RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 ottobre 2021, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale N.M. era stata condannata per il reato di furto pluriaggravato.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso l'imputata, con atto sottoscritto dal difensore di fiducia ed articolato nei motivi qui di seguito sintetizzati a norma dell'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
2.1. La ricorrente denunzia violazione di legge e correlati vizi motivazionali in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche. In particolare, lamenta che la Corte territoriale, per rigettare la richiesta difensiva, ha valorizzato solo i precedenti penali, trascurando peraltro che l'imputata è gravata da un solo precedente, risalente nel tempo.
2.2. Con un'ulteriore doglianza, la ricorrente denunzia vizi motivazionali in riferimento all'applicazione delle circostanze aggravanti previste all'art. 625 c.p., n. 4 (contestata perché la persona offesa era stata distratta facendole notare una macchia sul cappotto e offrendo aiuto per pulirla una volta tolto il capo) e 625 n. 8 ter c.p. (contestata perché il furto era stato commesso in danno di una persona offesa che aveva prelevato una somma di denaro da un istituto di credito).
In particolare, il riconoscimento dell'aggravante della destrezza si fonderebbe su mere presunzioni, non essendo stato accertato che l'imbrattamento del cappotto della persona offesa sia stato comportamento connotato da particolare astuzia, idonea a sorprendere o eludere la sorveglianza del detentore del bene al fine di sottrarre la busta contenente le banconote.
Inoltre, sarebbe errata l'applicazione dell'aggravante 625 n. 8 ter c.p., in quanto la persona offesa, dopo aver effettuato il prelievo della somma di denaro dall'istituto di credito, si era recata in un bar affollato e, quindi, non vi sarebbe il requisito della immediatezza tra la condotta illecita e l'utilizzo del servizio bancario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso, che contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato in presenza (si veda pag. 8 della sentenza impugnata) di una motivazione esente da evidenti illogicità, anche considerato il principio affermato da questa Corte, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
3. Il secondo motivo di ricorso, che contesta la sussistenza dell'aggravante della destrezza, è manifestamente infondato e pedissequamente reiterativo di doglianze già proposte con l'atto di appello, in relazione alle quali la Corte territoriale ha risposto in maniera corretta, con argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche (pag. 7 della sentenza).
In proposito, va evidenziato che le Sezioni Unite hanno affermato che, in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, prima o durante l'impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla "res", non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U, n. 34090 del 27/04/2017, Rv. 270088).
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, la N., agendo in concorso con altre due persone rimaste ignote, mentre la persona offesa si trovava sulle scale di un parcheggio, prima segnalava a questi che il giaccone che indossava era sporco e, poi, offrendosi di prestare aiuto quando l'uomo si era tolto l'indumento, aveva sfilato dalla tasca dello stesso giaccone la busta contenente i soldi, poco prima prelevati dall'uomo in banca. Insomma, l'imputata, con i suoi complici, ha finto di voler aiutare la persona offesa, per poi approfittare della circostanza creata per impossessarsi della busta custodita dalla vittima nella tasca del giaccone.
4. Infondato è il motivo di ricorso che contesta l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 8 ter: "se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro".
La norma è stata introdotta con la L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 26, con l'intento del legislatore di sanzionare più severamente condotte particolarmente insidiose, perché incidenti su attività che portano le vittime ad essere in possesso di denaro e altri valori, come ad esempio libretti di assegni o assegni circolari, carte di credito, etc.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, la persona offesa, dopo aver effettuato presso un istituto bancario il prelievo della somma di 2.500,00 Euro, poneva la busta contenente il denaro in una tasca interna del giaccone che indossava, si recava in un bar a prendere un caffe' e, poi, tornava al parcheggio dove aveva lasciato la sua autovettura; "nello scendere le scale del parcheggio veniva fermato da tre persone, due donne e un uomo, che gli segnalavano che aveva il giaccone sporco....;...si toglieva il giaccone alla presenza dei tre, notava che era sporco e cercava di pulirlo; naturalmente i tre si offrivano di aiutarlo..." e, come si è già detto, approfittando di tale circostanza, sfilavano la busta con il denaro dalla tasca del giaccone (si veda pag. 1 della sentenza di appello).
La difesa della ricorrente sostiene che l'aggravante in questione va riconosciuta allorquando il furto venga commesso in danno di persona che sia nell'atto di fruire o che abbia "appena" fruito dei servizi offerti da istituti di credito. Nella specie, non sussisterebbe il requisito della "immediatezza" richiesto dalla norma, perché la persona offesa dopo il prelievo si era recato in un bar affollato.
L'assunto difensivo non è condivisibile.
I giudici di merito hanno ritenuto sussistente l'aggravante, evidenziando che il furto è avvenuto dopo poco tempo dal prelievo della somma dall'istituto di credito e che la norma in esame fa riferimento al criterio di "immediatezza temporale" e non a quello della "vicinanza spaziale", per cui irrilevante è la circostanza che l'impossessamento sia avvenuto mentre la vittima si trovava sulle "scale del parcheggio" e dopo essersi recato in un bar(pag. 8 della sentenza di appello).
In effetti, come si è visto l'art. 625 c.p., n. 8 ter incentra l'attenzione sulla vittima del reato e sul momento consumativo dello stesso, punendo più gravemente il furto commesso in danno di "persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro".
Dubbi interpretativi derivano dal tenore letterale della norma nella parte in cui contempla il nesso di collegamento tra la condotta criminosa e la fruizione di servizi bancari o postali. Nessun problema presenta l'ipotesi in cui la condotta sia posta in essere mentre la vittima si trovi nell'atto di fruire di tali servizi, mentre è necessario chiarire sino a quale momento, successivo alla fruizione dei servizi indicati dalla norma, il fatto possa essere ricondotto nella fattispecie.
In dottrina si è ritenuto che il tenore letterale evochi un arco temporale ristretto tra la fruizione del servizio e il fatto criminoso, con la precisazione, tuttavia, che, in ragione della ratio ispiratrice cui sopra si è fatto riferimento, il requisito normativo si presta all'applicazione di un criterio interpretativo non solo temporale.
In effetti, il nesso di collegamento può essere individuato in quello, per così dire, di "causalità di fatto" o di "occasionalità necessaria", così da ricomprendere nella sfera applicativa tutte le condotte che, sebbene non immediatamente successive, si pongano in stretta correlazione con la fruizione del servizio, in quanto da questo traggono occasione.
Insomma, proprio la ratio della norma consente di ritenere che la locuzione "che abbia appena fruito dei servizi" faccia riferimento anche all'immediatezza temporale tra il prelievo (del denaro e di altri valori) e la condotta furtiva, ma non implica affatto che il furto avvenga mentre la persona offesa si allontana dal luogo dove ha fruito del servizio, potendo verificarsi che l'autore del reato, dopo aver individuato la vittima, la segua e perpetri l'illecito appena si crei una condizione favorevole, come avvenuto nella specie. Ne deriva che il significato della locuzione sopra indicata non può che essere riferita alle circostanze che abbiano costituito "occasione" adatta per la consumazione del furto (si veda in tal senso, anche se in caso diverso, quanto rilevato nella sentenza Sez. 5, n. 23604 del 2016, non massimata).
Una siffatta interpretazione non contrasta con il divieto di analogia in malam partem in materia penale, di cui all'art. 14 delle preleggi, trattandosi di interpretazione logicamente coerente con lo scopo di tutela della previsione in questione, la quale in caso contrario risulterebbe irrazionalmente limitata da un'esegesi basata sul mero dato letterale.
5. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., si impone la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2023