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Bancarotta fraudolenta documentale: sulle difficoltà per il curatore di ricostruire il patrimonio

Bancarotta fraudolenta documentale

Giugno 2024 - Cassazione penale sez. V, 13/06/2024, n.32160

Il reato di bancarotta fraudolenta documentale è configurabile "non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Genova, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Genova, in data 16.9.2020, previa assoluzione di Ca.Pa. dal reato di cui al capo A) punto 2 della rubrica perché il fatto non sussiste (per la contestata corresponsione di emolumenti ingiustificati corrisposte agli amministratori per la somma di Euro 24.754,78), e diversa qualificazione della condotta scritta al capo A) punto 3 della rubrica come bancarotta preferenziale, ha ridotto la pena irrogata dal primo giudice nella misura complessiva di anni tre mesi 9 di reclusione, nonché revocato la sospensione condizionale della pena concessa con precedente sentenza, confermando nel resto l'impugnata sentenza. Ca.Pa., nella qualità di amministratore unico della Masi Srl dichiarata fallita dal Tribunale di Genova in data 03/12/2015, è stata condannata per i reati di cui agli artt. 216 n. 1), 223,219 comma 2 n.1 L.Fall, 223 comma 2 n. 1 L.Fall. in relazione all'art. 2632 cod. civ., 216,223 comma 2 m. 2 L.Fall., 216, 223 comma 1 n. 2 L.Fall. (bancarotta fraudolenta distrattiva, bancarotta fraudolenta documentale, di aggravamento del dissesto della società e di bancarotta per aggravamento del dissesto contestata al capo d commettendo i fatti di cui all'art. 2632 cod. civ. e il delitto di falso in scritture contabili di cui all'art. 2621 cod. civ.). In particolare Ca.Pa. è stata condannata dal Tribunale di Genova: - per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo A), in concorso con Ba.Da., in relazione a plurime condotte distrattive: della somma di Euro 130.809,00, prelevata giustificatamente dal conto corrente sociale destinato fittiziamente a finanziamenti verso terzi, tuttavia, non identificati né identificabili; della somma di Euro 50.000,00, prelevata per cassa nel 2012, destinata al finanziamento verso terzi, non identificati né identificabili; della somma di Euro 25.000 corrispondente ad emolumenti corrisposti agli amministratori, data dalla differenza tra importi prelevati a tale titolo e quelli stabiliti dalle delibere assembleari; della somma di Euro 22.819 corrispondente al valore dei beni strumentali ceduti dalla società fallita al marito della medesima Ca.Pa., Al.Fo.); - per il reato di cui artt. 110223 comma 2 n. 1 L. fall, in relazione all'articolo 2632 cod. civ. (capo B) per avere cagionato o concorso a cagionare il dissesto della società, deliberando, in data 13 ottobre 2008, una fittizia operazione di aumento di capitale realizzata attraverso un giroconto di risorse sociali. La stessa Ca.Pa. aveva ammesso di essere consapevole che senza l'aumento fittizio di capitale la società Masia Srl sarebbe fallita; - per il reato di cui all'articolo 223, comma 2, n. 1 Legge Fall. (capo D), per avere concorso a cagionare il dissesto della società commettendo il delitto di falso in scritture contabili di cui all'art. 2621 cod. civ., in particolare, per avere rappresentato, nel bilancio per l'anno 2008, l'apparente copertura di perdite per 206.506 Euro fatta figurare falsamente in bilancio ma smentita dalla verifica contabile del curatore, oltre che crediti apparenti derivanti da fatture ancora da emettere; - per il reato di bancarotta fraudolenta documentale per avere tenuto le scritture contabili in modo da rendere non possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società. La Corte d'Appello ha assolto la ricorrente, perché il fatto non sussiste, dall'ipotesi distrattiva contestata al capo A) limitatamente alla somma di Euro 24.754,78 corrispondente ad emolumenti corrisposti agli amministratori; ha diversamente qualificato termini di bancarotta preferenziale la condotta contestata al capo A) punto 3 (limitatamente alla somma di Euro 22.419,00 corrispondente al valore di beni ed attrezzatture cedute a Al.Fo.). 2. Ca.Pa., per il tramite del suo difensore, avvocato Gianemilio Genovesi, ha proposto ricorso per cassazione. 