RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Bari, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto gli odierni ricorrenti responsabili del reato di furto pluriaggravato in concorso, perché si sarebbero impossessati di un cospicuo quantitativo di olive, sottraendoli a M.G., proprietario del fondo dove insistevano gli alberi.
2. Avverso tale decisione, ricorrono entrambi gli imputati, articolando tre motivi di censura. In particolare:
2.1. con il primo, si deduce, sotto il profilo della violazione di legge, che la condotta si sarebbe arrestata allo stadio del tentativo, prima che i ricorrenti si potessero effettivamente impossessare delle olive, rinvenute, al momento dell'intervento dei militari, raccolte in sacchi, ancora nel terreno di proprietà della persona offesa. E comunque, per come è emerso dall'istruttoria ed avendo lo stesso M., proprietario del fondo, avvisato i militari poi intervenuti, si sarebbe dovuto ritenere che tutta l'azione fosse stata consumata sotto la diretta osservazione del proprietario del fondo fino all'intervento dei militari. E, quindi, il furto non si sarebbe mai consumato.
2.2. Con gli altri due motivi, si lamenta, invece, la ritenuta sussistenza dell'aggravante della violenza sulle cose (atteso che le olive sarebbero state raccolte mediante la tecnica della battitura che, notoriamente, non sarebbe qualificabile come violenza) e di quella dell'esposizione a pubblica fede (trattandosi, per le olive, di circostanza riconducibile non ad una scelta dell'uomo, ma ad una condizione naturale sottratta alla volizione del proprietario).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato.
Il furto si consuma nel momento in cui il soggetto agente, dopo aver sottratto il bene al detentore, se ne impossessa, acquisendone la piena e autonoma disponibilità. Cosicché, finché la cosa non sia uscita dalla sfera di sorveglianza del possessore e questi sia ancora in grado di recuperarla, la condotta di apprensione del bene rimane allo stadio di mero tentativo (Sez. U, n. 34952 del 19/04/2012,
Reina, Rv. 253153, in motivazione, e, in continuità, Sez.
U. n. 52117 del 17/07/2014, Pg. in prc. Prevede e altri Rv. 261186).
L'accertamento dell'esistenza o meno di un pieno ed autonomo potere di disporre del bene sottratto (e, parallelamente, della capacità della persona offesa di recuperare la refurtiva, attraverso un intervento in continenti), risente, tuttavia, da un canto, dello specifico contesto all'interno del quale si inserisce la condotta di sottrazione e, dall'altro, della particolare natura del bene sottratto.
Ove il bene sia soggetto ad una continua ed immanente sorveglianza, non è sufficiente la sottrazione del bene alla disponibilità del detentore: affinché la condotta non si arresti allo stadio del tentativo, occorre anche che l'autore eluda tali sistemi di controllo, perché solo in questo momento si recide la signoria esercitata dal detentore (Sez. 2, n. 8445 del 05/02/2013, Niang, non massimata) e può esercitarsi quella dell'autore.
Ma quando il bene non sia sotto la diretta e continua sorveglianza da parte del detentore, ma - anzi - sia affidato al comune senso di responsabilità verso la proprietà altrui (e, quindi, sia esposto alla pubblica fede), non vi sono strumenti di controllo e tutela che devono essere elusi o superati e l'impossessamento si perfeziona attraverso qualsiasi condotta che manifesti (e sia concretamente idonea ad imporre) una signoria sulla cosa.
In concreto, per come ricostruito dalla corte territoriale, i ricorrenti, entrati nel fondo, hanno colto le olive dagli alberi e le hanno riposte in alcuni sacchi. Quindi, le hanno sottratte al detentore (cogliendole dall'albero) e se ne sono impossessate (riponendole nei propri sacchi). Tale condotta, alla luce delle particolari condizioni dei luoghi, in assenza, quindi, di strumenti di controllo e tutela da eludere o superare, e della natura del bene, rappresenta effettivo esercizio di un autonomo potere di disposizione del bene stesso e, conseguentemente, idonea modalità di impossessamento.
Sotto tale profilo, non rileva né il limitato lasso di tempo durante il quale la signoria è stata esercitata (Sez. 4, n. 13505 del 04/03/2020, Rv. 279134); né che i ricorrenti, ancora intenti a raccogliere olive, non si siano allontanati dal luogo di commissione del reato (Sez. 5, n. 2726 del 24/10/2016, dep. 2017, Rv. 269088), circostanze in sé estranee e successive alla consumazione del reato; né, in ultimo, l'intervento del proprietario, che si è limitato ad avvisare i militari dopo aver notato la presenza dei ladri all'interno del fondo, senza, con ciò, esercitare quell'attuale ed immanente vigilanza che permette al detentore di conservare l'esercizio di una effettiva e concreta signoria sul bene stesso, escludendo la consumazione del reato.
2. Il secondo motivo è ugualmente infondato.
In generale, l'aggravante della violenza sulle cose sussiste qualora il soggetto usi energia fisica per commettere il fatto, provocando la rottura, il guasto, il danneggiamento, la trasformazione della cosa altrui o determinandone il mutamento di destinazione (da ultimo, Sez. 5, n. 13431 del 25/02/2022, Rv. 282974).
Cosicché, l'abbattimento o la recisione di rami di un albero piantato al suolo (o anche la semplice potatura, se effettuata invito domino), in quanto rottura o danneggiamento dell'albero (nella sua parte legnosa), integra l'aggravante della violenza sulle cose (Sez. 5, n. 3788 del 16/12/2020, dep. 2021, Rv. 280332)
Ebbene, in concreto, i ricorrenti, come evidenziato correttamente dalla corte d'appello, per accelerare i tempi di raccolta, hanno fatto uso di energia fisica, "battendo" l'albero, causando la recisione di alcuni rami e, così, danneggiandolo. E ciò integra l'aggravante contestata.
3. Anche il terzo motivo è infondato.
Questo Collegio intende dare continuità all'orientamento che, dopo un iniziale contrasto (Sez. 5, n. 18282 del 14/04/2014, Curiazio, Rv. 259885, con specifico riferimento a furto di alberi; Sez. 2, n. 35956 del 08/06/2012, Schettini, Rv. 253894), ha ritenuto la configurabilità della circostanza aggravante dell'esposizione alla pubblica fede anche quando tale esposizione derivi non da un'opera dell'uomo, ma da una condizione originaria della cosa (Sez. 5, n. 13431 del 25/02/2022, Rv. 282974; Sez. 4, n. 25042 del 06/04/2021, Rv. 281435; Sez. 4, n. 11158 del 14/02/2019, Chiaravallotti, Rv. 275276; Sez. 5, n. 39222 del 30/06/2015, Meloni, Rv. 264870; Sez. 5, n. 3550 del 25/09/2014 - dep. 2015 - Caligiuri, Rv. 262843).
Tale interpretazione è coerente sia con il carattere neutro del dato letterale ("esposte"), che prescinde dalla fonte e dalle ragioni dell'esposizione, sia con la funzione (di protezione oggettiva) della norma.
Cosicché, che gli alberi e i relativi frutti siano esposti alla pubblica fede per fatto (attivo od omissivo) dell'uomo o per loro condizione originaria è circostanza irrilevante ai fini della configurabilità dell'aggravante aggravante di cui all'art. 625, n. 7, del codice penale.
4. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e le spese del procedimento vanno poste a carico di ciascun ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2022