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Bancarotta fraudolenta documentale specifica: quali indici di fraudolenza?

Bancarotta fraudolenta documentale

Giugno 2024 - Cassazione penale sez. V, 10/06/2024, n.28109

In tema di bancarotta fraudolenta documentale cd. "specifica", lo scopo di recare pregiudizio ai creditori deve ritenersi provato sulla base di specifici indici di fraudolenza, come, ad esempio, il passivo rilevante e la distrazione dei beni aziendali.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. È oggetto di ricorso la sentenza del 28 novembre 2023 della Corte d'Appello di Milano, che ha riformato, in punto di trattamento sanzionatone, la decisione di primo grado resa nei confronti di An.St., all'esito di giudizio celebrato con rito abbreviato. La Corte territoriale ne ha confermato l'affermazione di responsabilità per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta fraudolenta documentale, commessi in qualità di amministratore di fatto della Milano Metalli Srl, dal 2013, anno della costituzione, fino alla dichiarazione di fallimento in data 15 dicembre 2017. I giudici di merito hanno ritenuto provate le distrazioni, analiticamente indicate in rubrica, effettuate tramite bonifici dal conto corrente della fallita società a favore dell'imputato (e, in parte, a favore della moglie dello stesso e della società An. Ecologica, riconducibile a An.St. stesso), in assenza di giustificazione contabile. 2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. Antonino Curatola, affidando le proprie censure ai cinque motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge, sostanziale e processuale, in relazione agli artt. 571 e 581, comma 1 quater, del codice dì rito, per non avere la Corte territoriale accolto l'istanza di legittimo impedimento avanzata dall'Avv. Curatola, sulla base dell'errato presupposto che l'imputato fosse difeso, anche in appello, dai due stessi avvocati, Curatola e Soddu, che l'avevano assistito in primo grado. Sostiene la difesa che, in applicazione dell'art. 581, comma 1 quater, del codice di rito, la Corte d'Appello avrebbe dovuto considerare implicitamente revocato il mandato conferito all'Avv. Soddu; e, infatti, stante l'assenza dell'imputato nel giudizio di primo grado, era stato depositato, unitamente all'atto d'appello, specifico mandato a impugnare a favore del solo Avv. Curatola, con contestuale elezione di domicilio presso quest'ultimo. Sicché l'altro difensore, non essendo munito di specifica procura a impugnare, non avrebbe potuto partecipare al giudizio d'appello. 2.2. Col secondo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'art. 544 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale omesso di motivare in ordine alle specifiche censure dedotte in appello, relative, segnatamente, all'inattendibilità delle dichiarazioni del coimputato Be. e al ruolo di amministratore di fatto rivestito, secondo i giudici di merito, dall'imputato. 2.3. Col terzo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta distrattiva. Nel disattendere le articolate censure relative all'asserito ruolo di amministratore di fatto di An.St., la Corte territoriale si è limitata a ribadire il valore di prova documentale che la relazione del curatore fallimentare acquisisce nel giudizio abbreviato, senza soffermarsi, in via prioritaria, sull'attendibilità delle dichiarazioni del coimputato Be., così invertendo l'ordine logico delle questioni da esaminare. Con l'atto di appello, la difesa aveva già evidenziato la necessità, nei casi di testimonianza assistita, di verificare rigorosamente i riscontri esterni, al fine di valutare credibilità e attendibilità del testimone; il riferimento critico della difesa era rivolto, in particolare, alla testimonianza del Be., il quale nutriva, peraltro, un interesse diretto nel giudizio. Le reiterate dichiarazioni di quest'ultimo, tese a escludere il suo ruolo di amministratore formale della fallita società, si ponevano, e si pongono, in insanabile contraddizione col dato dell'intestazione, a proprio nome, delle quote della fallita. Né il Be. ha mai spiegato come egli potesse agire all'interno della società in assenza di un incarico formale. Inoltre, la Corte ha illogicamente considerato come valido riscontro alle dichiarazioni dello Be. la dichiarazione del direttore della filiale della banca, sebbene quest'ultimo avesse riferito che i prelievi dai conti societari erano, sì, effettuati dal ricorrente, ma sulla base di documenti sottoscritti dal Be.. Quanto all'asserito ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, la difesa rileva la totale assenza di