2.1. Con primo motivo denuncia vizi di motivazione e di violazione di Legge in punto di sussistenza delle appropriazioni di cui al capo A) punto 1) Deduce non esservi prova della appropriazione della somma di Euro 130.809,13, ovvero che la stessa somma possa essere stata utilizzata " per usi egoistici dell'imputata". Al contrario dalla relazione del curatore risulterebbe che la suddetta somma sarebbe stata utilizzata per pagare tasse (per un importo di Euro 86.200), per pagamenti ad Agos Spa (per un importo di Euro 7.904,13), per il pagamento di un condono (per l'importo di Euro 25.000,00), per la restituzione ai soci di versamenti (per un importo di Euro 8.000,00), per pagamenti alla Genova Parcheggi (per un importo di Euro 7.904,13). Lo stesso curatore aveva ritenuto di non poter escludere l'impiego delle somme per i fini annotati in contabilità. Quanto alla residua somma di Euro 6.832,00, corrispondente a prelievi in contanti utilizzati per spese correnti, si tratta comunque di una sottrazione risibile ed unica. Inoltre, il pagamento di tali somme è avvenuto negli anni 2003/2006, mentre il fallimento risale al 2015, ed una eventuale distrazione non avrebbe avuto alcun senso. Analoghe considerazioni sono state svolte relativamente alla contestata appropriazione della somma di Euro 50.000: non vi è la prova che la stessa fosse stata utilizzata per esigenze personali della Ca.Pa. e non a fini societari. La superiore somma, oggetto di plurimi prelievi effettuati nel corso dell'anno 2012, è stata impiegata per pagamenti in contanti dovuti dalla società Masia s.r.l, in particolare per il pagamento di retribuzioni e per la restituzione di finanziamenti ricevuti dai soci Ca.Pa. e Al.Fo. 2.2. Con secondo motivo denuncia vizi di motivazione e di violazione di Legge in punto di affermazione del dolo della Ca.Pa. relativamente alle appropriazioni sopra indicate. I prelievi sono stati effettuati in vista di pagamenti in favore di creditori della società e per saldare debiti della stessa. Non è stata data la prova dell'uso indebito delle risorse e la sentenza è immotivata sul punto. 2.3. Con terzo motivo denuncia vizi di motivazione e di violazione di Legge in relazione all'affermazione del dolo della Ca.Pa. relativamente alla condotta contestata al capo B). La ricorrente ha agito senza alcun intento criminale, soltanto mossa dalla intenzione di salvare la società. Il passivo fallimentare non è stato generato da distrazioni bensì è derivato dal fatto che gli importi percepiti dalla società da parte di Stazioni Marittime (unica committente dalla società Masia) servivano a coprire gli stipendi e gli oneri di gestione corrente ma non a coprire le imposte (come anche dichiarato dal curatore). 2.4. Con quarto motivo denuncia vizi di motivazione e di violazione di Legge in punto di affermazione del dolo della ricorrente relativamente alla condotta contestata al capo D). Mancherebbe il dolo specifico, richiesto dall'articolo 2621 cod. civ. nella versione vigente fino al 13 giugno 2015 prima delle modifiche apportata dalla Legge n. 69 del 2015. La Ca.Pa. non ha agito con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico, non ha lucrato sul dissesto, ed ha perduto l'attività di una vita che aveva cercato di finanziare e difendere in tutti i modi. 2.5. Con quinto motivo denuncia vizi di motivazione e violazione di Legge in relazione alla condotta contestata al capo E) e la violazione del principio del ne bis in idem. È mancato il dolo specifico di impedire la ricostruzione della contabilità della società Masia Srl come dimostrato anche dal fatto che il curatore l'aveva interamente ricostruita. A tutto concedere la contabilità poteva essere stata imprecisa ma nulla di più. Inoltre, fino al 2008 la società non era ancora in dissesto e non sussisteva l'esigenza di ricorrere ad alcuna operazione illecita. In ogni caso le condotte che si pretendeva di sanzionare attraverso il capo E) erano già oggetto delle contestazioni di cui ai capi A) B) e D), con violazione del divieto di bis in idem. 2.6. Con sesto motivo deduce vizi di motivazione di violazione di Legge per la prescrizione delle condotte indicate ai capi A) punto 1 (In quanto risalente all'anno 2006, con prescrizione maturata il 30 giugno 2019), B) (in quanto risalente al 13 ottobre 2008 con prescrizione maturata il 13 Aprile 2021), D) punto 1) (in quanto risalente al 2008 una prescrizione maturata al 30 giugno 2021) ed E) punti 1) (in quanto risalente al 2007 e prescritti dal 30 giugno 2020) e 2) (in quanto risalente al 2008 è prescritto dal 13 Aprile 2021). 