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Concorso nel falso ideologico: il ruolo del direttore tecnico dell'impresa esecutrice nel certificato di ultimazione dei lavori

Falso ideologico

Cassazione penale sez. V, 21/05/2024, n.33056

In tema di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atto pubblico, nel caso di falso certificato di ultimazione dei lavori, per la configurabilità del concorso di persone nel reato da parte del direttore tecnico dell'impresa esecutrice è sufficiente che la sottoscrizione di quest'ultimo del falso certificato si accompagni a quella del direttore dei lavori nominato dall'ente pubblico, essendo entrambe richieste dalle disposizioni di cui all'art. 199, d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, "ratione temporis" applicabili e risultando la sottoscrizione del direttore tecnico decisiva per legge.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza emessa il 12 marzo 2023, confermava quella del G.u.p. del Tribunale felsineo, che aveva accertato la responsabilità penale di Gu.Gi., in concorso con Fo.Al., imputato non ricorrente, in ordine al delitto previsto dagli artt. 110 e 479 cod. pen. perché, Fo.Al. - in qualità di direttore dei lavori per la stazione appaltante (Comune di M) per le opere di ampliamento del canile municipale del Comune di M - e Gu.Gi. - nella qualità di direttore tecnico dell'impresa esecutrice dei lavori - formavano un falso verbale di ultimazione dei lavori, attestando falsamente che Fo.Al. aveva compiuto un sopralluogo presso il cantiere, constatandovi personalmente l'avvenuta ultimazione dei lavori da parte dell'impresa appaltatrice SI.CO.TER. Srl Fatti commessi in M il 28 agosto 2013. Per Gu.Gi. veniva ritenuta sussistente la recidiva reiterata e specifica, valutata equivalente alle riconosciute circostanze attenuanti generiche. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di Gu.Gi. consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge in relazione all'art. 110 cod. pen., in quanto erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto il contributo di Gu.Gi., consistito nell'aver apposto la sottoscrizione sull'attestazione di fine lavori, nel senso che tale sottoscrizione rilevava ai fini della effettività del sopralluogo ma non del contenuto dell'attestazione, cosicché non sarebbe integrato il contributo materiale, come pure apodittica risulterebbe l'affermazione per cui Gu.Gi. fosse a conoscenza della qualità di pubblico ufficiale del direttore dei lavori. 4. Il secondo motivo deduce violazione di legge in relazione all'erronea applicazione dell'art. 479 cod. pen. al caso di specie, mentre si verterebbe in tema di certificazione ex art. 480 cod. pen., alla luce della previsione dell'art. 199 del D.P.R. 207/2010, dal che deriverebbe la necessità dell'annullamento con rinvio per poter fruire dell'art. 131-bis cod. pen., non consentito in relazione alla fattispecie ritenuta dell'art. 479 cod. pen. 5. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione, in ordine all'omesso riconoscimento della estinzione per prescrizione, anche per Gu.Gi. oltre che per Fo.Al., distinzione rispetto alla quale la Corte di appello non ha reso alcuna motivazione. La differenza, dettata probabilmente dalla recidiva, per il ricorrente non giustifica il computo dell'incremento della pena, sia in fase di determinazione del termine di prescrizione originario che di quello a seguito di interruzione. 6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, D.L. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall'art. 94 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, come modificato dall'art. 5-duodecies D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell'art. 11, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18. 7. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa Sabrina Passafiume, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, D.L. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto rigettarsi il ricorso: quanto al primo motivo perché reiterativo di quello già avanzato dinanzi alla Corte di appello, che aveva dato correttamente conto delle ragioni del concorso di persona e del contributo offerto con la sottoscrizione dal ricorrente; il secondo motivo risulterebbe infondato, in quanto l'atto falso aveva contenuto valutativo e non certificativo, come ritenuto dalla Corte di appello; il terzo motivo risulterebbe manifestamente infondato in quanto non veniva censurata in appello la sussistenza della recidiva, cosicché della stessa correttamente avrebbe tenuto conto la Corte di appello, ai fini della estinzione per prescrizione. 