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Falso in atto pubblico: necessità di contestazione chiara dell'aggravante di fidefacenza ex art. 476 c.p.

Falso ideologico

Cassazione penale sez. V, 27/04/2023, n.30731

In tema di reato di falso in atto pubblico, la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 476, comma 2, c.p., relativa alla natura fidefacente dell'atto, richiede una chiara esposizione nel capo d'imputazione, sia tramite il riferimento normativo specifico, sia mediante formule equivalenti o l'indicazione di elementi che rendano evidente tale qualità. L'assenza di tale indicazione preclude al giudice di ritenere la fattispecie aggravata.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO Con la sentenza impugnata la Corte d'Appello di Reggio Calabria ha confermato la pronunzia di condanna in primo grado alla pena di giustizia nei confronti dell'imputato C. per il reato di cui agli artt. 476-482 c.p. in relazione alla falsificazione di un referto radiologico relativo alla sua persona per far risultare una patologia più grave a fini assicurativi. Fatto del (Omissis). Avverso la decisione ha proposto ricorso l'imputato tramite i difensori di fiducia articolando tre motivi. 1. Col primo è stata dedotta la violazione di legge per errata applicazione dell'art. 476 c.p., poiché la Corte territoriale aveva considerato integrato il falso in atto pubblico nonostante il referto in riferimento fosse una fotocopia informale non avente sembianze di una copia conforme all'originale, né di originale. Sul punto la sentenza aveva ritenuto dirimente che la fotocopia fosse stata alterata nel suo contenuto diagnostico ma questo elemento - a parere della difesa non ha incidenza sulla natura dell'atto, che resta una fotocopia informale. La difesa cita la pronunzia SU 36824/2019 a sostegno della sua tesi, oltre che giurisprudenza di questa stessa sezione relativa al falso in fotocopia e precisa che le caratteristiche dell'atto evidenziate dal Giudice di appello, cioè la firma del sanitario redigente, le patologie indicate, non presenti nell'originale non sono idonee ad esteriorizzare il documento in parola come una copia conforme all'originale. 2. Tramite il secondo motivo si è lamentata la violazione di legge in relazione all'art. 2699 c.c., richiamato a sproposito nella motivazione ed avendo errato la Corte territoriale nel considerare l'atto come avente valore di fede pubblica, essendo il referto in parola una fotocopia mentre il valore probatorio delle fotocopie è indicato nell'art. 2719 c.c.. 3. Nel terzo motivo è stata rappresentata l'omessa motivazione sul motivo di appello, nel quale si era prospettato che il medico redigente non potesse aver certezza che il certificato redatto era stato inviato alla consegna dei referti; puntualizza la difesa che nel giudizio era stata fatta una comparazione tra la copia immodificabile dell'accertamento diagnostico e la fotocopia in questione e che, pertanto, il preteso falso potrebbe essere il frutto di un errore di smistamento. Per altro verso la mancata verifica delle modalità tramite le quali era giunto il documento all'assicurazione, non operata dai Giudici del merito, nonostante la sollecitazione della difesa, lascia un dubbio sull'ascrivibilità del fatto al ricorrente, ritenuta dalla Corte di Appello solo in base all'interesse che l'imputato avrebbe all'indennizzo assicurativo. A seguito di istanza di trattazione orale è stata fissata l'odierna udienza nel corso della quale il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, dr.ssa Ceroni, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso e l'avvocato Minuti per l'imputato ha insistito per l'accoglimento del ricorso, eccependo la prescrizione del reato. CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte. 1. Il primo motivo è manifestamente infondato in diritto, oltre che inammissibile per assenza di relazione critica con le argomentazioni adoperate nella sentenza impugnata riguardo alla qualifica del referto di cui in imputazione come atto pubblico. 