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Furto: per l'attenuante del danno di lieve entità non rilevano solo il valore irrisorio del bene e la lieve entità del pregiudizio alla persona offesa

Furto

Cassazione penale , sez. V , 26/11/2021 , n. 344

L'attenuante del danno di speciale tenuità presuppone un giudizio complesso che prenda in considerazione tutti gli elementi della fattispecie concreta necessari per accertare non il solo danno patrimoniale, ma il danno criminale nella sua globalità, cosicché, ai fini della sua configurabilità nel reato di furto, non possono essere ritenuti determinanti i soli parametri dell'entità lievissima del pregiudizio causato alla persona offesa e il valore irrisorio del bene sottratto.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Viene impugnata dinanzi al Collegio la sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta con cui, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Gela il 2.4.2019, è stata rideterminata la pena inflitta a G.V.R. per il riconoscimento della continuazione tra i reati (ritenuto più grave quello di cui al capo 1, rispetto alla contestazione del capo 2), nella misura di mesi dieci di reclusione e 400 Euro di multa, confermando nel resto la condanna nei suoi confronti per i delitti di concorso in tentato furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale, nonché la condanna nei confronti di G.D. alla pena di anni uno di reclusione ed Euro 400 di multa (riconosciutegli le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva), sempre per il reato di concorso in tentato furto aggravato ascrittogli al capo 1. Gli imputati sono stati colti in flagranza del reato di tentato furto aggravato, commesso all'interno di un supermercato, dal quale avevano sottratto generi alimentari per un valore di circa 60 Euro, nascondendoli sotto i propri abiti, avvalendosi di un mezzo fraudolento costituito da un'imbracatura artigianale cui veniva annodata la merce; l'azione è stata compiuta unitamente ad altre due complici ( G.I. e B.A.), le quali hanno definito la loro posizione con rito abbreviato e non con rito ordinario, come invece gli altri due coimputati. La sola G.V.R. è accusata anche di aver minacciato di morte l'agente C.S. per opporsi ad ella che stava compiendo un atto del proprio ufficio, sottoponendo gli arrestati al foto-segnalamento. 2. Propongono ricorso gli imputati, tramite due distinte impugnazioni, formulate da ciascuno tramite il medesimo difensore di fiducia. 3. Il ricorso di G.D. ha dedotto numerosi motivi di censura. 3.1. La prima e la seconda ragione eccepita lamentano violazione di legge e vizio di motivazione contraddittoria in relazione all'affermazione di responsabilità del ricorrente, non sostenuta da adeguati elementi di prova, ma basata su indizi non decisivi (la parentela ed il rapporto di convivenza con le complici, il medesimo abbigliamento) nonostante indosso al ricorrente non sia stata trovata alcuna delle merci rubate. In proposito, la sentenza impugnata non sa esprimere il proprio convincimento in termini di certezza, prospettando due possibili scenari plausibili per spiegare la circostanza che il ricorrente non fosse in possesso di refurtiva al momento dell'arresto. 3.2. Il terzo argomento di censura deduce violazione di legge processuale rispetto all'utilizzabilità, ai fini della motivazione del provvedimento impugnato, delle dichiarazioni rese dalle coimputate G.I. e B.A. in sede di convalida dell'arresto, ritenute non credibili nel senso di escludere il coinvolgimento nel reato del ricorrente, ma che, tuttavia, non dovevano essere neppure inserite nel fascicolo dibattimentale. 3.3. La quarta e la quinta ragione difensiva si incentrano sull'erronea applicazione dell'aggravante dell'uso del mezzo fraudolento, non configurabile in relazione ad un banale accorgimento tecnico quale l'imbragatura artigianale, e di quella della destrezza, nonché su un collegato difetto di motivazione, poiché la sentenza impugnata ha ritenuto che i quattro complici tenessero un comportamento fraudolento e, di contro, ha sostenuto contraddittoriamente che l'abbigliamento troppo pesante per il periodo di maggio, in cui sono avvenuti i fatti, avesse destato sospetto nell'agente addetto alla vigilanza del supermercato. 