8. Il difensore del ricorrente, avvocato Marco Bernardini, con le conclusioni depositate ha replicato alla Procura generale, ribadendo le ragioni del primo motivo, quanto al secondo evidenziando come la dicitura dell'atto qualifica come certificato lo stesso; infine, in ordine al terzo motivo, ribadendo che si contesta l'assenza di motivazione a riguardo da parte della sentenza impugnata. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato. 2. Quanto al primo motivo, si osserva quanto segue. 2.1 La Corte di appello evidenzia che Gu.Gi. ha confessato di aver personalmente sottoscritto il falso verbale di ultimazione dei lavori, in occasione del sopralluogo, integrandosi così il delitto. Si tratta di argomentazione corretta e rispondente al generale governo delle regole del concorso nel reato: difatti, pacifico è il principio per cui la configurabilità del concorso di persone nel reato implica che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l'agevolazione dell'opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l'esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019, P., Rv. 276990 - 01; mass. conf. n. 2297 del 2014 Rv. 258244 - 01, n. 7621 del 2015 Rv. 262492 - 01, n. 1986 del 2017 Rv. 268972 - 01). A fronte di tale principio, il contributo materiale offerto dal ricorrente, con l'apposizione materiale della sottoscrizione, viene ritenuto correttamente causalmente significativo in ragione del principio menzionato, che implica almeno la facilitazione dell'esecuzione: tanto più ciò vale nel caso in esame, nel quale il 'certificato di ultimazione dei lavori' andava sollecitato dall'esecutore dei lavori (Gu.Gi.) e anzi doveva seguire a un accertamento in contraddittorio proprio con l'esecutore medesimo, cosicché la sottoscrizione di Gu.Gi. risultava per legge decisiva. Infatti, l'art. 199 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 - Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE", in vigore dal 8 giugno 2011 fino al 30 maggio 2018, a seguito della abrogazione dall'art. 27 del decreto del 7 marzo 2018, n. 49 - vigente ratione temporis per il caso in esame, prevedeva quanto segue: "Art. 199. Certificato di ultimazione dei lavori. 1. In esito a formale comunicazione dell'esecutore di intervenuta ultimazione dei lavori, il direttore dei lavori effettua i necessari accertamenti in contraddittorio con l'esecutore e rilascia, senza ritardo alcuno dalla formale comunicazione, il certificato attestante l'avvenuta ultimazione in doppio esemplare, seguendo le stesse disposizioni previste per il verbale di consegna. In ogni caso alla data di scadenza prevista dal contratto il direttore dei lavori redige in contraddittorio con l'esecutore un verbale di constatazione sullo stato dei lavori. 2. Il certificato di ultimazione può prevedere l'assegnazione di un termine perentorio, non superiore a sessanta giorni, per il completamento di lavorazioni di piccola entità, accertate da parte del direttore dei lavori come del tutto marginali e non incidenti sull'uso e sulla funzionalità dei lavori. Il mancato rispetto di questo termine comporta l'inefficacia del certificato di ultimazione e la necessità di redazione di nuovo certificato che accerti l'avvenuto completamente delle lavorazioni sopraindicate". Quanto alle regole da seguire per la "consegna", l'art. 154 prescrive per quanto di interesse: "Art. 154. Processo verbale di consegna. (...) 4. Il processo verbale è redatto in doppio esemplare firmato dal direttore dei lavori e dall' esecutore. (...)". Risulta, pertanto, evidente che il ruolo di contraddittore assunto dal Gu.Gi. per legge, nella qualità di direttore tecnico dell'impresa esecutrice dei lavori - l'art. 87 del citato Regolamento individua la direzione tecnica nell'organo al quale competono gli adempimenti di carattere tecnico-organizzativo necessari per la realizzazione dei lavori - sia assolutamente decisivo, poiché la regolarità della consegna del cantiere come della ultimazione dei lavori richiedeva che Gu.Gi. avesse partecipato al sopralluogo effettuato dal direttore dei lavori per l'ultimazione degli stessi. In tal senso, corretta e non censurabile è la valutazione operata dalla Corte di appello, che ha riconosciuto il contributo materiale che Gu.Gi. ha offerto al concorrente "proprio" con la sottoscrizione di un atto che attestava l'ultimazione dei lavori, contrariamente al vero. 2.2 