1.1. E' necessario in proposito richiamare la sentenza (Sez. U, Sentenza n. 35814 del 28/03/2019 Ud. (dep. 07/08/2019) Rv. 276285 citata sia dalla difesa, sia dai Giudici territoriali, la cui corretta lettura appare dirimente per la risoluzione della questione posta dalla difesa. In essa, infatti, si è chiarito che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l'apparenza di un atto originale. In motivazione, ed in applicazione del principio, il più autorevole Collegio di questa Corte ha ritenuto correttamente esclusa la configurabilità del reato in un caso di esibizione di una fotocopia di un'autorizzazione edilizia inesistente, riconoscibile come tale, priva di attestazione di autenticità e dei requisiti formali e sostanziali idonei a farla apparire come un atto originale. Nel suindicato solco interpretativo: Sez. 5 -, Sentenza n. 5374 del 24/09/2019 Ud. (dep. 10/02/2020) Rv. 278657; Sez. 5, Sentenza n. 45 369 del 17/10/2019 Ud. (dep. 07/11/2019) Rv. 277006; Sez. 5, Sentenza n. 11402 del 18/01/2021 Ud. (dep. 24/03/2021) Rv. 280731. Le pronunzie sono coerentemente fondate sulla affermazione che per integrare il delitto di falso in fotocopia è necessario che l'atto sia formato con caratteristiche tali da rappresentare idoneamente, per la presenza di requisiti intrinseci sostanziali e formali, l'apparenza di un atto originale riprodotto con la fotocopia. Non si discosta dalle suindicate decisioni la sentenza di questa sezione per come richiamata nell'atto di ricorso, che presuppone la falsa formazione mediante fotocopia di un documento inesistente ma presentato con caratteristiche tali da voler sembrare un originale ed averne l'apparenza, ovvero ritiene integrato il falso nell'ipotesi in cui la formazione dell'atto sia idonea e sufficiente a documentare nei confronti dei terzi l'esistenza di un originale conforme; non, invece, nel caso in cui la fotocopia sia esibita ed usata come tale dal soggetto agente. 1.2. La Corte territoriale si è correttamente ispirata alle suindicate pronunzie di legittimità, avendo chiaramente scritto che il falso documento posto dall'imputato a sostegno della richiesta risarcitoria è stato accreditato come corrispondente all'inesistente originale spiegando, a conforto dell'affermazione, che esso presentava dati non riscontrabili nell'atto originale, quali le patologie indicate, il nome e la firma del medico redigente; dati idonei a farlo sembrare una copia autentica di un originale esistente, essendo dotato apparentemente dei requisiti formali e sostanziali del referto radiologico oggetto di falsificazione; a migliore esplicazione delle ragioni della decisione è stato ritenuto certo che il comportamento ascritto all'attuale ricorrente fosse creativo di un atto inesistente e adeguato a determinare l'apparente originalità dell'atto stesso. 1.3. A fronte di tale corretta pronunzia la difesa invoca solo astrattamente l'esegesi in tema di falsa fotocopia elaborata dalla già citata sentenza delle SU, aggiungendo enunciazioni in sé non perspicue e che, per altro verso, non tengono conto né delle affermazioni di principio della giurisprudenza finora richiamata, né del ragionamento sviluppato dai Giudici del merito quanto al caso concreto, insistendo nella tesi della copia informale, inidonea alla immutatio veri e ad ingannare la fede pubblica. 2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso - che si limita a ripetere l'argomento già adoperato nel giudizio di appello ed esattamente confutato in quella sede, oltre che riproposto nel primo motivo - per cui il falso in fotocopia nella fattispecie concreta non costituirebbe falso in atto pubblico e solo genericamente invoca la errata applicazione dell'art. 2699 c.c., che contiene la definizione di atto pubblico. Devono, quindi, richiamarsi le osservazioni già rese quanto alla ritenuta inammissibilità del primo motivo ed in proposito appare, peraltro, necessario operare una puntualizzazione in diritto. 2.1. Invero, la pronunzia impugnata, anche tramite il riferimento alla sentenza di questa Corte citata alla pagina nove del testo, sembra attribuire la qualifica di atto pubblico fidefacente e cioè avente fede privilegiata ex art. 476 c.p., comma 2 al referto radiologico di cui si discute. Nella pronunzia richiamata dal Giudice di appello si era affermato che integra il delitto di falsità ideologica commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, la condotta del medico ospedaliero che rediga un certificato con false attestazioni, in quanto ciò che caratterizza l'atto pubblico fidefacente, anche in virtù del disposto di cui all'art. 2699 c.c. è - oltre all'attestazione di fatti appartenenti all'attività del pubblico ufficiale o caduti