RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 6 luglio 2023 la Corte d'Appello di Cagliari ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato De.An. alla pena di giustizia, avendolo ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale contestatagli per avere sottratto, nella qualità di amministratore della S.D. Commerciale Srl, dichiarata fallita in data 23 febbraio 2015, i libri o le altre scritture contabili della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, rilevando che la Corte territoriale, sebbene fosse stata contestata un'ipotesi di bancarotta prefallimentare, si era concentrata su fatti e condotte successive alla conclusione della procedura fallimentare: tale rilievo confermerebbe, secondo il ricorso, che il De.An. aveva avuto conoscenza della procedura concorsuale solo dopo che la stessa si era già conclusa. Siffatto presupposto era, del resto, riconosciuto anche dalla sentenza impugnata, secondo la quale il De.An., pur non avendo ricevuto comunicazione formale del fallimento, ne sarebbe stato a conoscenza dalla seconda metà di maggio 2015. Tuttavia, il 10 aprile 2015 era intervenuto il provvedimento di chiusura della procedura fallimentare. Ne discende che il fatto descritto nell'imputazione non era sussistente, poiché nessuno aveva mai chiesto al De.An. di consegnare la documentazione e che, in ogni caso, era insussistente il dolo. A fronte di tali premesse, come già rilevato nell'atto di appello, era del tutto indifferente che le scritture fossero conservate in luogo non dichiarato alla Camera di Commercio.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, rilevando che le conclusioni della Corte territoriale riposano sull'erronea premessa che il De.An. avesse a disposizione le scritture contabili relative agli anni 2011 e 2012, laddove la documentazione che l'imputato aveva ritirato, in data 27 novembre 2012 dall'associazione incaricata della tenuta della contabilità, riguardava "contabilità ad uso interno" (acquisti, vendite, corrispettivi, prima nota, banca e cassa), ossia scritture diverse da quelle obbligatorie previste dagli artt. 2214 e 2374 cod. civ.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, sotto il profilo della sussistenza del dolo, non ravvisabile, nel caso di specie, tenuto conto della mancata conoscenza della procedura fallimentare che, a tutto voler concedere, poteva essere ascritta alla mera negligenza dell'imputato che non aveva comunicato il trasferimento della sede.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta mancanza assoluta di motivazione, in ordine alla possibilità di accesso alle pene sostitutive, destinata ad essere valutata dal giudice anche in assenza di richiesta dell'imputato.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Giuseppe Sassone, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso, nonché le conclusioni del difensore dell'imputato, che ha insistito per l'accoglimento del ricorso, contestando le argomentazioni sviluppate dalla pubblica accusa e chiedendo di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, con particolare riguardo alla questione sollevata con il quarto motivo
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione logica, sono infondati.
Con riferimento all'aspetto oggettivo della condotta, occorre, innanzitutto, ribadire che l'oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale può essere rappresentato da qualsiasi documento contabile relativo alla vita dell'impresa, dal quale sia possibile conoscere i tratti della sua gestione, diversamente da quanto previsto per l'ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (v., ad es., Sez. 5, n. 37459 del 22/09/2021, De Bernardi, Rv. 281875 - 01).
Ne discende la manifesta infondatezza della tesi - peraltro genericamente, prospettata nel secondo motivo- secondo la quale la ricevuta a firma dell'imputato attestante il ritiro di "contabilità completa, acquisti, vendite, corrispettivi, prima nota, banca e cassa" non dimostrerebbe la preesistenza della contabilità relativa al 2011, la cui sottrazione vale ad integrare l'elemento oggettivo del reato. Il ricorso, oltre a trascurare il non equivoco riferimento letterale, nella ricevuta, alla "contabilità completa", giunge a fornire assertivamente una interpretazione diversa della formula letterale, secondo la quale essa si riferirebbe ad una mera contabilità ad uso interno, senza neppure spiegare nel dettaglio a quale oggettiva risultanza processuale sia agganciata la critica alla ricostruzione operata dai giudici di merito. Sotto questo specifico profilo, quindi, la critica - manifestamente infondata nelle sue premesse giuridiche - è priva di qualunque specificità. Del resto, a parte il carattere assorbente dei superiori rilievi, va rilevato che lo stesso ricorrente ha ammesso che la cessazione dell'attività è avvenuta nel 2012.