3.4. La sesta, la settima e l'ottava censura attingono, invece, i punti della motivazione relativi al riconoscimento dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 5 - in relazione alla quale la motivazione sarebbe carente e legata al mero numero delle persone arrestate in flagranza di concorso nel reato - e dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7 (esposizione alla pubblica fede), fondata soltanto sulla circostanza che il furto sia avvenuto in un supermarket, senza alcun vaglio critico e non occupandosi di motivare circa la presenza di vigilanza attiva del personale addetto e di un impianto di videosorveglianza, elementi atti ad escludere l'aggravante stessa, secondo la giurisprudenza di legittimità. 3.5. Un nono motivo di ricorso deduce violazione di legge avuto riguardo alla mancata applicazione della clausola di non punibilità della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., nonostante non esistessero elementi ostativi e, anzi, vi fossero i presupposti per il suo riconoscimento. 3.6. Il decimo motivo deduce violazione di legge per non aver riconosciuto la Corte d'Appello l'attenuante del danno di lieve entità in favore del ricorrente. 3.7. L'undicesimo motivo attinge la decisione nella parte in cui ha negato il beneficio della sospensione condizionale della pena al ricorrente, non valutando la personalità dell'imputato e l'assenza di elementi ostativi (a suo carico vi è un solo precedente specifico con condanna alla pena di mesi sei di reclusione, che non precludeva il beneficio, per il mancato superamento dei limiti stabiliti dall'art. 163 c.p.). 4. Ha proposto ricorso anche G.V.R. deducendo anch'ella numerosi motivi, molti dei quali del tutto identici a quelli formulati in favore dell'altro ricorrente. 4.1. Il primo tra essi censura la motivazione del provvedimento impugnato, ai sensi dell'art. 606 c.p., comma 1, lett. b), quanto all'affermazione di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 337 c.p.. La reazione dell'imputata, infatti, è avvenuta dopo che il pubblico ufficiale aveva smesso di compiere l'atto del suo ufficio e non aveva alcuna finalità oppositiva rispetto allo svolgimento della funzione di questi. 4.2. I motivi dal secondo all'undicesimo riproducono, invece, quelli dal primo al decimo del ricorso del coimputato G.D., sicché basterà il richiamo alle ragioni già indicate ai punti del paragrafo precedente. 5. Il PG Olga Mignolo ha chiesto l'inammissibilità dei ricorsi. 6. I ricorrenti hanno depositato conclusioni scritte, tramite il difensore, con le quali, anche rispondendo alla requisitoria del PG, di cui contestano le argomentazioni, chiedono l'accoglimento dei motivi di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I ricorsi sono entrambi parzialmente fondati, limitatamente alla censura riferita alla ritenuta insussistenza della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 4. 2. I motivi di entrambi i ricorsi sono in tutto sovrapponibili - fatti salvi quello contenuto nell'impugnazione di G.V.R., inerente alla contestazione di resistenza a pubblico ufficiale, e quello proposto soltanto da G.D., quanto al beneficio della sospensione condizionale della pena - e corrispondono alle ragioni eccepite già con l'atto di appello da parte di entrambi, sicché possono essere agevolmente trattati in modo unitario. 2.1. L'unica eccezione di ordine processuale contenuta nei ricorsi è manifestamente infondata e generica. Le dichiarazioni rese in sede di convalida dalle altre due complici del tentativo di furto, che hanno scelto di definire la loro posizione con il rito abbreviato - dichiarazioni, peraltro, formalmente favorevoli alle ricorrenti poiché volte a sostenere la loro inconsapevolezza del reato commesso, invece, soltanto da loro - non hanno costituito affatto il fondamento del convincimento del giudice di merito, poiché, anzi, ne è stata esclusa la portata probatoria nei confronti delle ricorrenti. Ne' la difesa, dinanzi alla neutralità accusatoria del cenno motivazionale svolto dai giudici d'appello alla non credibilità delle dichiarazioni delle due coimputate, ha addotto le ragioni di rilevanza dell'eccezione, che punta all'esclusione dell'utilizzabilità di atti del processo. In proposito, le Sezioni Unite hanno da tempo chiarito come, in tema di ricorso per cassazione, sia onere della parte che eccepisce l'inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l'inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì l'incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U., n. 23868 del 23/4/2009, Fruci, Rv. 243416). 