2.7. Con settimo motivo denuncia vizi di motivazione e violazione di Legge in punto di applicazione della recidiva. La ricorrente non è stata mai condannata per reati di cui alla Legge fallimentare e i reati fiscali per i quali aveva riportato condanna non possono essere ritenuti della stessa "indole". 2.8. Con ottavo motivo denuncia vizi di motivazione e di violazione della Legge in punto di mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti e sulla recidiva. 2.9. Con nono motivo deduce vizi di motivazione e violazione di Legge in punto di pena in quanto determinata in misura superiore al minimo edittale e per la mancata concessione della detenzione domiciliare sostitutiva, con una motivazione contraddittoria ed in violazione delle norme penali anche in considerazione della situazione personale dell'imputata. 2.10. Con ultimo motivo deduce di motivazione e di violazione di Legge in punto di revoca della sospensione condizionale, concessa con sentenza del 6 Febbraio 2014. Il procedimento riguarda condotta avvenuta in anni antecedenti il 6 Febbraio 2014 (a partire dagli anni 2003-2007) mentre i fatti successivi si inserirebbero comunque nel contesto di condotte iniziate anni addietro. Il Sostituto Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso. I difensori, avv. Gianemilio Genovesi e Dario Traverso, con memoria scritta hanno insistito nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile. 1. La giurisprudenza di questa Corte è costante nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi che la sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, Musumeci, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, Li Destri, non mass.). Inoltre, specie in presenza di una "doppia conforme", come nel caso di specie, il giudice di appello, nella motivazione della sentenza, non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi che compendiano la ratio deriderteli della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 - 01; Sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024). Va ricordato, inoltre, che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (nel primo caso, si tratta di "genericità intrinseca"; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di "genericità estrinseca": Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, in motivazione). In tale ottica è inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso, infatti, non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, Maisto, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, Muscolino, n.m.; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Giagnorio, Rv. 231708). D'altra parte, quando si censuri la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e) cod. proc. pen., occorre che tali vizi risultino dal testo del provvedimento impugnato, ovvero che il testo del provvedimento si presenti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, essendo esclusa la possibilità di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621-01). Anche quando si prospetti un'apparente denuncia di violazione di Legge, occorre che il ricorso non solleciti complessivamente un riesame del merito, attraverso una rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti, non essendo ciò consentito in sede di legittimità. In tal senso è pacifico l'insegnamento di legittimità secondo cui alla Corte di cassazione "è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell'intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale del provvedimento in sé e per sé considerato, verifica necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui esso è "geneticamente" informato, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260-01)" (Sez. 5, n. 14932 del 05/03/2024 s.m.). 2. Delineate le coordinate normative alle quali ricondurre l'esame del ricorso, deve rilevarsi che il primo motivo è inammissibile in quanto la ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità. In ordine alla ritenuta distrazione della somma di Euro 130.809,13 la Corte di appello ha precisato come dalla relazione del curatore fallimentare ex articolo 33 Legge Fall, risulti che i prelievi effettuati dalle casse sociali, negli anni 2003 - 2006, non contenevano alcuna indicazione dei beneficiari nelle schede contabili trasmesse dall'amministratore. Anche nel libro giornale risultava l'annotazione di voci del tutto generiche (ad esempio per "pagamento tasse" o per "contante per cassa") e non era, altresì, individuabile alcun riferimento a pagamenti effettuati in favore della Genova Parcheggi o a titolo di condono, contrariamente a quanto assertivamente sostenuto in ricorso. È stato, pertanto, ritenuto congetturale l'assunto secondo cui i prelievi in contanti sarebbero stati utilizzati per il pagamento di spese correnti o per il pagamento di dipendenti, avendo il curatore affermato di non essere stato in grado di ricostruire la destinazione delle somme di denaro prelevate dalle casse sociali e di non avere potuto ricostruire il movimento degli affari della società. La prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell'amministratore, della destinazione dei suddetti beni (per tutte v. Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710). Ciò deriva dalla peculiarità della normativa concorsuale. L'imprenditore, infatti, è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono la garanzia dell'adempimento delle obbligazioni dell'impresa sul patrimonio di quest'ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell'integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio, o l'elisione della sua consistenza, danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l'evento giuridico sotteso alla fattispecie di bancarotta fraudolenta. Nondimeno "l'art. 87 Legge fall, assegna al fallito obbligo di verità circa la destinazione dei beni di impresa al momento dell'interpello formulato dal curatore al riguardo, con espresso richiamo alla sanzione penale: l'obbligo di verità, penalmente sanzionato e gravante sul fallito ex art. 87 Legge fall., unitamente alla sua responsabilità in ordine alla conservazione della garanzia patrimoniale, giustifica l'apparente inversione dell'onere della prova a suo carico, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato (Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, Ciraolo, Rv. 282652) " (Sez. 5, n. 4829 del 12/01/2024, s.m.). 2.1. In ordine, poi, alla distrazione della somma di Euro 50.000, la doglianza difensiva non tiene conto della puntuale motivazione della sentenza impugnata che ha evidenziato come dalla relazione del curatore fallimentare risulti un prelevamento dalla Cassa di Euro 50.000,00, operato il 31/12/2012, nonostante la società si trovasse in stato di palese insolvenza già dal 31/12/2008. È rimasto indimostrato l'assunto difensivo, posto già a fondamento dell'appello, secondo cui la somma sarebbe stata utilizzata per effettuare pagamenti nell'interesse della società, in quanto la documentazione allegata a sostegno di tale assunto è risultata per tutto priva di data certa ed inattendibile. 3. È inammissibile, siccome manifestamente infondato, anche il secondo motivo con il quale si contesta la mancanza del dolo della Ca.Pa. relativamente alle condotte distrattive di cui al capo A). Secondo l'insegnamento di legittimità, "l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, secondo quanto ribadito dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte, è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte" (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805). La prova dell'elemento soggettivo è desunta dai c.d. "indici di fraudolenza" delle condotte, poste in essere nella fase precedente al fallimento (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763) e, nel caso in esame, come già rilevato dalla Corte di appello, la prova del dolo deve essere ricollegata alla rilevante consistenza degli importi prelevati - per complessivi 130.809,13 negli anni 2003-2006 e per l'importo di Euro 50.000 nell'anno 201 2- in mancanza di alcuna oggettiva ragione riconducibile all'attività d'impresa. 4. È manifestamente infondato anche il terzo motivo con il quale si deduce l'insussistenza dal dolo della ricorrente in relazione alla condotta contestata al capo B). In tema di bancarotta impropria da reato societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto e questa "va intesa non quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356; Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi, Rv. 252804: fattispecie relative ad esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, circa la situazione economica e finanziaria della società, con conseguente dissesto della medesima ed induzione in errore dei creditori)" (Sez. 5, n.50489 del 16/05/2018, Rv 274449-01). Tale principio di diritto inerisce anche all'ipotesi di reato in esame avendo la medesima ricorrente ammesso di essere stata pienamente consapevole che, senza l'aumento fittizio del capitale effettuato nel 2008, quando la società si trovava già