Quanto alla doglianza relativa alla circostanza che la Corte di appello ha ritenuto Gu.Gi. consapevole della qualità di pubblico ufficiale di Fo.Al., deve evidenziarsi preliminarmente come il direttore dei lavori è pubblico ufficiale, in quanto attesta verifiche dallo stesso effettuate e il compimento di attività e di opere eseguite sotto il suo diretto controllo (Sez. 5, n. 22418 del 24/04/2009, Cirelli, Rv. 244098 - 01; Sez. 5, n. 35155 del 23/06/2005, Basile, Rv. 232564 -01). Per altro l'art. 147 del Regolamento, di cui si leggerà a seguire, individua il direttore dei lavori come colui che per l'amministrazione appaltante è preposto alla direzione ed al controllo tecnico, contabile e amministrativo dell'esecuzione dell'intervento, secondo le disposizioni del medesimo Regolamento e nel rispetto degli impegni contrattuali, curando che i lavori siano eseguiti a regola d'arte ed in conformità del progetto e del contratto, interloquendo in via esclusiva con l'esecutore (Gu.Gi., nel caso in esame), in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto. Premesso che la doglianza relativa alla inconsapevolezza, quanto alla qualità di pubblico ufficiale del concorrente, è del tutto generica, deve anche evidenziarsi come la definizione di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, di cui rispettivamente agli artt. 357 e 358 cod. pen., richiamano con rinvio ricettizio le norme extrapenali che determinano la natura pubblica della funzione o del servizio e, pertanto, il contenuto di quelle definizioni, così ampiamente inteso, acquista natura di norma penale non solo perché i predetti articoli sono inseriti nel cod. pen., ma soprattutto perché la qualità del soggetto ivi contemplata deve intendersi richiamata in ogni precetto di natura penale che prevede la figura di pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, quale soggetto attivo o passivo del reato; ne consegue che, l'errore sulla qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, che derivi da ignoranza o falsa interpretazione della legge, non vale a scusare l'agente, risolvendosi in errore sulla legge penale (Sez. 6, n. 9473 del 13/01/2017, S., Rv. 269131 - 01; conf. n. 1098 del 1967, Rv. 105688 - 01). 2.3 Pertanto, deve affermarsi che in relazione al delitto previsto dall'art. 479 cod. pen. in ordine al falso certificato di ultimazione dei lavori, integri contributo decisivo ai fini della configurazione del concorso di persone nel reato la sottoscrizione apposta da parte del direttore esecutivo, insieme al direttore dei lavori nominato dall'ente locale, risultando tale condotta indispensabile per quanto previsto dall'art. 199 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 - Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante "Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE", ratione temporis applicabile al caso in esame. 2.4 Inoltre, va anche affermato che l'errore sulla qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, che derivi da ignoranza o falsa interpretazione della legge, non vale a scusare l'agente, risolvendosi in errore sulla legge penale, in quanto la definizione di pubblico ufficiale e quella di incaricato di pubblico servizio, sono previste dagli artt. 357 e 358 cod. pen. e richiamano con rinvio ricettizio le norme extrapenali, attribuendo loro natura di norma penale. 3. Il secondo motivo è infondato. 3.1 Correttamente la Corte territoriale ribadisce come integri il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 cod. pen.) la condotta del dipendente comunale che, in qualità di tecnico municipale e di direttore dei lavori, attesti falsamente l'ultimazione e l'esecuzione dei lavori in conformità alle prescrizioni contrattuali, considerato che dette attestazioni non costituiscono giudizio di valore, puramente soggettivo, ma giudizi del tutto oggettivi e tecnici vincolati al progetto approvato e preordinati a controllarne la regolare e fedele esecuzione, con la conseguenza che la valutazione, pur sussistente, presuppone un'inevitabile attività di constatazione (Sez. 5, n. 38153 del 25/09/2006, Bianco, Rv. 236039 - 01; conf. n. 49205 del 2004, Margarino, Rv. 231284 - 01). Proprio tale ultima sentenza ha chiarito che "in linea di principio, gli atti contenenti manifestazioni di giudizio del pubblico ufficiale non rientrano tra quelli tutelati dall'art. 479 cod. pen., sempre che tali manifestazioni non richiamino espressamente o implicitamente attività che si assumano realizzate dall'autore dell'atto medesimo (Sez. 