RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza emessa il 12 marzo 2024, confermava la sentenza del Tribunale di Firenze che aveva accertato la responsabilità penale di Le.Do., in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta documentale, perché quale amministratore della Brayton Tuscany Srl, dichiarata fallita il 5 aprile 2017, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, distruggeva o sottraeva, i libri e le altre scritture contabili, tenuti almeno in parte sino al settembre 2011, e comunque li teneva in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, in Firenze il 5 aprile 2017 (Capo B).
1.1. All'esito del giudizio di merito, la Corte di appello di Firenze ha ritenuto, sulla scorta dell'attività probatoria espletata: -a) la tardiva consegna alla curatela del libro giornale e dei registri IVA relativi agli anni 2007-2009, e registro dei beni ammortizzabili relativo agli anni 2007-2010; --b) la mancata consegna, seppure esistente, alla curatela di tutte le fatture, di tutta la documentazione bancaria, del libro giornale relativo al 2010 e dei mastrini; -c) l'omessa tenuta del libro giornale per gli anni successivi al 2010 e del libro degli inventari.
1.2. L'elemento soggettivo del reato contestato, sub specie di dolo specifico, è stato desunto dal giudice di merito da una coorte di elementi: -a) assenza di asset attivo della società che unitamente ad una contabilità incompleta, impedisce l'accertamento della consistenza patrimoniale della società fallita; --b) esistenza al 31 dicembre 2010, come emergente dalla cassa contanti e dal mastrino, di un saldo attivo di Euro 2895,00, somma non consegnata alla curatele, rimanendo ignota la sua destinazione; --c) esistenza di numerosi addebiti con causale utilizzo di carta di credito, ancora in essere a maggio 2011, quando la società non era più operativa; -d) esistenza di numerosi addebiti per finanziamento automobili, per come presenti nel libro giornale, nel mastrino, nel conto corrente e negli estratti del conto corrente, sebbene la curatela aveva rinvenuto la presenza solo di una Fiat Palio immatricolata nel 1998 e rottamata nel 2014; -e) numerosi pagamenti tramite fattura, non presenti in atti, alla Ambasciata Italiana dell'Arte Srl, società ricollegata alla Le.Do.
Tali circostanze sarebbero dimostrative che tali pagamenti sarebbero stati effettuati non nell'interesse della società, ma diretti a consentire all'imputata di conseguire un ingiusto profitto.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione Le.Do. a mezzo del difensore di fiducia, Avv. Sofia Cavini, deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo del ricorso si eccepisce la violazione di legge nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale e travisamento della prova con riferimento alla condotta di consegna con apprezzabile ritardo.
In particolare, il ricorrente osserva che: --a) il termine di tre giorni per la consegna delle scritture contabili previsto dall'art. 16 L. Fall, decorre dalla notifica della sentenza di fallimento, ma nel caso di specie non è dato sapere quando tale sentenza è stata notificata; -b) pur individuando il dies a quo con quello della audizione innanzi il curatore, la mancanza di disponibilità dei documenti contabili da parte della Le.Do. rende inesigibile il comportamento alternativo corretto, non potendo reperirla nei tre giorni successivi; - c) ad ogni modo, la curatrice il giorno successivo alla audizione ha depositato le relazione, sicché anche il deposito nel termine di legge sarebbe stato inidoneo, giacché tale documentazione non sarebbe stata presa in considerazione; - d) la mancata indicazione del nominativo del commercialista è frutto di carente motivazione del giudice di merito che non ha preso in considerazione i numerosi profili di non credibilità della curatrice; -e) altra contraddittorietà motivazionale investe l'asserita mancata prova dell'ostruzionismo fatto dal commercialista Ne., giacché gli inviti ricolti si riferivano ai documenti relativi alla contabilità successiva al 2010.