elementi sintomatici dell'inserimento organico, con funzioni direttive, dell'An.St. in qualsiasi fase della sequenza organizzativa e gestionale della fallita società. Per dimostrare il ruolo di amministrazione di fatto dell'imputato, la Corte ha valorizzato unicamente la delega a operare sui conti bancari, peraltro trascurando il fatto che, per ogni bonifico effettuato dal conto della fallita società a favore di An.St. o della moglie, era stata individuata dai giudici stessi la relativa causale. Nell'ultima articolazione del terzo motivo, si contesta l'ascrizione di responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta documentale ed. specifica, non avendo i giudici di merito dimostrato la ricorrenza del dolo specifico. Con motivazione apodittica, la Corte d'Appello si è limitata a evidenziare il nesso di strumentalità tra l'omessa tenuta della contabilità e l'accertamento delle condotte distrattive, senza considerare 1) che la fallita era priva di beni da occultare e che gli unici creditori erano gli istituti bancari e 2) che il curatore nor ha mai richiesto al ricorrente la documentazione contabile né ha rivolto tale richiesta agli altri amministratori e, in particolare, all'amministratore di diritto Be.. 2.4. Col quarto e quinto motivo, si contestano la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e la dosimetria della pena, determinata senza alcun riferimento ai principi stabiliti dagli artt. 3 e 27 Cost., 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dai criteri indicati dagli art. 132 e 133 cod. pen. 3. La trattazione orale del ricorso -richiesta dalla difesa dell'imputato ai sensi dell'art. 23, comma 8, d. I. 28/10/2020, n. 137, conv. con L. 18/12/2020, n. 176, non si è svolta per assenza del difensore. Il Sostituto Procuratore generale, Nicola Lettieri, riportandosi alla requisitoria in atti, ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è infondato, per le ragioni di seguito indicate. Come sottolineato dalla Corte d'Appello nella sentenza impugnata, l'allora appellante risultava difeso da due difensori di fiducia; soltanto dei due (Avv. Curatola) aveva chiesto il rinvio dell'udienza d'appello del 28 novembre 2023, per legittimo impedimento. Posto che l'altro difensore (Avv. Soddu, cui peraltro risulta notificato l'avviso dell'odierna udienza, al pari della notifica inviata e ricevuta dall'Avv. Curatola) non si era presentato all'udienza d'appello senza addurre alcun impedimento, la Corte territoriale ha correttamente applicato la norma processuale, di cui all'art. 97, comma 4, del codice di rito, nominando un difensore d'ufficio e disponendo il prosieguo dell'udienza. La tesi difensiva a sostegno della revoca implicita del mandato difensivo (derivante, secondo il ricorrente, dal deposito, unitamente all'atto d'appello, dello specifico mandato a impugnare a favore del solo Avv. Curatola, con contestuale elezione di domicilio presso quest'ultimo) non trova aderenza rispetto al caso in esame. In particolare, la norma invocata dal ricorrente (art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen.) è inconferente, posto che né dalla lettera di tale disposizione, né da una norma deducibile dalla stessa, può ricavarsi che lo specifico mandato a impugnare - conferito con l'atto d'impugnazione e contenente la dichiarazione o l'elezione di domicilio - comporti la revoca implicita di altro difensore nominato in precedenza. La ratio della disposizione invocata è quella di garantire all'imputato assente la sicura conoscenza dell'incedere della progressione processuale; l'onere di allegare all'atto di impugnazione l'elezione o la dichiarazione di domicilio è finalizzato alla notificazione del decreto di citazione a giudizio (cfr. ad es., Rv. 285525 - 01). Ora, neppure in base a tale ratio e a tale finalità può accogliersi la tesi difensiva (secondo cui, dal momento che uno dei due difensori non era munito di specifica procura a impugnare, non avrebbe potuto partecipare al giudizio d'appello), soprattutto ove si consideri il principio dell'immutabilità della difesa (v. Sez. 1, n. 25256 del 13/11/2003, dep. 2004, Dyemishi, Rv. 228126 - 01, secondo cui "allorché sia stata effettuata la nomina di un difensore di fiducia o sia stato designato un difensore di ufficio, l'eventuale mancata comparizione del difensore in udienza non può essere intesa come revoca implicita della designazione", ma dà luogo alla sostituzione a norma dell'art. 97, comma quarto, cod. proc. pen.; Sez. 2, n. 15778 del 17/03/2015, P.g. in proc. Corrado, Rv. 263831 - 01), oltre che il dettato dell'art. 96, comma 1 del codice di rito, che garantisce il