6, 18 marzo 1992, Francia, Rv. 190482). E ciò per la evidente ragione che l'affermazione della falsità presuppone la individuabilità, con certezza, di una verità "tradita" oggetto di tutela mentre, viceversa, i giudizi sono espressioni, assolutamente soggettive, di una parametrazione a valori (etica, estetica, equità, conoscenza scientifica etc.) legati alla sensibilità e alla formazione del singolo individuo. Una chiara indicazione in tal senso proviene proprio dall'art. 479 c.p., nella cui fattispecie sono criminalizzate, accanto alle false attestazioni riguardanti "atti compiuti" dal pubblico ufficiale o avvenuti alla sua presenza, anche i "fatti" dei quali l'atto è destinato a provare la "verità"". Prosegue Sez. 5, Bianco, chiarendo che "il punto è, però, che, (...) l'attestazione di ultimazione dei lavori e di regolare esecuzione degli stessi non è un giudizio di valore, puramente soggettivo. Al pubblico ufficiale, nella specie, è richiesto un giudizio del tutto "oggettivo" e tecnico e cioè la verifica e quindi la attestazione che i lavori di cui al progetto approvato sono stati eseguiti e lo sono stati a regola d'arte. Il parametro nella specie era il progetto approvato e al prevenuto non si chiedeva altro che di controllare che avesse avuto esecuzione, più o meno fedele". Tale orientamento trovava anche conferma in una precedente pronuncia, che rilevava come integri il reato di falso ideologico in atto pubblico la condotta del dipendente comunale che, in qualità di tecnico municipale, attesti falsamente la corrispondenza delle opere eseguite da una società a quelle previste dalla delibera di giunta, nonché la regolare esecuzione rispetto alle prescrizioni contenute nel computo metrico estimativo. Detta attestazione costituisce, infatti, atto pubblico in quanto è redatta dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, si forma a seguito del controllo personale di quest'ultimo sulle opere consegnate, è diretta a provare l'esecuzione di tali opere ed è, come tale, fonte di diritti per i privati e di obblighi per la P.A.; ne' si tratta di mero atto valutativo, caratterizzato da discrezionalità, in quanto la valutazione, pur sussistente, presuppone un'inevitabile attività di constatazione (Sez. 5, 12 novembre 2004, Margarino, Rv. 231284). 3.2 Anche irrilevante, a fronte della funzione dell'atto, risulta l'uso dell'espressione "certificato", pur invocata dal ricorrente, in quanto, come è stato osservato, in relazione ad un'altra fattispecie concreta - cfr. in motivazione Sez. 5, n. 14617 del 19/10/2017, dep. 2018, Ravazzano, Rv. 272782 - 01 - malgrado la legge definisca l'atto come certificato, esso è invece un atto pubblico, in quanto riveste una propria distinta e autonoma efficacia giuridica. Difatti, tale pronuncia richiama in modo condivisibile i principi per cui l'atto pubblico contemplato dagli artt. 476 e 479 cod. pen. è quello caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica. Difatti, già, e in modo insuperato, Sez. U., n. 544 del 29/10/1983, dep. 19/01/1984, Mario, Rv. 162200 - 01, definiva l'atto pubblico come quell'atto caratterizzato dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, modificativi o estintivi di situazioni giuridiche soggettive di rilevanza pubblicistica e, in via congiuntiva o anche alternativa, dalla documentazione di attività compiuta dal pubblico ufficiale o di fatti avvenuti alla sua presenza o da lui percepiti; diversamente il certificato si risolve in una mera attestazione di verità o di scienza, priva di contenuto negoziale e svincolata dal compimento di attività direttamente percepite o effettuate dal pubblico ufficiale, relativa a fatti dei quali è stata già accertata la esistenza. Più recentemente nella nozione di atto pubblico oggetto del delitto di falso ideologico ex art. 479 cod. pen. è stato ricompreso ogni atto redatto dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, giacché ciò che rileva è la provenienza dell'atto dal medesimo ed il contributo dallo stesso fornito, in termini di conoscenza o di determinazione, ad un procedimento della pubblica amministrazione (Sez. 5, n. 44383 del 29/05/2015, Centaro, Rv. 266401; Sez. 5, n. 32446 del 14/03/2013, Messina, Rv. 256946 - 01). D'altro canto, esclude la qualificazione come certificato amministrativo la circostanza che tale può ritenersi solo un atto proveniente da un pubblico ufficiale se l'atto non attesti i risultati di un accertamento compiuto dal pubblico ufficiale redigente, ma riproduca attestazioni già documentate; e se l'atto, pur quando riproduca informazioni desunte da altri atti già documentati, non abbia una propria distinta e autonoma efficacia giuridica, ma si limiti a riprodurre anche gli effetti dell'atto preesistente (Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251549 -01). Nel caso in esame non vi è dubbio che il 'certificato' conseguisse all'attività svolta direttamente dal pubblico ufficiale - e non fosse meramente riproduttivo di altri atti - e avesse una propria autonoma efficacia giuridica, relativa al regolamento dei rapporti fra stazione appaltante e impresa esecutrice dei lavori, con produzione di effetti giuridici evidenti. 