RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha parzialmente riformato la pronuncia del Tribunale di Monza del 11/10/2022, resa all'esito di rito abbreviato, qualificando il reato ascritto a S.M. ai sensi dell'art. 56 c.p., art. 624 bis c.p., commi 1 e 3, e applicando le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva, così rideterminando la pena inflitta dal giudice di primo grado in relazione al delitto commesso dal S. in (Omissis) con le aggravanti del fatto commesso con violenza sulle cose e dell'aver approfittato di circostanze di tempo, ora notturna, tali da ostacolare la privata difesa.
2. S.M. propone ricorso per cassazione avverso tale pronuncia esponendo le seguenti doglianze:
a) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione della legge penale nella qualificazione giuridica del fatto nella fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p. - violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e) per manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo della sentenza impugnata in relazione a specifico vizio sollevato nel primo motivo di appello. Secondo la difesa, i giudici di merito hanno omesso di verificare il rapporto di pertinenzialità esistente tra il luogo in cui si sono svolti i fatti, ossia l'autorimessa di proprietà della persona offesa M.G., e l'abitazione della persona offesa. La difesa aveva contestato che il box dove si sono svolti i fatti potesse considerarsi pertinenza dell'abitazione, essendo provato che quest'ultima si trovasse in altro luogo, ma la Corte territoriale ha deciso trascurando la giurisprudenza della Corte di legittimità, in cui si afferma che non ogni furto in autorimessa sia automaticamente sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 624 bis c.p., essendo necessario che l'autorimessa costituisca pertinenza dell'abitazione e che sia pertanto adiacente a quest'ultima. Il requisito della contiguità spaziale tra abitazione principale e bene posto al servizio di essa, affermato dalla Suprema Corte in materia civile come elemento idoneo a integrare la nozione di pertinenza, è stato richiamato nella sentenza n. 27326/2021, che in quel caso aveva valorizzato la circostanza che il luogo in cui era situato il box fosse diverso dal luogo di residenza della persona offesa, così determinando il venir meno del requisito oggettivo di contiguità dei due beni. La Corte territoriale ha ritenuto che il concetto di pertinenza in ambito civilistico sia diverso rispetto alla materia penale, in contrasto con quanto affermato nella citata pronuncia di legittimità, così trascurando che la persona offesa, nel caso concreto, avesse residenza in un appartamento in (Omissis), mentre i fatti erano avvenuti nel box del condominio sito in (Omissis). Nel corso del giudizio la difesa aveva, inoltre, dimostrato che la persona offesa non fosse residente nello stabile in cui era ubicato il box;
b) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione dell'art. 625 c.p., n. 2 e vizio di motivazione per manifesta illogicità in ordine alla prova del danneggiamento della serratura del garage della persona offesa. Nel caso in esame, si assume, non è stato effettuato alcun accertamento con riguardo al danneggiamento della serranda del box o con riferimento alla necessità di attività di ripristino della stessa, avendo i giudici di merito affermato una sorta di automatismo intercorrente tra la forzatura della serranda e il danneggiamento della stessa. La Corte di appello ha, dunque, omesso qualsiasi valutazione sull'effettività del danno alla serranda, affermando che quest'ultima avrebbe avuto necessità di riparazione senza indicare la relativa fonte di prova, laddove viene equivocato il concetto di forzatura con quello di danneggiamento o manomissione in assenza di prove circa il danneggiamento o la manomissione. La difesa sottolinea, anzi, che il teste oculare si è limitato a dichiarare di aver visto l'imputato aprire la serratura del box e che la persona offesa ha dichiarato di aver appurato che vi era stata la forzatura della serranda del box; i verbalizzanti, peraltro, hanno riferito che la serratura sarebbe stata "verosimilmente forzata", desumendo tale valutazione dal fatto che la guida della serranda si presentava poco fluida allo scorrimento. Su tale argomento la sentenza della Corte territoriale è totalmente silente;
c) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione dell'art. 61 n. 5 c.p. e vizio ex art. 606 c.p.p., lett. e) per omessa o contraddittoria motivazione in relazione agli specifici elementi forniti dalla difesa su tale punto. La Corte territoriale ha applicato una sorta di automatismo tra la consumazione del fatto in orario notturno e il riconoscimento della circostanza aggravante della minorata difesa, omettendo di prendere posizione sugli elementi di fatto dedotti nel quarto motivo di appello. Richiamando la pronuncia delle SSUU n. 40275/2021, la difesa sottolinea come il principio di offensività imponga di verificare che la commissione del reato in tempo di notte sia accompagnata dalla prova che la pubblica o la privata difesa siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto. La Corte territoriale non ha applicato questi principi, omettendo di esaminare le doglianze dell'appellante, che aveva sottolineato come l'imputato non avesse mai conseguito l'effettivo impossessamento della cosa grazie all'attivazione di un condomino che aveva immediatamente avvertito le Forze dell'ordine. Nel caso concreto, dunque, l'avere agito di notte non aveva agevolato, anzi aveva reso più manifesta, l'azione delittuosa. Il difensore aveva sottolineato come il luogo dove è avvenuto il fatto si trovasse in zona centrale della città, in area densamente popolata, dotata di un valido sistema di illuminazione notturna sia nella piazza che nel torsello dei box del condominio interessato dal furto. Il fatto si era verificato nel periodo estivo, quando le persone aprono le finestre e possono, per tale ragione, più facilmente percepire i rumori dall'esterno, così come nel caso concreto era effettivamente avvenuto. Tali circostanze di fatto avevano fortemente diminuito l'offensività in concreto della condotta e la sentenza, non avendo motivato sul punto, deve ritenersi viziata;
d) violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. c) per mancata applicazione dell'art. 545 bis c.p.p.. Dopo aver riformato la sentenza di primo grado e determinato una pena che consentiva l'applicazione di sanzioni sostitutive, la Corte di appello ha omesso di dare avviso alle parti e di valutare la sussistenza delle condizioni per la sostituzione della pena detentiva come previsto dall'art. 545 bis c.p.p., sebbene nella motivazione della sentenza non vi sia alcun riferimento a considerazioni della Corte tali da escludere la possibilità per l'imputato di accedere a richieste di sostituzione della pena inflitta.
3. All'odierna udienza, su istanza di parte trattata con discussione orale, le parti hanno rassegnato le conclusioni indicate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le censure proposte con i primi tre motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità in quanto risultano pedissequamente reiterative di motivi di appello già ampiamente esaminati, con motivazione esente da vizi, dalla Corte di appello nella sentenza impugnata.
2. La Corte territoriale ha ritenuto sufficiente la prova che la condotta illecita fosse stata commessa nel garage di proprietà della persona offesa, ossia in un luogo destinato al compimento di atti della vita domestica, sottolineando l'irrilevanza dell'ubicazione della residenza della persona offesa in altro luogo del medesimo Comune; da tale affermazione la difesa sembra desumere anche l'affermazione dell'irrilevanza della contiguità del garage all'appartamento destinato a residenza del medesimo proprietario, confrontandosi solo parzialmente con il costrutto motivazionale della sentenza impugnata.
2.1. Secondo quanto anche recentemente affermato, integra il reato previsto dall'art. 624 bis c.p., la condotta di chi si impossessa di beni mobili introducendosi all'interno di un garage mediante la forzatura della porta d'ingresso, trattandosi di luogo che costituisce pertinenza dell'abitazione, ove si compiono in maniera non occasionale atti della vita privata, e che non è accessibile senza il consenso del titolare (Sez. 4, n. 5789 del 04/12/2019, Gemottine, Rv. 278446). In una pronuncia della Corte di legittimità (Sez.5, n. 27326 del 28/04/2021, Colucci, n. m.), richiamata nel ricorso, si è affermato che, avuto riguardo alla ratio dell'aggravante di punire con maggiore severità la particolare pericolosità manifestata da chi, al fine di commettere un furto, non esita ad introdursi in un luogo di abitazione, con la concreta possibilità di trovarsi innanzi al soggetto passivo - l'aggravante stessa sussiste anche quando il reato sia commesso in una immediata pertinenza dell'abitazione: come tale destinata allo svolgimento di attività strettamente complementari e strumentalmente connesse a quelle abitative. La Corte ne ha, quindi, desunto il seguente principio di diritto: "La nozione di "pertinenza di luogo destinato a privata dimora", di cui all'art. 624 bis c.p., si riferisce a ogni bene idoneo ad arrecare una diretta utilità economica ovvero funzionale al bene principale, per essere destinato in modo durevole al servizio o all'ornamento di esso, resa possibile da una contiguità, anche solo di servizio tra bene principale e bene pertinenziale".
2.2. Ebbene, la pronuncia in esame risulta rispettosa di tale principio anche laddove i giudici di merito hanno precisato che sul concetto di pertinenza rilevante ai fini del giudizio penale "non incide assolutamente il fatto che il proprietario del box sia residente nello stesso immobile, piuttosto che in altro appartamento sito nelle vicinanze, allorquando il garage è comunque inserito (come nel caso di specie) in un complesso condominiale composto da abitazioni private, effettivamente occupate non rileva il fatto che la persona offesa sia proprietario di un appartamento nel medesimo condominio, piuttosto che in un altro condominio, e dove la stessa abbia residenza anagrafica".