3. Il secondo motivo deduce l'inosservanza ed erronea applicazione di legge oltre che la contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale e travisamento della prova con riferimento alla sottrazione della contabilità che in realtà era esistente, essendo stata depositata in dibattimento dalla difesa, trattandosi di documenti che erano stati richiesti al commercialista, rimandando le istanze disattese.
4. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia l'inosservanza ed erronea applicazione di legge oltre che la contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale e travisamento della prova con riferimento al reato di omessa tenuta, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
In particolare, l'imputato censura la sentenza di merito nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto che la contabilità non era stata tenuta e quindi omessa, dolendosi sotto altro aspetto dell'assenza del dolo specifico.
5. Con il quarto motivo si censura l'inosservanza ed erronea applicazione di legge oltre che la contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale e travisamento della prova con riferimento al profilo soggettivo del reato contestato.
Invero, nessun elemento probatorio fa riferimento all'intento ingiustamente profittatorio, giacché: -a) il mancato reperimento di assets non è imputabile alla Le.Do. ma alla incompetenza della curatrice; -b) le uscite finanziarie non giustificate non sono idonee a sorreggere il dolo specifico; - c) alcuni dei bonifici in uscita hanno determinato il pagamento di debiti societari, circostanza evincibile dal raffronto tra l'importo dei bonifici stessi e quello dei debiti estinti; -d) le fatture inerenti l'Ambasciata Italiana dell'Arte sono state registrate in contabilità; --e) l'esiguità del valore delle operazioni sarebbe incompatibile con l'intento di conseguire un ingiusto profitto ovvero di danneggiare i creditori.
6. Con il quinto motivo si censura l'inosservanza ed erronea applicazione di legge oltre che la contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
In particolare, il ricorrente si duole della mancata valorizzazione del comportamento processuale ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto della circostanza che la Le.Do.: --a) ha reso esame, anteriormente all'assunzione delle prove testimoniali indicate dal PM; -b) ha depositato tutta la documentazione richiesta dal Tribunale.
7. La Procura Generale ha trasmesso requisitoria scritta ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. 137 del 2020, concludendo per il rigetto del ricorso: rileva che il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo sono infondati giacché non scalfiscono le argomentazioni poste a fondamento della sentenza di primo grado e di quella di appello, in ordine all'elemento soggettivo e oggettivo del reato contestato, chiedendo il ricorrente una non ammissibile rivalutazione del materiale probatorio; il quinto motivo è manifestamente infondato, giacché la sentenza impugnata contiene una esaustiva motivazione sulle ragioni per cui nel comportamento processuale ed extraprocessuale dell'imputata non si ravvisano elementi di segno positivo suscettibili di essere valorizzati si fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto è infondato e deve essere rigettato.
1.1. Va premesso come le due sentenze di merito integrano la ed. doppia conforme, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615). E dunque, il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 11220, 13 novembre 1997 - dep. 1997, Ambrosino, Rv. 209145).
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Invero, il ricorso ripropone argomenti già discussi e confutati dal giudice del gravame, senza alcun confronto con il ragionamento della Corte di appello.
Va allora ricordato che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (nel primo caso, si tratta di "genericità intrinseca"; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di "genericità estrinseca": Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, in motivazione). In tale ottica è inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, n.m.).
Pure dietro l'apparente denuncia di violazione di legge, il ricorso sollecita complessivamente un riesame del merito non consentito in sede di legittimità attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.
Nemmeno il vizio di motivazione, però, è ammissibilmente dedotto, perché il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione e non invece il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione, per essere valutato come ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione.
Più in generale, è bene ricordare che il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: --a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; --b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Con l'ulteriore precisazione, quanto alla l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
Orbene, nel caso di specie i giudici del merito, nelle rispettive pronunce di primo e secondo grado - che in quanto conformi si integrano in un unicum argomentativo - con motivazione adeguata in quanto del tutto logica e puntuale, hanno evidenziato che la Le.Do. non solo ha consegnato con significativo ritardo al curatore fallimentare il libro giornale ed i registri IVA relativi agli anni 2007-2009, e registro dei beni ammortizzabili relativo agli anni 2007-2010, ma si è anche rifiutata di indicare il nominativo della persona che deteneva la disponibilità.
