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Reati fallimentari

Bancarotta fraudolenta documentale: la tardiva esibizione dei libri contabili non è idonea a surrogare gli obblighi di deposito della documentazione contabile

Bancarotta fraudolenta documentale: la tardiva esibizione dei libri contabili non è idonea a surrogare gli obblighi di deposito della documentazione contabile

Marzo 2024 - Cassazione penale sez. V, 05/03/2024, n.14931

In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la tardiva esibizione, nel corso dell'istruttoria dibattimentale, dei libri contabili non è idonea a surrogare gli obblighi di deposito della documentazione contabile che gravano sull'amministratore sia nella fase prefallimentare, sia in quella immediatamente successiva alla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, ma piuttosto avvalora e corrobora quegli indici di fraudolenza rilevanti per l'accertamento della sussistenza del reato.

Norme di riferimento

La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Pr.Ro., tramite difensore abilitato, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Perugia del 28 marzo 2023, che - previo giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche rispetto all'aggravante contestata - ha ridotto la pena inflittagli in primo grado dal Tribunale di Perugia, che lo aveva ritenuto responsabile dei delitti di bancarotta fraudolenta documentale - per sottrazione della contabilità - e patrimoniale - in relazione alla distrazione delle risorse e dei beni risultanti dal bilancio di esercizio del 31/12/09 - commessi in qualità di amministratore unico della GAP DESIGN Srl dichiarata fallita il 30 aprile 2013. 2. L'atto di impugnazione ha dedotto tre motivi, qui enunciati nei limiti strettamente necessari di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Il primo motivo ha denunciato i vizi di inosservanza della legge penale e della motivazione, di cui all'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen., anche per travisamento della prova, in relazione all'affermazione di responsabilità per il delitto di cui all'art. 216 primo comma n. 1 l.f., in quanto la sentenza impugnata si sarebbe adagiata sul dato puramente contabile, emergente dal bilancio del 2009, senza approfondimento alcuno in punto sussistenza del denaro e delle immobilizzazioni, meramente riportate nei dati, quando il curatore del fallimento si era espresso per l'eventualità dell'ipotesi di una falsa appostazione di bilancio. La difesa avrebbe fornito prova dell'allagamento dei locali dell'immobile nel maggio 2009, che avrebbe danneggiato irrimediabilmente le merci e i beni mobili, come documentato dalle fotografie prodotte; il teste della difesa, Ba., avrebbe confermato l'accadimento e riferito dell'intervento del perito della compagnia assicuratrice; il bilancio del 2009 si sarebbe riferito alle registrazioni contabili, senza tener conto dell'accertata svalutazione conseguente all'evento. Allo stesso modo, quanto all'attivo di cassa, quest'ultimo sarebbe stato utilizzato per tacitare le banche, che infatti non si sono insinuate al passivo, a nulla rilevando l'inesistenza di riscontri contabili in tale direzione. 2.2. Il secondo motivo ha dedotto gli stessi vizi a riguardo dell'affermazione di reità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. Non sarebbe stata acquisita prova certa dell'occultamento della contabilità, perché - per tutto il tempo di operatività dell'azienda, contenuta nel tempo - essa sarebbe stata regolarmente tenuta e in ogni caso difetterebbe la dimostrazione della consapevolezza di un agito volto a non consentire la ricostruzione del patrimonio e del volume degli affari. Del resto, l'imputato avrebbe chiesto alla curatela di poter disporre di qualche tempo per esibire la documentazione e tale condotta deporrebbe per un contegno di natura meramente colposa; non risponderebbe al vero che l'attività sarebbe proseguita nel 2010, perché il fatturato, documentato in contabilità, atterrebbe alla vendita delle merci residuate nell'esercizio precedente, a puro scopo liquidatorio. Infine, la condanna per tale fattispecie di reato sarebbe in contraddizione con quella per bancarotta patrimoniale. 3.Il terzo motivo si è soffermato sui vizi sub art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione alla mancata concessione dell'attenuante di cui all'art. 219 comma 3 l.f., poiché il danno provocato ai creditori risulterebbe di particolare tenuità, essendo emerso, nel processo, che nel fallimento si siano insinuati crediti per circa 60.000 euro e l'istanza di fallimento è stata presentata da un fornitore, titolare di un credito di circa 15.000 euro. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso, a tratti inammissibile, è nel complesso infondato. 