2.3. Con tale, fondamentale, passaggio della motivazione, in cui si è riconosciuto il suddetto rapporto di pertinenzialità anche qualora il proprietario del box abiti in un appartamento sito nelle vicinanze, il ricorso omette di confrontarsi, reiterando il tema della diversità di indirizzi tra la residenza e il garage della persona offesa quale unico elemento utile e sufficiente a dimostrare l'inesistenza del rapporto di pertinenzialità. Ma nella sentenza impugnata, lungi dal contestarsi il requisito della contiguità, si è semplicemente specificato che nel caso concreto sussistesse contiguità ai sensi della circostanza aggravante in esame, dovendosi ritenere contigui ai fini penali anche quei beni che siano ubicati in edifici situati "nelle vicinanze" dell'abitazione.
3. Con riguardo all'aggravante della violenza sulle cose, il denunciante ha precisato di aver riscontrato la forzatura della serranda del box e tale denuncia è stata considerata pienamente utilizzabile nel rito abbreviato; la forzatura è stata considerata idonea a integrare la aggravante in quanto corroborata dal rilievo degli operanti, che avevano riscontrato lo scorrimento poco fluido del basculante oggetto di effrazione. Il difettoso funzionamento della serranda è stato interpretato, non illogicamente, dalla Corte territoriale come indicativo della necessità di un'azione di ripristino per riportare la stessa nella condizione antecedente il reato, non essendo necessario accertare la totale inutilizzabilità del bene. Si tratta, dunque, di pronuncia rispettosa della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia, pure richiamata nel ricorso, secondo la quale la circostanza aggravante della violenza sulle cose si realizza tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l'opera dell'uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che, per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione, sia necessaria un'attività di ripristino, cosicché essa non è configurabile ove l'energia spiegata sulla cosa, mediante la sua forzatura, non determina una manomissione ma si risolve in una semplice manipolazione che non implichi alcuna rottura, guasto, danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione, per cui sia necessaria un'attività di ripristino. (ex plurimis, Sez. 5, n. 13431 del 25/02/2022, Pirroncello, Rv. 282974 - 02; Sez. 5, n. 11720 del 29/11/2019, dep. 2020, Romeo, Rv. 279042 - 01).
4. Con riguardo alla circostanza aggravante prevista dall'art. 61 c.p., n. 5 la Corte si è limitata a ritenere che, nel caso di specie, non sussistesse alcuna circostanza diversa idonea a neutralizzare l'effetto aggravante dell'essere il reato commesso alle due di notte in una zona non prospiciente la strada, ove le probabilità per l'imputato di essere visto da estranei erano minime. La censura svolta con il terzo motivo di ricorso trascura che, su tale punto, la conforme sentenza di primo grado integra tale motivazione soggiungendo che il fatto è stato commesso in un orario in cui, secondo massima di esperienza, le persone sono dedite al riposo e in un luogo, come i garage condominiali, dove la possibilità di incontrare qualcuno diminuisce sensibilmente al calar della notte, nel pieno rispetto del principio enunciato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza Cardellini (Sez. U, n. 40275 del 15/07/2021, Rv. 282095 01).
5. Il quarto motivo di ricorso non supera il vaglio di ammissibilità in quanto non risulta dagli atti che la parte abbia formulato istanza di applicazione di pena sostitutiva ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p..
Ai sensi della disciplina transitoria contenuta nel D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 95, in caso di procedimento di appello pendente in data successiva al 30 dicembre 2022, il giudice di appello "può" pronunciarsi in merito all'applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all'art. 20 bis c.p..
Occorre, dunque, rimarcare che l'applicazione di una pena sostitutiva non costituisce diritto dell'imputato, rientrando nell'ambito della valutazione discrezionale del giudice. E, considerato che la disciplina normativa introdotta continua a subordinare la sostituzione a una valutazione giudiziale ancorata ai parametri di cui all'art. 133 c.p., in assenza di una richiesta formulata in tal senso dall'appellante, non vi è obbligo per il giudice di secondo grado di motivare in ordine alla insussistenza dei presupposti per la sostituzione della reclusione con una delle nuove pene elencate nell'art. 20-bis c.p. (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090 - 01).
6. Alla declaratoria d'inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2023