Del tutto implausibile, argomenta correttamente il giudice del gravame, richiamando quanto affermato dal giudice di primo grado, è quindi la relativa distruzione conseguente ad un allagamento della cantina in cui era stata (asseritamente) riposta, trattandosi di dichiarazione priva di riscontro probatorio.
Sotto altro aspetto, inconferente è la doglianza difensiva diretta a contestare la configurabilità della consegna con apprezzabile ritardo della documentazione contabile, atteso che nel caso di specie non era noto il momento della notifica della sentenza di fallimento e ad ogni modo, pur individuando il dies a quo con quello della audizione innanzi il curatore, la curatrice il giorno successivo alla audizione aveva depositato le relazione, sicché anche il deposito nel termine di legge sarebbe stato inidoneo, giacché tale documentazione non sarebbe stata presa in considerazione.
Invero, è stato accertato che non sono state consegnate, seppure esistenti, alla curatela tutte le fatture, tutta la documentazione bancaria, il libro giornale relativo al 2010 ed i mastrini; a ciò si aggiunga anche l'omessa tenuta del libro giornale per gli anni successivi al 2010 e del libro degli inventari/tali circostanze - indipendentemente dalle modalità temporali di consegna di parte della documentazione contabile - sono sufficienti ad integrare il reato contestato giacché a contestazione mossa al ricorrente è stata espressamente ed esclusivamente quella di bancarotta fraudolenta documentale specifica, come chiaramente si evince dal capo di imputazione, che addebitava alla Le.Do. di aver sottratto o distrutto tutti i libri e le scritture contabili, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
Al riguardo si è precisato che l'oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione (Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi, Rv. 281875).
Le questioni relative alla mancata indicazione del nominativo del commercialista e l'asserita mancata prova dell'ostruzionismo fatto dal commercialista Ne., non si confrontano con quanto statuito sul punto dai giudici del gravame.
Invero, i giudici fiorentini hanno dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali hanno ritenuto che il commercialista non abbia posto in essere alcuna condotta ostruzionistica in ordine alla consegna della documentazione contabile, non avendo alcun interesse contrario, fermo restando che le richieste di consegna inviate dalla Le.Do. sono relative ad un periodo temporale antecedente al fallimento (23 novembre 2015) ovvero coeve allo svolgimento del dibattimento.
Quanto alla contestazione relativa alla mancata indicazione del nominativo della persona depositaria della documentazione contabile, frutto di accertamento non corrispondente alle risultanze istruttorie, è sufficiente rinviare alle pp. 7 e 8 della sentenza gravata che, a seguito di una valutazione degli elementi probatori che appare rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l'apprezzamento delle prove, confermano la circostanza della mancata indicazione.
La Corte di appello, in modo non palesemente illogico, ha valutato (in modo non atomistico e parcellizzato, come invece suggerito dal ricorso) gli elementi di prova raccolti: tale ricostruzione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
La ricorrente, invocando una rilettura di elementi probatori estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dalla Corte territoriale al fine di confutare le censure difensive prospettate in sede di appello e con le emergenze probatorie determinanti per la formazione del convincimento dei giudici di merito.
Va, in proposito, ricordato che non è compito del giudice di legittimità stabilire se la decisione di merito proponga o meno la migliore ricostruzione dei fatti né condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.
3. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione logico - giuridica in quanto diretti, seppure da prospettive differenti, ad eccepire la ritenuta sussistenza dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato contestato, sono infondati.
Come già chiarito da questa Corte, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale devono ritenersi condotte equivalenti la distruzione, l'occultamento o la mancata consegna al curatore della documentazione e l'omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili. Pertanto, per la sussistenza del reato è sufficiente l'accertamento di una di esse e la presenza in capo all'imprenditore del pertinente profilo soggettivo (Sez. 5, n. 8369 del 27/09/2013 - dep. 2014, Azzarello, Rv. 259038).