2.2. I primi due argomenti difensivi, che portano a considerare il cuore della contestazione di reato, sono sviluppati secondo direttrici di critica alle ragioni del provvedimento impugnato sottratte al sindacato di legittimità e, in ogni caso, si rivelano manifestamente infondati. I ricorrenti sono stati ritenuti complici-concorrenti di altre due persone - G.I. e B.A. - legate loro da rapporti di parentela e convivenza, con le quali si erano introdotti nel supermercato ed indosso alle quali è stata trovata la refurtiva, una volta fermati tutti all'uscita dal supermercato e scoperti grazie all'intuito dell'agente di polizia in borghese e fuori servizio, C.S., che li aveva osservati sin dal loro ingresso, insospettita dal loro abbigliamento, inadeguato alla temperatura esterna e idoneo ad occultare merce senza che questa fosse visibile (era composto da pesanti ed ampi giacconi). Il concorso di entrambi i ricorrenti è stato basato non già sulla mera constatazione di un legame di parentela e convivenza con i correi indosso ai quali, legata all'imbracatura artigianale, è stata rinvenuta merce sottratta dagli scaffali del supermercato, ma sulla diretta osservazione da parte dell'agente C. di quanto avvenuto, con l'ingresso nell'esercizio commerciale di tutti e quattro i complici in maniera "coordinata" ed evidentemente "preparata", dato l'abbigliamento e l'imbracatura. L'agente di polizia ha anche visto ella stessa la coppia formata da G.D. e G.V.R. sottrarre merce dal supermercato, salvo poi disfarsene poiché il primo si era accorto che costei lo aveva visto, al momento in cui aveva occultato su di sé quanto ricevuto dalla complice. Nessun rilievo può avere il fatto che detta refurtiva non sia stata ritrovata indosso a G.D. o V.R., al momento della perquisizione personale all'uscita dal supermercato, poiché è del tutto plausibile che l'essersi avveduto del "controllo a distanza" abbia indotto il primo ad un atteggiamento prudente, volto a disfarsene; mentre nessun rilievo critico può muoversi alle ipotesi sviluppate dalla Corte d'Appello circa il destino dei beni (non meglio identificati) che l'agente di polizia aveva visto sottrarre da parte dei due ricorrenti: si tratta, infatti, di ipotesi di chiusura di un ragionamento deduttivo e che non costituiscono prova dei fatti, ma contribuiscono soltanto a far immaginare la fase conclusiva della condotta, irrilevante ai fini della prova. La motivazione del provvedimento impugnato, in conclusione, è lineare e basata sulle precise e dettagliate ricostruzioni degli elementi di prova, intessute in una trama logica priva di iati o aporie. Le deduzioni dei ricorrenti si risolvono, pertanto, in una rilettura non consentita, in sede di legittimità, di aspetti probatori valutati dal giudice di merito secondo parametri motivazionali non afflitti da vizi di contraddittorietà, manifesta illogicità o carenza. Il Collegio condivide, infatti, l'orientamento pacificamente accolto dalla Cassazione secondo cui, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà, su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 9106 del 12/2/2021, Caradonna, Rv. 280747 e Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, 0., Rv. 262965). Ciò perché, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., tra le più recenti, Sez. 6, n. 5465 del 4/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482). 3. Sono in fatto, generiche e manifestamente infondate, altresì, anche le censure in ordine a tutte le circostanze aggravanti ritenute sussistenti in relazione al reato. 