3.3 Pertanto, deve affermarsi che integra il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 cod. pen.) e non il reato di falsità ideologica in certificati amministrativi (art. 480 cod. pen.), la condotta del dipendente comunale che, in qualità di tecnico municipale e di direttore dei lavori, attesti falsamente l'ultimazione e l'esecuzione dei lavori in conformità alle prescrizioni contrattuali, considerato che dette attestazioni non costituiscono giudizio di valore, puramente soggettivo, ma giudizi del tutto oggettivi e tecnici, vincolati al progetto approvato e preordinati a controllarne la regolare e fedele esecuzione, con la conseguenza che la valutazione, pur sussistente, presuppone un'inevitabile attività di constatazione integrante il contenuto proprio dell'atto pubblico, e che irrilevante risulta la circostanza che l'art. 199 del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 attribuisca all'atto il nome di "certificato di ultimazione lavori", in quanto la distinzione fra certificato e atto pubblico, è da rinvenirsi nella produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica, effetti propri del "certificato" in esame. 4. Il terzo motivo è manifestamente infondato. Va premesso che il deficit di motivazione lamentato potrebbe avere rilievo se vi fosse stato un motivo di appello teso a ottenere la declaratoria di estinzione del reato. In vero, ciò dalla ricapitolazione dei motivi di appello contenuta in sentenza, non criticata dal ricorrente, non risulta, né tantomeno risulta un motivo di censura quanto alla sussistenza della recidiva: in assenza di tali pregresse doglianze il giudice di appello non può escludere la recidiva riconosciuta in primo grado in assenza di uno specifico motivo di appello dell'imputato, trattandosi di un'ipotesi non prevista dall'art. 597. comma 5, cod. proc. pen., che individua in modo tassativo il potere di intervenire di ufficio sulla pena (Sez. 3, n. 25806 del 11/05/2022, Vitale, Rv. 283470 - 02; conf. n. 47025 del 2013, Rv. 257752 - 01). Ovviamente, se il reato fosse stato per Gu.Gi. estinto per prescrizione, la Corte aveva l'obbligo di rilevarlo, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., ma nel caso in esame l'estinzione non si era, come non si è ancora, verificata. Difatti, risultando la pena prevista dall'art. 479 cod. pen. nel massimo pari a sei anni, aumentata ex art. 99, comma 4, cod. pen. per la contestata recidiva reiterata e specifica - sussistente anche se bilanciata con le circostanze attenuanti generiche (il bilanciamento non rileva ai fini della prescrizione ex art. 157, comma 3, cod. pen) - ad anni dieci, a seguito di interruzione ex art.161, comma 2, cod. pen., ad anni 16 e mesi otto, il delitto consumato il 28 agosto 2013 sarebbe estinto il 28 aprile 2030. Né la generica doglianza, rivolta alla doppia valutazione della recidiva in ordine al termine ordinario e quello per interruzione, è fondata: a ben vedere, infatti, la recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, comma secondo, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi, su quello del termine massimo, ex art. 161, comma secondo, cod. pen., senza che tale duplice valenza comporti violazione del principio del "ne bis in idem" sostanziale o dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l'istituto della prescrizione (Sez., 4, n. 44610 del 21/09/2023, Bisiccè, Rv. 285267; conf.: n. 13463 del 2016 Rv. 266532 - 01, n. 6152 del 2018 Rv. 272021 - 01, n. 50089 del 2016 Rv. 268214 - 01, n. 5985 del 2018 Rv. 272015 - 01, n. 57755 del 2018 Rv. 274721 - 01, n. 32679 del 2018 Rv. 273490 - 01, n. 50619 del 2017 Rv. 271802 - 01, n. 48954 del 2016 Rv. 268224 - 01) 5. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 21 maggio 2024. Depositata in Cancelleria il 23 agosto 2024.
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