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Furto ai fini dell'attenuante della collaborazione il giudice deve apprezzare la concretezza del contributo collaborativo

Furto

Cassazione penale sez. V, 27/10/2022, n.46069

Ai fini del riconoscimento dell'attenuante prevista dall'art. 625-bis c.p., il giudice deve apprezzare l'utilità e la concretezza del contributo collaborativo fornito dal colpevole per individuare i complici del reato di furto, senza che la concessione della diminuente possa essere condizionata dall'esito del giudizio a carico di questi. (In applicazione del principio, la Corte ha censurato la decisione che aveva negato la concessione all'imputato di detta circostanza, a fronte della chiamata in correità del complice, a carico del quale era stata elevata l'imputazione, ma che, in assenza di riscontri ex art. 192 c.p.p., era stato mandato assolto dall'accusa di furto) .

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. La Corte di appello di L'Aquila, per quel che rileva in questa sede, ha confermato la condanna pronunciata in primo grado a carico degli attuali ricorrenti, ritenendoli responsabili il D.M. dei tre reati di furto pluriaggravato contestati ai capi E), F) e I); il D.S., dei reati di tentato furto pluriaggravato e ricettazione, contestati ai capi G) e P); il R. dei reati di furto aggravato e porto e detenzione di arma (capo J e K). 2. Avverso tale decisione ricorrono i tre imputati. In particolare: 2.1. D.M.G. articola due motivi di censura, intimamente connessi tra loro, con i quali lamenta che la corte territoriale avrebbe ritenuto la responsabilità dell'imputato alla luce di una contraddittoria struttura argomentativa e di un erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie, sostanzialmente fondando l'accertamento della responsabilità sulla base della vicinanza tra i luoghi oggetto dei furti e la sua stessa abitazione e alla luce di intercettazioni telefoniche che proverebbero solo la sua vicinanza presso i luoghi di consumazione dei reati. 2.2. D.S.O. articola due motivi di censura, l'uno attinente al profilo dell'accertamento della responsabilità e l'altro relativo al trattamento sanzionatorio. In particolare, con il primo si censura: la ritenuta riferibilità delle conversazioni intercettate all'imputato e, comunque, ai reati oggetto dell'imputazione; la qualificazione dei fatti contestati al capo G) in termini di furto tentato, laddove, essendosi le condotte arrestate allo stadio della mera attività preparatoria, sarebbe configurabile esclusivamente una violazione di domicilio; la conseguente insussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 5; la mancanza di un valido supporto probatorio a fondamento della ritenuta responsabilità per la ricettazione contestata al capo G), non potendosi ritenere provata l'effettiva consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni ed essendo irrilevanti, a tal fine, le modalità di consegna degli stessi, la fretta dimostrata nell'acquisto o l'irrisorietà del prezzo al quale sarebbero stati venduti. Con il secondo, invece, si censura l'eccessività del trattamento sanzionatorio, l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, della tenuità del danno e del contributo di minima importanza, l'illegittima applicazione della recidiva. 2.3. R.D. articola due motivi di ricorso. Con il primo, afferente all'accertamento della responsabilità, deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la corte d'appello, pur prendendo atto che non sarebbero stati allegati gli elementi utilizzati per la comparazione dattiloscopica, afferma che la difesa non avrebbe contestato la genuinità dell'accertamento, quando, invece, ogni contestazione sarebbe stata possibile solo all'esito dell'allegazione degli atti di reperto prelevati dalla polizia giudiziaria. Il secondo, invece, è relativo all'omesso riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 625-bis c.p., esclusa dalla corte d'appello sulla ritenuta mancanza di collaborazione del ricorrente, che, pur essendo in grado di farlo, non avrebbe riferito circostanze utili per le indagini. L'imputato, infatti, avrebbe chiamato in correità lo Stoica, ma non avrebbe fornito i necessari elementi esterni circostanziali (come gli strumenti utilizzati per effettuare l'effrazione, i mezzi occorsi per gli spostamenti e per il trasporto della refurtiva), sui quali egli era in condizioni di riferire, idonei a consentire agli inquirenti di approfondire l'indagine sulla persona dello S., onde riscontrare, con necessari elementi esterni, la chiamata in correità. Ma ciò, secondo la prospettazione difensiva, non solo farebbe ricadere sul ricorrente le lacune investigative imputabili all'Ufficio, ma sarebbe intrinsecamente contraddittorio rispetto alla parallela motivazione resa nella medesima sentenza a fondamento dell'assoluzione del coimputato S., dove si riconoscerebbe esplicitamente il ruolo avuto dal R. ai fini della contestazione formulata a carico dello S.. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I due motivi sollevati dal D.M. sono inammissibili sotto plurimi profili. In primo luogo riproducono gli stessi argomenti già prospettati nell'atto di appello, ai quali la corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, senza prospettare profili di manifesta illogicità o contraddittorietà. In secondo luogo, sono inammissibili perché sollecitano una diversa valutazione del materiale probatorio, che la corte distrettuale ha invece correttamente operato, sostenendola con motivazione coerente ai dati probatori richiamati e immune da vizi logici. I giudici di merito hanno ricostruito analiticamente i fatti oggetto della contestazione, valorizzando in massima parte il contenuto delle dichiarazioni intercettate, quelle rese dall'informatore D.B. e il dato oggettivo del ritrovamento di parte dei beni trafugati all'interno dell'abitazione del ricorrente. A fronte di ciò, le censure sollevate non evidenziano alcun profilo di manifesta illogicità o contraddittorietà, ma si limitano a prosperare una mera parcellizzata rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, articolata sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Ebbene, la valutazione dei dati probatori e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, Rv. 271623). 2. Ugualmente inammissibili sono i motivi di ricorso avanzati dal D.S.. 2.1. Con riferimento al primo motivo, la censura afferente alla ritenuta non riferibilità delle conversazioni al ricorrente è preclusa in questa sede in quanto non proposta dinanzi alla corte d'appello. Le residue censure, invece, peraltro formulate genericamente, sono tutte inammissibili in quanto meramente riproduttive degli stessi argomenti già prospettati nell'atto di appello, rispetto alle quali la corte distrettuale ha ampiamente argomentato con motivazioni logiche e coerenti. Sia con riferimento alla qualificazione dei fatti contestati al capo G) in termini di furto tentato (essendo stato riscontrato che la recinzione esterna dell'abitazione oggetto del tentato furto era stata parzialmente divelta e che la finestra posta al piano terra presentava evidenti tracce di forzatura, prima non presenti), sia con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61 c.p., n. 5 (desunta oltre che dall'orario notturno, anche dall'ubicazione dell'abitazione e dalla circostanza, nota al ricorrente, per cui la stessa villetta era abitata da una donna sola), sia, in ultimo, con riferimento alle circostanze dedotte con riferimento al capo G) (in relazione al quale la corte ha evidenziato: la corrispondenza tra i beni oggetto del furto e quelli offerti in vendita dall'imputato, la cautela nei contatti intercorsi tra il D.S. e l'acquirente, la mancanza di una prova idonea a ritenere la diretta responsabilità dell'imputato per il furto perpetrato). Anche in questo caso, quindi, le censure sollevate, non solo sono reiterative di analoghi profili già valutati dalla corte territoriale, ma si risolvono in una mera parcellizzata rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata. Ed in quanto tali sono inammissibili. 2.2. Con riferimento al secondo motivo, afferente al trattamento sanzionatorio, è necessario rilevare come la corte d'appello ha dato atto delle ragioni per le quali è stata esclusa la possibilità di qualificare il fatto ai sensi dell'art. 648 c.p., comma 2 o di ritenere sussistente l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4 (in ragione della quantità dei beni oggetto di ricettazione e del valore non trascurabile degli stessi). Circostanze che, implicitamente, possono ritenersi idonee ad escludere anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Rv. 275057). Con riferimento all'invocata esclusione della recidiva, è pur vero che il giudice deve verificare, fornendo adeguata motivazione, se ed in quale misura le pregresse condotte criminose siano indicative di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419), ed in concreto manca un'effettiva motivazione, sotto tale profilo. Ciononostante, il relativo motivo d'appello era ab origine manifestamente infondato, in quanto il giudice di primo grado aveva già dato conto di come i precedenti dei quali erano gravati i ricorrenti fossero in sé indicativi di una perdurante inclinazione al delitto, idonea ad influire, quale fattore criminogeno, per la commissione del reato sub iudice ("gli elementi sopra indicati.... sono sintomatici di uno stile di vita ispirato al crimine, costituendo quest'ultima la prevalen1 se non esclusiva fonte di mantenimento presenti reati costituiscono una rinnovata espressione di una più marcata pericolosità degli imputati che hanno fatto, dell'attività delinquenziale la loro ragione di vita": pag. 25 della sentenza di primo grado). E tanto conduce a ritenere il conseguente motivo di ricorso per cassazione inammissibile, per carenza d'interesse, atteso che l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Rv. 277281). 3. Il secondo motivo di ricorso proposto dal R. e', invece, fondato. 