3.1. L'aggravante del mezzo fraudolento è stata adeguatamente esplorata nel merito, per essersi serviti, i ricorrenti e i loro complici, di un'imbracatura nascosta sotto gli indumenti, sia pur artigianale, atta ad occultare più agevolmente e a sostenere, al tempo stesso, la refurtiva prelevata dagli scaffali del supermercato (la sentenza impugnata ravvisa peculiari "abilità mimetiche" nella condotta). I caratteri della fattispecie concreta sono agevolmente riconducibili alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità, da tempo sedimentatasi sul tema. Il "mezzo fraudolento", infatti, avuto riguardo al delitto di furto, si identifica in qualsiasi azione dotata di marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza, idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità (Sez. U., n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974; Sez. 5, n. 32847 del 03/04/2019, Lazzari, Rv. 276924; Sez. 4, n. 8128 del 31/01/2019, Canzian, Rv. 275215; vedi, altresì, Sez. 5, n. 19937 del 15/4/2021, Masucci, Rv. 281108). 3.2. Altrettanto consolidato, in tema di furto, è l'orientamento ermeneutico secondo cui la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l'agente abbia posto in essere, prima o durante l'impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla "res", rimanendo fuori dalla sfera applicativa dell'aggravante soltanto quelle situazioni nelle quali l'agente si limiti ad approfittare di condizioni non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo (Sez. U., n. 34090 del 27/4/2019, Quarticelli, Rv. 270088; Sez. 5, n. 48915 del 1/10/2018, S., Rv. 274018). La "destrezza", poi, può rivolgersi sia verso il soggetto derubato che nei confronti della cosa sottratta, anche se distante dal derubato (cfr. Sez. 5, n. 23549 del 15/7/2020, Ferrari, Rv. 279361), come accaduto nel caso di specie, in cui è innegabile e di immediata intuitività che siano necessarie speciali abilità per sottrarre rapidamente ed accortamente merce dagli scaffali di un supermercato ed inserirla all'interno di una "struttura da occultamento", indossata dall'agente al fine di operare con maggior precisione e insidiosità ed eludere gli eventuali controlli. A tale conclusione è giunta la Corte d'Appello, in modo coerente con la sentenza di primo grado, e l'aggravante è applicabile anche al delitto tentato (Sez. 4, n. 31973 del 20/5/2009, Budoj, Rv. 244861). Non hanno alcun rilievo, peraltro, le considerazioni difensive, del tutto congetturali, relative al fatto che l'abbigliamento poco consono al periodo climatico abbia destato sospetto nell'agente di polizia e, in tal modo, abbia "eliso" l'insidiosità, contraddicendo le particolari abiità o astuzie necessarie alla configurabilità di una condotta "destra": la percezione del reato da parte dell'agente intervenuto fuori servizio è del tutto soggettiva e casuale, magari collegata ad un particolare intuito personale, ma comunque del tutto disgiunta dalla valutazione inerente ad un mezzo materiale di attuazione del reato (l'imbragatura artigianale), rispetto al quale soltanto è stata ritenuta la sussistenza dell'aggravante. 3.3. Si rivela generica e imprecisa anche la doglianza circa l'insussistenza dell'aggravante delle più persone riunite. Tale circostanza, in relazione al reato di furto prevista dall'art. 625 c.p., comma 1, n. 5, è configurabile ogniqualvolta vi sia la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della condotta violenta, pur se questa sia posta in essere da una soltanto di esse o solo da alcune di esse, individuandosi la ratio aggravatrice negli effetti fisici e psichici di maggior pressione sulla vittima che consegue una condotta realizzata da più persone presenti, riducendo anche la forza di reazione (cfr., in tema di lesioni, Sez. 5, n. 12743 del 20/2/2020, Alletto, Rv. 279022; in tema di rapina, Sez. 2, n. 31320 del 31/5/2017, Labtoul, Rv. 270436; nonché, in tema di estorsione, Sez. U., n. 21837 del 29/3/2012, Alberti, Rv. 252518). Nel caso di specie, la condotta è stata unitaria e concorrente, né può aver rilievo il fatto che i complici abbiano agito "separatamente" o "per coppie", unico essendo il reato e, anzi, determinandosi proprio una maggior efficacia di riduzione della capacità di reazione ad esso dalla manovra duplice realizzata dai correi. 