1. Va premesso che - come si evince dalla motivazione delle sentenze di merito, che, in doppia conforme sulla responsabilità, costituiscono un unico corpo argomentativo da cui il collegio può attingere - la società fallita, costituita nel 2008, aveva interrotto l'attività nel 2010 perché non più in condizioni di pagare la pigione del contratto di locazione; come puntualizzato dalla curatela del fallimento, la condotta dell'amministratore Pr.Ro., tale sin dalla costituzione, non si è rivelata collaborativa, perché alcuna documentazione contabile è stata consegnata nonostante l'impegno a provvedervi; non sono stati resi disponibili beni o risorse finanziarie e non è stato fatto cenno ad eventi accidentali che avrebbero compromesso il valore commerciale del magazzino aziendale nel corso della vita dell'impresa; con l'evolversi del dissesto societario sono state costituite nuove realtà imprenditoriali, riconducibili al ricorrente, operanti nel medesimo settore della compravendita di arredamento e, in assenza di riscontro contabile, non è stato possibile verificare l'esistenza di rapporti commerciali con tali enti; il passivo concorsuale si è assestato intorno ai 60.000 euro, ma la mancata ostensione della documentazione contabile non ha consentito approfondimenti sulla ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari; l'ultimo bilancio depositato, relativo al 2009, ha illustrato poste attive, oggetto dell'addebito di bancarotta fraudolenta per distrazione in assenza di appaganti giustificazioni dell'imputato; l'ultima dichiarazione dei redditi, presentata nel 2010, ha evidenziato un volume d'affari di 85.000 euro, indicativo della prosecuzione dell'attività; la deposizione del teste della difesa, Ba., di contenuto generico, non ha chiarito tempi, luoghi e dati di riferimento del presunto allagamento dei locali in cui era custodita la merce - in relazione alla quale il danno è stato stimato nei limiti della cifra, contenuta, di 35.000 euro - e, comunque, alla svalutazione del magazzino nella misura del 70%, come sostenuto dall'altro testimone indotto dalla difesa, dr. Br., avrebbe dovuto corrispondere il decremento della posta del bilancio del 2009, che ha indicato invece il valore delle rimanenze in euro 245.860; tali lacune non sono state colmate dal tardivo deposito, nel corso del processo di primo grado, di parte delle scritture contabili, relative al 2008 e al 2009 e il professionista della società, Br., ha formulato mere ipotesi valutative senza nemmeno consultare tale incarto; non è stata fornita prova conducente dell'estinzione dei debiti bancari con l'utilizzo del saldo di cassa; la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale è desumibile dai dati oggettivi della vicenda fattuale, perché tale vizio originario ha impedito qualsiasi verifica in ordine ai rapporti intercorsi con altre società e alle movimentazioni economico-finanziarie successive al 2009, sino alla data di fallimento. 2. In tale scenario, pianamente ricostruito, con proposizioni razionali ed appropriate, dalle pronunce del doppio grado, le doglianze contenute nei primi due motivi di ricorso, oltre a rappresentare mera reiterazione delle ragioni di gravame già adeguatamente vagliate e respinte dalla Corte territoriale, si rivelano per un verso indeducibili in sede di legittimità -perché volte a sollecitare una non autorizzata rivisitazione del materiale probatorio - e per altro verso comunque infondate. 3. Deve essere nuovamente rammentato che - quanto all'ordinario vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione - è affermazione risalente e costante nella giurisprudenza di legittimità che "l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un "orizzonte circoscritto", dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (così, per tutte, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); e che nel giudizio di cassazione sono precluse - a meno che non si rivelino fattori di manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato - la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). 4. Il dedotto vizio dì travisamento della prova è in radice insussistente e, sul punto, vale la pena ricordare che, sul piano giuridico, esso chiama in causa, in linea generale, le ipotesi di infedeltà della motivazione rispetto al processo e, dunque, le distorsioni del patrimonio conoscitivo valorizzato dalla motivazione rispetto a quello effettivamente acquisito nel giudizio. Nella sostanza, il ricorrente ha inteso dedurre l'utilizzazione delle prove testimoniali sulla base di un'erronea ricostruzione del relativo "significante" (ed. travisamento delle risultanze probatorie); ma, in tale ipotesi, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370 - 01). La deduzione di erronea interpretazione della prova - in cui si condensano le censure a tal proposito impropriamente mosse dal ricorso - è estranea a tale vizio, posto che "il compito di armonizzare e coordinare tra loro gli elementi di prova appartiene esclusivamente al giudice di merito" (Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011, Molinario, Rv. 250133). In particolare, quanto alla prova dichiarativa, il vizio in esame, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017 dep. 2018, Grancini, Rv. 272406); ed in tal caso grava sul ricorrente un onere di allegazione e, segnatamente, l'onere della specifica indicazione dell'atto che si assume pretermesso anche attraverso la sua puntuale documentazione, in uno con la presentazione del ricorso. 