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Furto di energia elettrica l'attività di verifica dello stato dei luoghi non è atto irripetibile

Furto

Cassazione penale , sez. V , 27/10/2021 , n. 45253

L'attività di verifica dello stato dei luoghi effettuata, in occasione di accertamenti per furto di energia elettrica, dal personale dell'ente erogatore, non costituisce atto irripetibile cui debbano applicarsi le garanzie difensive di cui all' art. 360 c.p.p.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 02/07/2020 la Corte d'appello di Catanzaro: a) ha confermato la decisione di primo grado, con riferimento all'affermazione di responsabilità di C.A. in relazione al reato di cui all'art. 624 c.p., art. 625 c.p., comma 1, n. 2 e 7, contestatole per la sottrazione di energia elettrica; b) ha rideterminato il trattamento sanzionatorio, per effetto del giudizio di prevalenza delle già concesse circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti. 2. Nell'interesse dell'imputata viene proposto ricorso per cassazione, affidato ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere i giudici di merito omesso di considerare che erano rimaste inosservate le garanzie difensive previste dall'art. 360 c.p.p., nonostante che le verifiche degli operatori dell'ENEL fossero state seguite da un'opera di bonifica della situazione controversa che aveva cancellato le tracce del reato, neppure documentate da un supporto fotografico. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7, sottolineando come la denunciata assenza di documentazione fotografica non consentisse di dimostrare i presupposti fattuali ai quali è condizionata la circostanza dell'esposizione del bene alla pubblica fede. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 4. Si rileva che le conclusioni della Corte territoriale sono fondate su mere presunzioni, alla luce della riconosciuta impossibilità di quantificare il prelievo di energia elettrica. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come chiarito in relazione ad analoghe censure da Sez. 5, n. 35027 del 16/06/2021, Berlingieri, non massimata, la norma di riferimento per valutare il regime di utilizzabilità degli atti in questione è l'art. 220 disp. att. c.p.p., che estende la applicabilità delle norme del codice di procedura penale alle attività di ispezione o vigilanza compiute da persone non appartenenti alla polizia giudiziaria prima dell'avvio del procedimento penale. Tra le disposizioni del codice di procedura penale, che devono essere applicate, è ricompreso l'art. 348 c.p.p.. Nel caso di specie, i verificatori dell'Enel hanno legittimamente compiuto l'attività accertativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 220 disp. att. c.p.p., in relazione all'art. 348 c.p.p., agendo con i poteri propri della polizia giudiziaria, la quale, ai sensi dell'art. 55 c.p.p., ha anche il compito di "assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto altro possa servire per l'applicazione della legge penale". Ne' l'attività con cui, attraverso la verifica dello stato dei luoghi, la polizia giudiziaria trae elementi per l'accertamento di un reato costituisce atto irripetibile, a cui abbia diritto di assistere il difensore, ai sensi degli artt. 360, in quanto le garanzie difensive trovano applicazione solo quando si eseguano prelievi o manipolazioni tali da modificare in qualche modo la situazione obbiettiva preesistente. L'assistenza del difensore dell'interessato è essenziale appunto nei casi in cui l'operazione tecnica non potrebbe essere ripetuta nelle stesse condizioni. Il nuovo codice consente l'assistenza del difensore, senza previo avviso, appunto alle operazioni irripetibili compiute dalla polizia giudiziaria, quali le perquisizioni, gli accertamenti sui luoghi o cose o persone, o l'apertura di plichi o di corrispondenza (art. 356 c.p.p.). La circostanza poi dell'intervenuta successiva eliminazione dell'illecito non incide sulla utilizzabilità delle dichiarazioni aventi ad oggetto quanto rilevato in precedenza. 2. Il secondo motivo è infondato, nella parte in cui logicamente dipende dalle censure svolte nel primo motivo, quanto alla inutilizzabilità delle deposizioni dei verificatori Enel e alla conseguente assenza di elementi probatori idonei a fondare la ricostruzione dei fatti recepita dai giudici di merito. In tale cornice ricostruttiva, che individua il mezzo per realizzare la sottrazione nel diretto collegamento alla rete di distribuzione dell'energia dell'Enel, va ribadito che la captazione dell'energia condotta dai cavi esterni (e dunque appartenenti alla rete elettrica che rimane, per necessità, esposta alla pubblica fede) nell'appartamento dell'agente integra l'aggravante di cui all'art. 625 c.p., comma 1, n. 7 (Sez. 5, n. 33680 del 09/07/2001, Schiera, Rv. 219927 01; si vedano anche le conclusioni di Sez. 4, n. 1850 del 07/01/2016, Cagnassone, Rv. 266229 - 01). 3. Il terzo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità. Premesso che la mancata esatta quantificazione dipende proprio dall'aggiramento della misurazione che il contatore avrebbe operato, va ribadito che, ai fini del riconoscimento dell'invocata circostanza attenuante, l'entità del pregiudizio deve essere di rilevanza minima (v., ad es., Sez. 5, n. 42819 del 19/06/2014, Lucchesi, Rv. 261044 - 0). In tale contesto la massima di esperienza per la quale, in tema di furto di energia elettrica in utenza domestica, l'attenuante del danno di particolare lievità non può, di regola, essere concessa in quanto nelle abitazioni l'appropriazione illecita di energia avviene con flusso continuo e la consumazione del reato deve ritenersi protratta per tutto il periodo in cui la casa venga abitata (Sez. 4, n. 18485 del 23/01/2009, Falcone, Rv. 243977 - 01), trova, nel presente procedimento, solida conferma logica nell'attribuzione alla C. - non oggetto di alcuna specifica contestazione da parte del ricorso (che si limita ad un generico uso del condizione: "secondo quanto avrebbe dichiarato la stessa imputata") - dell'ammissione di avere fruito di tale illecito allaccio per quasi venti anni. 4. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2021. Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2021
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