3.4. Appare, infine, aspecifica anche la censura riferita alla sussistenza dell'aggravante dell'esposizione dei beni sottratti alla pubblica fede. Dopo alcune incertezze interpretative, la giurisprudenza della Cassazione sembra da alcuni anni stabilmente approdata ad un orientamento che, in relazione al delitto di furto, anche tentato, dai banchi di un supermercato, ritiene sussista la circostanza aggravante dell'esposizione a pubblica fede di beni dotati di un apposito dispositivo "antitaccheggio", in quanto tale dispositivo non è idoneo ad assicurare un controllo costante e diretto sulla "res" (Sez. 5, n. 4036 del 26/11/2015, dep. 2016, Craciun, Rv. 267564; Sez. 5, n. 21158 del 30/11/2016, dep. 2017, Monachino, Rv. 269923; Sez. 5, n. 17 del 21/11/2019, dep. 2020, Bevilacqua, Rv. 278383; contra in passato, tra le più recenti, Sez. 5, n. 20342 del 28/1/2015, Torre, Rv. 264075). I ricorrenti non si confrontano affatto con tale contesto ermeneutico e propongono la diversa, sia pur collegata, questione generale relativa all'incidenza di sistemi di sorveglianza sulla configurabilità concreta dell'aggravante. Ebbene, in disparte dall'intrinseca genericità del motivo formulato (in senso analogo da entrambi i ricorsi, come già detto), in cui non si dà conto della situazione concreta di vigilanza presente nel supermercato, basta qui ricordare che, in tema di furto, la circostanza aggravante dell'esposizione della cosa alla pubblica fede non è esclusa dall'esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato non idoneo a garantire l'interruzione immediata dell'azione criminosa, mentre solo una sorveglianza specificamente efficace nell'impedire la sottrazione del bene consente di escludere l'aggravante di cui all'art. 625 c.p.p., comma 1, n. 7 (cfr., ultima di numerose conformi, Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, Saja, Rv. 280157). In altre parole, l'aggravante è esclusa solo in presenza di condizioni, da valutarsi in concreto, di sorveglianza e controllo continuativi, costanti e specificamente efficaci ad impedire la sottrazione della "res", ostacolandone la facilità di raggiungimento (Sez. 5, n. 6351 del 8/1/2021, Esposito, Rv. 280493). Non è questa la fattispecie all'esame del Collegio, né tantomeno i ricorrenti hanno rappresentato, "in concreto", elementi di fatto idonei a consentire la valutazione di configurabilità suddetta. 4. Fondato e', invece, il motivo riferito alla mancata concessione dell'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale. Nessun valore può avere la circostanza, evocata dal ricorrente, dell'avvenuto recupero del bene, poiché, in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l'entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato, costituendo la restituzione della refurtiva solo un "post factum" non valutabile a tale fine (cfr. Sez. 5, n. 19728 del 11/04/2019, Ingenito, Rv. 275922, in una fattispecie in cui il bene oggetto di furto era stato sottratto per breve tempo poiché recuperato, subito dopo la commissione del reato, dalle forze dell'ordine). 4.1. Tuttavia, la sentenza impugnata ha basato il diniego della circostanza attenuante, appositamente richiesta con i motivi d'appello, su considerazioni non condivisibili. Anzitutto, i giudici di secondo grado incorrono nell'errore, inverso rispetto a quello su cui si fonda una parte del motivo di ricorso, di abbinare l'entità del danno ad una possibile e non provata maggior ampiezza della condotta di furto, che si sarebbe determinata qualora i quattro correi non fossero stati in qualche modo scoperti e, avvedutisi di tale circostanza, non avessero inteso contenere la portata del loro "piano" delittuoso. A voler ragionare in tal modo, al tentativo di furto non sarebbe mai applicabile la circostanza attenuante del danno patrimoniale di lieve entità, il che non è consentito dal sistema penale che non lo esclude in alcun modo; né è proponibile una lettura limitativa in tal senso della previsione normativa che configura la circostanza suddetta, che si rivelerebbe un'interpretazione "contra reum". Sotto un diverso profilo, richiamare brevemente, a sostegno del diniego del riconoscimento dell'attenuante in esame - così come ha fatto la Corte d'Appello - la giurisprudenza