in grave dissesto fin dal 2007, la stessa sarebbe subito fallita. La dichiarata intenzione di avere agito al mero fine di salvare la società non vale ad escludere il dolo della bancarotta dal momento che la ricorrente, come ben sottolineato nella sentenza di primo grado, avrebbe dovuto chiedere la liquidazione della società immediatamente dopo il palesarsi delle condizioni di dissesto, e non ignorare che la prosecuzione dell'attività sociale avrebbe potuto comportare un aggravamento della situazione. Invero "integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere ad interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell'attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi." (Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, Rv 282537-01). 5. È infondato anche il quarto motivo di ricorso. I fatti di falso in bilancio seguiti dal fallimento della società non costituiscono un'ipotesi aggravata del reato di false comunicazioni sociali, ma integrano l'autonomo reato di bancarotta fraudolenta impropria da reato societario (Sez. 5, n. 15062 del 02/03/2011, Siri, Rv. 250092). La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell'amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentire quindi la prosecuzione dell'attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione, con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l'evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione, ma anche il semplice aggravamento del dissesto (tra le altre Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, Ferrante, Rv. 261759; Sez. 5 n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, Bevilacqua, Rv. 282537). Sotto il profilo soggettivo si è affermato che il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico (tra le altre Sez. 5, n. 23091 del 29/03/2012, Baraldi, Rv. 252804; Sez. 5, n. 42257 del 06/05/2014, Solignani, Rv. 260356; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Nicosia, Rv. 274449). Nel caso in esame, le sentenze di merito hanno congruamente motivato sul punto rilevando come la copertura di perdite per l'importo di Euro 206.506,00 si sia rivelata fittizia per il curatore, avendo, inoltre, quest'ultimo precisato di avere rinvenuto nella contabilità apparenti crediti in relazione a fatture da emettere, senza che tuttavia tali fatture siano state rinvenute: tutto ciò ha determinato una fittizia apparenza di crediti, evidentemente finalizzata a nascondere la reale situazione di dissesto della società già risalente al 2007. L'avere fittiziamente nascosto le perdite, al fine di consentire la prosecuzione dell'attività sociale, ha sicuramente aggravato il dissesto con rilevante pregiudizio per i creditori. Risultano del tutto generiche e giuridicamente irrilevanti le affermazioni poste a fondamento del ricorso sulla mancanza di volontà della ricorrente di ingannare i soci o il pubblico, o di conseguire un personale ingiusto profitto. 6. È infondato il quinto motivo di ricorso con il quale si contesta la sussistenza del reato contestato al capo E) sul presupposto che la ricorrente non si sarebbe mai occupata della contabilità ma soltanto della gestione operativa della società. La doglianza non si confronta con la motivazione della Corte di appello che ha sottolineato come la delega al commercialista degli adempimenti contabili non possa comportare l'esclusione della responsabilità penale dell'amministratore, sul quale gravano gli obblighi di tenuta della compatibilità. Secondo il pacifico insegnamento di questa Corte, a norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l'imprenditore che esercita un'attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell'opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l'attività da essi svolta nell'ambito dell'impresa; in caso di fallimento, risponde penalmente dell'attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla Legge. Sia nell'ipotesi di bancarotta semplice che nell'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, l'imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall'imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta da rigorosa prova contraria (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Rv. 280133-01; Sez. 5, n. 2812 del 17/10/2013 - dep. 2014, Rv. 258947; Sez. 5, n. 11931 del 27/01/2005, Rv. 231707), che, dalle due sentenze di merito, non risulta essere stata fornita. È inammissibile anche l'ulteriore doglianza con la quale si rileva che