Anche l'ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta, sotto il profilo dell'elemento materiale, nell'alveo di tipicità dell'art. 216, primo comma n. 2 legge fall, (prima ipotesi), atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d'affari, a fortiori ha inteso punire anche l'imprenditore che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell'impresa.
Le condotte riferibili alla prima ipotesi (sottrazione e distruzione, cui va equiparata l'omissione, nel senso appena precisato) integrano gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta.
Nella specie, i giudici di merito (p. 9 della sentenza) hanno in modo esplicito sottolineato l'equivalenza tra l'omessa tenuta e quella sottrattiva, di modo che l'obbligo del fallito di tenere e completare le scritture contabili in modo regolare non poteva ritenersi assolto, nel
caso di specie, tenuto conto dell'omessa tenuta del libro giornale per gli anni successivi al 2010 e del libro degli inventari.
In una serie di recenti e condivisibili arresti si è, altresì, precisato che, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l'occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa in seno all'art. 216, comma 1, lett. b), L.Fall. - rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest'ultima integra un'ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, Inverardi Angelo, Rv. 276650; Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Martinenghi Stefano, Rv. 279838).
Si parlerà, dunque, nel primo caso, di bancarotta fraudolenta documentale specifica, sorretta dal dolo specifico; nel secondo, di bancarotta fraudolenta documentale generica, sorretta dal dolo generico.
Sotto l'aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realtà, sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilità, che l'omessa tenuta della stessa - totale o parziale che sia - ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilità ricostruttiva dell'andamento dell'azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale. Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l'ingiusto profitto che l'agente intende raggiungere, per sé o per terzi, come nella odierna fattispecie), che costituisce il fuoco dell'elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma.
Come per tutti i delitti dolosi, anche per la bancarotta documentale ed. specifica occorre inferire la prova del reale atteggiamento psichico che deve trarsi da circostanze ed elementi esteriori, anche facendo ricorso a massime di esperienza.
Può ben affermarsi il principio per cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale del tipo 'specificò, prevista dall'art. 216, comma 1, n. 2, prima parte, L.Fall., la prova del dolo specifico costituito dall'animus nocendi di recare pregiudizio ai creditori e dall'animus iucrandi, consistente nel procurare a sé o altri ingiusto profitto, deve inferirsi dal reale atteggiamento psichico dell'agente, che deve trarsi da circostanze ed elementi esteriori, anche facendo ricorso a massime di esperienza.
Gli elementi dai quali desumere la sussistenza del dolo specifico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale specifica e del dolo generico nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale generica non possono coincidere con il mero dato della scomparsa dei libri contabili (o con la tenuta degli stessi in guisa tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari), essendo essi semplicemente gli eventi fenomenici, dal cui verificarsi dipende l'integrazione dell'elemento oggettivo del reato.
Al contrario è necessario che ricorrano circostanze di fatto ulteriori, o quantomeno elementi di natura logica, in grado di farne emergere gli scopi che, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale specifica, devono identificarsi nella finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto ovvero, nel caso della bancarotta fraudolenta documentale generica, di recare pregiudizio ai creditori della consapevolezza che l'irregolare tenuta della documentazione contabile è in grado di arrecare pregiudizio alle ragioni del ceto creditorio.
Dagli elementi esposti, il giudice dell'appello desume che appare evidente anche la sussistenza della prova del necessario coefficiente soggettivo del dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto attraverso la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Il coefficiente soggettivo ricercato in concreto, in ogni caso, regge al confronto con i parametri giurisprudenziali ai quali il Collegio si è richiamato, poiché la Corte d'Appello ha motivato l'attribuzione psicologica del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta in coerenza con i caratteri del dolo specifico di conseguire un ingiusto profitto.