sulla base della quale, a configurarla è solo il pregiudizio lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, sia pur avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della "res", non è più sufficiente, alla luce sia della più recente riflessione su tale tipologia di attenuante condotta dalle Sezioni Unite con la sentenza Sez. U., n. 24990 del 30/1/2020, Dabo Kabiru, Rv. 279499, sia dell'introduzione nel nostro sistema ordinamentale di quella valvola di compressione dell'offensività penale dettata con l'art. 131-bis c.p.. Tale disposizione, in particolare, "chiude" il sistema della punibilità, marginalizzando l'offesa "particolarmente tenue", cui il legislatore abbina l'esclusione dall'applicazione della sanzione penale, pur in presenza di un fatto di reato corrispondente, in tutto, al "tipo normativo". Le Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266589, hanno chiarito come il giudizio complesso e multifattoriale della causa di esclusione della punibilità di nuovo conio deve essere improntato ad una verifica in concreto, poiché "non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica", ma "e' la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore". Le Sezioni Unite Dabo Kabiru hanno proseguito su tale linea interpretativa, evidenziando che, sia per l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto, sia per l'attenuante del danno di lieve entità prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, seppure a fini diversi, assume decisivo rilievo la connotazione storica del fatto e l'accertamento, nel caso concreto, dell'esistenza, o meno, di un'apprezzabile offesa del bene giuridico protetto, che sia eventualmente caratterizzata da particolare tenuità. Sul fronte ermeneutico riferito più specificamente all'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, la citata sentenza delle Sezioni Unite del 2020 nell'affermare il principio dell'applicabilità della suddetta circostanza a tutti i delitti commessi per motivi di lucro, indipendentemente dal bene giuridico oggetto di tutela (e la compatibilità di tale attenuante con la fattispecie autonoma di reato prevista, a sua volta, dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5) - ha ricordato come, prima dell'entrata in vigore della L. 7 febbraio 1990, n. 19, l'attenuante comune di cui all'art. 62 c.p., n. 4, era prevista nel caso di speciale tenuità del danno cagionato alla persona offesa ed era applicabile solo ai delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio. La novella normativa citata ha aggiunto, nella medesima disposizione, invece, un'ulteriore diminuente, applicabile a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, alla duplice condizione che sia il lucro perseguito od effettivamente conseguito dal reo, sia l'evento dannoso o pericoloso siano caratterizzati da speciale tenuità. Ma è la Relazione illustrativa del disegno di legge da cui trae origine il descritto intervento normativo a consegnare una nuova chiave di lettura dell'attenuante, espressamente riportandola all'opportunità, per motivi di equità, di riformulare l'art. 62 c.p., n. 4, in modo simmetrico all'art. 61 c.p., n. 7 (che già prevedeva l'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non solo per i reati contro il patrimonio, ma anche per quelli determinati da motivi di lucro), segnalando la necessità di non eccepire, come delimitazione oggettiva dell'operatività dell'attenuante, il parametro del danno patrimoniale di speciale tenuità arrecato alla persona offesa, che ne avrebbe contenuto la portata in margini eccessivamente ristretti e generalmente riferibili ai soli delitti che tutelano, esclusivamente o in via cumulativa, il patrimonio", ritenendo invece opportuno "prevedere che il danno (o il pericolo) di speciale tenuità che viene in rilievo non è quello patrimoniale bensì quello criminale", sicché, "così delineata, la diminuente viene a costituire un valido elemento a disposizione del giudice per una più equa correlazione della pena alla effettiva lesività della condotta criminosa". E' possibile affermare, pertanto, che lo scopo della diminuente in esame è quello di pervenire ad una più adeguata commisurazione della pena