio posato a fondamento del giudizio di colpevolezza espresso nei confronti degli imputati Ma.St. e Ca.Gi. per il reato di cui al capo A. Analoghe considerazioni valgono per la testimonianza di Bo.Er., che era stata invocata con l'istanza di revisione presso la Corte di appello di Brescia, che riguardava gli stessi temi probatori ritenuti non decisivi nel giudizio di merito per scagionare Ma.St. e Ca.Gi. In questa cornice, le richieste dì rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate nel giudizio di secondo grado nell'interesse di Ma.St. e Ca.Gi., prospettate dapprima ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e successivamente ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., non erano meritevoli di accoglimento, dovendosi ribadire, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale si può ricorrere "solo quando il giudice ritenga "di non poter decidere allo stato degli atti", sussistendo tale impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza" (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228-01). Non è, del resto, dubitabile che alla rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello, disposta ex art. 603 cod. proc. pen., si può ricorrere solo quando il giudice ritenga che i dati probatori acquisiti nel giudizio di merito siano insufficienti e, per converso, che l'incombente richiesto sia decisivo, nel senso di eliminare le eventuali incertezze ovvero di inficiare ogni altra, contraria, risultanza. La disposizione dell'art. 603 cod. proc. pen., dunque, consente al giudice, nel caso in cui la situazione processuale presenti effettivamente un significato incerto, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alle posizioni di Ma.St. e Ca.Gi., di ammettere l'integrazione probatoria richiesta, sull'assunto che l'incombente istruttorio possa apportare un contributo considerevole e utile al processo, risolvendo i dubbi e consentendo una ricostruzione alternativa degli accadimenti criminosi, come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410-01; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004, Novarese, Rv. 228920-01; Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca, Rv. 227494-01). La Corte di appello di Brescia, pertanto, effettuava una corretta delibazione sugli elementi di prova addotti dalla difesa dei ricorrenti, ritenendo, con una motivazione congrua e logicamente esente dai vizi denunziati, che la superfluità della testimonianza di Pi.Lu., richiesta in sede di revisione, era stata già ritenuta non decisiva, dai giudici di merito con argomentazioni ineccepibili. Considerazioni analoghe valevano per l'acquisizione della testimonianza di Bo.Er. e per la nota del 30 aprile 2009, che, a prescindere dalle connotazioni di novità di tali fonti di prova, non era idonee a incidere sul giudizio di colpevolezza censurato. Ne discende che la prospettazione difensiva stride con le emergenze probatorie e non si confronta con la motivazione, logica e dettagliata, fornita dalla Corte di appello di Milano in risposta agli analoghi motivi proposti nell'impugnazione di merito. Né i mezzi di prova prospettati, riguardanti il rapporto professionale intercorrente tra Pi.Lu. e GM Srl possono ritenersi connotati da novità, dovendosi, in proposito, richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: "In tema di revisione la prova nuova deve considerarsi tale anche quando, pur esistendo al tempo del giudizio, non sia stata portata a conoscenza del giudice, così come nuovi devono considerarsi quegli elementi di prova che, quantunque risultanti dagli atti, non furono conosciuti e valutati dal giudice per omessa deduzione delle parti ovvero per il mancato uso dei poteri d'ufficio" (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259778-01). Si muove, del resto, nella stessa direzione ermeneutica, il seguente principio di diritto: "In tema di revisione la prova nuova è quella che, ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da sola o unitamente a quelle già acquisite, sia idonea a ribaltare il giudizio di colpevolezza dell'imputato" (Sez. 2, n. 18765 del 13/03/2018, Buscaglia, Rv. 273028-01). 