il curatore avrebbe comunque ricostruito l'assetto contabile della società, così da escludere la responsabilità penale per il reato in contestazione. Secondo l'insegnamento costante di legittimità, il reato di bancarotta fraudolenta documentale è configurabile "non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza" (Sez. 5, n. 46896 del 13/10/2023, Rv 285430-01; Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, Faragona, Rv. 265682 - 01; Sez. 5, n. 21588 del 19/04/2010, Suardi, Rv. 247965 - 01; Sez. 5, n. 4794 del 05/02/1988, Conticelli, Rv. 178181 - 01). La censura non si confronta con la motivazione data dai giudici di merito (pag. 4 della sentenza di primo grado) secondo la quale "le fittizie operazioni di finanziamento a terzi, attestate dal curatore nel corso della sua deposizione" che hanno in realtà costituito "prelievi ingiustificati di denaro dal patrimonio sociale" ha integrato una alterazione delle scritture contabili "rilevante ai fini della possibilità per il curatore di ricostruire sulla base di essa la effettiva dinamica del patrimonio del movimento degli affari". La sentenza impugnata rileva, peraltro, con particolare riferimento ai prelievi effettuati per l'importo di Euro 130.809,13 senza alcuna indicazione dei beneficiari nelle schede contabili trasmesse dall'amministratore", che lo stesso curatore ha precisato la difficoltà nell'effettuare la ricostruzione; e che, con riferimento all'operazione del 13/10/2008, la ricostruzione "sia stata resa possibile solo attraverso l'analisi dei conti correnti della società e non certo delle scritture contabili". È manifestamente infondata, altresì, la censura volta a sostenere una presunta violazione il divieto di bis in idem. Con riferimento alle condotte sopraindicate- relativamente all'importo di Euro 130.809,00 e alla operazione di ricapitalizzazione del 13/10/2008, contestate sia come oggetto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva che come oggetto nel reato di bancarotta documentale - ben possono le due fattispecie concorrere in quanto "In tema di reati fallimentari, l'esposizione fraudolenta di passività di cui all'art. 216, comma primo, n. 1, seconda parte, L.Fall. e l'esposizione di costi fittizi dissimulante la diversa destinazione data alle corrispondenti attività non si risolvono nella falsificazione idonea ad integrare l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2, L. fall, né l'ipotesi di falso in bilancio, a norma degli articoli 223, comma secondo, n. 1 L.Fall. e 2621-2622 cod. civ.; al contrario ciascuna di queste ultime previsioni può concorrere sia con la bancarotta patrimoniale costituita dall'esposizione di passività inesistenti sia con la bancarotta patrimoniale costituita da attività distrattive mascherate attraverso l'esposizione di costi inesistenti" (Sez. 5, n. 29336 del 20/04/2007,Rv. 237255 - 01). 7. È inammissibile, siccome manifestamente infondato, il sesto motivo con il quale si deduce l'intervenuta prescrizione delle condotte contestate ai capi A),B),D) ed E) in quanto secondo il costante insegnamento di legittimità " in tema di bancarotta, la prescrizione inizia a decorrere dalla data della declaratoria di fallimento o dello Stato di insolvenza e non dal momento della consumazione delle singole condotte poste in essere in precedenza" (Sez.5, n 592 del 04/01/2013, dep. 2014, Rv 258712). 8. È manifestamente infondato il settimo motivo relativo alla ritenuta sussistenza della recidiva aggravata. L'articolo 101 cod. pen. indica due criteri alternativi per l'identificazione dei reati della stessa indole: un criterio cosiddetto formale (ope legis) per il quale sono considerati reati della stessa indole "quelli che violano una stessa disposizione di Legge" ed un criterio cosiddetto sostanziale (ope iudicis) per il quale sono considerati reati della stessa indole "quelli che pur essendo previsti da disposizioni diverse del codice ovvero da Leggi diverse, non di meno, per la natura dei fatti che li costituiscono o i motivi che li determinarono presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni". In giurisprudenza è consolidato il principio secondo il quale "ai sensi dell'articolo 101 cod. pen. "reati della stessa indole" sono non soltanto quelli che violano la medesima disposizione di Legge, ma anche quelli che, pur essendo previsti da testi normativi diversi, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati, presentano nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni, di modo che più reati possono considerarsi omogenei per comunanza di caratteri fondamentali quando siano simili le circostanze oggettive nelle quali si sono realizzati, quando le condizioni di ambiente e di persona nelle quali sono state compiute le azioni presentino aspetti che rendano evidente l'inclinazione verso l'identica tipologia criminosa, ovvero quando le modalità di esecuzione, di esperienze adottate o le modalità di aggressione dell'altrui diritto rivelino una propensione verso la medesima tecnica delittuosa"(Sez.2, n. 9744 del 16/01/2020, Rv 278829-01; Sez.5, n. 264828 del 2022). La sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del superiore principio avendo fornito congrua motivazione, rilevando come la ricorrente sia stata già condannata per i reati di cui agli articoli 10 bis e 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 commessi negli anni 2006-2010 e considerando che tali fatti presentano caratteri fondamentali comuni con quelli fallimentari in esame, in quanto posti in essere in violazione di norme poste dal legislatore a tutela dell'interesse pubblico oltre che a tutela della fiducia nei rapporti economici, sottolineando, infine, che i fatti di bancarotta oggetto del presente processo hanno riguardato il mancato pagamento di debiti nei confronti dell'erario, risultato essere creditore di circa 5 milioni di euro. 9. Deve ritenersi manifestamente infondato l'ottavo motivo con il quale si deduce l'illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta congruità del trattamento sanzionatorio, superiore al minimo edittale, ed al mancato riconoscimento della prevalenza nelle circostanze penali generiche sul ritenuta aggravanti. Secondo l'indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. Nella specie l'onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi e rilevanti avendo la motivazione della Corte di appello ritenuto la pena inflitta, in misura superiore al minimo edittale ma inferiore alla misura intermedia, congrua rispetto alla entità delle distrazioni commesse e avuto riguardo alla pluralità e gravità degli artifici contabili posti in essere dall'imputata, con conseguenze di aggravamento del dissesto, e alla entità del passivo ricostruito dal curatore fallimentare, tenendo conto delle precedenti condanne riportata dalla ricorrente. Rispetto a tali elementi sono state ragionevolmente ritenute subvalenti le circostanze evidenziate dalla difesa, quali il comportamento processuale della Ca.Pa. e le sue condizioni personali. 9. Il nono motivo è inammissibile in quanto non si confronta con le ragioni indicate dalla Corte di appello a sostegno della decisione di non ammettere la ricorrente alla pena sostitutiva richiesta avendo considerato che la medesima aveva già usufruito in precedenza della sostituzione con una evidente scarsa efficacia deterrente a contenere la pericolosità sociale, rinnovando altresì un giudizio di non meritevolezza del beneficio invocato. 10. Infine, è manifestamente infondato il decimo e ultimo motivo con il quale si censura violazione di Legge in ordine alla disposta revoca della sospensione condizionale della pena concessa alla ricorrente con sentenza del Tribunale di Genova, emessa il 6 Febbraio 2014, definitiva dal 28 Marzo 2014, ai sensi dell'articolo 168 comma uno cod. pen. Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, in tema di bancarotta, il momento consumativo dei reati coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento nel caso di condotta esaurita anteriormente, in quanto la declaratoria di fallimento ha natura di elemento costitutivo del reato e non di condizione obiettiva di punibilità (Sez. 5, n. 27426 del 01/03/2023, Rv. 284785 - 01). Nel caso in esame, dovendo aversi riguardo alla data della sentenza dichiarativa di fallimento (del 3 dicembre 2015), per la individuazione del tempus commissi delicti per i reati per i quali si procede, e non al diverso e antecedente momento nel quale le singole condotte distrattive risultino poste in essere, deve reputarsi legittimamente disposta la revoca del beneficio precedentemente concesso ad opera della Corte di appello (Sez. 1, n. 30710 del 10/05/2019, Dinar,Rv. 276408;Sez. 1, n. 24103 del 08/04 /2021, Fosco, Rv. 281432). 11.In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 13 giugno 2024. Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2024.
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