L'elemento soggettivo del reato contestato, sub specie di dolo specifico, è stato desunto dal giudice di merito da una pletora di elementi: -a) assenza di asset attivo della società che unitamente ad una contabilità incompleta, impedisce l'accertamento della consistenza patrimoniale della società fallita; -ti) esistenza al 31 dicembre 2010, come emergente dalla cassa contanti e dal mastrino, di un saldo attivo di Euro 2895,00, somma non consegnata alla curatele, rimanendo ignota la sua destinazione; -c) esistenza di numerosi addebiti con causale utilizzo di carta di credito, ancora in essere a maggio 2011, quando la società non era più operativa; -d) esistenza di numerosi addebiti per finanziamento automobili, per come presenti nel libro giornale, ni mastrino, nel conto corrente e negli estratti del conto corrente, sebbene la curatela aveva rinvenuto la presenza solo di una Fiat Palio immatricolata nel 1998 e rottamata nel 2014; -e) numerosi pagamenti tramite fattura, non presenti in atti, alla Ambasciata Italiana dell'Arte Srl, società ricollegata alle Le.Do.
Con tali profili, non si confronta il ricorso, cosicché lo stesso è assolutamente aspecifico sul punto, contestando in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, difettando di una critica puntuale al provvedimento, che prenda in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521).
E per altro, non "attaccando" taluni specifici profili, non si palesa alcuna manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione: la censura si sostanzia in una valutazione di merito, come tale insindacabile nel giudizio di legittimità. Infatti sono inammissibili le doglianze della ricorrente che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, cosi come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna Salvatore, Rv. 28074701; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Invero, le censure svolte sul punto dalla difesa non si confrontano con questa motivazione ed anzi omettono con confrontarsi con alcune di tali circostanze, al fine di confutarle (nulla dice la difesa in merito alla esistenza al 31 dicembre 2010, come emergente dalla cassa contanti e dal mastrino, di un saldo attivo di Euro 2895,00, somma non consegnata alla curatele, rimanendo ignota la sua destinazione; alla esistenza di numerosi addebiti con causale utilizzo di carta di credito, ancora in essere a maggio 2011, quando la società non era più operativa; alla esistenza di numerosi addebiti per finanziamento automobili, per come presenti nel libro giornale, ni mastrino, nel conto corrente e negli estratti del conto corrente, sebbene la curatela aveva rinvenuto la presenza solo di una Fiat Palio immatricolata nel 1998 e rottamata nel 2014).
Inoltre, va ricordato che, in tema di reati fallimentari, l'amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell'amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture. Obbligo che discende, ex lege, dalla sola formale assunzione delle funzioni gestorie.
Cosicché, ogni censura afferente all'esistenza o meno di un'attività gestoria da parte della Le.Do. (per risiedere dal marzo 2011 in C) o, ancora, al ruolo maggiore o minore avuto all'interno della società (per essere stata la contabilità consegnata dal commercialista a Co.An. che, unitamente a Sp.Br., aveva preso il testimone della società) è, francamente, irrilevante.
4. Ampia e argomentata la motivazione con la quale la Corte di appello ha giustificato il trattamento sanzionatorio e confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche (v. pp. 12 e 13 della sentenza di appello), confrontandosi, in ossequio ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., con le modalità della condotta e la sua gravità, la condotta ostruzionistica complessivamente realizzata nei confronti della curatela, tanto da ritenere ragionevolmente l'imputato non meritevole di attenuazione della pena, peraltro già commisurata al minimo edittale.
Si è precisato che, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460). Ciò significa, in altri termini, che l'applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, De Crescenzo Andrea, Rv. 281590).
La valutazione è allineata con l'orientamento, consolidato, secondo cui il giudice di merito può escludere la sussistenza delle circostanze attenuanti generiche con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269) essendosi limitato a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente, e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone e altri, Rv. 249163; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 27954901).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 25 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2024.