Ciò posto, in disparte la non linearità della prospettazione difensiva che, da un lato (nel secondo motivo), revoca in dubbio l'esistenza delle scritture relative al 2011 e, dall'altro, si duole (in particolare, nel primo motivo) del fatto che la mancata conoscenza della procedura fallimentare avrebbe impedito all'imputato di consegnare tali scritture, si osserva che l'accertamento della responsabilità riguarda proprio una condotta anteriore alla dichiarazione di fallimento, consistita nella sottrazione delle scritture contabili relative al 2011, che, nella loro completezza, non sono mai state consegnate o prodotte dall'imputato, anche nel corso del processo. Tutto ciò, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente nel primo motivo, non finisce per valorizzare condotte successive alla dichiarazione di fallimento, con immutazione del titolo di responsabilità, ma solo per trarre dalla persistente inerzia dell'imputato conferma insuperabile della sua volontà di non porre le scritture a disposizione di chi avrebbe potuto trarne elementi per una diversa ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
D'altra parte - e con ciò si viene all'esame del terzo motivo - del tutto genericamente il ricorso contesta la ritenuta sussistenza del dolo specifico, nel senso che non si confronta con i plurimi indici obiettivi, tratti dalla successiva vicenda della cessione d'azienda - la cui consistenza esatta è rimasta oscura - e dal mancato rinvenimento del corrispettivo di quest'ultima, che dimostrano il fine fraudolentemente perseguito di pregiudicare le ragioni creditorie, con condotte prive di qualunque equivocità, tra le quali si inserisce anche il non pubblicizzato trasferimento della sede sociale. A quest'ultimo riguardo, va sottolineato che la Corte territoriale non ha operato alcuna sovrapposizione e confusione di profili soggettivi, posto che il dolo specifico è fondamentalmente argomentato proprio sulla base della rilevanza delle scritture sottratte in ragione delle operazioni che l'imputato ebbe a porre in essere in quel periodo.
2. Il quarto motivo è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi di cui all'art. 20-bis cod. pen., affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi sulla loro applicabilità come previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell'art. 95 D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (ed. riforma Cartabia), è necessaria una richiesta in tal senso dell'imputato, che non dev'essere formulata necessariamente con l'atto di impugnazione o con la presentazione di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, cod. proc. pen., ma deve intervenire, al più tardi, nel corso dell'udienza di discussione del gravame (v., di recente, Sez. 2, n. 12991 del 01/03/2024, Generali, Rv. 286017 - 01, con ampia citazione dei precedenti giurisprudenziali conformi). Si è, al riguardo, osservato che tale interpretazione "non è preclusa dal principio ricavato dall'art. 597, comma 5, cod. proc. pen., secondo cui il giudice non ha il potere di applicare d'ufficio le sanzioni sostitutive in assenza di specifica richiesta sul punto formulata con l'atto d'appello, non rientrando le sanzioni sostitutive tra le ipotesi tassativamente indicate dalla suindicata norma. Detto principio deve essere, infatti, coordinato con la disciplina transitoria, che sancisce espressamente l'applicabilità delle nuove pene sostitutive, in quanto più favorevoli, ai giudizi d'appello in corso all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 150/2022, senza porre limitazioni attinenti alla fase, introduttiva o decisoria, del giudizio stesso. Pertanto, la richiesta dell'imputato può essere formulata con l'atto d'appello, con i motivi nuovi, o anche nel corso della discussione del giudizio d'appello. Si tratta dell'interpretazione maggiormente conforme all'intenzione del legislatore di favorire la più ampia applicazione delle pene sostitutive".
Ne discende, pertanto, che tale orientamento giurisprudenziale intende, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non già introdurre un requisito (la richiesta di parte) non previsto dalla legge, in tal modo limitando ingiustificatamente le prerogative dell'imputato, ma ampliare, in senso favorevole, queste ultime, superando la preclusione che altrimenti deriverebbe dalla mancata proposizione dell'appello sul punto.
Ma anche a voler ritenere che la sostituzione della pena detentiva breve possa essere disposta d'ufficio dal giudice, il risultato non cambierebbe, alla luce dei principi reiteratamente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte, sia pure in altri ambiti. Si è infatti osservato che, in tema di sospensione condizionale della pena, fermo l'obbligo del giudice d'appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 - 01).
Le suesposte considerazioni rendono conto dell'insussistenza di un contrasto, anche potenziale, di giurisprudenza sul punto, con la conseguenza che non ricorrono i presupposti per rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618, comma 1, cod. proc. pen.
3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2024.