sotto la sua percezione - la circostanza che esso sia destinato ab initio alla prova e cioè precostituito a garanzia della pubblica fede e redatto da un pubblico ufficiale autorizzato, nell'esercizio di una speciale funzione certificatrice; ne deriva che la diagnosi riportata nel certificato ha natura di fede privilegiata, essendo preordinata alla certificazione di una situazione - caduta nella sfera conoscitiva del pubblico ufficiale - che assume anche un rilievo giuridico esterno alla mera indicazione sanitaria o terapeutica. (Sez. 5, Sentenza n. 12213 del 13/02/2014 Ud. (dep. 13/03/2014) Rv. 260208.. Il Collegio non intende addentrarsi nel merito dell'affermazione, poiché la difesa non censura la ritenuta aggravante di cui all'art. 476 c.p., comma 2, limitandosi - come già annotato - a criticare, peraltro in modo ripetitivo e generico, la qualifica di atto pubblico del referto in parola. 2.2. Va, tuttavia, osservato che sul punto la sentenza ora impugnata erroneamente ha assegnato valore di atto pubblico di fede privilegiata al referto di cui si discute, in assenza di contestazione chiara, mancando nel capo di imputazione il relativo riferimento normativo e qualsiasi indicazione concreta circa la sua natura di atto pubblico avente valore di fede privilegiata. In proposito si è affermato da parte del più autorevole Collegio di nomofilachia che in tema di reato di falso in atto pubblico, non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 476 c.p., comma 2, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma. In applicazione del principio le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine, in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione. (Sez. U, Sentenza n. 24906 del 18/04/201,9 Ud. (dep. 04/06/2019) Rv. 275436). 2.3. Tuttavia l'errore, per quanto già innanzi esposto, non giova alla difesa, neppure in relazione all'eccezione di prescrizione avanzata oggi in udienza, poiché il reato è prescritto al compimento dei termine prescrizionale prolungato ex art. 161 c.p., cioè in data 19.12.2022 e, quindi, dopo della sentenza di appello. In tal senso Sez. U, Sentenza n. 12602 del 17/12/2015 Ud. (dep. 25/03/2016) Rv. 266818. Per completezza va osservato che al predetto termine finale vanno aggiunti i 138 giorni di sospensione del corso della prescrizione verificatisi nel giudizio di primo grado, ivi compreso il periodo di sospensione per l'epidemia covid. 3. Il terzo motivo è inammissibile, in primis, poiché si limita ad asserire che la comparazione tra la fotocopia incriminata e la copia immodificabile dell'accertamento diagnostico, non conferirebbe certezza circa l'alterazione della diagnosi tra originale, non presente in atti, e fotocopia. Si tratta di rilievo che semplicemente ignora quanto emerge anche dalla sentenza ora impugnata - alle pagine 3 e 4 del testo - ma ancor prima accertato in primo grado e riportato nella relativa pronunzia, circa la comparazione tra l'originale ed il documento operata nel corso del giudizio dal medico dr S.. 3.1 Quanto al tentativo di contestare l'attribuzione del falso all'imputato, insinuando un dubbio circa l'esatto smistamento del referto oppure circa le modalità attraverso le quali il documento era pervenuto all'assicurazione, è necessario e sufficiente osservare che si tratta di doglianze generiche e versate in fatto, finalizzate ad una diversa rilettura dei risultati di prova, come tali inammissibili in questa sede. 3.2. Sul punto va solo aggiunto, per rispondere in pieno alla difesa, che l'attribuzione all'imputato della falsificazione è stata congruamente e correttamente ritenuta non solo per il criterio dell'interesse, essendo egli il principale, se non l'unico interessato ai denari liquidati dalla società assicurativa, ma anche per l'ineccepibile argomentazione logica per la quale C. avrebbe dovuto fornire il suo contributo simulatorio (reggere la parte come efficacemente si esprime la Corte di appello) in ognuna delle fasi in cui si sarebbe articolato il procedimento finalizzato all'indebito risarcimento, essendo, pertanto, impossibile anche solo ipotizzare la sua estraneità al fatto. Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento delle somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 27 aprile 2023. Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2023
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