2.1. A tali considerazioni deve aggiungersi, in linea con quanto evidenziato a pagina 5 della sentenza di cui si chiede la revisione, che l'obbligo di tenere le scritture contabili spetta comunque agli amministratori e agli imprenditori, pur quando la contabilità sia stata affidata a un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche - come ad esempio un commercialista -, dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date da tali soggetti, che restano, conseguentemente, responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità, indispensabile per verificare la correttezza dell'attività svolta dall'azienda fallita. Basti, in proposito, richiamare il seguente principio di diritto: "In tema di bancarotta fraudolenta documentale l'imprenditore e - nel caso di bancarotta cosiddetta impropria - gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, non vanno esenti da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità" (Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993, dep. 1994, Decenvirale, Rv. 197268-01). Tale principio di diritto, peraltro, era stato espressamente richiamato dalla sentenza della sentenza pronunciata l'8 ottobre 2020 dalla Corte di cassazione, Quinta Sezione penale, con cui erano stati rigettate le impugnazioni proposte dagli odierni ricorrenti avverso la decisione di appello di cui si chiede la revisione, con la conseguenza che, sul punto, non può effettuarsi una rivalutazione del compendio processuale originario, che si incentrerebbe su un'inammissibile rivisitazione dei parametri ermeneutici posti a fondamento della citata pronuncia di legittima. Nella decisione di legittimità richiamata, in particolare, si affermava che "è esatta l'osservazione dei giudici di merito circa il fatto che l'obbligo di tenere le scritture contabili spetta comunque agli amministratori ovvero all'imprenditore, pur quando la contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni tecniche (commercialista), dovendosi logicamente presumere che la contabilità stessa sia stata redatta secondo le indicazioni date dai predetti soggetti, che restano, perciò, sempre responsabili della tenuta di una regolare e veritiera contabilità e, a maggior ragione, della loro tenuta" (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Ma.St., non mass.). In questa cornice, non può non rilevarsi che costituisce espressione di un orientamento giurisprudenziale consolidato il principio di diritto secondo cui la revisione non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto posto a fondamento della sentenza di condanna attraverso la difforme interpretazione di una norma penale applicata nel giudizio di cognizione, fuoriuscendo una tale operazione ermeneutica dall'alveo applicativo dell'art. 630 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 4, n. 43871 del 15/05/2018, Mancini, Rv. 274267-01; Sez. 6, n. 25110 del 09/01/2009, Cifariello, Rv. 244519-01; Sez. 5, n. 8462 del 09/07/1997, Garrone, Rv. 208608-01). Né potrebbe essere diversamente, atteso che la previsione dell'art. 630 cod. proc. pen., pur ammettendo la revisione della sentenza divenuta irrevocabile a conclusione del giudizio di cognizione, pone a fondamento della rivalutazione esclusivamente gli elementi storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto di reato posto a carico di chi formula la richiesta. L'art. 630 cod. proc. pen., quindi, non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto di reato, la cui oggettività è fuori discussione, per via della difforme interpretazione della norma penale, atteso che quello che è emendabile in sede di revisione è soltanto l'errore di fatto e non l'interpretazione della norma giuridica posta a presupposto di tale valutazione, considerato che questa evenienza costituisce l'essenza stessa della giurisdizione. 2.1.2. Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'infondatezza del primo motivo di ricorso. 3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell'ordinanza impugnata, per avere la Corte di appello di Brescia omesso di valutare la documentazione contabile allegata nell'interesse dei ricorrenti, relativa all'entità del passivo fallimentare di GM Srl, il cui vaglio avrebbe consentito di rivalutare il giudizio di responsabilità formulato nei confronti di Ma.St. e Br.Pa. per il reato ascrittogli al capo C. Secondo la difesa del ricorrente, nel giudizio di revisione non si era esaminata analiticamente la documentazione contabile relativa ai crediti vantati da Equitalia Sastri e da Banca Nazionale del Lavoro Spa, dalla quali si evinceva che, al contrario di quanto affermato dalla Corte di appello di Milano nella decisione di merito presupposta, nessun aggravamento delle condizioni di dissesto di GM Srl si era verificata a partire dal 2006, che è l'anno nel quale la crisi economica della società in esame si era sviluppata. Osserva, in proposito, il Collegio che, nel reato contestato al capo C, oggetto di punizione è l'aggravamento del dissesto economico della società fallita dipendente dal semplice ritardo nell'instaurare la procedura