3.1. Il primo profilo attiene alla ritenuta contraddittorietà della motivazione offerta dalla corte distrettuale, che non avrebbe considerato che ogni contestazione in ordine all'accertamento dattiloscopico sarebbe stata possibile solo all'esito dell'allegazione degli atti di reperto prelevati dalla polizia giudiziaria. E la deduzione è manifestamente infondata, atteso che, come già ritenuto da questa Corte, la comparazione delle impronte prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria non richiede particolari cognizioni tecnico - scientifiche e si risolve in mero accertamento di dati obiettivi ai sensi dell'art. 354 c.p.p., sicché il suo svolgimento non postula il rispetto delle formalità previste dall'art. 360. Cosicché, ben può il giudice attenersi alle sole dichiarazioni rese, in dibattimento, da colui che abbia svolto tale attività di comparazione (Cass., sez. 5, 11 marzo 2004, n. 23319; Cass., sez. 1, 11 giugno 2009, n. 28848). E ciò, peraltro, senza considerare che il processo è stato celebrato nelle forme del giudizio abbreviato (quindi alla luce del solo materiale probatorio acquisito al fascicolo del pubblico ministero), senza che il ricorrente abbia manifestato la necessità di eventuali ulteriori acquisizioni istruttorie (alle quali, eventualmente, condizionare il consenso prestato). 3.2. Il secondo, afferente al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 625-bis c.p., è invece fondato. La corte d'appello dà atto di come il R., successivamente all'esito positivo della perquisizione, abbia reso spontanee dichiarazioni, chiamando in correità S.I.B.. Tali dichiarazioni, per esplicito riconoscimento della corte d'appello, hanno consentito l'individuazione del correo (e la formulazione del relativo capo d'imputazione), ma non sono state ritenute sufficienti per il successivo accertamento della responsabilità, in mancanza di riscontri esterni, necessari ai sensi dell'art. 192 c.p.p.. Ebbene, la corte territoriale ha escluso il riconoscimento dell'attenuante proprio in ragione di tale assoluzione, ritenendo che il R. non avrebbe indicato elementi esterni, sui quali egli era in condizioni di riferire, idonei a consentire agli inquirenti di approfondire l'indagine, riscontrando la predetta chiamata in correità. L'argomentazione è in contrasto con il dato normativo. L'art. 625-bis c.p. prevede una riduzione della pena (da un terzo alla metà) per il colpevole che, prima del giudizio, abbia consentito (in concreto) l'individuazione di correi o dei responsabili della ricettazione della cosa sottratta. Onere del giudice e', quindi, solo quello di verificare l'effettiva l'utilità e la concretezza del contributo collaborativo fornito dal colpevole ai fini della successiva individuazione dei complici o dei ricettatori. Accertata l'efficienza causale delle dichiarazioni rispetto all'individuazione del correo o del ricettatore, i successivi esiti del giudizio a loro carico sono del tutto irrilevanti (Sez. 4, n. 11490 del 24/01/2013, Rv. 254855). La Corte d'appello, invece, pur riconoscendo l'efficacia causale (ai fini dell'individuazione del correo) delle dichiarazioni rese dal R., ha escluso l'attenuante in ragione di elementi (la successiva assoluzione dello S.) estranei al perimetro esplicitamente delineato dal dato normativo. E tanto impone, sotto tale profilo, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Perugia. E' opportuno precisare, tuttavia, che il motivo attiene esclusivamente al capo J (furto aggravato in abitazione, per il quale non si pone alcun problema di prescrizione), e non al reato contestato al capo K (porto e detenzione di arma comune da sparo), per il quale, invece, ad oggi, appare spirato il relativo termine prescrizionale. In relazione a tale capo d'imputazione (interessato solo dal primo motivo d'impugnazione, dichiarato inammissibile), stante l'autonomia delle singole fattispecie, non può ritenersi instaurato un valido rapporto processuale; e ciò preclude la possibilità di rilevare, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., eventuali cause di estinzione del reato (Sez. 6, n. 20525 del 13/04/2022, Rv. 283269). 4. In conclusione, i ricorsi proposti da D.M.G. e D.S.O. devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende. La sentenza impugnata deve essere annullata con riferimento alla posizione di R.D., limitatamente al trattamento sanzionatorio in relazione al profilo relativo al riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 625-bis c.p., con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo esame. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi proposti da D.M.G. e D.S.O. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla posizione di R.D., in relazione al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame alla corte d'appello di Perugia. Dichiara inammissibile per il resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2022. Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2022
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