diritto alla nomina di due difensori. Conferma, a contrario, dell'infondatezza della tesi difensiva circa la revoca implicita del mandato, può ricavarsi anche dall'art. 24 disp. att. cod. proc. pen., a norma del quale la nomina di ulteriori difensori si considera senza effetto, finché la parte non provveda alla revoca delle nomine precedenti che risultano in eccedenza rispetto al numero previsto dagli artt. 96, 100 e 101 del codice (sul punto, v. Sez. 3, n. 43009 del 11/11/2010, Rv. 248671 - 01: "è priva di effetti la nomina da parte dell'imputato di un terzo difensore, non accompagnata dalla revoca delle nomine precedenti che siano eccedenti, pure se fatta allo specifico fine di proporre impugnazione"; Sez. U, n. 12164 del 15/12/2011, dep. 2012, Di Cecca, Rv. 252027 - 01). Né ricorre, nella fattispecie in esame, una delle ipotesi di revoca implicita del precedente difensore, quale, ad esempio quella in cui il difensore di fiducia abbia chiesto un rinvio dell'udienza per suo legittimo impedimento e l'imputato, informato, abbia chiesto la trattazione del procedimento (in tale caso, la volontà dell'imputato prevale e contiene una implicita revoca del mandato: Sez. 6, n. 32329 del 02/04/2003, Sannino, Rv. 226516 - 01). 2. I motivi secondo e terzo - congiuntamente esaminabili vista la loro stretta connessione logica - sono infondati. In primo luogo, non è condivisibile il rilievo mosso alla stessa articolazione logica della motivazione: l'asserita inversione logica, che la Corte distrettuale avrebbe operato muovendo dalla relazione del curatore fallimentare, non sussiste, avendo i giudici dell'appello semplicemente ribadito, nell'incipit della parte motiva, il condiviso principio giurisprudenziale in base al quale "le relazioni e gli inventari redatti dal curatore fallimentare sono ammissibili come prove documentali in ogni caso e non solo quando siano ricognitivi dì una organizzazione aziendale e di una realtà contabile, atteso che gli accertamenti documentali e le dichiarazioni ricevute dal curatore costituiscono prove rilevanti nel processo penale, al fine di ricostruire le vicende amministrative della società" (Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013, De Seriis, Rv. 257650 - 01). Rispetto, poi, alle censure concernenti la valutazione delle dichiarazioni del Be., la Corte distrettuale ha ribadito quanto argomentato dal giudice di primo grado (e le due sentenze conformi si integrano nel loro apparato motivazionale: v., ad es., Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, Acampa, Rv. 278611), chiarendo come, in buona sostanza, non fossero emersi dal compendio probatorio elementi idonei a inficiare le dichiarazioni del primo. In particolare, sono stati evidenziati eloquenti riscontri alle dichiarazioni del Be. (quali, tra gli altri, le dichiarazioni del direttore della filiale del Banco di Desio, oltre che l'accertata falsità delle firme dello St.: elemento, quest'ultimo, che, secondo la ragionevole prospettazione della Corte d'Appello, rafforzava le dichiarazioni del Be. circa la propensione dell'imputato a far risultare l'apparente riconducibilità giuridica della fallita a terzi). Ora, le censure difensive non riescono a scalfire i rilievi della Corte territoriale, risultando reiterative e inidonee a disarticolare l'intero ragionamento svolto dal giudicante o a determinare, al suo interno, radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516). Quanto alle eccezioni relative alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto, è certamente vero che la necessità di un aggancio concreto ed effettivo alle modalità operative del soggetto imprenditoriale (cfr., ad es., Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 - 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Faruolo, Rv. 269101 - 01) ha condotto questa Corte a ritenere che la qualifica di amministratore di fatto di una società non possa trarsi solo dal conferimento di una procura generale ad negotia, ma richiede l'individuazione di prove significative e concludenti dello svolgimento delle funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell'attività imprenditoriale, anche a mezzo dell'attivazione dei poteri conferiti con la procura stessa (Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, Capece, Rv. 282775 - 01, che ha sottolineato anche la non decisività della mera gestione dei conti correnti). Tuttavia, in tale cornice di riferimento, Corte territoriale ha valorizzato la pregnanza, ai fini dell'attribuzione della qualifica o della funzione dell'amministratore di fatto, dei singoli poteri gestionali in concreto esercitati (v., ad