concorsuale, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti, in linea con quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: "Nel reato di bancarotta semplice, la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell'amministratore (anche di fatto) della società è punibile se dovuta a colpa grave che può essere desunta, non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma. in concreto, da una provata e consapevole omissione" (Sez. 5, n. 18108 del 12/3/2018, Dolcemascolo, Rv. 272823 - 01, si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 28609 del 21/04/2017, Andriollo, Rv. 270874-01; Sez. 5, n. 13318 del 14/2/2013, Viale, Rv. 254986-01). In questa cornice, la Corte di merito evidenziava, coerentemente a quanto già valutato dal primo giudice, che, pur dopo l'esaurimento delle provviste del capitale sociale, collocato temporalmente nell'anno 2006, la società era rimasta in vita, con la conseguenza che le perdite erano aumentate significativamente, passando dalla somma di oltre 144.000,00 Euro, maturata nel 2006, a quella di 372.658,00 Euro, maturata nel 2008. Il passivo societario di GM Srl, quindi, lievitava fino all'ammontare della somma complessiva di 1.000.000,00 di Euro e, nel periodo di aggravamento del dissesto considerato nell'imputazione di cui al capo C, la società Al. 2 Srl, pure riferibile a Ma.St. e debitrice verso l'azienda oggetto di vaglio, veniva dichiarata, anch'essa, fallita. Non v'è dubbio, pertanto, che da un punto di vista prognostico, gli amministratori, legali o di fatto, della società fallita - gli imputati Ma.St. e Br.Pa. - si trovavano nelle condizioni di potersi rappresentare che il ritardo nella presentazione dell'istanza di dichiarazione di fallimento determinasse un aggravamento del dissesto finanziario di GM Srl, che veniva correttamente quantificato nel suo ammontare dalla Corte di appello di Milano. 3.1. Deve, per altro verso, rilevarsi che il ritardo censurato al capo C veniva correlato a un atteggiamento non soltanto negligente degli imputati Ma.St. e Br.Pa., ma addirittura doloso, essendo incontroverso che, per il tempo trascorso e per lo sviluppo degli accadimenti societari che coinvolgevano GM Srl, il dissesto finanziario, di cui i ricorrenti erano pienamente consapevoli, si era aggravato significativamente. Anche in questo caso, pertanto, le deduzioni difensive proposte nell'interesse di Ma.St. e Br.Pa. mirano a sollecitare una rivalutazione complessiva degli elementi probatori riguardanti i fatti di reato di cui al capo C, non supportata da nuovi elementi di prova, che viene prospettata attraverso censure difensive che si risolvono in una mera rilettura delle fonti di prova poste a fondamento della decisione sottoposta a revisione, non supportata da differenti - e non valutati originariamente - parametri di ricostruzione degli accadimenti criminosi, in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: "È inammissibile, per manifesta infondatezza, la richiesta di revisione fondata non sull'acquisizione di nuovi elementi di fatto, ma su una diversa valutazione di prove già conosciute ed esaminate nel giudizio, ovvero su prove che, sia pur formalmente nuove, sono inidonee "ictu oculi" a determinare un effetto demolitorio del giudicato" (Sez. 5, n. 44925 del 26/06/2017, Di Stefano, Rv. 271071-01). Questa opzione ermeneutica, del resto, è stata successivamente confermata da questa Corte, che ha affermato il seguente principio di diritto: "In tema di revisione, nella nozione di nuove prove rilevanti a norma dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, non rientrano quelle esplicitamente valutate dal giudice di merito, anche se erroneamente per effetto di travisamento, potendo, in tal caso, essere proposti gli ordinari mezzi di impugnazione" (Sez. 3, n. 34970 del 03/11/2020, Iorio, Rv. 280046-01). Le deduzioni difensive, dunque, sollecitano una rivalutazione degli elementi probatori già esaminati, incentrandosi su doglianze che si risolvono in una mera rilettura delle fonti di prova poste a fondamento della decisione impugnata, sulla base di una mera rivalutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di un'incongrua ricostruzione dei fatti di reato, indispensabili ai sensi dell'art. 630 cod. proc. pen. 3.1.2. Queste ragioni impongono di ribadire l'infondatezza del secondo motivo di ricorso. 4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente di rigettare il ricorso proposto da Ma.St., Br.Pa. e Ca.Gi., con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso, in Roma il 12 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2024.
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