5. Sono, in definitiva, travolte dall'inammissibilità le lagnanze che investono l'interpretazione delle deposizioni dei testi Ba. e Br., nemmeno allegate all'atto di ricorso, che, con enunciati per nulla illogici ed anzi persuasivi, sono state considerate inconcludenti, perché - da un lato - il perito avrebbe quantificato un danno, conseguente alle presunte infiltrazioni nei locali di un immobile, molto trascurabile, incompatibile con il valore delle merci esposto nel bilancio del 2009 - e dall'altro - se la riduzione della stima di mercato del magazzino si fosse assestata sul 70%, come meramente ipotizzato dal consulente di parte Br., non vi sarebbe stato motivo di non darne contezza nel bilancio di esercizio e nella nota integrativa; l'entità del volume d'affari del 2010 è stata correttamente ritenuta espressiva di una surrettizia prosecuzione dell'attività commerciale e, in ogni caso, se anche fosse stata funzionale ad operazioni liquidatone, alcuna giustificazione è stata fornita dall'imputato a riguardo della sorte delle somme riscosse dalla vendita della merce residuata; ed analoghe riflessioni possono essere svolte con riferimento al depauperamento delle risorse di cassa e al mancato rinvenimento dei beni strumentali, in relazione ai quali la omessa ostensione dell'impianto contabile ha precluso qualsiasi velleità di rielaborazione, con piena integrazione della prova della distrazione penalmente rilevante (per tutte, sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, Aucello, Rv. 267710). 5.1. Del resto, la mancata o irregolare tenuta della contabilità, in totale spregio degli obblighi di legge, non può certo costituire elemento da cui gli amministratori inadempienti possano trarre processuale beneficio, dovendo essi comunque giustificare la destinazione dei beni sociali - la cui esistenza risulta, nel caso di specie, dall'ultimo bilancio di esercizio e dalla dichiarazione dei redditi, relativi al 2009 - non rinvenuti dal curatore al momento della dichiarazione di fallimento. Quanto alla sussistenza del "dolo specifico" richiesto dalla norma incriminatrice di cui all'art. 216 comma primo n. 2), prima parte, del R.D. n. 267/42, si deve osservare che la sentenza impugnata, allineandosi alle argomentazioni svolte dal primo giudice, ben lungi dal valutarne l'involontarietà, ha messo in rilievo che l'occultamento della contabilità, tenuto conto dell'ingravescente stato di decozione della GAP DESIGN Srl a partire dal 2010 e della immediata costituzione di nuove società aventi il medesimo oggetto sociale, ha rappresentato strategia operativa volta, in definitiva, ad occultare gli accadimenti aziendali - consistiti anche in corpose operazioni distrattive - e da precludere la corretta ricostruzione dell'andamento delle attività, in evidente e decettivo pregiudizio delle aspettative dei creditori della fallita (cfr. ex multis, sez.5, n. 10968 del 31/01/2023, Di Pietra, Rv. 284304; sez. 5, n. 2228 del 04/11/2022, Occhiuzzi, Rv. 283983). 5.2. Può infine aggiungersi che tali indicatori di fraudolenza sono convalidati ed avvalorati dalla tardiva esibizione, peraltro parziale, di documenti contabili nel corso dell'istruttoria del dibattimento di primo grado, perché è obbligo dell'imprenditore, sin dalla fase antecedente alla dichiarazione di fallimento, adoperarsi per una corretta rappresentazione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'impresa, con il deposito di una relazione aggiornata, unitamente ai bilanci degli ultimi tre esercizi, in sede di convocazione prefallimentare (art. 15, comma 4 L.F.); dopo l'apertura della procedura concorsuale, con il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie entro tre giorni dalla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento (art. 16 comma 1 n. 3 L.F.); e con la tempestiva e costante disponibilità all'interlocuzione con il curatore del fallimento (art. 49 L.F.).L'omissione ingiustificata di tali doverosi adempimenti non può certo essere surrogata, tantomeno scriminata, dall'esibizione dei libri contabili al giudice del processo penale, sede evidentemente non deputata al perseguimento degli obbiettivi propri della procedura fallimentare altrimenti regolamentata, ai quali soltanto essa si rivela funzionale. 6. Il terzo motivo è manifestamente infondato. La decisione impugnata si è conformata ai consolidati principi giurisprudenziali secondo i quali la speciale tenuità del danno, integrativa dell'attenuante di cui all'art. 219 comma 3 Legge 16 marzo 1942 n. 267 va valutata in relazione all'importo della distrazione, e non invece all'entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento (sez. 5, n. 12724 del 12/12/2019, Conticello, Rv. 279019; sez. 5, n. 122 del 03/11/2021, Cioverchia, non mass.). Pertanto, mentre non è rilevante l'entità dei crediti insinuati al passivo della procedura concorsuale, il danno patrimoniale è stato puntualmente parametrato al significativo valore della complessiva distrazione, pari a poco meno di 300.000 euro (pag. 10). 7. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 5 marzo 2024. Depositata in Cancelleria l'11 aprile 2024.
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