in concreto da infliggere, in ossequio al principio di offensività che deve sovrintendere il giudizio sul disvalore del reato in termini sanzionatori spettante al giudice, al quale solo è riservato di tradurre in indicazioni dosimetriche concrete la colpevolezza individuale (cfr. sul tema, in generale, Sez. U., n. 33040 del 26/2/2015, Jazouli, Rv. 264205). Tale giudizio non può che essere rimesso al magistrato "perché l'uomo deve essere condannato secondo la verità e non secondo le presunzioni", come ammonisce la sentenza delle Sezioni Unite Tushaj, richiamata da quella del 2020 in esame, che non può basarlo su parametri rigidi, determinati sul solo valore del danno patrimoniale arrecato. L'esistenza di un unico filo conduttore che lega le valutazioni dei due istituti collegati all'offesa lieve o particolarmente tenue costituisce, quindi, un approdo della sentenza Dabo Kabiru, che fa notare come il legislatore abbia espressamente, e significativamente, disposto che il primo istituto trovi applicazione anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante (art. 131-bis c.p., comma 3). Il che equivale a dire che, anche in presenza di un danno di speciale tenuità, l'applicazione dell'art. 131-bis, è pur sempre legata anche alla considerazione degli ulteriori indicatori a quello scopo rilevanti, afferenti alla condotta ed alla colpevolezza (viceversa, quando ha voluto evitare che la graduazione del reato espressa in una circostanza aggravante ragguagliata all'entità della lesione sia travolta da elementi di giudizio di segno opposto afferenti agli altri indicatori previsti dalla legge, il legislatore lo ha fatto esplicitamente: l'offesa non può essere ritenuta connotata da particolare tenuità quando la condotta ha cagionato, quale conseguenza non voluta, la morte o lesioni gravissime, come prevede l'art. 131-bis c.p., comma 2). Per usare ancora una volta la logica delle Sezioni Unite, la tenuità del danno o del pericolo cagionati al bene giuridico protetto entra in gioco sia per attenuare la pena, ai sensi dell'art. 62 c.p., n. 4, sia, eventualmente, per escluderne la necessità, ai sensi ed alle condizioni dell'art. 131-bis c.p.. La relativa verifica dovrà avere ad oggetto, in entrambi i casi, non già l'astratta considerazione della natura giuridica del bene protetto, bensì il grado di effettiva offensività del fatto nel caso concreto. 4.2. Alla luce di tali premesse ermeneutiche, preso atto di un sistema oggi più che mai complesso ed orientato verso una spiccata gradualizzazione e individualizzazione della sanzione inflitta all'esito del giudizio penale di colpevolezza, sino a spingersi ad escludere la punibilità, quando l'offesa sia così tanto tenue da neppure meritare la sanzione, non vi è più spazio per pseudo-presunzioni di meritevolezza dell'attenuante del danno di lieve entità prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, abbinate alla sola ricorrenza di un pregiudizio lievissimo cagionato alla persona offesa ovvero ad un valore economico pressoché irrisorio della cosa sottratta, sia pur tenuto conto di ulteriori eventuali effetti pregiudizievoli. Ciò che è richiesto, infatti, è una valutazione combinata e complessa del danno arrecato, che è quello criminale e non solo patrimoniale, al fine di adeguare la pena alla effettiva lesività della condotta di reato commessa. Soprattutto, tenuto conto della funzione di barriera alla stessa punibilità svolta dalla disposizione dell'art. 131-bis c.p., per il caso di offese particolarmente tenui arrecate al bene giuridico protetto attraverso la criminalizzazione della condotta, è evidente che limitare l'applicabilità dell'attenuante del danno di lieve entità a quei soli casi di irrisorio valore della res sottratta e di lievissimo pregiudizio effettivamente cagionato svuoterebbe oramai di significato la stessa diminuente, portandola a coincidere, sul piano dell'intervento penale, con la citata causa di esclusione della punibilità, quando ricorrano gli ulteriori elementi valutativi ai fini del giudizio di applicabilità di quest'ultima (e cioè, oltre, appunto all'entità del danno, le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile e l'entità del