es., Sez. 2 n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 - 0; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497 - 01) dall'imputato, il quale -ha ricordato la Corte d'Appello - si è costantemente inserito nella gestione aziendale e contabile della Milano Metalli Srl Inoltre, diversamente da quanto eccepito dalla difesa, l'imputato -come chiarito dai giudici di merito- ha potuto avere il controllo gestionale e contabile della fallita, assumendo decisioni e determinazioni afferenti, in particolare, ai rapporti con gli istituti bancari, anche avvalendosi, a tal fine, della delega a operare, peraltro con modalità home banking, sui conti societari, e in tal modo determinando le ingiustificate fuoriuscite di denaro; elemento, quest'ultimo, di non poco peso, sol che si pensi alle specifiche modalità delle condotte di depauperamento della società, poste in essere dall'An.St. in favore di sé stesso o di soggetti a lui direttamente riconducibili, evidenziate nell'impugnata sentenza. Peraltro, come da tempo sottolineato da questa Corte, "significatività e continuità" dello svolgimento di funzioni gestorie non comportano necessariamente l'esercizio di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, richiedendo bensì un'attività svolta in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Tarantino, Rv. 256534 - 01), ciò che la Corte territoriale ha dimostrato con motivazione esente dai dedotti vizi. In relazione alle doglianze circa il dolo specifico e l'ascritto reato di bancarotta fraudolenta documentale ed. specifica, si osserva che la Corte territoriale ha legittimamente motivato il giudizio di responsabilità, ragionando sulla base di quegli "specifici indici di fraudolenza" (quale, ad esempio, la distrazione di beni aziendali) che, secondo l'insegnamento di questa Corte, possono costituire prova dello scopo di arrecare danno ai creditori (cfr. ex multis, Sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, dep. 2023, Birritteri, Rv. 283983: in tema di bancarotta fraudolenta documentale ed. "specifica", lo scopo di recare pregiudizio ai creditori deve ritenersi provato sulla base di specifici indici di fraudolenza, come, ad esempio, il passivo rilevante e la distrazione dei beni aziendali). Nella motivazione dell'impugnata sentenza si è invero evidenziato il nesso di strumentalità tra l'omessa tenuta (successivamente al 2015) e la sottrazione delle scritture (tenute almeno fino al 2015, ultimo anno per il quale è stato consegnato il bilancio d'esercizio), da un lato, e le condotte distrattive, dall'altro, posto che la consegna della contabilità al curatore avrebbe consentito alla curatela di accertare la consistenza patrimoniale della fallita e di verificare la finalità delle singole movimentazioni di denaro. Da quanto appena illustrato consegue l'infondatezza della censura, il dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale essendo argomentato e correttamente inquadrato proprio in relazione alla finalità distrattiva ("in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l'elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull'attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all'occultamento delle vicende gestionali" (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Di Pietra, Rv. 284304 - 01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, Di Cosimo, Rv. 262915 - 01: "in tema di reati fallimentari, l'omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell'omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori"). 4. Il quarto motivo è inammissibile, posto che, già in primo grado, le predette circostanze erano state concesse, in giudizio d'equivalenza con la circostanza aggravante, ciò che veniva confermato dalla Corte d'Appello e che il ricorrente sembra dimenticare. 4.1. Per quel che ha riguardo all'eccezione sulla dosimetria della pena, si osserva che la Corte distrettuale ha fornito adeguata motivazione circa il discostamento di pena dal minimo edittale, in ogni caso operato ben al di sotto la media edittale, e l'assenza di elementi favorevoli all'imputato idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio. Tale censura è, pertanto, la manifestamente infondate in quanto generica e asseverativa; deve ricordarsi che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende l'inammissibilità della censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142); illogicità che non ricorre nel caso di specie. 5. Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 10 giugno 2024. Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2024.
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