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Furto di energia elettrica sussiste in caso di sottrazione mediante allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata

Furto

Cassazione penale , sez. V , 03/11/2021 , n. 1094

In tema di furto di energia elettrica, è configurabile l'aggravante di cui all' art. 625, comma 1, n. 7, c.p. in caso di sottrazione mediante allacciamento abusivo ai terminali collocati in una proprietà privata, rilevando, non già l'esposizione alla pubblica fede dell'energia mentre transita nella rete, bensì la destinazione finale della stessa a un pubblico servizio dal quale viene distolta, destinazione che comunque permane anche nella ipotesi di una tale condotta.

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La sentenza integrale

RITENUTO IN FATTO 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna, emessa a seguito di giudizio abbreviato, di M.A. per il reato di furto pluriaggravato, commesso sottraendo energia elettrica attraverso un allaccio abusivo alla rete Enel. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato articolando due motivi di ricorso. 2.1 Con il primo deduce l'erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 625 c.p., n. 7. La circostanza in parola sarebbe applicabile solo nel caso in cui la condotta dell'imputato abbia riguardato cose destinate a pubblico servizio, ossia che servono ad un uso di pubblico vantaggio o di utilità collettiva, mentre dovrebbe escludersi nell'eventualità in cui l'allaccio abusivo abbia ad oggetto cavi esistenti all'interno di una proprietà privata e destinati a servire una singola utenza, come avvenuto nel caso di specie, in cui era stata realizzata una derivazione abusiva dai cavi serventi l'immobile di privata abitazione dell'imputato. Sarebbe dunque la stessa collocazione del cavo allacciato ad escludere che si tratti di "cosa destinata a pubblico servizio", a nulla rilevando che la corrente sia stata utilizzata per garantire l'operatività di un'attività economica a cielo aperto. 2.2 Con il secondo si deducono l'erronea applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito alla riconosciuta insussistenza dell'attenuante del risarcimento del danno, da ritenersi prevalente sulle aggravanti contestate. La Corte avrebbe erroneamente escluso che possa integrare la citata attenuante un accordo transattivo, avente ad oggetto una somma inferiore al danno cagionato, nell'ambito del quale la persona offesa abbia affermato di non avere più nulla a pretendere. Il requisito dell'integralità del risarcimento difatti dovrebbe valutarsi non con riferimento al danno oggettivamente prodotto, ma avuto riguardo alla soddisfazione della parte lesa, come manifestata nell'accordo. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è infondato e deve dunque essere rigettato. 2. Anzitutto infondato è il primo motivo. La cosa destinata al pubblico servizio di cui tratta l'art. 625 c.p., n. 7 è quella la cui destinazione è per un servizio fruibile dal pubblico (Sez. 6, Sentenza n. 698 del 03/12/2013, dep. 2014, Giordano Rv. 257773). In altri termini l'aggravante sussiste qualora la cosa sottratta sia oggettivamente caratterizzata da un nesso funzionale all'erogazione di un pubblico servizio. E' allora irrilevante che la sottrazione avvenga mediante un allacciamento abusivamente effettuato ai terminali della rete elettrica collocati in una proprietà privata, giacché ciò che rileva nella fattispecie contestata non è l'esposizione alla pubblica fede dell'energia mentre transita nella rete, bensì e per l'appunto la destinazione della stessa ad un pubblico servizio. Carattere che l'energia elettrica non perde solo perché sottratta dai terminali intranei ad una proprietà privata, posto che la sua destinazione finale non è quella di alimentare l'utenza privata che l'ha richiamata deviandola dalla rete generale e distogliendola dunque dalla fruizione degli altri utenti. 3. Parimenti infondato è il secondo motivo. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, infatti, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., comma 1, n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra l'eventuale transazione intervenuta con la persona offesa e il danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 57573 del 31/10/2017, P., Rv. 271872). La Corte territoriale ha fatto buon governo di tali consolidati principi e richiamando legittimamente la motivazione della pronunzia di primo grado - non contestata con il gravame di merito quanto alla ricostruzione del valore dell'energia sottratta ed all'oggetto della transazione intervenuta con l'ente erogatore - ha evidenziato in maniera logica e coerente alle risultanze processuali le ragioni per cui l'accordo concluso dall'imputato non può costituire presupposto per il riconoscimento dell'invocata attenuante. La sentenza di primo grado aveva infatti ricordato come il danno patito dall'ente ammontasse ad oltre 40.000 Euro, mentre la transazione conclusa dall'imputato con lo stesso riguardava un credito originario di circa 4.000 Euro per cui era stato emesso decreto ingiuntivo, non risultando in alcun modo che il suddetto negozio avesse ad oggetto la pretesa risarcitoria del danno determinato dal reato e comunque il suo intero ammontare. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 3 novembre 2021. Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2022
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