pericolo). Viceversa, spostare l'asse valutativo sull'attenuante, nei casi di pregiudizio lievissimo o irrisorio, potrebbe determinare l'altro risultato, egualmente non consentito, di non applicare mai, in concreto, la causa di non punibilità dell'art. 131-bis c.p., ai reati contro il patrimonio caratterizzati da simili condizioni. Pertanto, in relazione al delitto di furto, il giudice dovrà fondare la sua valutazione circa la meritevolezza della circostanza attenuante del danno di lieve entità, prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, su un giudizio necessariamente complesso, che prenda in esame tutti gli elementi della fattispecie concreta, per giungere alla verifica del danno criminale globalmente arrecato, non potendo ritenersi determinanti, ai fini della sua configurabilità, i soli parametri dell'entità lievissima del pregiudizio causato alla vittima del reato o del valore irrisorio del bene sottratto. La linea ermeneutica che qui si sostiene, peraltro, trova eco nel passato, là dove si rinvengono pronunce che, in parte discostandosi dall'opzione incentrata sull'analisi del solo valore economico della res sottratta, hanno affermato come, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante dell'avere agito per conseguire o dell'avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, non si deve avere riguardo soltanto al valore venale del corpo del reato, ma anche al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta dell'imputato, in termini effettivi o potenziali (cfr. Sez. 3, n. 18013 del 5/2/2019, Loussaief, Rv. 275950; Sez. 2, n. 21014 del 13/5/2010, Gebbia, Rv. 247122). Peraltro, anche l'opzione ermeneutica che punta a valorizzare il criterio del pregiudizio lievissimo e del valore irrisorio del bene sottratto è più complessa della percezione di essa che traspare dalle argomentazioni del provvedimento impugnato, poiché evoca la necessità di ampliare il campo valutativo della diminuente ad eventuali ulteriori effetti pregiudizievoli oltre quelli riferibili al valore del bene sottratto in sé considerato ed è ispirata, anche e soprattutto, dall'esigenza di evitare che le condizioni economiche della vittima possano influire sul disvalore della condotta, essendo evidente che considerazioni sulla capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato sarebbero fuorvianti rispetto alla ratio punitiva del furto (cfr. Sez. 4, n. 6635 del 19/1/2017, Sicu, Rv. 269241 e Sez. 2, n. 5049 del 22/12/2020, dep. 2021, Di Giorgio, Rv. 280615). 4.3. Inammissibile perché manifestamente infondato e generico è il motivo relativo all'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., che la Corte d'Appello ha correttamente escluso in ragione dei limiti normativi edittali previsti per il furto doppiamente aggravato, ai sensi dell'art. 625 c.p., comma 2. 5. Infine, il motivo proposto unicamente da G.V.R., in relazione al reato di cui all'art. 337 c.p., a lei contestato, è manifestamente infondato e generico, poiché non si confronta con le motivazioni del provvedimento impugnato, in cui si è spiegato come la ricorrente abbia messo in atto sin dal primo momento in cui è stata fermata insieme ai complici un comportamento oppositivo e minaccioso nei confronti dell'agente C.S., che li aveva scoperti in flagranza di reato e stava compiendo atti del proprio ufficio, essendosi debitamente qualificata come appartenente alle forze dell'orine. 6. Dall'accoglimento del ricorso limitatamente all'attenuante prevista dall'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, deriva l'assorbimento del motivo riferito alla sospensione condizionale della pena. 7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti dei ricorrenti limitatamente alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta per nuovo esame, assorbito il motivo di G.D. relativo alla sospensione condizionale della pena. I ricorsi devono essere rigettati nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 4, con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta per nuovo esame. Rigetta nel resto i ricorsi. Così deciso in Roma, il 26 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022
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